Chi segue la linea politica del nostro sito conosce l’opinione che abbiamo ripetutamente espresso a proposito di Cuba e del suo regime politico: nel Paese caraibico, per noi, il capitalismo è stato da tempo restaurato e il regime istituito dopo la rivoluzione del 1959 è ormai soltanto un lontano ricordo, rimpiazzato da una cupola burocratica che, dissimulata dietro le insegne di un sedicente Partito comunista, ne gestisce l’economia in associazione con i Paesi imperialisti.
Nondimeno, poiché il tema è particolarmente polemico, continuiamo a seguire gli eventi che si verificano a Cuba, come abbiamo fatto a proposito delle manifestazioni dell’11 luglio scorso e di quelle annunciate – ma poi abortite, a causa della repressione preventiva da parte del governo – del successivo 15 novembre.
In particolare, in questi due ultimi testi abbiamo esaminato anche le posizioni del gruppo della sinistra cubana denominato “Comunistas”, che abbiamo sottoposto a forte critica, a differenza del grosso delle organizzazioni trotskiste europee, statunitensi e latinoamericane, che hanno invece mostrato di apprezzarle. Ebbene, non solo riteniamo di non avere sbagliato nella nostra analisi a proposito di questo gruppo, ma addirittura l’articolo che vi presentiamo tradotto in italiano conferma il nostro giudizio. Si tratta di un testo pubblicato sul sito del gruppo “Comunistas”, scritto dalla giornalista e scrittrice marxista Lisbeth Moya González che è anche componente del suo Comitato editoriale. L’articolo avanza una forte critica alla repressione del dissenso politico a Cuba, a partire dalle diverse centinaia di arresti dopo i fatti dell’11 luglio, sfociate in decine di processi sommari con condanne a pene detentive anche di oltre 20 anni. E, benché non contenga un’analisi conseguente da un punto di vista marxista del governo cubano, il testo rappresenta in ogni caso un condivisibile atto d’accusa contro di esso. Eppure, in calce all’articolo fa bella mostra di sé la didascalia «Il testo rappresenta l’opinione personale dell’autrice», in perfetta consonanza con la linea editoriale espressa dal gruppo, per cui gli articoli non firmati dal Comitato editoriale non sono da esso condivisi.
Ciò non fa altro che confermare il giudizio da noi espresso su quest’organizzazione: se non si condivide una critica al governo cubano per la feroce repressione messa in atto (addirittura ai danni stessi di membri di “Comunistas”!), allora significa che – sia pure con qualche tiepida obiezione – si è oggettivamente dalla parte di quel governo e della sua politica repressiva. D’altro canto, che aspettarsi da un gruppo che nelle sue confuse ed eclettiche analisi si richiama a Trotsky insieme a … Fidel Castro? E cioè a colui che accolse a braccia aperte, ospitandolo a Cuba fino alla fine dei suoi giorni, proprio l’assassino di Trotsky dopo che Stalin lo ebbe decorato come “eroe dell’Unione Sovietica”?
Buona lettura.
La Redazione
Socialismo sì, repressione no!
Il caso del giovane artista cubano Abel Lescay
Lisbeth Moya González
Le manifestazioni dell’11 luglio hanno significato un grande cambiamento per Cuba. Per la prima volta, dal 1959, i cubani sono scesi in piazza a manifestare in diverse province del Paese per molte ragioni, ma soprattutto a causa del malcontento popolare generato dalla crisi economica e dalla gestione da parte della burocrazia.
Se è vero che le sanzioni del governo degli Stati Uniti hanno colpito l’economia, nell’analizzare Cuba non si può ignorare il fenomeno della burocrazia e della mancata partecipazione popolare alla politica. Il dissenso è duramente punito e il governo lo ha dimostrato l’11 luglio.
La reazione del governo all’11 luglio e a tutti i tipi di dissenso, anche da sinistra, è di bollare i cittadini come controrivoluzionari, persone politicamente confuse o “mercenari” pagati dal governo degli Stati Uniti.
Il fenomeno “Arcipelago” ne è stato un esempio. Si tratta di una piattaforma che, dopo gli eventi dell’11 luglio, ha cercato di stabilire un dialogo nazionale, al di là delle ideologie, e che ha convocato una marcia pacifica per il 15 novembre. Questo progetto politico ha intanto mostrato segni di svolta a destra attraverso proiezioni pubbliche e il posizionamento di alcuni dei suoi membri.
