Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Economia, Politica internazionale: Stati Uniti

Economia statunitense: un boom eccezionale o una bolla destinata a scoppiare?

Pre­sen­tia­mo ai nostri let­to­ri il seguen­te arti­co­lo del noto eco­no­mi­sta mar­xi­sta Michael Roberts, che fa il pun­to sul­l’e­co­no­mia sta­tu­ni­ten­se nel­l’at­tua­le fase in cui ver­sa il capitalismo.
Buo­na lettura.
La redazione

Economia statunitense: un boom eccezionale o una bolla destinata a scoppiare?


Michael Roberts [*]

 

Di recen­te c’è sta­ta una serie di arti­co­li e com­men­ti sull’“eccezionalismo sta­tu­ni­ten­se”, ovve­ro sul fat­to che l’economia degli Sta­ti Uni­ti sta bal­zan­do in avan­ti in ter­mi­ni di cre­sci­ta eco­no­mi­ca, inve­sti­men­ti hi‑tech e pro­dut­ti­vi­tà, lascian­do indie­tro il resto del mon­do. Non c’è quin­di da stu­pir­si se il dol­la­ro Usa è in for­te asce­sa e i suoi mer­ca­ti azio­na­ri sono in pie­na espan­sio­ne. Que­sto suc­ces­so è dovu­to a una mino­re rego­la­men­ta­zio­ne, a uno spi­ri­to impren­di­to­ria­le, a tas­se più bas­se sugli inve­sti­men­ti e così via: in altre paro­le, nes­su­na di quel­le inter­fe­ren­ze gover­na­ti­ve di cui sof­fro­no Euro­pa, Giap­po­ne e altre eco­no­mie capi­ta­li­sti­che avan­za­te. L’ottimismo sul suc­ces­so dell’America regna sovra­no, a quan­to pare, anche tra il gran­de pub­bli­co e non solo nei mer­ca­ti azio­na­ri. L’indice di otti­mi­smo eco­no­mi­co RealClearMarkets/TIPP negli Sta­ti Uni­ti è sali­to ai mas­si­mi dall’agosto 2021, anche se anco­ra al di sot­to degli anni pre‑pandemia.

Ma que­sta sto­ria del boom è fuor­vian­te. Sì, l’economia sta­tu­ni­ten­se sta andan­do meglio di quel­la euro­pea o giap­po­ne­se. Ma sta andan­do meglio sto­ri­ca­men­te? Pren­dia­mo il recen­te arti­co­lo del Finan­cial Times bri­tan­ni­co che elo­gia la per­for­man­ce degli Sta­ti Uni­ti rispet­to all’Europa, inti­to­la­to “Per­ché l’economia ame­ri­ca­na sta cre­scen­do più dei suoi riva­li”. Gli auto­ri scri­vo­no: «Gli Sta­ti Uni­ti stan­no cre­scen­do mol­to più velo­ce­men­te di qual­sia­si altra eco­no­mia avan­za­ta. Il loro Pil si è espan­so dell’11,4% dal­la fine del 2019, e nel­le sue ulti­me pre­vi­sio­ni il Fmi ha pre­vi­sto una cre­sci­ta degli Usa del 2,8% quest’anno». Aggiun­go­no: «Il loro record di cre­sci­ta è radi­ca­to in una più rapi­da cre­sci­ta del­la pro­dut­ti­vi­tà, un moto­re più dura­tu­ro del­la per­for­man­ce eco­no­mi­ca … La pro­dut­ti­vi­tà del lavo­ro degli Sta­ti Uni­ti è cre­sciu­ta del 30% dal­la cri­si finan­zia­ria del 2008‑09, più di tre vol­te il rit­mo dell’Eurozona e del Regno Uni­to. Que­sto diva­rio di pro­dut­ti­vi­tà, visi­bi­le da un decen­nio, sta ridi­se­gnan­do la gerar­chia dell’economia glo­ba­le».
E anco­ra: «La cre­sci­ta del­la pro­dut­ti­vi­tà degli Sta­ti Uni­ti sta rapi­da­men­te supe­ran­do quel­la di qua­si tut­te le eco­no­mie avan­za­te, mol­te del­le qua­li sono intrap­po­la­te in una spi­ra­le di bas­sa cre­sci­ta, inde­bo­li­men­to del teno­re di vita, ten­sio­ni nel­le finan­ze pub­bli­che e com­pro­mis­sio­ne dell’influenza geopolitica».
Il pro­ble­ma di que­sta nar­ra­zio­ne è che è tut­to rela­ti­vo. Si noti il tito­lo dell’articolo: per­ché l’economia ame­ri­ca­na sta cre­scen­do pri­ma dei suoi riva­li. L’economia ame­ri­ca­na sta cre­scen­do, aspet­ta­te … ma solo rispet­to ai suoi riva­li. Sì, rispet­to all’Europa e al resto del­le eco­no­mie capi­ta­li­sti­che avan­za­te (ovvia­men­te non rispet­to alla Cina o all’India), gli Sta­ti Uni­ti stan­no andan­do mol­to meglio. Ma que­sto per­ché l’Europa, il Giap­po­ne e il Cana­da sono in sta­gna­zio­ne o addi­rit­tu­ra in vera e pro­pria reces­sio­ne. In ter­mi­ni sto­ri­ci, l’economia sta­tu­ni­ten­se sta andan­do peg­gio rispet­to agli anni 2010 e anco­ra peg­gio rispet­to agli anni 2000.
Pren­dia­mo la cre­sci­ta del­la pro­dut­ti­vi­tà. Ecco il gra­fi­co del FT che sug­ge­ri­sce l’eccezionalità degli Sta­ti Uniti.

