Seymour Hersh è un notissimo giornalista d’inchiesta statunitense, divenuto famoso per aver denunciato il “Massacro di Mỹ Lai” durante la Guerra del Vietnam ad opera delle truppe nordamericane contro civili vietnamiti disarmati. Per questo suo lavoro, Hersh vinse nel 1970 il Premio Pulitzer. In seguito, ha scritto per il New York Times sul caso Watergate, sui bombardamenti segreti degli Usa in Cambogia e sullo spionaggio ad opera della Cia ai danni di cittadini statunitensi. È stato inoltre autore dell’inchiesta che ha rivelato gli abusi e le torture nel carcere di Abu Ghraib, durante la guerra in Iraq, nonché del rapporto contenente rivelazioni che sconfessavano la ricostruzione degli Stati Uniti a proposito dell’uccisione di Osama bin Laden.
È evidente, dunque, che si tratta di un giornalista “scomodo”, abituato a lavorare utilizzando fonti coperte legate al governo e che, proprio per questo, restano anonime.
L’articolo che vi presentiamo di seguito, tradotto in italiano, è stato scritto da Hersh proprio utilizzando una di queste fonti, partecipe dell’intero processo decisionale ed esecutivo che ha portato alla distruzione del gasdotto russo Nord Stream: un’azione che gli Stati Uniti avevano tutto l’interesse a compiere, nel quadro non solo e non tanto della loro guerra per procura contro la Russia approfittando del conflitto in Ucraina, ma soprattutto della loro guerra contro la Germania e l’Unione europea per le ragioni che abbiamo esaminato in quest’articolo.
Naturalmente, è stato facile per la Casa Bianca e la Cia smentire il giornalista semplicemente affermando che la sua ricostruzione non è vera. Così come riesce facile alla stampa embedded (in particolare, la stragrande maggioranza di quella italiana, sempre prona agli interessi degli imperialismi occidentali, di cui pubblica a man bassa le veline), negare l’attendibilità di Hersh, visto che egli non può – per comprensibili ragioni – rivelare l’identità della sua fonte. E invece, la stampa e le televisioni straniere (perfino, paradossalmente, quelle degli Stati implicati nel conflitto in Ucraina) fanno a gara per invitare Seymour Hersh a discutere e commentare il suo articolo. Tuttavia, mentre le scarne e volutamente superficiali indagini aperte e immediatamente chiuse dalle autorità giudiziarie dei Paesi coinvolti hanno comunque accertato che l’esplosione del gasdotto è stata causata da un atto terroristico, sono emersi altri elementi a supporto di quanto sostenuto da Hersh grazie a un altro giornalista statunitense, John Dugan, che ha ricevuto fotografie e documenti che svelano il coinvolgimento degli Usa nell’attentato.
Siamo consapevoli che la verità su questa vicenda non verrà mai alla luce, o sarà conosciuta quando non sarà più in grado di minare gli equilibri che si reggono sulla menzogna, come appunto è già accaduto negli altri casi di cui ebbe a scrivere Seymour Hersh. Intanto, però, vi suggeriamo la lettura di questo suo articolo sul caso dell’attentato al gasdotto Nord Stream.
La redazione
Come gli Stati Uniti hanno distrutto il gasdotto Nord Stream
Il New York Times l’ha definita un “mistero”, ma gli Stati Uniti hanno eseguito un’operazione marittima segreta. Fino ad oggi.
Seymour Hersh
Il Diving and Salvage Center della Marina degli Stati Uniti si trova in un luogo oscuro come il suo nome, in quello che una volta era un viottolo di campagna nella zona rurale di Panama City, una città di villeggiatura ora in piena espansione nel lembo sud-occidentale della Florida, 70 miglia a sud del confine con l’Alabama. Il complesso del centro non è appariscente come il luogo in cui si trova: una scialba struttura in cemento del secondo dopoguerra che ha l’aspetto di una scuola superiore professionale della zona ovest di Chicago. Una lavanderia a gettoni e una scuola di danza si trovano dall’altra parte di quella che ora è una strada a quattro corsie.
Per decenni il centro ha addestrato sommozzatori di profondità altamente qualificati che, una volta assegnati alle unità militari americane in tutto il mondo, sono in grado di effettuare immersioni tecniche per fare sia cose buone – l’uso di esplosivi C4 per liberare porti e spiagge da detriti e ordigni inesplosi – sia cose cattive, come far saltare in aria piattaforme petrolifere straniere, sporcare le valvole di aspirazione delle centrali elettriche sottomarine, distruggere le chiuse di canali di navigazione nevralgici. Il centro di Panama City, che vanta la seconda piscina coperta più grande d’America, era il luogo perfetto per reclutare i migliori, e più discreti, diplomati della scuola di immersione che l’estate scorsa hanno fatto con successo ciò che erano stati autorizzati a fare a 260 piedi sotto la superficie del Mar Baltico.