Ciò che è di per sé importante, nel caso di questa analisi, non è Arcipelago, ma il trattamento che il governo ha riservato a questo tipo di dissenso. Ancora una volta, i media sono stati usati senza diritto di replica per sminuire in tutti i modi i principali organizzatori e per provare a dimostrare i loro legami con il governo degli Stati Uniti. Il diniego di autorizzazione della marcia da parte del governo è stato motivato col fatto che il socialismo è costituzionalmente irrevocabile e che le intenzioni di quella protesta erano di rovesciarlo.
Ripudio
Tuttavia, una delle questioni più preoccupanti è che nel fine settimana in cui si sarebbe dovuta svolgere la marcia a Cuba è stato riproposto in maniera massiccia uno dei capitoli più bui della sua storia: sono tornati gli “atti di ripudio”, manifestazioni organizzate dal potere politico per colpire, con urla, insulti e ogni tipo di violenza verbale, lo spazio più privato dei dissidenti: la famiglia, la casa.
Immaginate di svegliarvi con una folla di persone davanti a casa vostra che vi urla “controrivoluzionario” e altro ancora, in una manifestazione politica organizzata davanti alla vostra porta, nel vostro quartiere, davanti ai vostri figli e genitori.
Questo è un atto di ripudio, qualcosa di comune e imbarazzante nella Cuba degli anni 80, di cui si è discusso molte volte, qualcosa di cui molti cubani si vergognano: e questo si è ripetuto oggi, sotto gli occhi dei social network di tutto il mondo.
In questo contesto, è importante che Cuba si stia aprendo alla liberalizzazione di un’economia centrata sullo Stato. L’ordinamento monetario, misura già annunciata per far fronte alla crisi, che già prima del Covid 19 era significativa, è arrivata in un momento di crisi economica e con dinamiche svantaggiose per le masse popolari. Si tratta, infatti, di una misura di segregazione economica, che ha portato i cubani alla disperazione a causa della mancanza di prodotti di base e dell’inflazione. La riforma ha eliminato il CUC – la “moneta forte” emergente che circolava a Cuba dal 1994, in pieno periodo speciale – per far posto alla Moneta Liberamente Convertibile (MLC), nonché a qualsiasi valuta internazionale fortemente quotata sul mercato nero.
Nell’annunciare il provvedimento di riordino economico, il ministro dell’Economia, Alejandro Gil, ha assicurato che, insieme ai negozi in MLC, nel resto dei negozi si sarebbe continuato a vendere ogni tipo di prodotti necessari in pesos cubani e che quei negozi in MLC avevano come scopo proprio quello di rastrellare valuta estera per rifornire il resto dei negozi in pesos cubani. Nella pratica ciò non è avvenuto. I negozi a cui hanno accesso i cubani che non hanno MLC sono vuoti e ogni giorno diminuiscono. Ottenere prodotti di base a Cuba è un’odissea e nonostante l’aumento dei salari, i soldi non bastano perché il processo inflazionistico è enorme.
Non stupisce quindi che, di fronte a una situazione del genere aggravata dal Covid-19, all’impossibilità del dissenso e della partecipazione popolare e alla narrazione politica ripetitiva che i dirigenti cubani usano in modo rozzo nei media per “legittimare” il processo rivoluzionario cubano, la gente sia scesa in piazza.
Insoddisfazione
A Cuba la parola “sinistra” è tabù. Una gran parte della popolazione considera come “socialismo” o “sinistra” la narrazione e le pratiche messe in atto dal governo. Si tratta di una popolazione insoddisfatta, con pochissima preparazione politica, poiché i piani di studio, sin dalla tenera età, sono incentrati sull’indottrinamento politico a vantaggio del potere, e non sullo sviluppo della conoscenza e del ragionamento in condizioni di libertà.
Non è un caso quindi che l’11 luglio la gente sia scesa in piazza. Non si trattava di mercenari, né di individui confusi. Quelle che manifestavano erano persone esauste che rispondevano a contraddizioni oggettive.
Quel giorno certamente anche una buona parte della destra è scese in piazza, ma a manifestare c’erano i lavoratori e gli emarginati, le persone che dovrebbero essere rappresentate dalla sinistra, le basi sociali che dovrebbero essere raggiunte dalla sinistra.
Quel giorno sono scesi in piazza anche i difensori del governo, giovani della cosiddetta “sinistra ufficiale”: persone per la maggior parte privilegiate dal sistema.
