Ricorre oggi l’81° anniversario dell’assassinio di León Trotsky (Janovka, Ucraina, 1879 – Coyoacán, Messico, 1940) per mano di un sicario stalinista.
Intendiamo commemorare la ricorrenza presentando, tradotto in italiano, un articolo originariamente uscito (28 novembre 2009) sul giornale ucraino Sévodnia e poi ripreso dalla pubblicazione francese Cahiers du Mouvement ouvrier (n. 45, gennaio‑marzo 2010), che evidenzia come «il testo, presentando Trotsky con simpatia, rivesta un indubbio interesse, dato che normalmente il combinato disposto fra lo stalinismo, l’antisemitismo e l’aggressivo nazionalismo ucraino sfocia in una visione ostile e caricaturale di Trotsky».
Buona lettura.
La redazione
Il “Leone” della rivoluzione venuto dalla steppa ucraina
Alexandra Passiouta
Sono già trascorsi alcuni mesi da quando il Paese dell’eminente rivoluzionario Lev (León) Trotsky è stato interessato da discussioni esclusivamente incentrate su questo compatriota. Dopo decine di anni di oblio e di odio, la storia del Paese ha conosciuto un dietrofront politico e nella sua città natale è stato deciso che quest’uomo meritasse l’intitolazione di una strada, un museo e anche un monumento. Si è cominciato da quest’ultimo. Una decisione del genere, in occasione dei 130 anni dalla nascita di Lev Trotsky, è stata presa dal soviet della città di Bobrynec’ (regione di Kirovohrad). «Il soviet lo ha deciso all’unanimità – racconta il sindaco Leonid Kravtchenko – ma non ci aspettavamo una tale eco in Ucraina e in Russia. I nazionalisti hanno cominciato ad accusarci di voler immortalare la memoria di un tiranno e di un assassino di milioni di uomini, mentre i comunisti hanno strepitato: “Come si può erigere una statua a un nemico del popolo?”. Noi abbiamo la nostra opinione: quest’uomo è conosciuto nel mondo intero come politico e scrittore di talento, attualmente ci sono milioni di suoi seguaci nel mondo, si studiano le sue opere nelle università. Ed è nostro compatriota».
A Bobrynec’ si spera anche che un’idea del genere possa attirare in questa regione turisti curiosi di visitare il luogo in cui nacque il rivoluzionario. In realtà, nel momento in cui ciò si verificava, non c’era alcuna ragione di visitare il villaggio di Janovka (oggi Bereslavka), dove appunto Trotsky era nato.
Il rifiuto della sinagoga
In questo villaggio in agonia di una cinquantina di abitanti, di cui il più giovane ha 57 anni, il passatempo preferito dai vecchi consiste nel lamentarsi, sotto l’effetto di un bicchierino di vodka grigia, del potere attuale ricordando come si viveva invece sotto il vecchio potere. Oppure, in discussioni sul compatriota che era all’origine di questo vecchio potere, quello sovietico. «Noi non abbiamo mai considerato Trotsky come un nemico del popolo – inizia il noto politico Alexandre Fedortchouk, di 72 anni – Certo, nessuno osava esprimere le sue opinioni, si aveva paura. Ma ogni famiglia conservava un qualche aneddoto legato a Leiba, e in nessuna di esse c’erano cattivi ricordi». Leiba nacque nella famiglia Bronstein proprio l’anno in cui questa si trasferì a Janovka. Quando il piccolo compì i cinque anni, suo padre era diventato uno dei più ricchi proprietari della regione.
Nella sua fattoria lavoravano stabilmente 19 contadini del villaggio di Janovka. Tutti i contadini apportavano il loro grano. David Bronstein fondò la sua piccola fabbrica di mattoni, lanciando la sua produzione con il marchio “B”. I contadini si ricordano dei racconti degli anziani: David Bronstein, padre di Trotsky, era un uomo molto violento e rude. Il figlio era di tutt’altra pasta: un giorno, venuto in vacanza dopo gli studi, si accorse che i lavoratori di suo padre mangiavano in un trogolo. Appena il giorno dopo, furono loro consegnate nuove stoviglie e posate. Per giunta, i piatti erano di porcellana. In seguito, dai Bronstein non si mangiò più in un trogolo. «Al bene le persone rispondono col bene – racconta la storica locale Nelia Samborska – Un giorno, tornato clandestinamente dalla frontiera dopo un abituale esilio, Leiba decise di sistemarsi nella proprietà di suo padre, ma venne denunciato e un distaccamento di poliziotti si mosse per arrestarlo. Allora gli abitanti del villaggio nascosero il giovane Trotsky sul fondo di un carretto ricoprendolo di letame e così riuscirono a portarlo fuori dalla proprietà».
Seduti su una panchina, gli anziani si ricordano una storia dopo l’altra, e in particolare a uno di loro la nonna aveva raccontato che Leiba, di appena cinque anni, si rifiutò di frequentare la sinagoga e corse dai cristiani per imparare ad intrecciare delle scarpe di paglia; e a un altro il nonno aveva detto che egli aveva insegnato a Trotsky a suonare il “sopilka” (un flauto del folklore ucraino: Ndt).