Ma se si osser­va atten­ta­men­te la tra­iet­to­ria del­la linea di cre­sci­ta del­la pro­dut­ti­vi­tà degli Sta­ti Uni­ti, si può nota­re che a par­ti­re dal 2010 cir­ca, la cre­sci­ta del­la pro­dut­ti­vi­tà negli Sta­ti Uni­ti è ral­len­ta­ta. La sua sovra­per­for­man­ce rela­ti­va è inte­ra­men­te dovu­ta al crol­lo del­la cre­sci­ta nel resto del G7. Come si leg­ge nell’articolo del FT: «I dati del Con­fe­ren­ce Board mostra­no che, negli ulti­mi anni, la pro­dut­ti­vi­tà del lavo­ro è sce­sa rispet­to a quel­la degli Sta­ti Uni­ti nel­la mag­gior par­te del­le eco­no­mie avan­za­te». Sì, rispet­to agli Sta­ti Uni­ti, ma anche negli Sta­ti Uni­ti la cre­sci­ta del­la pro­dut­ti­vi­tà del lavo­ro sta ral­len­tan­do, anche se non così tanto.
In effet­ti, se andia­mo a ritro­so nel­la sto­ria del­la cre­sci­ta del­la pro­dut­ti­vi­tà, la vera sto­ria è che le eco­no­mie capi­ta­li­ste stan­no fal­len­do sem­pre più nell’espandere le for­ze pro­dut­ti­ve e nell’aumentare la pro­dut­ti­vi­tà del lavo­ro. Lo si può vede­re dal­la tabel­la sot­to­stan­te. La cre­sci­ta del­la pro­dut­ti­vi­tà degli Sta­ti Uni­ti dal 2006 al 2018 è mol­to miglio­re di quel­la del­le altre prin­ci­pa­li eco­no­mie capi­ta­li­sti­che, ma il tas­so è la metà di quel­lo degli anni Novanta.

Lo stes­so discor­so vale per gli inve­sti­men­ti pro­dut­ti­vi del­le impre­se. Il FT mostra un gra­fi­co in cui la cre­sci­ta degli inve­sti­men­ti del­le impre­se sta­tu­ni­ten­si è supe­rio­re a quel­la del­le altre eco­no­mie. Ma anche in que­sto caso si può nota­re che la tra­iet­to­ria di cre­sci­ta degli inve­sti­men­ti sta­tu­ni­ten­si sta ral­len­tan­do: si con­fron­ti l’attuale tas­so di cre­sci­ta con quel­lo degli anni 2010 e ancor più con quel­lo degli anni 2000. Gli inve­sti­men­ti del­le impre­se sta­tu­ni­ten­si stan­no ral­len­tan­do nel lun­go perio­do, men­tre nel resto del G7 ristagnano.

Pren­dia­mo un altro gra­fi­co che mostra l’andamento sto­ri­co del­la cre­sci­ta eco­no­mi­ca negli Sta­ti Uniti.

