Per i lavoratori e le lavoratrici non c’è nessuna fiducia da riporre nello squallido teatrino elettorale del 25 settembre
Assalto al cielo
Prospettiva operaia
La “crisi totale” del “sistema Italia” non conosce, e non potrebbe conoscere, soluzione di continuità, essendo figlia della crisi di regime del sistema capitalista a livello globale. Benché non esista nel mondo comunque un solo paese non precipitato da anni nel vortice di una crisi strutturale che parte dall’economia e arriva all’ambiente, alla salute, alle questioni sociali, alla guerra, tra di essi l’Italia rappresenta un caso di particolare approfondimento della stessa. Il riflesso sul piano politico di tutto ciò è lo sgretolamento del governo di unità nazionale “dei migliori” e, anche se a sinistra non tutti se ne accorgono, una chiamata alle urne carica di panico e disperazione.
Viene giù tutto
Il dato da cui partire non può che essere quello dello spaventoso debito pubblico del nostro paese, tra i primi nella classifica mondiale con un debito che corrisponde a circa il 160% del Pil (in cifre circa 2.800 miliardi di euro).
Con un tasso d’inflazione oggi al 8,4% e una previsione di raggiungimento presto della doppia cifra, l’incubo stagflazione è sempre più reale secondo le voci più accreditate del mondo economico nel campo della stessa borghesia capitalista. A causa di tale tasso d’inflazione l’Ocse ha calcolato tra l’altro un’ulteriore erosione del 3% sui già miseri salari italiani solo per l’anno in corso. Sempre restando sugli attuali dati Ocse (giugno 2022) ad una media del tasso di disoccupazione europeo del 4,9% corrisponde un dato italiano del 7,9%, con quella giovanile al 23,1% secondo l’Istat rispetto alla media Ue del 13,6%. Sempre tenendo in considerazione anche che il nostro, come la quasi totalità degli altri paesi, è uno Stato in perenne emergenza sanitaria (tra quelli con più morti per Covid in Europa, oltre 175.000), il resto del quadro catastrofico è dato dal carovita fuori controllo e dalla crisi energetica, dovuti alla guerra in Ucraina a cui l’Italia partecipa pienamente a suon di sanzioni economiche e spese militari, nell’alveo del sostegno alla Nato e all’imperialismo occidentale di cui fa parte. Il pannicello caldo dei 209 miliardi di euro dall’Unione Europea, all’interno del piano Next Generation EU, non farà altro che dare un po’ di inutile ossigeno nell’immediato per aumentare ulteriormente l’indebitamento pubblico nazionale. E questo i politicanti borghesi lo sanno bene.
Arriva la destra, non il fascismo (per ora)
Ormai ci si attende la vittoria, vedremo quanto netta, della coalizione di centrodestra, un centrodestra a guida Fratelli d’Italia con un ruolo da comprimario della Lega e pressoché nullo di Forza Italia e democristiani vari (racchiusi nella sigla Noi Moderati). Ciò ha fatto gridare all’allarme fascista tante anime candide della sinistra.
Giorgia Meloni, leader di FdI, dovrebbe quindi diventare il prossimo capo del governo. Il condizionale è dovuto al fatto che alla stessa Meloni questa eventualità, sbandierata ai quattro venti con la sua solita foga durante l’anno di formale opposizione al governo di unità nazionale, sembra far tremare i polsi, e con la situazione dell’Italia, solo sommariamente sopra descritta, ne ha ben donde. Tutta la classe politica italiana sa che l’unica cosa certa nell’immediato futuro del paese è l’instabilità, politica, economica, sociale. Così sono trapelate diverse voci riguardanti soluzioni per de-responsabilizzare la presidentessa di FdI nel suo futuro governo, come quella che vedrebbe alla guida del governo un suo luogotenente, ma ritenuto figura più autorevole e affidabile da parte di Bruxelles e Washington, come Guido Crosetto, l’imprenditore con l’elmetto presidente della “Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza” (Aiad) di Confindustria. È probabile però che sarà impossibile per Meloni fuggire dall’incarico per cui ha tanto