Ebbene sì, è proprio una “proxy war”
Breve analisi di teoria e pratica della guerra per procura in Ucraina
Valerio Torre[*]
Sin dai primi testi che abbiamo prodotto su questo sito a proposito del conflitto in Ucraina[1], abbiamo definito “guerra interimperialista” quella che si sta combattendo in quel Paese. Non perché l’Ucraina sia – a differenza della Russia[2] – una nazione imperialista, ma perché lo scontro si sta svolgendo, sul terreno ucraino, tra la stessa Russia da un lato e un blocco di potenze imperialiste (Usa e Ue utilizzando la Nato) dall’altro.
Noi l’abbiamo denominata una guerra “per interposta nazione”; altri, a partire dal ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, una guerra “per procura”.
Questa definizione ha destato scandalo nelle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria che, eliminando dalle loro analisi il peso e il ruolo svolto dal blocco imperialista occidentale (e addirittura, quasi negandone l’esistenza), limitano lo scontro sul terreno di un solo Paese (l’Ucraina) riducendolo a un conflitto tra un aggressore e un aggredito. In questa ricostruzione, gli imperialismi degli Stati Uniti e delle nazioni europee, con lo strumento della Nato, sembrano passare lì per caso, distrattamente gettando un’occhiata al teatro delle operazioni belliche e sostanzialmente disinteressandone.
Siffatte analisi, ovviamente, hanno una ricaduta pratica: quella di ritenere che il conflitto che si sta svolgendo in Ucraina sia una “guerra di liberazione nazionale” dall’invasore e per l’affermazione del “diritto di autodeterminazione” del Paese invaso; per cui, in alcuni casi esplicitamente e in altri meno, si chiede ai governi imperialisti (e a quello italiano per primo) di inviare armi alla “resistenza ucraina”.
Abbiamo già diffusamente criticato queste deliranti posizioni negli articoli richiamati (v. nota 1) e non vi ritorniamo. Ma ci interessa invece riprendere il tema della “guerra per procura” che tanto ha scandalizzato queste suffragette dell’imperialismo.
Che cos’è una guerra per procura?
Comprendiamo bene che, se introdotta da Lavrov, questa definizione possa infastidire i reggicoda dell’imperialismo: in fin dei conti, si tratta pur sempre del portavoce dell’aggressore che potrebbe avere interesse, per diminuire le responsabilità evidenti del proprio Paese, a dare la colpa del conflitto a quelli che egli ritiene essere i “mandanti” del proprio competitore diretto. Ma il fatto è che il concetto di cui andremo subito ad occuparci non è stato inventato da Lavrov, e neppure da chi scrive quando ha introdotto la caratterizzazione di guerra “per interposta nazione”. Senza voler risalire a Tucidide, che nella sua opera La guerra del Peloponneso, parlava dell’intervento di “mercenari” nel conflitto fra Sparta e Atene, o a Machiavelli che ne Il principe descriveva come inaffidabili gli eserciti mercenari e ausiliari, diciamo che le guerre per procura non sono affatto sconosciute, ad esempio, all’agenda della politica estera degli Stati Uniti da tempo immemore. Non a caso, il 34° presidente Usa, Dwight D. Eisenhower, nella 267ª Riunione del Consiglio di Sicurezza Nazionale svoltasi a Camp David, Maryland, il 21 novembre 1955, dichiarò che le guerre per procura sono «l’assicurazione più economica del mondo»[3].
Il motivo di tale affermazione è fin troppo evidente ed è la traduzione pratica della definizione teorica che ne diede il politologo Karl Deutsch, il quale definì le guerre per procura «un conflitto internazionale tra due potenze straniere, combattuto sul suolo di un Paese terzo, mascherato da conflitto su una questione interna di questo Paese, e usando parte del personale, delle risorse e del territorio di questo stesso Paese come mezzo per raggiungere obiettivi e strategie prevalentemente stranieri»[4].