Lo scorso giugno, i sommozzatori della Marina, operando sotto la copertura di un’esercitazione NATO di metà estate ampiamente pubblicizzata, nota come BALTOPS 22, hanno piazzato gli esplosivi che, tre mesi dopo, innescati a distanza, hanno distrutto tre delle quattro linee dei gasdotti di Nord Stream, secondo una fonte direttamente a conoscenza della pianificazione operativa.
Due dei gasdotti, noti collettivamente come Nord Stream 1, hanno fornito alla Germania e a gran parte dell’Europa occidentale gas naturale russo a basso costo per oltre un decennio. Una seconda coppia di gasdotti, chiamata Nord Stream 2, era stata costruita ma non era ancora operativa. Nel momento in cui le truppe russe si ammassavano al confine con l’Ucraina e si profilava la più sanguinosa guerra in Europa dal 1945, il presidente Joseph Biden vedeva nei gasdotti un veicolo per Vladimir Putin per utilizzare il gas naturale come arma per le sue mire politiche e territoriali.
Alla richiesta di un commento, Adrienne Watson, portavoce della Casa Bianca, ha risposto con una e‑mail: «Quest’affermazione è falsa e completamente inventata». Tammy Thorp, portavoce della Central Intelligence Agency, ha scritto allo stesso modo: «Quest’affermazione è completamente e totalmente falsa».
La decisione di Biden di sabotare i gasdotti è arrivata dopo più di nove mesi di discussioni segretissime all’interno della commissione per la sicurezza nazionale di Washington su come raggiungere al meglio l’obiettivo. Per gran parte di quel periodo, il problema non era se compiere o meno la missione, ma come portarla a termine senza che ci fossero prove evidenti su chi fosse il responsabile.
C’era una ragione burocratica imprescindibile per affidarsi ai diplomati della scuola di immersione del centro a Panama City. I sommozzatori facevano parte solo della Marina e non membri del Comando statunitense per le operazioni speciali, le cui missioni segrete devono essere riferite al Congresso e comunicate in anticipo alla leadership del Senato e della Camera, la cosiddetta Gang of Eight [Banda degli Otto: NdT]. L’Amministrazione Biden stava facendo tutto il possibile per evitare fughe di notizie mentre la pianificazione si svolgeva tra la fine del 2021 e i primi mesi del 2022.
Il Presidente Biden e la sua squadra di politica estera – il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan, il Segretario di Stato Tony Blinken e Victoria Nuland, il Sottosegretario di Stato per gli Affari Politici – avevano manifestato in modo esplicito e deciso la loro ostilità verso i due gasdotti, che si snodavano uno accanto all’altro per 750 miglia sotto il Mar Baltico, partendo da due porti diversi nel nord‑est della Russia, vicino al confine con l’Estonia, passando nei pressi all’isola danese di Bornholm prima di giungere nel nord della Germania.
Il percorso diretto, che evitava qualsiasi transito in Ucraina, era stato una manna per l’economia tedesca, che poteva così godere di un’abbondanza di gas naturale russo a basso costo, sufficiente per far funzionare le fabbriche e riscaldare le case, consentendo ai distributori tedeschi di vendere il gas in eccesso, ottenendone un profitto, in tutta l’Europa occidentale. Un’azione che avesse potuto essere ricondotta all’amministrazione avrebbe violato le promesse degli Stati Uniti di ridurre al minimo il conflitto diretto con la Russia. La segretezza era essenziale.
Fin dall’inizio, Nord Stream 1 era stato visto da Washington e dai suoi partner anti‑russi della NATO come una minaccia al dominio occidentale. La holding che ne è alla base, la Nord Stream AG, era stata costituita in Svizzera nel 2005 in partnership con Gazprom, una società russa quotata in borsa che produce enormi profitti per gli azionisti ed è dominata da oligarchi noti per essere al soldo di Putin. Gazprom controllava il 51% della società, mentre quattro aziende energetiche europee, una francese, una olandese e due tedesche, condividevano il restante 49% delle azioni e avevano il diritto di controllare le vendite a valle del gas naturale a basso costo ai distributori locali in Germania e in Europa occidentale. I profitti di Gazprom erano condivisi con il governo russo e, secondo le stime, nel corso di alcuni anni le entrate statali di gas e petrolio ammontavano al 45% del bilancio annuale della Russia.
I timori politici dell’America erano reali: Putin avrebbe così avuto un’ulteriore e preziosa fonte di reddito, e la Germania e il resto dell’Europa occidentale sarebbero diventati dipendenti dal gas naturale a basso costo fornito dalla Russia, diminuendo nel contempo la dipendenza europea dall’America. In realtà, questo è esattamente ciò che è accaduto. Molti tedeschi hanno visto il Nord Stream 1 come parte della realizzazione della famosa teoria della Ostpolitik dell’ex cancelliere Willy Brandt, che avrebbe permesso alla Germania del dopoguerra di risollevare se stessa e le altre nazioni europee distrutte dalla Seconda Guerra Mondiale utilizzando, tra le altre iniziative, il gas russo a basso costo per alimentare un mercato e un’economia commerciale prospera in Europa occidentale.