sbraitato, ma è ancor più probabile che si circonderà di ministri “tecnici” (quelli che dall’opposizione denunciava come usurpatori della politica) e di consiglieri di fiducia del grande capitale, a partire proprio da … Mario Draghi. Quello che era il suo principale bersaglio è diventato infatti nel giro di qualche settimana un fidato punto di riferimento “politico”. Meloni ha garantito che con il suo governo non ci sarà alcuno “scostamento dal pareggio di bilancio” (autorizzazione che il Governo chiede al Parlamento per poter aumentare il deficit dello Stato rispetto a quanto previsto nei documenti di finanza pubblica già approvati da Camera e Senato), tanto inviso a Draghi e ai suoi lacchè, per far fronte (idealmente) all’emergenza economica. Tra i tanti voltafaccia citiamo, a mo’ di esempio, giusto quello relativo alla questione della nave rigassificatrice di Piombino, essenziale allo stoccaggio del gas africano e americano dopo le contromisure alle sanzioni economiche della Ue prese da Mosca in termini di forniture, e contro la quale fa le barricate addirittura un suo sindaco: “gli impianti vanno fatti, se non ci sono alternative per me l’approvvigionamento è la priorità” ha dichiarato Giorgia. Anche in Europa Meloni è presidente di un gruppo, i “conservatori e riformisti europei” che è dialogante col Ppe e non con le destre sovraniste. A tutto ciò si aggiunga che la classe dirigente di FdI ha a più riprese dichiarato e ha messo per iscritto in una clausola programmatica del centrodestra che l’Italia è saldamente posizionata “dalla parte dell’Europa, dell’Alleanza Atlantica e dell’Occidente”. Ci sembra un profilo un po’ lontano da quello di pericolosi fascisti pronti a marciare su Roma, mettere sotto il proprio controllo stampa e mass media, rendere illegali partiti e sindacati, svuotare il ruolo del parlamento (più di quanto già lo sia), ecc. Del resto si tratta del profilo di politicanti di professione di lungo corso ed ex-ministri, al contrario del loro autoproclamarsi estranei ai salotti, si tratta del profilo di chi, Meloni in primis, ha sostenuto il governo di unità nazionale di Mario Monti, al contrario di quanto affermano i media a proposito di una presunta coerenza politica. Solo una lettura superficiale, per usare un eufemismo, del fenomeno Meloni può far parlare a sinistra di arrivo immediato del fascismo.
Un po’ la stessa cosa successa qualche anno fa col fenomeno Salvini. Quando nel 2019 la sua Lega conquistava il 34% alle elezioni europee, tutte le sinistre, da quella riformista a quella di movimento, da quella sindacale a quella di classe (compresa la quasi totalità del sedicente trotskismo italiano), urlavano al pericolo della reazione alle porte, di un fascismo in salsa verde inarrestabile, incapaci di riconoscere le contraddizioni di quel momentaneo successo della Lega, un partito con i piedi ben piantati nella media borghesia (vera classe da essa rappresentata fin dalla sua nascita) di quel nord produttivo che vive di esportazioni principalmente sul mercato europeo (altro che partito anti-Ue sbandierato nelle campagne elettorali), partito che infatti, tra un mojito e un balletto al Papeete, sarebbe andato a sbattere poche settimane dopo, seppellendo l’esperienza del governo populista giallo‑verde. La mancanza di un’analisi materiale della crisi economica, politica e sociale, in favore di approcci impressionisti non ha permesso di riconoscere i limiti dell’ascesa della Lega (come dei 5Stelle) e si è parlato, anche lì di arrivo del fascismo per alcuni sì vergognosi, sì aberranti, respingimenti di migranti che però non erano granché peggio rispetto a quelli del suo predecessore al Viminale, lo sbirro del Pd Minniti (il quale tramite accordi con le bande mercenarie al potere in Libia rispediva quegli stessi migranti in veri e propri lager, conducendo persino una organizzazione borghese come l’Onu a denunciare quelle politiche come un crimine contro l’umanità).