Altrettanto esplicitamente altri studiosi la caratterizzano come «un confronto tra due grandi potenze che avviene attraverso l’uso di attori sostituti per evitare un confronto diretto»[5].
Più di recente, Andrew Mumford, docente di Politica e Relazioni internazionali presso l’Università di Nottingham, si è interessato al tema scrivendo una corposa monografia[6], in cui ha chiarito – ad esempio – che non è necessario che siano gli stessi Stati coinvolti a classificare un conflitto come intervento per procura. Anzi, molto spesso essi utilizzano locuzioni come “foreign internal assistance” (assistenza straniera interna) o “long‑range protection capabilities” (capacità di protezione a distanza) per mascherare il loro intervento dietro le quinte.
E per Mumford neppure è necessario che sia la comunità internazionale a caratterizzare una guerra come “guerra per procura”: non c’è bisogno di una formale definizione in tal senso perché la cosa più importante non è capire chi abbia chiesto a chi di intervenire (domanda del cliente allo Stato esterno o offerta dello Stato esterno al beneficiario), ma quanto la presenza di armi o denaro proveniente dall’esterno abbia condizionato o condizioni la dinamica del conflitto.
Sempre per quest’autore, le odierne guerre per procura, a differenza di quelle della Guerra Fredda, hanno acquisito una dimensione di coalizione in cui gruppi di Stati intervengono per procura in un conflitto indipendentemente da un trattato o un’alleanza, ma lo fanno informalmente, aiutando e assistendo a distanza un Paese surrogato. In questo quadro, le guerre per procura sono sempre “negabili” e comportano meno rischi per lo Stato sponsor.
La guerra per procura in Ucraina
Se dunque è questo il quadro teorico offerto dalla politologia e dallo studio delle relazioni internazionali, giova osservare l’applicazione dei principi appena enucleati alla situazione concreta che stiamo esaminando.
Il noto giornalista Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, non ha esitato a definire quella in atto una «guerra non troppo indiretta fra Washington e Mosca» che avrà come sbocco la definitiva separazione fra Nato e Federazione russa, «sia che in Ucraina prevalgano nel tempo gli americani via ucraini … o i russi …»[7]. E quest’espressione “americani via ucraini” rappresenta indubbiamente la traduzione giornalistica di quella di “guerra per procura”.
Si può poi discutere seriamente sulla sanità mentale del presidente degli Stati Uniti Joe Biden[8]; oppure si può ironizzare sui suoi atteggiamenti pubblici[9]. Ma è certamente indice proprio del conflitto con la Russia attraverso l’Ucraina, e non può essere considerata un’uscita estemporanea, la frase da lui pronunciata al termine del discorso tenuto a Varsavia il 26 marzo scorso, quando, riferendosi a Putin, ha detto «Per l’amor di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere», profilando così un cambio di regime in Russia[10]. Tanto è vero che la solitamente misurata BBC non ha mancato di evidenziare la pericolosità di una simile posizione e stigmatizzare fermamente l’intervento di Biden, segnalando che «c’è un confine tra condannare il leader di una nazione […] e chiedere la sua rimozione. Era una linea che sia gli americani che i sovietici rispettavano anche al culmine della Guerra Fredda. Ed è una linea che evidentemente Biden ha oltrepassato. Il “cambio di regime” è qualcosa che i Paesi potenti sono accusati di imporre a quelli più deboli, non ciò che una nazione dotata di armi nucleari richiede a un’altra [parimenti armata]»[11].
Ma mentre le nostre suffragette dell’imperialismo si trastullano col sostegno alla “resistenza” della nazione aggredita negando ogni ruolo dell’intervento delle potenze occidentali nel conflitto, è l’imperialismo stesso a non farsi il minimo scrupolo nel rivendicare il proprio coinvolgimento attraverso un “proxy”. Basterebbe leggere la stampa statunitense[12], oppure ascoltare un testimone d’eccezione come l’ex direttore della Cia, Leon Panetta, che senza peli sulla lingua ha dichiarato: «La realtà è che la Nato e gli Stati Uniti sono ora, senza dubbio, in una guerra per procura con la Russia»[13].