Il Nord Stream 1 era già abbastanza pericoloso, secondo la NATO e Washington, ma il Nord Stream 2, la cui costruzione era stata completata nel settembre del 2021, avrebbe raddoppiato, se approvato dalle autorità di regolamentazione tedesche, la quantità di gas a basso costo disponibile per la Germania e l’Europa occidentale. Il secondo gasdotto avrebbe inoltre fornito gas sufficiente per oltre il 50% del consumo annuale della Germania. Le tensioni tra la Russia e la NATO, sostenute dalla politica estera aggressiva dell’amministrazione Biden, erano in costante aumento.
L’opposizione al Nord Stream 2 è esplosa alla vigilia dell’insediamento di Biden, nel gennaio 2021, quando i repubblicani del Senato, guidati da Ted Cruz del Texas, sollevarono ripetutamente la minaccia politica del gas naturale russo a basso costo durante l’udienza di conferma di Blinken come Segretario di Stato. In quel momento, il Senato approvò in maniera compatta un provvedimento di legge che, come disse Cruz a Blinken, «ha bloccato [il gasdotto] sul nascere». Il governo tedesco, allora guidato da Angela Merkel, esercitò enormi pressioni politiche ed economiche per mettere in funzione il secondo gasdotto.
Biden si sarebbe opposto ai tedeschi? Blinken rispose di sì, ma aggiunse di non aver discusso i dettagli delle opinioni del Presidente entrante. «So che è fermamente convinto che questa del Nord Stream 2 sia una cattiva idea», disse. «So che vorrebbe che usassimo tutti gli strumenti di persuasione che abbiamo per convincere i nostri amici e partner, compresa la Germania, a non andare avanti».
Pochi mesi dopo, mentre la costruzione del secondo gasdotto si avvicinava al completamento, Biden si tirò indietro. Nel maggio dello stesso anno, con un sorprendente dietrofront, l’amministrazione rinunciò alle sanzioni contro Nord Stream AG, mentre un funzionario del Dipartimento di Stato ammise che cercare di fermare il gasdotto attraverso le sanzioni e la diplomazia era «sempre stato un azzardo». Dietro le quinte, funzionari dell’amministrazione esortarono il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ormai alle prese con la minaccia di invasione russa, a non criticare la mossa.
Le conseguenze furono immediate. I repubblicani del Senato, guidati da Cruz, annunciarono un blocco immediato di tutte le nomine di Biden in politica estera e ritardarono l’approvazione della legge annuale sulla difesa per mesi, fino all’autunno. In seguito Politico ha descritto il voltafaccia di Biden sul secondo gasdotto russo come «l’unica decisione, probabilmente più del caotico ritiro militare dall’Afghanistan, che ha messo a rischio l’agenda di Biden».
L’amministrazione era in difficoltà, nonostante avesse ottenuto una tregua sulla crisi a metà novembre, quando i responsabili dell’energia in Germania sospesero l’approvazione del secondo gasdotto Nord Stream. I prezzi del gas naturale aumentarono dell’8% in pochi giorni, tra i crescenti timori in Germania e in Europa che la sospensione del gasdotto e la crescente possibilità di una guerra tra Russia e Ucraina avrebbero portato a un inverno freddo molto indesiderato. A Washington non era chiaro quale fosse la posizione di Olaf Scholz, il cancelliere tedesco appena nominato. Mesi prima, dopo la caduta dell’Afghanistan, in un discorso tenuto a Praga Scholz aveva pubblicamente appoggiato l’appello del presidente francese Emmanuel Macron per una politica estera europea più autonoma, suggerendo chiaramente una minore dipendenza da Washington e dalle sue azioni mutevoli.
In tutto questo, le truppe russe si stavano costantemente e minacciosamente radunando ai confini dell’Ucraina e alla fine di dicembre più di 100.000 soldati erano in grado di colpire dalla Bielorussia e dalla Crimea. A Washington cresceva l’allarme, compresa una valutazione di Blinken secondo cui il numero di truppe avrebbe potuto essere «raddoppiato in breve tempo».
L’attenzione dell’amministrazione si concentrava ancora una volta su Nord Stream. Finché l’Europa fosse rimasta dipendente dal gasdotto per ottenere gas naturale a basso costo, Washington temeva che Paesi come la Germania sarebbero stati riluttanti a fornire all’Ucraina il denaro e le armi necessarie per sconfiggere la Russia.
Fu in questo momento di incertezza che Biden autorizzò Jake Sullivan a riunire un gruppo inter‑agenzie per elaborare un piano.
Tutte le opzioni dovevano essere messe sul tavolo. Ma solo una sarebbe emersa.
Pianificazione
Nel dicembre del 2021, due mesi prima che i primi carri armati russi entrassero in Ucraina, Jake Sullivan convocò una riunione di una task force appena costituita – uomini e donne dello Stato Maggiore, della CIA, dei Dipartimenti di Stato e del Tesoro – e chiese di formulare suggerimenti su come rispondere all’imminente invasione di Putin.
