Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Economia, Politica internazionale: Europa

Germania: la fine dell’egemonia nell’UE?

L’articolo di Michael Roberts che pre­sen­tia­mo tra­dot­to in ita­lia­no è sta­to pub­bli­ca­to sul suo sito poco pri­ma del­le ele­zio­ni in Sas­so­nia e Turin­gia, due Län­der del­la Ger­ma­nia orien­ta­le, ed ha anti­ci­pa­to – sul­la base dei son­dag­gi che da tem­po cir­co­la­va­no – il risul­ta­to finale.
L’analisi di Roberts, però, non si limi­ta a regi­stra­re l’esito del voto, ma si sof­fer­ma sul­le cau­se pro­fon­de che l’hanno deter­mi­na­to, in par­ti­co­la­re pren­den­do in esa­me la pro­fon­da cri­si eco­no­mi­ca che l’intera Repub­bli­ca fede­ra­le di Ger­ma­nia sta viven­do. Basti pen­sa­re che nel mese di luglio è sta­to regi­stra­to un vero e pro­prio crol­lo del­la pro­du­zio­ne indu­stria­le (-2,4% su base men­si­le e ‑5,3% tendenziale).
Sul tema del­la cri­si eco­no­mi­ca tede­sca abbia­mo tem­po addie­tro pub­bli­ca­to un docu­men­ta­tis­si­mo testo, che può esse­re in qual­che modo con­si­de­ra­to un pro­lo­go rispet­to a quel­lo pre­sen­ta­to oggi: per­tan­to, ne rac­co­man­dia­mo la let­tu­ra pre­li­mi­na­re per meglio inqua­dra­re l’articolo di Michael Roberts.
Buo­na lettura.
La redazione

Germania: la fine dell’egemonia nell’UE?


Michael Roberts [*]

 