Il fascismo però è un fenomeno serio, molto più complesso di quanto i “sinistrati” riescano spesso a concepire. “Il fascismo è un’organizzazione di lotta della borghesia nel momento e per i bisogni di una guerra civile”, diceva Trotsky. Ogni seria analisi della società deve partire dai rapporti tra le classi. Se al sorgere del capitalismo la borghesia aveva bisogno di metodi rivoluzionari per affermarsi e durante il periodo di suo sviluppo e maturazione traduceva il proprio dominio in forme pacifiche e democratiche, nella fase decadente del capitalismo la borghesia è costretta ad utilizzare metodi da guerra civile per “difendersi” dal proletariato. Il fascismo nasce all’esterno delle istituzioni borghesi, è un movimento di massa con proprie organizzazioni armate (ad esempio le Camicie Nere), cosa che lo differenzia ad esempio dai golpe militari che avvengono per mano di pezzi dello Stato, e senza una base di massa. Il problema è che al momento non c’è alcun movimento proletario in stato di guerra da cui difendersi, purtroppo. Ovviamente non è per niente escluso che la schiacciante crisi globale, tra disoccupazione crescente, inflazione, debito pubblico e carovita incontrollabili, razionamento energetico e crisi industriali, porti ad una risposta delle masse nel brevissimo periodo. In quel momento la reazione a ciò proverrà anche dalle file di Fratelli d’Italia (molto meno dalla Lega), che è un partito sì di politicanti borghesi e arrivisti della peggior specie ma con alla sua base una marmaglia nera che rivendica l’eredità storica del Movimento Sociale Italiano, della Repubblica Sociale Italiana, fino al movimento fascista delle origini. Tale feccia realmente neofascista potrebbe lottare all’interno o rompendo con quel partito per diventare ben altro. Questo è il reale pericolo di FdI.
L’altra destra: no-vax e rossobruni
Si presentano poi a queste elezioni altri movimenti aggregativi del ciarpame reazionario: Italexit e Italia Sovrana e Popolare. Il primo è stato messo su dall’ex giornalista di destra, ex leghista, ex grillino, Gianluigi Paragone, il cui obiettivo dichiarato è la costruzione di un nuovo partito conservatore. I suoi candidati sono pescati dalla galassia no‑vax e dall’estrema destra (si veda la buona ricostruzione, a parte sul ruolo quasi inconsapevole di Paragone, fatta nel seguente articolo: Nunzia Schilirò (ex vicequestore di Roma e leader no‑vax), Stefano Puzzer (complottista di estrema destra e massimo esponente delle proteste no‑pass del porto di Trieste), Enzo Palladino (infermiere sindacalista che rappresenta un pericolo pubblico sia per i pazienti che per i lavoratori, essendo stato definito “un’icona della lotta contro il ricatto vaccinale”), Carlotta Chiaraluce (di Casapoud), Simona Boccuti (vicina a Forza Nuova), solo per citarne alcuni. Sulla stessa linea d’onda nazionalista e complottista (“per un’Italia libera da controlli sociali attuati attraverso tecnologie digitali”), anche se probabilmente con qualche voto in meno, sono i candidati di Italia Sovrana e Popolare, con la specificità che qui la provenienza è principalmente (si fa per dire) di sinistra, in particolare dagli ambienti vetero‑stalinisti. Il Partito comunista di Rizzo ed Azione Civile di Ingroia si uniscono così a movimenti nazionalisti come Ancora Italia e Riconquistare l’Italia in nome di un “antagonismo sociale e politico nazionale” che è passato, in tempi di pandemia, prima per il negazionismo, la lotta per le riaperture e in molti casi contro l’utilizzo delle mascherine, schierandosi apertamente al fianco dell’impresa nazionale (in difesa della borghesia, come hanno fatto Bolsonaro e Trump) e ponendosi in contrasto con gli operai che scioperavano rivendicando il blocco della produzione e la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro, poi per la lotta a vaccini e green pass. Mentre la critica alle multinazionali, all’Ue e all’euro, alla Nato e al Patto Atlantico, avviene non da un versante rivoluzionario ma reazionario, non in nome di governi dei lavoratori e dell’internazionalismo proletario ma in nome della sovranità monetaria e della già citata impresa nazionale.
Non c’è alcun dubbio che quando ci saranno le sollevazioni popolari causate dalla crisi di cui abbiam parlato a conclusione del precedente paragrafo, la palude no-vax sarà un bacino di manovalanza per la reazione (del resto ne hanno già dato prova nell’assalto alla sede nazionale della Cgil). Al contrario di quei compagni che sono accorsi a fare la coda dei cortei e dei presidi contro il vaccino anti‑covid e contro il green‑pass, noi abbiamo denunciato con forza la natura reazionaria di tali movimenti. Ora che quegli stessi personaggi riempiono le liste elettorali della marmaglia di destra o rossobruna speriamo che il messaggio sia più chiaro.