Sarebbe stata la prima di una serie di riunioni top‑secret, in una stanza sicura all’ultimo piano dell’Old Executive Office Building, adiacente alla Casa Bianca, che era anche la sede del President’s Foreign Intelligence Advisory Board (PFIAB). Ci furono i soliti botta e risposta che alla fine portarono a una domanda preliminare cruciale: la raccomandazione trasmessa dal gruppo al Presidente sarebbe stata reversibile – come un altro pacchetto di sanzioni e restrizioni valutarie – o irreversibile – cioè azioni cinetiche, che non avrebbero potuto essere annullate?
Secondo la fonte a conoscenza diretta del processo, ciò che apparve chiaro ai partecipanti fu che Sullivan intendeva che il gruppo elaborasse un piano per la distruzione dei due gasdotti Nord Stream e che stava realizzando i desideri del Presidente.
Nel corso delle successive riunioni, i partecipanti discussero le opzioni per un attacco. La Marina propose di utilizzare un sottomarino appena commissionato per attaccare direttamente il gasdotto. L’Aeronautica discuteva di sganciare bombe con spolette ritardate che potessero essere innescate a distanza. La CIA sosteneva che qualsiasi azione si fosse realizzata, avrebbe dovuto essere segreta. Tutti i partecipanti capirono la posta in gioco. «Non è roba da bambini», ha riferito la fonte. Se l’attacco fosse stato riconducibile agli Stati Uniti, «sarebbe stato un atto di guerra».
All’epoca, la CIA era diretta da William Burns, un mite ex ambasciatore in Russia che era stato vice segretario di Stato nell’amministrazione Obama. Burns autorizzò subito un gruppo di lavoro dell’Agenzia tra i cui membri c’era, guarda caso, chi conosceva le capacità dei sommozzatori della Marina a Panama City. Nelle settimane successive, i membri del gruppo di lavoro della CIA iniziarono a elaborare un piano per un’operazione segreta che avrebbe utilizzato i sommozzatori per innescare un’esplosione lungo il gasdotto.
Qualcosa di simile era già stato fatto in passato. Nel 1971, la comunità dei servizi segreti americani aveva appreso da fonti ancora non rivelate che due importanti unità della Marina russa comunicavano attraverso un cavo sottomarino interrato nel Mare di Okhotsk, sulla costa dell’Estremo Oriente russo. Il cavo collegava un comando regionale della Marina al quartier generale continentale di Vladivostok.
Un gruppo scelto di agenti della Central Intelligence Agency e della National Security Agency fu riunito da qualche parte nell’area di Washington, sotto copertura, ed elaborò un piano, utilizzando sommozzatori della Marina, sottomarini modificati e un veicolo di salvataggio sottomarino, che riuscì, dopo molti tentativi ed errori, a localizzare il cavo russo. I sommozzatori piazzarono sul cavo un sofisticato dispositivo di ascolto che intercettò con successo il traffico russo e lo registrò su un sistema di registrazione.
L’NSA scoprì che gli alti ufficiali della marina russa, convinti della sicurezza del loro collegamento, chiacchieravano con i loro colleghi senza crittografia. Il dispositivo di registrazione e il nastro dovevano essere sostituiti mensilmente e il progetto andò avanti tranquillamente per un decennio, finché non fu compromesso da un tecnico civile della NSA di quarantaquattro anni, Ronald Pelton, che parlava correntemente il russo e al quale i russi pagarono solo 5000 dollari per le sue rivelazioni sull’operazione, oltre a 35.000 dollari per altre informazioni da lui fornite e che non furono mai rese pubbliche quando Pelton fu tradito da un disertore russo nel 1985 e condannato alla prigione.
Quel successo subacqueo, chiamato in codice Ivy Bells, fu innovativo e rischioso e produsse informazioni preziose sulle intenzioni e sulla pianificazione della Marina russa.
Tuttavia, il gruppo inter‑agenzie era inizialmente scettico sull’entusiasmo della CIA per un attacco segreto in acque profonde. C’erano troppe incognite. Le acque del Mar Baltico erano pesantemente pattugliate dalla Marina russa e non c’erano piattaforme petrolifere che potessero essere usate come copertura per un’operazione subacquea. I sommozzatori sarebbero dovuti andare in Estonia, proprio al di là del confine con le banchine di carico del gas naturale della Russia, per addestrarsi alla missione? «Sarebbe una follia», dissero all’Agenzia.
Nel corso di «tutti questi piani», ha riferito la fonte, «alcuni funzionari della CIA e del Dipartimento di Stato dicevano: “Non fatelo. È stupido e sarà un incubo politico se verrà fuori”».
Tuttavia, all’inizio del 2022, il gruppo di lavoro della CIA riferì al gruppo inter‑agenzia di Sullivan: «Abbiamo un modo per far saltare i gasdotti».