D’altro canto, quando sulla stampa degli Usa sono trapelate, sulla base di dichiarazioni di funzionari di Washington, notizie sull’assistenza da parte dell’intelligence statunitense alle forze armate ucraine che ha consentito l’individuazione e la liquidazione di obiettivi militari – generali russi che sono stati uccisi e l’ammiraglia della flotta di Putin, la Moskva, che è stata affondata – Biden è saltato su tutte le furie e ha convocato il direttore della Cia e il Segretario alla Difesa intimando loro di far cessare immediatamente questa sconsiderata fuga di notizie. Perché sconsiderata? Perché «lo sbalorditivo risultato di queste fughe di notizie è che suggeriscono che non siamo più in una guerra indiretta con la Russia, ma stiamo piuttosto andando verso una “guerra diretta”: e nessuno ha preparato il popolo americano o il Congresso per questo»[14].
E comunque, se come riferisce la BBC, dall’inizio dell’invasione di febbraio, gli Stati Uniti hanno stanziato 54 miliardi di dollari (per la quasi totalità in armamenti) in favore dell’Ucraina, davvero pare difficile negare – eccezion fatta per le nostrane suffragette dell’imperialismo – che quella in corso sia una proxy war: una guerra per procura.
Un movimento contro la guerra che poteva essere … e non è stato
Qualcuno potrebbe domandarci il perché di tanta puntigliosità per affermare questa caratterizzazione della guerra che si sta combattendo sul suolo ucraino.
Non si tratta certo di pedanteria accademica. Come abbiamo già avuto modo di spiegare nei testi pubblicati al riguardo su questo sito, cogliere il tratto dello scontro fra blocchi imperialisti, inquadrare il conflitto che si sta svolgendo sul terreno ucraino come una guerra fra Paesi imperialisti per un nuovo e diverso equilibrio geopolitico ed economico nella regione facendo cadere il velo di una presunta “guerra di liberazione nazionale” e sgombrando il campo da un supposto “diritto di autodeterminazione” violato, implica conseguentemente l’adozione di una politica di disfattismo rivoluzionario che è l’unica corretta che i marxisti dovrebbero adottare in questo frangente.
Chi si rifiuta di vedere dietro lo schermo della “guerra per procura” il conflitto fra i diversi attori imperialisti per l’affermazione di un blocco su un altro – e addirittura per una resa dei conti fra alleati in uno stesso campo (Usa da una parte contro Germania e Francia dall’altra) allo scopo di riaffermare una leadership decadente nell’ottica del futuro conflitto con un’altra potenza emergente (Cina) – non può che adottare la claudicante posizione di sostegno armato ad una fantomatica “resistenza popolare” che in realtà, al di là di qualche sparuto gruppo totalmente subordinato alle truppe del regime borghese di Zelens’kyj, non esiste. L’accorata (o in qualche caso sfumata) richiesta all’imperialismo di inviare armi in Ucraina si traduce perciò, non nel sostegno alla “resistenza”, ma nel pieno e incondizionato sostegno proprio all’imperialismo.
Coloro che praticano questa criminale politica accusano noialtri di essere disinteressati alle vite degli ucraini e di volerle sacrificare sotto i cingolati dei carri armati russi. È, al contrario, proprio la richiesta di armi all’Ucraina a condannare il suo popolo a morire per i biechi interessi degli imperialismi che si stanno contendendo quella terra: uomini, donne, vecchi e bambini continueranno ad essere massacrati, sì dalle armi russe, ma nel quadro dello scontro con armi statunitensi ed europee. Continueranno a morire, insomma, sacrificati in difesa degli interessi delle potenze occidentali e del regime nazionalista di Zelens’kyj, dell’espansionismo verso est della Nato e del contrapposto espansionismo verso ovest della Russia.