La cre­sci­ta media annua del PIL rea­le negli Sta­ti Uni­ti è pas­sa­ta dal 4% del dopo­guer­ra nel­la “età dell’oro”, al 3% un anno pri­ma del­la Gran­de Reces­sio­ne e a meno del 2% nel perio­do suc­ces­si­vo, in quel­la che ho defi­ni­to la Lun­ga Depres­sio­ne. E le attua­li pre­vi­sio­ni di con­sen­so per la cre­sci­ta degli Sta­ti Uni­ti nel 2025 sono di appe­na l’1,9%. Ma sareb­be comun­que la più velo­ce di tut­te le eco­no­mie del G7.
Inol­tre, stia­mo misu­ran­do la cre­sci­ta del PIL rea­le. Negli ulti­mi anni, gran par­te del­la più rapi­da cre­sci­ta negli Sta­ti Uni­ti è sta­ta dovu­ta all’immigrazione che ha incre­men­ta­to la for­za lavo­ro e la pro­du­zio­ne com­ples­si­va. La cre­sci­ta del pro­dot­to pro capi­te è sta­ta mol­to infe­rio­re, anche se comun­que miglio­re rispet­to al resto del G7 dopo la pandemia.

Il gra­fi­co sot­to­stan­te, rela­ti­vo alla cre­sci­ta ten­den­zia­le degli Sta­ti Uni­ti rispet­to all’Europa, illu­stra meglio la situa­zio­ne. I tas­si di cre­sci­ta ten­den­zia­le degli Sta­ti Uni­ti sono dimi­nui­ti nel XXI seco­lo, men­tre quel­li dell’Europa sono crollati.

Inol­tre, la per­for­man­ce rela­ti­va­men­te miglio­re dell’economia capi­ta­li­sta sta­tu­ni­ten­se rispet­to alle altre eco­no­mie avan­za­te non indi­ca se gli ame­ri­ca­ni medi stia­no meglio. Come ammet­te l’articolo del FT: «A dispet­to di tut­ta la loro poten­za eco­no­mi­ca, gli Sta­ti Uni­ti han­no la più gran­de disu­gua­glian­za di red­di­to del G7, insie­me alla più bas­sa aspet­ta­ti­va di vita e ai più alti costi abi­ta­ti­vi, secon­do l’Ocse. La con­cor­ren­za sul mer­ca­to è limi­ta­ta e milio­ni di lavo­ra­to­ri sop­por­ta­no con­di­zio­ni di lavo­ro insta­bi­li». Non è cer­to un mani­fe­sto di reclu­ta­men­to per vive­re negli Sta­ti Uni­ti, anche se agli inve­sti­to­ri del mer­ca­to azio­na­rio que­sto non interessa.

E se par­lia­mo di cre­sci­ta rela­ti­va del red­di­to medio pro capi­te negli Sta­ti Uni­ti, guar­da­te que­sta tabel­la che ho com­pi­la­to dal World Ine­qua­li­ty Data­ba­se. Il red­di­to medio negli Sta­ti Uni­ti vede sem­pre meno pro­gres­si (anche rela­ti­va­men­te), in par­ti­co­la­re nel XXI secolo.

Cio­no­no­stan­te, si sostie­ne che sia in cor­so un boom di pro­dut­ti­vi­tà negli Sta­ti Uni­ti, gra­zie all’introduzione dell’intelligenza arti­fi­cia­le e di altri inve­sti­men­ti tec­no­lo­gi­ci che il resto del mon­do capi­ta­li­sti­co (e la Cina) non pos­so­no egua­glia­re. Come affer­ma Nathan Shee­ts, capo eco­no­mi­sta di Citi­group, nono­stan­te que­sti sfor­zi e la spin­ta del­la Cina a diven­ta­re una super­po­ten­za dell’IA, gli Sta­ti Uni­ti sono il «luo­go in cui l’IA sta pren­den­do pie­de e con­ti­nue­rà ad esser­lo». E ci sono segna­li che indi­ca­no che la cre­sci­ta del­la pro­dut­ti­vi­tà degli Sta­ti Uni­ti potreb­be esse­re in ripre­sa, anche se il gra­fi­co sot­to­stan­te è una stima.