Ciò che accadde in seguito fu sbalorditivo. Il 7 febbraio, meno di tre settimane prima dell’apparentemente inevitabile invasione russa dell’Ucraina, Biden si incontrò nel suo ufficio alla Casa Bianca con il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, che, dopo qualche tentennamento, era ora saldamente schierato con gli americani. Durante il briefing con la stampa che ne è seguito, Biden dichiarò in modo provocatorio: «Se la Russia invade … non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a tutto questo».
Venti giorni prima, il sottosegretario Nuland aveva trasmesso essenzialmente lo stesso messaggio in un briefing del Dipartimento di Stato, con poca copertura da parte della stampa. «Voglio essere molto chiara con voi oggi», disse in risposta a una domanda. «Se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro il Nord Stream 2 non andrà avanti».
Molti di coloro che avevano partecipato alla pianificazione della missione del gasdotto rimasero sconcertati da ciò che consideravano come riferimenti indiretti all’attacco.
«Era come mettere una bomba atomica a terra a Tokyo e dire ai giapponesi che la faremo esplodere», ha riferito la fonte. «Il piano prevedeva che le opzioni fossero realizzate dopo l’invasione e non divulgate pubblicamente. Biden semplicemente non l’ha capito o l’ha ignorato».
L’indiscrezione di Biden e della Nuland, se di questo si tratta, avrebbe potuto frustrare alcuni dei pianificatori. Ma creò anche un’opportunità. Secondo la fonte, alcuni alti funzionari della CIA stabilirono che far saltare il gasdotto «non poteva più essere considerata un’opzione segreta perché il Presidente aveva appena annunciato che sapevamo come farlo».
Il piano per far esplodere Nord Stream 1 e 2 venne improvvisamente classificato da operazione segreta che richiedeva l’informazione del Congresso a operazione segretissima di intelligence con il supporto militare degli Stati Uniti. Secondo la legge, ha spiegato la fonte, «non c’era più l’obbligo legale di riferire l’operazione al Congresso. Tutto ciò che dovevano fare ora era metterla in atto e basta, ma doveva rimanere segreta. I russi hanno una sorveglianza straordinaria del Mar Baltico».
I membri del gruppo di lavoro dell’Agenzia non avevano contatti diretti con la Casa Bianca ed erano ansiosi di capire se il Presidente intendesse davvero quello che aveva detto, e cioè se la missione avesse ormai preso il via. La fonte ha ricordato: «Bill Burns tornò e disse: “Fatelo”».
L’operazione
La Norvegia era il luogo perfetto per la missione.
Negli ultimi anni di crisi Est‑Ovest, le forze armate statunitensi avevano aumentato notevolmente la loro presenza in Norvegia, il cui confine occidentale corre per 1400 miglia lungo l’Oceano Atlantico settentrionale e si congiunge con la Russia al di sopra del Circolo Polare Artico. Il Pentagono aveva, tra qualche polemica locale, creato posti di lavoro e contratti molto remunerativi investendo centinaia di milioni di dollari per migliorare ed espandere le strutture della Marina e dell’Aeronautica americane in Norvegia. Le nuove opere comprendevano, soprattutto, un radar ad apertura sintetica avanzato, in grado di penetrare in profondità in Russia, entrato in funzione proprio quando la comunità di intelligence statunitense aveva perso l’accesso a una serie di siti di ascolto a lungo raggio all’interno della Cina.
Una base sottomarina americana recentemente ristrutturata, in costruzione da anni, divenne operativa e un numero maggiore di sottomarini americani poté quindi lavorare a stretto contatto con i colleghi norvegesi per monitorare e spiare un’importante base nucleare russa a 250 miglia a est, nella penisola di Kola. L’America ampliò notevolmente anche una base aerea norvegese nel nord e consegnò alle forze aeree norvegesi una flotta di aerei da pattugliamento P8 Poseidon, costruiti dalla Boeing, per rafforzare lo spionaggio a lungo raggio di tutto ciò che riguardava la Russia.
Così, lo scorso novembre, il governo norvegese ha irritato i liberali e alcuni moderati del suo parlamento approvando l’Accordo supplementare di cooperazione per la difesa (SDCA). In base al nuovo accordo, in alcune “aree concordate” del nord, il sistema giudiziario statunitense avrà giurisdizione sui soldati americani accusati di crimini fuori dalla base, così come sui cittadini norvegesi accusati o sospettati di interferire con il lavoro della base.
La Norvegia è stata uno dei firmatari originari del Trattato NATO nel 1949, agli inizi della Guerra Fredda. Oggi, il comandante supremo della NATO è Jens Stoltenberg, un convinto anticomunista, che è stato primo ministro norvegese per otto anni prima di passare alla sua alta carica alla NATO, con il sostegno americano, nel 2014. Si trattava di un duro su tutto ciò che riguardava Putin e la Russia, che aveva collaborato con la comunità di intelligence americana fin dai tempi della guerra del Vietnam. Da allora ha ricevuto piena fiducia. «È il guanto che si adatta alla mano americana», ha commentato la fonte.