Oggi si svol­go­no le ele­zio­ni in due gran­di Län­der del­la Ger­ma­nia orien­ta­le Tut­ti i son­dag­gi di opi­nio­ne mostra­no che i par­ti­ti euro­scet­ti­ci, anti-immi­gra­zio­ne e filo-rus­si, sia di estre­ma destra che di nuo­va sini­stra, sono in van­tag­gio. I par­ti­ti dell’attuale coa­li­zio­ne fede­ra­le dei social­de­mo­cra­ti­ci, dei ver­di e dei cosid­det­ti libe­ra­li ven­go­no deci­ma­ti fino all’inesistenza in que­sti Sta­ti dell’ex Ger­ma­nia dell’Est. I tre Sta­ti orien­ta­li, mes­si insie­me, ospi­ta­no cir­ca 8,5 milio­ni di per­so­ne, pari al 10% del­la popo­la­zio­ne tede­sca. Ma non è solo in que­sti Sta­ti che il “cen­tro” del­la poli­ti­ca tede­sca sta crol­lan­do. I tre par­ti­ti del­la coa­li­zio­ne di gover­no del Can­cel­lie­re Scholz han­no visto la loro quo­ta di voti com­ples­si­va scen­de­re da oltre il 50% alla fine del 2021, a meno di un ter­zo oggi.
In que­ste ele­zio­ni nei Lan­der, il par­ti­to di destra isla­mo­fo­bo Alter­na­ti­va per la Ger­ma­nia (AfD) dovreb­be supe­ra­re il 30% in Turin­gia e in Sas­so­nia, con la pro­spet­ti­va di con­qui­sta­re il pote­re nel­la pri­ma. Bjorn Höc­ke, già con­dan­na­to due vol­te per aver usa­to slo­gan nazi­sti vie­ta­ti, è il lea­der dell’AfD in Turin­gia. Ma anche un nuo­vo par­ti­to di sini­stra, con il nome del­la sua lea­der, Allean­za Sah­ra Wagen­k­ne­cht (BSW), dovreb­be otte­ne­re fino al 15‑20% dei voti.
La Ger­ma­nia sta affron­tan­do un’impennata dell’immigrazione, visto che il nume­ro di richie­ste di asi­lo ha rag­giun­to quo­ta 334.000 nel 2023. Secon­do un recen­te son­dag­gio, il 56% dei tede­schi ha dichia­ra­to di teme­re di esse­re sopraf­fat­to dall’immigrazione. Sem­bre­reb­be quin­di che l’immigrazione e il raz­zi­smo sia­no i moto­ri dell’ascesa dell’estrema destra AfD. Ma l’ironia è che il voto dell’AfD è miglio­ra­to soprat­tut­to nel­le aree del­la Ger­ma­nia orien­ta­le in cui l’immigrazione era rela­ti­va­men­te bas­sa: è la pau­ra, piut­to­sto che la real­tà, a gui­da­re tali pre­giu­di­zi e reazioni.
Dopo tut­to, i tede­schi sono abi­tua­ti agli immi­gra­ti. La Ger­ma­nia è la secon­da desti­na­zio­ne migra­to­ria più popo­la­re al mon­do, dopo gli Sta­ti Uni­ti. Più di un tede­sco su cin­que ha alme­no in par­te radi­ci fuo­ri dal Pae­se, ovve­ro cir­ca 18,6 milio­ni. Ma la que­stio­ne dell’immigrazione è diven­ta­ta un pro­ble­ma enor­me in Ger­ma­nia a cau­sa del disa­stro in Medio Orien­te e in Ucrai­na, che ha por­ta­to a un mas­sic­cio e rapi­do afflus­so di rifu­gia­ti, cir­ca 2 milio­ni negli ulti­mi due anni. La mag­gior par­te di que­sti rifu­gia­ti è sta­ta col­lo­ca­ta nel­le zone più pove­re del­la Ger­ma­nia orien­ta­le, già sot­to la pres­sio­ne di allog­gi, istru­zio­ne e ser­vi­zi socia­li più scadenti.