For­se è così, ma gli ingen­ti inve­sti­men­ti nell’IA non han­no anco­ra dato nell’intera eco­no­mia risul­ta­ti con­cre­ti in gra­do di ridur­re signi­fi­ca­ti­va­men­te i posti di lavo­ro e di soste­ne­re un for­te aumen­to del­la pro­dut­ti­vi­tà per lavo­ra­to­re. Potreb­be­ro voler­ci decen­ni.
In effet­ti, ci sono mol­te pro­ve che il boom dell’IA potreb­be esse­re solo una bol­la, un enor­me aumen­to di quel­lo che Marx chia­ma­va capi­ta­le fit­ti­zio, cioè l’investimento in azio­ni di socie­tà lega­te all’IA e in dol­la­ri Usa, che sono mol­to lon­ta­ni dal­la real­tà dei pro­fit­ti rea­liz­za­ti dall’IA e dagli inve­sti­men­ti produttivi.
Anco­ra sul FT, Ruchir Shar­ma, pre­si­den­te di Roc­ke­fel­ler Inter­na­tio­nal ha defi­ni­to il boom del mer­ca­to azio­na­rio sta­tu­ni­ten­se «la madre di tut­te le bol­le». Per­met­te­te­mi di cita­re: «Gli inve­sti­to­ri glo­ba­li stan­no impe­gnan­do più capi­ta­le in un sin­go­lo Pae­se come mai pri­ma nel­la sto­ria moder­na. Il mer­ca­to azio­na­rio sta­tu­ni­ten­se ora gal­leg­gia al di sopra di tut­ti gli altri. I prez­zi rela­ti­vi sono i più alti da quan­do i dati sono ini­zia­ti oltre un seco­lo fa e le valu­ta­zio­ni rela­ti­ve sono ai mas­si­mi da quan­do i dati sono ini­zia­ti mez­zo seco­lo fa. Di con­se­guen­za, gli Sta­ti Uni­ti rap­pre­sen­ta­no qua­si il 70% del prin­ci­pa­le indi­ce azio­na­rio glo­ba­le, rispet­to al 30% degli anni 80. E il dol­la­ro, secon­do alcu­ne misu­re, è scam­bia­to a un valo­re più alto che mai da quan­do il mon­do svi­lup­pa­to ha abban­do­na­to i tas­si di cam­bio fis­si 50 anni fa».
Ma «la sog­ge­zio­ne all’“eccezionalismo ame­ri­ca­no” nei mer­ca­ti si è spin­ta trop­po in là … Par­la­re di bol­le nel set­to­re tec­no­lo­gi­co o dell’intelligenza arti­fi­cia­le, o di stra­te­gie di inve­sti­men­to incen­tra­te sul­la cre­sci­ta e sul­lo slan­cio, oscu­ra la madre di tut­te le bol­le nei mer­ca­ti sta­tu­ni­ten­si. L’America, che domi­na incon­tra­sta­ta lo spa­zio men­ta­le degli inve­sti­to­ri glo­ba­li, è sovra­pa­tri­mo­nia­liz­za­ta, soprav­va­lu­ta­ta ed esa­ge­ra­ta­men­te pub­bli­ciz­za­ta a un livel­lo mai visto pri­ma. Come per tut­te le bol­le, è dif­fi­ci­le sape­re quan­do que­sta si sgon­fie­rà o cosa sca­te­ne­rà il suo declino».
E que­sta bol­la ha un soste­gno mol­to limi­ta­to. Il mer­ca­to azio­na­rio sta­tu­ni­ten­se gui­da i mer­ca­ti mon­dia­li e solo set­te tito­li gui­da­no il mer­ca­to azio­na­rio sta­tu­ni­ten­se: i cosid­det­ti Magni­fi­ci Set­te. Per la stra­gran­de mag­gio­ran­za del­le azien­de sta­tu­ni­ten­si, quel­le al di fuo­ri del fio­ren­te set­to­re ener­ge­ti­co, dei social media e del­la tec­no­lo­gia, le cose non van­no così bene. Il free cash flow per azio­ne dell’S&P 500 non è cre­sciu­to per nien­te in tre anni (si veda la linea ros­sa sot­to). Le pre­vi­sio­ni di cre­sci­ta degli uti­li sono deci­sa­men­te fuo­ri linea rispet­to ai risul­ta­ti ottenuti.

Il rap­por­to tra debi­to e uti­li del­le socie­tà sta­tu­ni­ten­si rima­ne vici­no ai mas­si­mi sto­ri­ci e i costi degli inte­res­si su que­sto debi­to non sono dimi­nui­ti di mol­to da quan­do la Fed sta­tu­ni­ten­se ha deci­so di ini­zia­re a ridur­re il pro­prio tas­so di riferimento.