In mezzo al caos, è emersa la violenza da entrambe le parti. Si trattava di manifestanti disarmati contro tutti i corpi repressivi dello Stato e questi altri settori privilegiati o vecchi difensori acritici della rivoluzione cubana, armati di bastoni e spalleggiati dalla polizia.
Il governo cubano ha affrontato una grave crisi di governabilità e sarebbe ingiusto non tener conto in quest’analisi della diffusa propaganda anticomunista nordamericana che dai social network è penetrata in profondità nell’immaginario cubano. Ma le cause interne dell’esplosione sociale restano lì, latenti nell’evoluzione quotidiana delle donne e degli uomini cubani. Queste cause rimangono irrisolte e peggiorano ogni giorno, a causa di ciò che ha significato per i manifestanti e le loro famiglie l’11 luglio.
1271 arresti
Ad oggi, il gruppo di lavoro sugli arresti per motivi politici della piattaforma della società civile cubana “Justicia 11J” ha documentato 1271 arresti in relazione all’esplosione sociale dell’11 luglio. Di queste persone, almeno 659 sono ancora detenute. È stato accertato che 42 sono state condannate alla privazione della libertà in processi sommari e 8 in processi ordinari. Già si conoscono le richieste di condanna per 269 persone, che vanno da uno a trent’anni di carcere. Il reato di sedizione è stato utilizzato per condannare almeno 122 persone, secondo la piattaforma che si è occupata di contabilizzare e denunciare la situazione dei coinvolti, poiché non sono disponibili dati ufficiali.
L’11 luglio è stato il culmine della repressione del dissenso a Cuba. Storicamente, ci sono state sistematiche vessazioni da parte degli organi di sicurezza dello Stato nei confronti di coloro che dissentivano anche solo in parte dall’appartenenza politica; ci sono stati anche casi di espulsioni dai centri di studio o di lavoro per motivi ideologici e molti altri episodi simili. Tuttavia, l’11 luglio è stata scatenata la repressione fisica sui manifestanti.
È il caso del giovane musicista e poeta Abel Lescay, che dopo aver manifestato nella città di Bejucal è stato arrestato durante la notte a casa sua. Questo processo è particolare, perché Abel è stato portato nudo nella stazione di polizia e si è ammalato di Covid 19 durante la detenzione.
Abel era andato a manifestare come qualsiasi altro cittadino, non ha attentato ad alcuna proprietà e la Procura lo accusa di oltraggio alle autorità, oltraggio alle autorità aggravato e disordine pubblico, reati per i quali sono stati chiesti sette anni di carcere.
Inoltre, Lescay è uno studente dell’Istituto Superiore d’Arte (ISA) e potrebbe giocarsi la carriera se fosse condannato. Sarà processato il 5 e 6 dicembre nel tribunale provinciale di Mayabeque[1].
Diritto di protestare
Casi come questo stanno accadendo a Cuba in questi giorni, casi assurdi e inconcepibili. Quando parlo di questi temi con esponenti della sinistra in altri Paesi, ai miei interlocutori appare inaudito che si chiedano condanne simili per essere sceso in piazza esercitando il diritto di manifestare. «Se così fosse, staremmo tutti eternamente in prigione», mi ha detto un amico argentino.
Scrivo queste righe piena di paura, pur sapendo cosa significano quanto a ripercussioni per una militante della sinistra alternativa che vive e lavora a Cuba. Scrivo queste righe perché la principale dicotomia di un militante di sinistra a Cuba è avere chiaro chi ha di fronte e in quale contesto.
Sebbene noi socialisti abbiamo la missione di lottare contro l’imperialismo nel mondo, sebbene queste parole possano essere strumentalizzate con altre finalità, a Cuba non possiamo più tacere, perché si tratta della vita di molti. Si tratta del diritto di dissentire e di esistere con dignità.
Faccio appello ai militanti di sinistra di tutti i Paesi e a coloro che leggono questo testo a non esitare nell’indagare e a sostenere la causa dei prigionieri politici a Cuba. Invito alla solidarietà internazionale con Abel Lescay, perché solo così saremo ascoltati. La sinistra deve essere considerata come una nel mondo intero. Non possiamo pensare solo alla borghesia come un oppressore, anche la burocrazia opprime.
Non mi stancherò mai di dirlo: socialismo sì, repressione no.
(Traduzione di Valerio Torre)
Note
[1] In realtà, il processo è poi stato rinviato almeno al 2022 (Ndt).