L’altra iro­nia è che la copre­si­den­te dell’AfD, Ali­ce Wei­del, non è una pove­ra popu­li­sta pro­ve­nien­te dal bas­so, ma al con­tra­rio è un’ex eco­no­mi­sta di Gold­man Sachs e con­su­len­te finan­zia­rio: un po’ come il lea­der “popu­li­sta” del Reform Par­ty del Regno Uni­to, Nigel Fara­ge, che è un agen­te di bor­sa. Que­sti rap­pre­sen­tan­ti del capi­ta­le non han­no alcun lega­me con i loro elet­to­ri, ma cer­ca­no di sali­re al pote­re gra­zie a pre­giu­di­zi e men­zo­gne. Il feno­me­no dei par­ti­ti nazio­na­li­sti “popu­li­sti” di destra non è limi­ta­to alla Ger­ma­nia. In Fran­cia c’è il Ras­sem­ble­ment Natio­nal, nel Regno Uni­to il Reform Par­ty e in Ita­lia abbia­mo Fra­tel­li d’Italia al pote­re. In effet­ti, in qua­si tut­ti gli Sta­ti dell’UE, ci sono par­ti­ti del­la rea­zio­ne che rac­col­go­no cir­ca il 10‑15% dei voti, come han­no con­fer­ma­to le recen­ti ele­zio­ni dell’Assemblea dell’UE.
A mio avvi­so, tut­to que­sto è il pro­dot­to del­la lun­ga depres­sio­ne nel­le prin­ci­pa­li eco­no­mie capi­ta­li­sti­che dopo la fine del­la Gran­de Reces­sio­ne del 2008–9, che ha col­pi­to le fasce più pove­re e meno orga­niz­za­te del­la clas­se ope­ra­ia, insie­me alle pic­co­le impre­se e ai lavo­ra­to­ri auto­no­mi. Que­sti ulti­mi si sono rivol­ti al “nazio­na­li­smo” per tro­va­re una rispo­sta, pen­san­do che le cau­se del­la loro rovi­na sia­no il pro­dot­to dell’immigrazione, degli aiu­ti agli altri Pae­si dell’UE e del­le gran­di impre­se, in quest’ordine.
La situa­zio­ne è peg­gio­ra­ta soprat­tut­to in Ger­ma­nia a cau­sa degli effet­ti del crol­lo del­la pan­de­mia e del­la guer­ra in Ucrai­na. La gran­de poten­za mani­fat­tu­rie­ra d’Europa, la Ger­ma­nia, si è fer­ma­ta dopo la pan­de­mia. E con essa sono crol­la­ti i voti per i par­ti­ti tradizionali.
Il crol­lo dell’economia tede­sca ha mes­so in luce la que­stio­ne di fon­do di un mer­ca­to del “lavo­ro dua­le” con un inte­ro stra­to di lavo­ra­to­ri tem­po­ra­nei part-time per le impre­se tede­sche con sala­ri mol­to bas­si. Cir­ca un quar­to del­la for­za lavo­ro tede­sca per­ce­pi­sce oggi un sala­rio “a bas­so red­di­to”, secon­do la defi­ni­zio­ne comu­ne di un sala­rio infe­rio­re ai due ter­zi del­la media­na, una per­cen­tua­le supe­rio­re a quel­la di tut­ti i 17 Pae­si euro­pei, ad ecce­zio­ne del­la Litua­nia. Que­sta mano­do­pe­ra a bas­so costo, con­cen­tra­ta nel­la par­te orien­ta­le del­la Ger­ma­nia, è in diret­ta con­cor­ren­za con l’enorme nume­ro di rifu­gia­ti arri­va­ti negli ulti­mi due anni. Mol­ti elet­to­ri del­la Ger­ma­nia orien­ta­le pen­sa­no che il pro­ble­ma sia dovu­to all’immigrazione.
Ma sot­to que­sto aspet­to c’è il dete­rio­ra­men­to dell’economia tede­sca, che col­pi­sce in par­ti­co­la­re la par­te orien­ta­le. La Ger­ma­nia è lo Sta­to più popo­lo­so dell’UE ed il suo moto­re eco­no­mi­co, con oltre il 20% del PIL del bloc­co. Il set­to­re mani­fat­tu­rie­ro rap­pre­sen­ta anco­ra il 23% dell’economia tede­sca, rispet­to al 12% degli Sta­ti Uni­ti e al 10% del Regno Uni­to. L’industria mani­fat­tu­rie­ra impie­ga il 19% del­la for­za lavo­ro tede­sca, con­tro il 10% degli Sta­ti Uni­ti e il 9% del Regno Unito.