La sinistra dei banchieri e la sinistra fuori dalla storia
Quanto alla “sinistra” che si presenterà alla tornata elettorale, siamo al tragicomico … siam solo indecisi se più tragico o più comico. Il Partito democratico, principale riferimento politico del grande capitale italiano, tenendo fede alla sua natura e al suo ruolo, è stato e sarà il principale sponsor politico nonché la principale componente dei governi di unità nazionale: lo è stato per il governo Monti, per il governo Letta, per il governo Renzi, per il governo Gentiloni, e infine per il governo Draghi. Diciamo che con quella destra che in campagna elettorale, tanto più quella attuale, afferma ridicolmente di voler combattere, il PD è abituato a governarci da oltre un decennio. Come del resto è il partito che più di tutti ha una posizione di completa sudditanza nei confronti dell’Ue, degli Usa e in generale del Patto Atlantico. Sulla guerra in Ucraina, vicenda attorno alla quale è incentrata l’attività politica attuale di tutti i principali Paesi imperialisti, non esiste compagine politica italiana più asservita all’imperialismo occidentale, in primis quello yankee, più disposta ad accettare qualsiasi richiesta provenga dai vertici militari della Nato e dai vertici politici di Washington. La premessa di ogni intervento di ogni candidato del Pd è il senso di disperazione per la caduta del governo del banchiere Draghi: “Abbiamo esercitato il nostro sostegno con senso di responsabilità e con la consapevolezza che il carattere politicamente eterogeneo della maggioranza avrebbe richiesto, a tutte le forze che ne facevano parte, senso della misura e responsabilità per il bene del Paese. È la bussola che ci ha guidato dalla nascita dell’esecutivo fino alla sconsiderata crisi che ha condotto alle elezioni anticipate. Ci ha mosso, inoltre, la consapevolezza che, nonostante i limiti oggettivi posti dalla compresenza in maggioranza di forze politicamente e culturalmente alternative, la guida di una figura del prestigio e dell’autorevolezza di Mario Draghi rappresentasse una straordinaria occasione per il Paese. Un esempio di serietà e patriottismo, in una fase segnata da grandi sfide sul piano europeo e internazionale”. (Premessa al Programma elettorale 2022). È chiaro che avendo vissuto così in simbiosi e con tale unità d’intenti con il centrodestra (Meloni compresa, che sui principali provvedimenti draghiani era più che collaborativa), ora il Pd non trovi di meglio che attaccarlo sul pericolo fascista, non potendo farlo sull’agenda economica e sociale, che, a parte il maquillage (“valorizzazione della conoscenza”, “patti educativi di comunità”, “società realmente inclusiva”, “Europa sociale e sostenibile”) e qualche spot progressista (“diritti civili alle persone LGBTQI+”, “lotta ai mutamenti climatici”, “cittadinanza per i minori stranieri che studiano in Italia”) è identica a quella degli avversari (contratti di lavoro povero e precario; riforme di macelleria sociale per obbedire ai diktat di Patto di stabilità e piano Next Generation EU; regalie alle imprese a suon di finanziamenti pubblici e riforme fiscali, come il taglio dell’Irap; sostegno alle infrastrutture devastatrici del territorio e inquinanti come gli inceneritori; investimenti in repressione e militarizzazione dei territori; divieto di abbassamento dell’età pensionabile).
Ascrivibile ad un campo “progressista” è anche il partito onnipresente degli ultimi tre governi, capace di allearsi in una sola legislatura con la destra, con il centrosinistra e poi con tutti, il Movimento 5 Stelle. Con la ridicola operazione di non‑fiducia (cosa diversa dalla sfiducia) nell’ultimo minuto di vita del governo Draghi un partito in caduta verticale da mesi tenta di ripulirsi la faccia dopo anni di incoerenza e trasformismo. I tempi in cui i cialtroni a 5 stelle minacciavano fuoco e fiamme una volta divenuti forza politica maggioritaria in parlamento sono passati in un batter d’occhio.
Se si esclude il Reddito di cittadinanza, misura peraltro sottofinanziata rispetto alle reali esigenze degli strati più indigenti della popolazione italiana, i grillini hanno tradito tutte le rivendicazioni provenienti dal mondo del lavoro e dai movimenti sociali (ex‑Ilva, Tav, Tap, spese di guerra, beni comuni, rifiuti zero, lotta all’Ue strozzina, ecc.), fungendo da utili idioti per le peggiori politiche reazionarie (della Lega), Confindustriali (del Pd) e di piena servitù al capitale (governo Draghi di unità nazionale). Avendo perso qualsiasi linea politica, perfino interclassista e borghese, l’unico collante che ha tenuto insieme il Movimento 5 Stelle fino alla scissione del parassita Di Maio, è stato costituito davvero esclusivamente dai seggi di parlamentari, ministeri, sottosegretariati (nemesi della propaganda grillina delle origini). Oggi, Conte tenta di far dimenticare in tempi rapidi tutto ciò, provando a rispolverare un’agenda sociale che parli principalmente al sud Italia.