A Washington, i pianificatori sapevano di dover andare in Norvegia. «Odiavano i russi e la Marina norvegese era composta da marinai e sommozzatori eccellenti, con generazioni di esperienza nell’esplorazione di petrolio e gas in acque profonde altamente redditizie», ha riferito la fonte. Inoltre ci si poteva fidare di loro per mantenere la missione segreta (i norvegesi potrebbero aver avuto anche altri interessi. La distruzione di Nord Stream, se gli americani fossero riusciti a portarla a termine, avrebbe permesso alla Norvegia di vendere molto più gas naturale all’Europa).
A marzo, alcuni membri del team si recarono in Norvegia per incontrare i servizi segreti e la Marina norvegese. Una delle domande chiave era dove esattamente nel Mar Baltico fosse il posto migliore per piazzare gli esplosivi. Nord Stream 1 e 2, ciascuno con due linee di condotte, erano separati per gran parte del percorso da poco più di un miglio mentre puntavano al porto di Greifswald, nell’estremo nord-est della Germania.
La Marina norvegese trovò rapidamente il punto giusto, nelle acque poco profonde del Mar Baltico, a poche miglia dall’isola danese di Bornholm. Le condutture correvano a più di un miglio di distanza l’una dall’altra su un fondale marino profondo solo 260 piedi. Si trattava di un’area ben raggiungibile dai sommozzatori che, operando da un cacciamine norvegese di classe Alta, si sarebbero immersi con una miscela di ossigeno, azoto ed elio nelle loro bombole e avrebbero piazzato cariche di C4 sagomate sulle quattro condutture con coperture protettive in cemento. Sarebbe stato un lavoro noioso, lungo e pericoloso, ma le acque al largo di Bornholm avevano un altro vantaggio: non c’erano forti correnti di marea che potessero rendere molto più difficile il compito di immergersi.
Dopo qualche ricerca, gli americani furono tutti d’accordo.
A quel punto entrò di nuovo in gioco il misterioso gruppo di immersioni profonde della Marina a Panama City. Le scuole d’altura di Panama City, i cui allievi avevano partecipato a Ivy Bells, sono viste come un’indesiderata zona d’ombra dall’élite dei diplomati dell’Accademia Navale di Annapolis, che di solito cercano la gloria come Seal, piloti di caccia o sommergibilisti. Se si deve diventare una “scarpa nera”, cioè un membro del meno ambito comando di navi di superficie, c’è sempre almeno un incarico su un cacciatorpediniere, un incrociatore o una nave anfibia. La meno affascinante di tutte è la guerra di mine. I suoi sommozzatori non appaiono mai nei film di Hollywood o sulle copertine delle riviste popolari.
«I migliori sommozzatori con qualifiche di immersione profonda sono una comunità ristretta e solo i migliori vengono reclutati per l’operazione e viene detto loro di prepararsi a essere convocati dalla CIA a Washington», ha riferito la fonte.
I norvegesi e gli americani disponevano di un luogo e di operatori, ma c’era un’altra preoccupazione: qualsiasi attività subacquea insolita nelle acque al largo di Bornholm avrebbe potuto attirare l’attenzione della marina svedese o danese, che avrebbe potuto segnalarla.
La Danimarca era stata anch’essa uno dei primi firmatari del trattato NATO ed era nota nella comunità dei servizi segreti per i suoi legami speciali con il Regno Unito. La Svezia aveva presentato domanda di adesione alla NATO e aveva dimostrato una grande abilità nel gestire i suoi sistemi di sensori sonori e magnetici subacquei, che riuscivano a rintracciare con successo i sottomarini russi che di tanto in tanto comparivano nelle acque remote dell’arcipelago svedese e venivano costretti a salire in superficie.
I norvegesi insisterono con gli americani sul fatto che alcuni alti funzionari danesi e svedesi dovessero essere genericamente informati sulle possibili attività subacquee nell’area. In questo modo, qualcuno più in alto sarebbe potuto intervenire evitando che un rapporto potesse uscire dalla catena di comando, proteggendo così l’operazione del gasdotto. «Quello che a loro era stato detto e quello che sapevano era volutamente diverso», mi ha riferito la fonte (l’ambasciata norvegese, interpellata per un commento su questa storia, non ha risposto).
I norvegesi sono stati fondamentali per risolvere altri ostacoli. Si sapeva che la Marina russa possedeva una tecnologia di sorveglianza in grado di individuare e innescare le mine sottomarine. I dispositivi esplosivi americani dovevano essere camuffati in modo da apparire al sistema russo come parte dello sfondo naturale, cosa che richiedeva un adattamento alla salinità specifica dell’acqua. I norvegesi avevano una soluzione.