Ma la più gran­de eco­no­mia euro­pea è in reces­sio­ne. Il PIL rea­le nel secon­do tri­me­stre del 2024 è dimi­nui­to del­lo 0,1% rispet­to al pri­mo tri­me­stre del 2024 e del­lo stes­so impor­to rispet­to al secon­do tri­me­stre del 2023. In effet­ti, il PIL rea­le tede­sco non ha regi­stra­to alcu­na cre­sci­ta per cin­que tri­me­stri con­se­cu­ti­vi e negli ulti­mi quat­tro anni ha subi­to una vera e pro­pria stagnazione.

Il gover­no tede­sco ha segui­to pedis­se­qua­men­te le poli­ti­che dell’alleanza occi­den­ta­le del­la NATO e ha posto fine alla sua dipen­den­za dall’energia a bas­so costo pro­ve­nien­te dal­la Rus­sia: anzi, ha per­si­no accon­sen­ti­to all’esplosione del vita­le gasdot­to Nord­stream. I costi dell’energia sono sali­ti alle stel­le per le fami­glie tedesche.

In effet­ti, i sala­ri rea­li in Ger­ma­nia sono anco­ra al di sot­to dei livel­li pre-pan­de­mi­ci, come in mol­ti pae­si dell’UE.

Ma anco­ra più impor­tan­te per il capi­ta­le tede­sco è l’aumento dei costi ener­ge­ti­ci per i pro­dut­to­ri. La Came­ra di Com­mer­cio e dell’Industria tede­sca (DIHK) com­men­ta: «I prez­zi ele­va­ti dell’energia inci­do­no anche sul­le atti­vi­tà di inve­sti­men­to del­le azien­de e quin­di sul­la loro capa­ci­tà di inno­va­re. Più di un ter­zo del­le azien­de indu­stria­li dichia­ra di poter inve­sti­re meno nei pro­ces­si ope­ra­ti­vi fon­da­men­ta­li a cau­sa dei prez­zi ele­va­ti dell’energia. Un quar­to dichia­ra di poter­si impe­gna­re nel­la pro­te­zio­ne del cli­ma uti­liz­zan­do però meno risor­se, e un quin­to del­le azien­de indu­stria­li deve riman­da­re gli inve­sti­men­ti in ricer­ca e inno­va­zio­ne». «Oltre alla pre­vi­sta delo­ca­liz­za­zio­ne del­la pro­du­zio­ne, que­sto rap­pre­sen­ta un’altra gra­ve minac­cia per la Ger­ma­nia come sede indu­stria­le», avver­te Achim Dercks (DIHK). «Se le azien­de stes­se non inve­sto­no più nei loro pro­ces­si fon­da­men­ta­li, ciò equi­va­le a un gra­dua­le smantellamento».
L’estate scor­sa, il FMI ha cal­co­la­to che l’aumento dei costi avreb­be ridot­to la cre­sci­ta eco­no­mi­ca poten­zia­le del­la Ger­ma­nia fino all’1,25% all’anno, «a seconda
dell’entità fina­le del­lo shock dei prez­zi dell’energia e del gra­do in cui l’aumento dell’efficienza ener­ge­ti­ca può mitigarlo».
Negli ulti­mi tre anni, l’attività mani­fat­tu­rie­ra è crollata.

Inol­tre, la ripre­sa del­la red­di­ti­vi­tà per il capi­ta­le tede­sco dall’inizio dell’euro, la delo­ca­liz­za­zio­ne del­la capa­ci­tà indu­stria­le nel­la par­te orien­ta­le dell’UE e i bas­si sala­ri per gran par­te del­la for­za lavo­ro sono fini­ti. La red­di­ti­vi­tà del capi­ta­le tede­sco ha ini­zia­to a cala­re duran­te la Gran­de Reces­sio­ne e la Lun­ga Depres­sio­ne degli anni 2010. Ma il calo mag­gio­re si è veri­fi­ca­to duran­te la pan­de­mia e la red­di­ti­vi­tà è ora ai mini­mi storici.

Sour­ce: EWPT 7.0 series and AMECO database

Peg­gio anco­ra, anche la mas­sa dei pro­fit­ti ha ini­zia­to a dimi­nui­re, poi­ché i cre­scen­ti costi di pro­du­zio­ne (ener­gia, tra­spor­ti, com­po­nen­ti) intac­ca­no i rica­vi. E quan­do i pro­fit­ti tota­li dimi­nui­sco­no, si veri­fi­ca un crol­lo degli inve­sti­men­ti e una recessione.

La for­ma­zio­ne lor­da di capi­ta­le (un indi­ca­to­re degli inve­sti­men­ti) è in contrazione.

Que­sto mi por­ta alle argo­men­ta­zio­ni avan­za­te dagli eco­no­mi­sti key­ne­sia­ni, secon­do cui il decli­no del­la Ger­ma­nia è dovu­to alla man­can­za di doman­da dei con­su­ma­to­ri e alla “ sovra­ca­pa­ci­tà” pro­dut­ti­va. Si sostie­ne che l’ampio sur­plus com­mer­cia­le del­la Ger­ma­nia (espor­ta­zio­ni più impor­ta­zio­ni) dimo­stra uno “squi­li­brio” nell’economia che dovreb­be esse­re cor­ret­to aumen­tan­do i consumi.
Ma è un’assurdità. Se osser­via­mo le com­po­nen­ti del PIL rea­le tede­sco dall’inizio del crol­lo pan­de­mi­co nel 2020, pos­sia­mo vede­re che il crol­lo del­la Ger­ma­nia non è sta­to il risul­ta­to di un crol­lo dei con­su­mi (in cre­sci­ta dell’1%), ma degli inve­sti­men­ti. Il calo del­la red­di­ti­vi­tà e dei pro­fit­ti ha por­ta­to a un calo degli inve­sti­men­ti (-7%).