E veniamo infine alle pene della sinistra riformista, presente ad ogni elezione, bocciata ad ogni elezione, inutile e astorica ad ogni elezione. Per questo giro di giostra essa ha il faccione dell’ex magistrato De Magistris e le deboli gambe di un cadavere politico, Rifondazione comunista, e di un aborto politico, Potere al Popolo. Ai compagni che in assenza di una organizzazione operaia stanno indirizzando le loro speranze di cambiamento verso Unione Popolare vogliamo ricordare, nel caso lo avessero dimenticato, che De Magistris si è distinto, durante il suo mandato di sindaco di Napoli, per le politiche antioperaie. Durante le proteste dei lavoratori del trasporto pubblico De Magistris ritenne “assolutamente ingiustificata la protesta” dei lavoratori, che su ordine della sua amministrazione, subirono la brutale carica della polizia, riportando anche dei feriti.
Il nome della lista è Unione Popolare, scelto scimmiottando quello della sinistra istituzionale francese di Jean‑Luc Mélenchon, un signore che ha lavorato politicamente per anni nelle istituzioni di un governo imperialista, e che nei momenti di unione e fedeltà alla repubblica francese (si veda, solo come ultimo esempio, lo stato d’emergenza antiterrorismo) è sempre presente.
Per non parlare dello stretto legame con chi da anni gestisce il potere borghese nello Stato spagnolo, Unidas Podemos. Del resto, non avrebbe potuto essere diversamente visto che De Magistris, ex sindaco di Napoli, e ricordiamo ancora ex toga, tiene a precisare ad ogni intervento, ad ogni intervista, ad ogni dichiarazione, di essere “un uomo delle istituzioni”, e visto che il programma politico con cui Unione Popolare si presenta alle elezioni è addirittura peggiore di quello dei loro amici francesi e spagnoli non più anche “di lotta”, ma solo di governo. Prioritaria è la sempre presente difesa della Costituzione borghese italiana, lo scheletro normativo su cui si erge la struttura di sfruttamento del capitale nel nostro Paese, fatta passare invece come un fattore di progresso e di avanzamento sociale. Con l’obiettivo di combattere il lavoro precario e a tempo, Unione Popolare rivendica non la sua abolizione bensì la sua “limitazione”, a due casi specifici: “per circostanze straordinarie legate alla produzione e per motivi contrattuali o di legge (sul modello della riforma Yolanda Diaz in Spagna)” … in pratica quasi sempre. Perfino la forma di assunzione più becera, il contratto di lavoro interinale, deve continuare ad esistere, a patto che venga garantito “l’obbligo di applicazioni di salari e condizioni contrattuali stabilite dal contratto collettivo di settore” … ammazza che svolta! Continuiamo con le favolette del programma in cui a un certo punto si rivendica il “rafforzamento degli ispettorati del lavoro per far rispettare le leggi sulla sicurezza”. È ovviamente presente poi la soluzione delle soluzioni, che suscita ilarità tra le stesse forze politiche del padronato, per garantire la giustizia sociale: la tassazione progressiva, con un accenno evanescente e senza percentuali ai “super‑ricchi”, quelli che percepiscono “addirittura” un reddito annuale superiore ai 500.000 euro, e un intervento più marcato del 90% non sui redditi, non sui patrimoni, ma semplicemente sugli extra‑profitti delle aziende energetiche (quindi solo della speculazione e solo per le aziende energetiche). Gli sfruttatori possono insomma dormire sonni tranquilli, del resto è lo stesso De Magistris a dichiarare, anche qui a più riprese, di non essere assolutamente contrario al mondo dell’impresa (i padroni), che si devono “colpire i prenditori” e “tutelare gli imprenditori”, e che una parte dei ricavi della stessa tassazione andrà a finanziare anche le imprese, per “aiutare famiglie e imprese”. A qualche velata critica al funzionamento delle istituzioni nazionali ed europee della borghesia e del capitale si associa poi sempre la garanzia della loro necessità (oltre che una totale ignoranza in merito a cosa esse siano e rappresentino): “per un’Europa [capitalista] unita dal Portogallo alla Russia”; “per una riforma in senso democratico delle istituzioni di Bruxelles”; “la BCE possa favorire politiche industriali sostenibili da un punto di vista ambientale”. Sinistra Anticapitalista, appoggiando De Magistris, capitola a una proposta politica di stampo riformista‑populista tesa sostanzialmente a tutelare gli interessi della piccola borghesia e dei ceti medi, abbandonando nuovamente i principi basilari del marxismo rivoluzionario, su tutti quello dell’indipendenza di classe, in base al quale i partiti della classe operaia possono al più concordare una temporanea unità d’azione con i partiti piccolo‑borghesi nello scontro con la grande borghesia, ma sempre da un punto di vista assolutamente indipendente e quindi, ad esempio, senza mai presentarsi assieme alle elezioni. Per spiegare a qualche militante in buona fede di Sinistra Anticapitalista quanto sia degenerato il progetto politico dei loro dirigenti ricordiamo che Trotsky affermò, in quello che è il programma della IV Internazionale (Programma di transizione) che “la politica conciliatrice dei “fronti popolari” condanna la classe operaia all’impotenza e apre la strada al fascismo”. Ebbene, costruire una “Unione Popolare” con forze piccolo‑borghesi riformiste non significa perseverare, per l’ennesima volta, sulla strada dei “fronti popolari” di staliniana memoria?