La dif­fe­ren­za tra il costo medio del debi­to del­le socie­tà più pic­co­le del Rus­sell 2000 e quel­lo del­le gran­di socie­tà dell’S&P 500 è recen­te­men­te più che rad­dop­pia­ta, arri­van­do a cir­ca 300 pun­ti base. Con i tas­si d’interesse a medio e a lun­go ter­mi­ne anco­ra in rial­zo, non è scon­ta­to che il sol­lie­vo arri­vi presto.

I fal­li­men­ti azien­da­li sta­tu­ni­ten­si nel 2024 han­no supe­ra­to i livel­li pan­de­mi­ci del 2020. I fal­li­men­ti stan­no aumen­tan­do come se l’economia sta­tu­ni­ten­se fos­se in difficoltà.

Nel suo recen­te Rap­por­to sul­la sta­bi­li­tà finan­zia­ria, la Fede­ral Reser­ve ha osser­va­to che «le pres­sio­ni sul­le valu­ta­zio­ni sono rima­ste ele­va­te. Il rap­por­to tra i prez­zi del­le azio­ni e gli uti­li si è spo­sta­to ver­so l’estremità supe­rio­re del suo inter­val­lo sto­ri­co, e una sti­ma del pre­mio azio­na­rio – la com­pen­sa­zio­ne per il rischio nei mer­ca­ti azio­na­ri – è rima­sta ben al di sot­to del­la media». L’istituto teme­va che «men­tre i bilan­ci del­le impre­se non finan­zia­rie e del­le fami­glie sono rima­sti soli­di, una bru­sca fles­sio­ne dell’attività eco­no­mi­ca potreb­be depri­me­re gli uti­li del­le impre­se e i red­di­ti del­le fami­glie e ridur­re la capa­ci­tà di ser­vi­zio del debi­to del­le impre­se più pic­co­le e più rischio­se, con ICR già bas­si, e del­le fami­glie par­ti­co­lar­men­te in dif­fi­col­tà finan­zia­ria».
I mer­ca­ti azio­na­ri non sono anco­ra in cri­si. Ma se doves­se arri­va­re un crol­lo, con mol­te azien­de in dif­fi­col­tà e il peso del debi­to in aumen­to, un crol­lo finan­zia­rio potreb­be rim­bal­za­re nel­la “eco­no­mia rea­le”. E ave­re riper­cus­sio­ni a livel­lo globale.
La cre­sci­ta del­la pro­dut­ti­vi­tà nel­le prin­ci­pa­li eco­no­mie ha subi­to un ral­len­ta­men­to gene­ra­le per­ché la cre­sci­ta degli inve­sti­men­ti pro­dut­ti­vi è dimi­nui­ta. E nel­le eco­no­mie capi­ta­li­sti­che, gli inve­sti­men­ti pro­dut­ti­vi sono gui­da­ti dal­la red­di­ti­vi­tà. Il ten­ta­ti­vo neo­li­be­ri­sta di aumen­ta­re la red­di­ti­vi­tà dopo la cri­si di red­di­ti­vi­tà degli anni 70 è riu­sci­to solo in par­te e si è con­clu­so con l’inizio del nuo­vo seco­lo. La sta­gna­zio­ne e la “lun­ga depres­sio­ne” del XXI seco­lo si mani­fe­sta­no con l’aumento del debi­to pub­bli­co e pri­va­to, poi­ché i gover­ni e le impre­se cer­ca­no di supe­ra­re la sta­gna­zio­ne e la bas­sa red­di­ti­vi­tà aumen­tan­do i prestiti.

Que­sto rima­ne il tal­lo­ne d’Achille dell’eccezionalismo sta­tu­ni­ten­se. La sto­ria dell’eccezionalismo sta­tu­ni­ten­se è in real­tà la sto­ria del col­las­so dell’Europa, e que­sta è un’altra storia.


[*] Michael Roberts è un noto eco­no­mi­sta mar­xi­sta bri­tan­ni­co che ha lavo­ra­to per oltre quarant’anni come ana­li­sta finan­zia­rio nel­la City lon­di­ne­se. È auto­re, tra gli altri, dei libri The Great Reces­sion: A Mar­xi­st View (2009), The Long Depres­sion (2016) e Marx 200: a review of Marx’s eco­no­mics (2018).