Inol­tre, la Ger­ma­nia non sta “inon­dan­do” il mon­do con le sue espor­ta­zio­ni. Il sur­plus com­mer­cia­le con il resto del mon­do è pra­ti­ca­men­te inva­ria­to a 20 miliar­di di euro all’anno come negli anni 2010.

Le espor­ta­zio­ni di beni sono più o meno sta­bi­li; sono le impor­ta­zio­ni ad esse­re dimi­nui­te dopo la pan­de­mia, in quan­to i pro­dut­to­ri tede­schi han­no ridot­to la pro­du­zio­ne e l’uso di mate­rie pri­me e componenti.

Duran­te la pan­de­mia, la spe­sa pub­bli­ca è aumen­ta­ta bru­sca­men­te per cer­ca­re di atte­nua­re l’impatto del­la per­di­ta di posti di lavo­ro e di sala­ri. Ma una vol­ta ter­mi­na­ta, il gover­no di coa­li­zio­ne ha appli­ca­to misu­re di auste­ri­tà fisca­le, pre­su­mi­bil­men­te per rima­ne­re in linea con le diret­ti­ve del­la Com­mis­sio­ne euro­pea e con la Costi­tu­zio­ne tede­sca che sta­bi­li­sce che lo Sta­to “può spen­de­re solo quan­to guadagna”.
Il gover­no ha con­ge­la­to i pia­ni di finan­zia­men­to per il cli­ma e la moder­niz­za­zio­ne e ha col­ma­to un “buco” di 17 miliar­di di euro nel suo bilan­cio con misu­re di auste­ri­tà. Tra que­ste, l’abolizione del sus­si­dio per il gaso­lio dei vei­co­li agri­co­li, che ha sca­te­na­to le pro­te­ste degli agri­col­to­ri. I trat­to­ri han­no pre­so d’assalto le cit­tà e bloc­ca­to diver­si svin­co­li del­le auto­stra­de. I disa­gi per milio­ni di pen­do­la­ri sono sta­ti aggra­va­ti da uno scio­pe­ro dei mac­chi­ni­sti del siste­ma fer­ro­via­rio pri­va­tiz­za­to in disfacimento.
Come se non bastas­se, il mini­stro del­le Finan­ze Chri­stian Lind­ner, lea­der del pic­co­lo par­ti­to neo­li­be­ri­sta “del libe­ro mer­ca­to” FDP, insi­ste nel taglia­re la spe­sa socia­le (col­pen­do in par­ti­co­la­re i cit­ta­di­ni del­la Ger­ma­nia orien­ta­le). Lind­ner vuo­le taglia­re la spe­sa pub­bli­ca fino a 50 miliar­di di euro!
Tut­to que­sto dimo­stra che anche il capi­ta­li­smo tede­sco, l’economia capi­ta­li­sti­ca avan­za­ta di mag­gior suc­ces­so in Euro­pa, non può sfug­gi­re alle for­ze divi­si­ve del­la Lun­ga Depres­sio­ne. Ma dimo­stra anche che l’asservimento del gover­no di coa­li­zio­ne tede­sco agli inte­res­si dell’imperialismo sta­tu­ni­ten­se in nome del­la “demo­cra­zia occi­den­ta­le” sull’Ucraina e su Israe­le sta distrug­gen­do l’egemonia del capi­ta­le tede­sco e gli stan­dard di vita dei suoi cit­ta­di­ni più pove­ri. Non c’è da stu­pir­si che le voci del nazio­na­li­smo e del­la rea­zio­ne stia­no gua­da­gnan­do terreno.


[*] Michael Roberts è un noto eco­no­mi­sta mar­xi­sta bri­tan­ni­co che ha lavo­ra­to per oltre quarant’anni come ana­li­sta finan­zia­rio nel­la City lon­di­ne­se. È auto­re, tra gli altri, dei libri The Great Reces­sion: A Mar­xi­st View (2009), The Long Depres­sion (2016) e Marx 200: a review of Marx’s eco­no­mics (2018).

 

(Tra­du­zio­ne dal­l’in­gle­se di Erne­sto Russo)