I norvegesi avevano anche una soluzione alla questione cruciale di quando l’operazione avrebbe dovuto avere luogo. Ogni giugno, negli ultimi ventuno anni, la Sesta Flotta americana, la cui nave ammiraglia è basata a Gaeta, in Italia, a sud di Roma, organizza una grande esercitazione della NATO nel Mar Baltico che coinvolge decine di navi alleate in tutta la regione. L’esercitazione prevista per giugno sarebbe stata denominata Baltic Operations 22, o BALTOPS 22. I norvegesi suggerirono che questa sarebbe stata la copertura ideale per piazzare le mine.
Gli americani aggiunsero un elemento fondamentale: convinsero i pianificatori della Sesta Flotta ad inserire nel programma un’esercitazione di ricerca e sviluppo. L’esercitazione, come reso noto dalla Marina, avrebbe impegnato la Sesta Flotta in collaborazione con i “centri di ricerca e di guerra” della Marina. L’evento in mare si sarebbe svolto al largo delle coste dell’isola di Bornholm e avrebbe coinvolto squadre di sommozzatori della NATO che avrebbero piazzato mine, mentre le squadre concorrenti avrebbero utilizzato le più recenti tecnologie subacquee per trovarle e distruggerle.
Si trattava di un esercizio utile e di una copertura ingegnosa. I ragazzi di Panama City avrebbero fatto il loro dovere e gli esplosivi C4 sarebbero stati posizionati entro la fine di BALTOPS22, con un timer di 48 ore. Tutti gli americani e i norvegesi sarebbero dovuti sparire prima della prima esplosione.
I giorni erano contati. «Il tempo scorreva e ci stavamo avvicinando alla missione compiuta», ha riferito la fonte.
Dopodiché, Washington ebbe un ripensamento. Le bombe sarebbero state comunque piazzate durante BALTOPS, ma la Casa Bianca temeva che una finestra di due giorni per la loro detonazione sarebbe stata troppo vicina alla fine dell’esercitazione e che sarebbe stato evidente il coinvolgimento dell’America.
In alternativa, la Casa Bianca avanzò una nuova richiesta: «I ragazzi sul campo possono trovare un modo per far esplodere i gasdotti più tardi, a comando?».
Alcuni membri del team di pianificazione erano irritati e frustrati dall’apparente indecisione del Presidente. I sommozzatori di Panama City si erano ripetutamente esercitati a piazzare il C4 sulle condutture, come avrebbero dovuto fare durante BALTOPS, ma ora la squadra in Norvegia avrebbe dovuto trovare un modo per dare a Biden ciò che voleva: la possibilità di emettere un ordine di esecuzione efficace in un momento a sua scelta.
La CIA era abituata a gestire un cambiamento arbitrario dell’ultimo minuto. Ma questo rinnovò anche le preoccupazioni di alcuni sulla necessità e la legalità dell’intera operazione.
Gli ordini segreti del Presidente evocavano anche il dilemma della CIA ai tempi della guerra del Vietnam, quando il Presidente Johnson, di fronte al crescente sentimento contrario alla guerra del Vietnam, ordinò all’Agenzia di violare il suo statuto – che le impediva specificamente di operare all’interno dell’America – spiando i leader contrari alla guerra per capire se fossero controllati dalla Russia comunista.
L’Agenzia alla fine acconsentì, e nel corso degli anni 70 divenne chiaro fino a che punto fosse disposta a spingersi. All’indomani degli scandali Watergate, i giornali rivelarono che l’Agenzia spiava i cittadini americani, era coinvolta nell’assassinio di leader stranieri e aveva rovesciato il governo socialista di Salvador Allende.
Queste rivelazioni portarono a una drammatica serie di audizioni a metà degli anni 70 al Senato, guidate da Frank Church dell’Idaho, che chiarirono che Richard Helms, l’allora direttore dell’Agenzia, riconosceva di essere obbligato a fare quel che il Presidente voleva, anche se ciò significava violare la legge.
In una testimonianza inedita e a porte chiuse, Helms spiegò con amarezza che «si ha quasi una concezione immacolata quando si fa qualcosa» su ordine segreto di un Presidente. «Indipendentemente dal fatto che sia giusto o meno, [la CIA] lavora secondo regole diverse e regole sotterranee rispetto a qualsiasi altro organismo del governo». In sostanza, stava dicendo ai senatori che lui, come capo della CIA, sapeva di lavorare per la “Corona” e non per la Costituzione.
Gli americani al lavoro in Norvegia operavano secondo la stessa logica e iniziarono diligentemente ad applicarsi sul nuovo problema: come far esplodere a distanza l’esplosivo C4 su ordine di Biden. Si trattava di un compito molto più impegnativo di quanto non avessero immaginato a Washington. La squadra in Norvegia non aveva modo di sapere quando il Presidente avrebbe premuto il pulsante. Sarebbe stato entro qualche settimane, dopo molti mesi o dopo mezzo anno o più?