Disertare le urne, costruire le lotte, organizzare i rivoluzionari
Nel pieno della più che quindicennale crisi economica del capitalismo e dei suoi catastrofici corollari, prima la crisi pandemica poi la crisi bellica, nel pieno di una crisi che, al contrario di quanto pensano molti a sinistra, mostra da un lato lo sfacelo del sistema economico e la decadenza dello Stato borghese e dall’altro una classe politica screditata e debole, si confrontano una serie di soggetti politici tutti inequivocabilmente, al di là delle sfumature, a difesa del sistema d’interesse di industriali e banchieri. A sinistra del centrosinistra, c’è solo la paccottiglia del vecchio e nuovo riformismo, completamente piegato e integrato al sistema capitalista e alle sue istituzioni (oltre che senza alcun attuale posto nella storia). I lavoratori e le lavoratrici non hanno nulla da sperare da queste elezioni e non possono riporre nessuna fiducia nei vari candidati, nemmeno in quelli più a sinistra che perpetuano con ancora maggiore responsabilità l’inganno di una democrazia borghese sfruttatrice e affamatrice. Non esiste lista elettorale che rappresenti gli interessi della classe operaia e che abbia un insediamento nelle lotte sociali.
Infatti, a fronte di una fase segnata dalla guerra in Ucraina che altro non è che un tassello della guerra mondiale imperialista, il più grande attacco della borghesia mondiale contro il proletariato internazionale, su cui incombe il pericolo di un conflitto nucleare, ognuna delle forze candidate alle elezioni si pone dalla parte della reazione muovendosi tra l’appoggio diretto alla Nato e alla sua guerra e un pacifismo sterile, che talvolta strizza l’occhio alla Federazione Russa o che comunque auspica soluzioni diplomatiche, ignorando come i margini di tali soluzioni siano sempre più ridotti dall’inasprimento della crisi economica mondiale e dei singoli Stati. Nessuna di queste forze si muove anche in minima parte nella direzione della costruzione di una risposta del proletariato, unico soggetto storico che attraverso il suo intervento può fermare la guerra e portare l’umanità fuori dalla crisi, ma che attualmente è totalmente orfano di una propria politica e di una propria organizzazione. Queste elezioni rappresentano il triste specchio di questa tragedia storica. L’unica utilità che possiamo attribuire loro è che mostrano questa realtà con un’evidenza tale da lasciare completamente disorientata gran parte dell’elettorato.
I lavoratori e le lavoratrici non hanno nulla da ricavare dal voto del 25 settembre. Al contrario possono riporre fiducia esclusivamente in se stessi, nella forza che hanno come classe, perché solo la lotta rivoluzionaria della classe lavoratrice può cancellare dalla storia la società dello sfruttamento e della violenza capitalista. Ciò di cui necessitano le masse lavoratrici è la costruzione di un partito operaio rivoluzionario che lotti per un governo dei lavoratori. Indipendentemente da chi guiderà il paese dopo il 25, all’ordine del giorno ci sarà la costruzione di uno sciopero generale. Pertanto invitiamo i lavoratori e le lavoratrici, nonché i compagni e le compagne che lottano realmente al loro fianco, ad astenersi dal voto nelle imminenti elezioni politiche.