Se tutti noi, proletari di tutte le nazioni coinvolte, fossimo stati in grado di costruire internazionalmente un potente movimento contro la guerra praticando il disfattismo rivoluzionario in ognuno dei rispettivi Paesi, probabilmente oggi verseremmo in una situazione differente da quella di distruzione, morte, emigrazione e miseria che è sotto gli occhi del mondo. Ma lo spaventoso arretramento teorico della grande maggioranza della sinistra rivoluzionaria a livello planetario, l’inconsistenza politica e organizzativa di quelle che avrebbero dovuto essere le direzioni di un movimento operaio che proprio per questo oggi non vede più i propri interessi collimare con le idee del socialismo, hanno reso impossibile questo sbocco.
Per quanto ci riguarda – ed è una ben magra consolazione – noi che abbiamo tenuti saldi, sia pure da una posizione estremamente minoritaria, i principi dell’internazionalismo proletario, siamo consapevoli di avere la coscienza tranquilla. Certamente, quando sarà il momento, altri, coloro che sono capitolati all’imperialismo, non potranno dire lo stesso.
Note
[1] Si vedano quelli pubblicati qui, qui, qui, qui e qui.
[2] Non ci soffermeremo qui a criticare l’orientamento di alcuni che, interpretando in maniera meccanica il famoso saggio di Lenin “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo”, negano alla Russia tale carattere, addirittura (in alcuni casi) giungendo a definirla una “semicolonia” in considerazione del fatto che il livello della sua penetrazione economica non può essere paragonato a quello delle principali potenze occidentali. Basti solo semplicemente ricordare che lo stesso Lenin non si faceva scrupolo di qualificare “imperialista” la Russia zarista in un’epoca in cui questa non esportava neanche un copeco: «… un imperialismo molto più brutale, medioevale, economicamente arretrato, militare e burocratico» (V.I. Lenin, “Risultati della discussione sull’autodecisione”, in Opere, Edizioni Lotta comunista, vol. 22, p. 356).
[3] «The cheapest insurance in the world» (Foreign Relations Of The United States, 1955‑1957, Foreign Aid And Economic Defense Policy, Volume X, Document 9).
[4] K.W. Deutsch, “External Involvement in Internal War”, in H. Eckstein (curatore), Internal War, Problems and Approaches, Free Press of Glencoe, New York, 1964.
[5] Y. Bar‑Siman‑Tov, “The strategy of war by proxy”, Cooperation and Conflict, vol. 19, n. 4, 1984.
[6] A. Mumford, Proxy Warfare, Polity Press, 2013.
[7] “Così cambiano gli equilibri planetari. Biden spinge Mosca verso la Cina”, La Stampa, 11 aprile 2022.
[8] Sono molti gli articoli di stampa che hanno sollevato il tema: la maggioranza degli elettori statunitensi ritiene che il presidente sia privo delle sue facoltà mentali.
[9] Non si contano più ormai i meme e le battute su Biden.
[10] «For God’s sake, this man cannot remain in power» (“Transcript of President Biden’s remarks in Warsaw on March 26”, The Washington Post, 27 marzo 2022).
[11] “Why Biden’s off‑script remarks about Putin are so dangerous”, BBC News, 27 marzo 2022.
[12] «Il ruolo degli Usa è cambiato: da una risposta reattiva alla guerra ingiustificata della Russia, a un esercizio aggressivo della leadership e dell’influenza statunitense» (“Ukraine Is Now America’s War, Too”, The New Yorker, 1° maggio 2022).
[13] “With NATO and the US in a ‘proxy war’ with Russia, ex‑Cia boss Leon Panetta says Joe Biden’s next move is crucial” (ABC News, 25 marzo 2022).
[14] T.L. Friedman, “The War Is Getting More Dangerous for America, and Biden Knows It”, The New York Times, 6 maggio 2022.
[*] Con la collaborazione di Ernesto Russo nella ricerca delle fonti