La guerra ha sempre costituito, storicamente, un discrimine fra chi difende le idee del socialismo e dell’internazionalismo rivoluzionario e chi, invece, pur professandosi “socialista”, o cede all’opportunismo, trovandosi perciò dal lato del capitalismo imperialista; oppure, abbracciando una posizione “campista”, sceglie di sostenere quello fra i contendenti che sembra rispondere meglio alla sua visione di un mondo diviso in “blocchi”.
L’attuale guerra in Ucraina ha inequivocabilmente confermato questa legge storica, sicché il dibattito politico è pressoché completamente monopolizzato fra chi, capitolando alla propaganda delle potenze imperialiste occidentali e invocando una generica “pace”, considera l’attacco militare della Russia di Putin come un atto violento contro le “libertà democratiche” posto in essere da chi vuole aumentare il suo potere di ingerenza geopolitica allargando verso ovest i propri confini, e chi, invece, lo ritiene un puro atto di difesa della propria integrità geografica e politica dalla minaccia di espansione verso est del blocco Usa‑Ue‑Nato. Chi esprime la prima posizione incarna il prototipo del socialismo borghese, mentre chi postula la seconda è invariabilmente affetto da nostalgia stalino‑togliattiana.
Fuori da questo sterile e controproducente “dibattito” stanno i pochi marxisti rivoluzionari e internazionalisti conseguenti – tra i quali ci annoveriamo – che considerano quello in atto a spese della nazione ucraina uno scontro fra imperialismi: sicuramente di peso diverso fra loro, ma comunque tali. Siamo quelli che ritengono ancora valida la parola d’ordine su cui, di fronte al tradimento della socialdemocrazia allo scoppiare della Prima guerra mondiale (ne abbiamo parlato in questo testo), si produssero la rottura e l’embrionale costruzione che portarono poi alla Terza Internazionale. Quella parola d’ordine era: “Il nemico principale è in casa nostra!”.
E così è ancora oggi: nello scontro fra Usa‑Ue‑Nato da un lato e Russia dall’altro, il nemico principale per il proletariato di ogni nazione è il proprio capitalismo imperialista. E nel nostro caso, la lotta che la classe lavoratrice italiana deve condurre non è a rimorchio di Biden o di Putin, ma contro Draghi e il sistema di cui egli, col suo esecutivo, rappresenta l’espressione. Solo la sconfitta, politica e – perché no? – militare, del proprio Paese può costituire per i proletari di ogni nazione l’evento potenzialmente in grado di sviluppare una dinamica rivoluzionaria.
È con questo spirito, perciò, che pubblichiamo per estratto l’analisi di uno che la sapeva lunga a proposito della guerra e dell’atteggiamento che i veri socialisti debbono avere riguardo ad essa e agli Stati in contesa: Lenin. E lo facciamo soprattutto per smascherare quelli che, spacciandosi per socialisti, fingono di richiamarsi a Lenin per sostenere Putin, cioè proprio colui che ha apertamente dichiarato, nell’attaccare l’Ucraina, il proprio antileninismo.
Buona lettura.
La redazione
Il socialismo e la guerra[*]
Differenza fra guerra di aggressione e guerra di difesa
V.I. Lenin
Il periodo 1789‑1871 ha lasciato tracce e ricordi rivoluzionari profondi. Fino all’abolizione del feudalesimo, dell’assolutismo e dell’oppressione straniera, non si poteva nemmeno parlare di uno sviluppo della lotta proletaria per il socialismo. Quando parlavano di legittimità della guerra “difensiva”, a proposito delle guerre di tale epoca, i socialisti avevano presenti appunto sempre quegli scopi, cioè la rivoluzione contro il medioevo e contro la servitù della gleba. Per guerra “difensiva” i socialisti hanno sempre inteso una guerra “giusta” in questo senso (una volta W. Liebknecht si espresse appunto cosi). Soltanto in questo senso i socialisti hanno riconosciuto e riconoscono oggi la legittimità, il carattere progressivo e giusto della “difesa della patria” o della guerra “difensiva”». Per esempio, se domani il Marocco dichiarasse guerra alla Francia, l’India all’Inghilterra, la Persia o la Cina alla Russia, ecc., queste sarebbero delle guerre “giuste”, delle guerre “difensive” indipendentemente da chi avesse attaccato per primo, ed ogni socialista simpatizzerebbe per la vittoria degli Stati oppressi, soggetti e privi di diritti, contro le “grandi” potenze schiaviste che opprimono e depredano.
Ma immaginate che un padrone di cento schiavi guerreggi con un altro che ne possiede duecento per una più “giusta” ripartizione degli schiavi stessi. È chiaro che, in un simile caso, la qualifica di guerra “difensiva” o di “difesa della patria” costituirebbe una falsificazione storica e, in pratica, solo un inganno del popolo semplice, della piccola borghesia, della gente ignorante, da parte degli astuti padroni di schiavi. È proprio così che la borghesia imperialista del nostro tempo inganna i popoli, servendosi dell’ideologia “nazionale” e del concetto di difesa della patria nell’attuale guerra fra i padroni di schiavi, per il consolidamento ed il rafforzamento della schiavitù.
[*] Scritto nel luglio‑agosto 1915 e pubblicato sotto forma di opuscolo nell’autunno del 1915 nelle edizioni del giornale Sotsial‑Demokrat.