Il C4 collegato ai gasdotti sarebbe stato attivato da una boa sonar sganciata da un aereo con breve preavviso, ma la procedura richiedeva la più avanzata tecnologia di elaborazione dei segnali. Una volta posizionati, i dispositivi di temporizzazione ritardata attaccati a uno qualsiasi dei quattro gasdotti avrebbero potuto essere attivati accidentalmente dalla complessa combinazione di rumori di sottofondo dell’oceano in tutto il Mar Baltico, molto trafficato, provenienti da navi vicine e lontane, da trivellazioni sottomarine, da eventi sismici, da onde e persino da creature marine. Per evitare ciò, la boa sonar, una volta posizionata, avrebbe emesso una sequenza di suoni tonali unici a bassa frequenza – simili a quelli emessi da un flauto o da un pianoforte – che sarebbero stati riconosciuti dal dispositivo di temporizzazione e, dopo un ritardo di ore prestabilito, avrebbero innescato gli esplosivi. («Si richiede un segnale abbastanza robusto in modo che nessun altro segnale possa accidentalmente inviare un impulso che faccia detonare gli esplosivi», mi ha detto il dottor Theodore Postol, professore emerito di scienze, tecnologia e politica di sicurezza nazionale al MIT. Postol, che è stato consulente scientifico del capo delle operazioni navali del Pentagono, ha detto che il problema che il gruppo in Norvegia ha dovuto affrontare a causa del temporeggiamento di Biden riguardava il fattore rischio: «Più a lungo gli esplosivi rimangono in acqua, maggiore è il rischio che un segnale casuale possa innescare le bombe»).
Il 26 settembre 2022, un aereo di sorveglianza P8 della Marina norvegese effettuò un volo apparentemente di routine e sganciò una boa sonar. Il segnale si diffuse sott’acqua, inizialmente fino al Nord Stream 2 e poi fino al Nord Stream 1. Poche ore dopo, gli esplosivi C4 ad alta potenza furono innescati e tre dei quattro gasdotti vennero messi fuori uso. Nel giro di pochi minuti si potevano vedere le masse di gas metano rimaste nelle condutture chiuse diffondersi sulla superficie dell’acqua e il mondo ha capito che era avvenuto qualcosa di irreversibile.
Ripercussioni
All’indomani dell’attentato al gasdotto, i media americani l’hanno trattato come un mistero irrisolto. A seguito di calcolate fughe di notizie dalla Casa Bianca, la Russia è stata ripetutamente citata come probabile colpevole, ma senza mai aver stabilito un chiaro motivo per un simile atto di auto‑sabotaggio, al di là della semplice rappresaglia. Qualche mese dopo, quando è emerso che le autorità russe si erano riservatamente procurate delle stime sui costi di riparazione dei gasdotti, il New York Times ha descritto la notizia come «una complicazione per le illazioni su chi fosse il mandante» dell’attacco. Nessun grande giornale americano ha approfondito le precedenti minacce di Biden e del sottosegretario di Stato Nuland.
Benché non sia mai stato spiegato il motivo per cui la Russia avrebbe cercato di distruggere il proprio lucroso gasdotto, una motivazione più eloquente per l’azione del Presidente è venuta dal Segretario di Stato Blinken.
In una conferenza stampa dello scorso settembre sulle conseguenze dell’aggravarsi della crisi energetica in Europa occidentale, Blinken ha descritto il momento come potenzialmente positivo:
«È un’opportunità straordinaria per eliminare una volta per tutte la dipendenza dall’energia russa e quindi per togliere a Vladimir Putin la possibilità di utilizzare l’energia come strumento per portare avanti i suoi progetti imperiali. Questo è molto significativo e offre un’enorme opportunità strategica per gli anni a venire, ma nel frattempo siamo determinati a fare tutto il possibile per assicurarci che le conseguenze di tutto questo non siano sopportate dai cittadini dei nostri Paesi o, comunque, di tutto il mondo».
Più di recente, Victoria Nuland ha espresso soddisfazione per la scomparsa del più nuovo dei gasdotti. Alla fine di gennaio, in occasione di un’audizione della Commissione Esteri del Senato, ha dichiarato al senatore Ted Cruz: «Come lei, sono molto soddisfatta, e credo che lo sia anche l’Amministrazione, di sapere che Nord Stream 2 è ora, come lei ama dire, un pezzo di ferro in fondo al mare».
La mia fonte ha avuto una visione molto più realistica sulla decisione di Biden di sabotare più di 1500 miglia del gasdotto di Gazprom all’approssimarsi dell’inverno. «Beh – ha detto riferendosi al Presidente – devo ammettere che il ragazzo ha le palle. Ha detto che l’avrebbe fatto e l’ha fatto».
Alla domanda sul perché pensasse che i russi non abbiano risposto, ha dichiarato cinicamente: «Forse vogliono riservarsi la possibilità di fare la stessa cosa che hanno fatto gli Stati Uniti». E, ha proseguito: «È stata una bella montatura. Dietro c’era un’operazione segreta che prevedeva la presenza di esperti sul campo e di apparecchiature che operavano sulla base di un segnale nascosto. C’è stato un solo difetto: la decisione di realizzarla».
(Traduzione di Andrea Di Benedetto)