Salvatore dalla carestia
Comunque, quando tutto il Paese, su iniziativa del Commissario del popolo, passò dal “comunismo di guerra” alla Nep, nel suo villaggio natale, come in tutta l’Ucraina, cominciò la carestia. Su sua disposizione, i prodotti – sacchi di grano e di farina d’avena – venivano trasportati da Kirovohrad a Janovka. Così gli abitanti del villaggio furono salvati dalla carestia.
Oggi, all’indirizzo dove un tempo c’era la ricca proprietà dei Bronstein, c’è una steppa selvaggia battuta dalle tempeste e pianure nere. Solo un occhio acuto immaginerà dove si trovava la casa, la sinagoga e gli edifici dell’economia. «Hanno appositamente distrutto tutto perché nessuno potesse neppure ricordarsi dei Bronstein – si lamenta Fedortchouk – Per diverso tempo la casa era stata adibita a scuola, poi si decise di demolirla, era già parecchio vecchia». Gli abitanti del posto la demolirono, oggi in ogni “khata” (abitazione) di Bereslavka c’è un mattone con il marchio “B”. «Tutto è stato distrutto meticolosamente – sintetizza Samborska – e, se non ci fossero stati i ricordi degli anziani, si sarebbe potuto credere che a Janovka non era mai nato Leiba Bronstein».
Le sue “Memorie” sono state un best‑seller in America, ma nel suo paese natale sono state conosciute solo recentemente
Alla fine degli anni 20 del secolo scorso, Lev Trotsky iniziò a scrivere le sue Memorie. Dedicò due capitoli del suo libro La mia vita a Janovka. Innanzitutto, descrisse dettagliatamente la sua famiglia e i luoghi della sua infanzia, in cui aveva cominciato a conoscere il mondo. Dopo il suo assassinio, il libro divenne un best‑seller negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. In un solo anno ci furono due ristampe e si vendettero circa tre milioni di copie. Ciononostante, in Urss – dove tutto era accaduto – per far sì che il nome del rivoluzionario fosse dimenticato il libro apparve la prima volta solo negli anni 90. «È interessante notare – segnala la storica Nelia Samborska – come Lev Davidovič non abbia scritto nulla su coloro che vivevano a quell’epoca a Janovka. Probabilmente, temeva che potessero essere perseguitati. Nondimeno, sfortunatamente queste precauzioni non bastarono. Nel 1935, né a Janovka, né a Bobrynec’, restava una sola persona che fosse stata vicina alla famiglia Bronstein. Tutti erano stati soppressi».
Una parente allontanata dal suo lavoro
Non certo per ironia del destino, ma per il compiacimento del capo (Stalin), il Kolkoz situato nel villaggio di Bereslavka era stato a lui intitolato. Così, perfino nei dettagli, Stalin si era vendicato del suo nemico giurato. Negli anni 30 egli liquidò in maniera pianificata i “trotskisti” al Cremlino, a Mosca e in tutto il Paese, non dimenticandosi del minuscolo villaggio di Bereslavka. «Negli anni 30 – ricorda il più anziano abitante del villaggio, nonno Ivan, di 93 anni – lavorava nella scuola l’insegnante Katerina Gourenko. Mi ricordo di lei. I miei parenti dicevano a mezza voce che lei era imparentata con Trotsky e che avrebbe dovuto lasciare quel posto. Ma lei confidava nel potere sovietico, pensava sinceramente che il suo parente fosse un nemico del popolo e si rifiutava di credere di essere in pericolo. Un certo giorno, giunsero dalla città direttamente a scuola degli uomini che la presero nel bel mezzo della lezione». Quando cominciò la Seconda Guerra mondiale, nel Kolkoz intitolato a Stalin non restava nessun Bronstein. Gli abitanti del villaggio avevano paura di pronunciarne il nome persino in casa.
È curioso che a Janovka si sia appreso dell’assassinio del compatriota in Messico soltanto cinque anni dopo. La notizia circolò nel villaggio dopo la guerra grazie ad alcuni soldati rientrati dal fronte.
Una leggenda: per una tomba distrutta pagarono con la vita
Ad appena un chilometro da Bereslavka, in mezzo a pianure nere, c’è un’isola di terra bruna, vergine, coperta di rovi. «È il vecchio cimitero ebraico, o meglio tutto ciò che ne resta – spiega la nostra guida del villaggio – Da qualche parte qui intorno bisognerebbe cercare una tomba con un’enorme lapide di marmo con inciso l’epitaffio Anna Bronstein, la madre di Trotsky». E proprio a questa tomba nel villaggio è legata una delle leggende locali fra le più sinistre. Gli abitanti raccontano che negli anni 60 il cimitero era già stato demolito e che solo la tomba di questa donna, con la sua grande lapide di marmo, era stata risparmiata. «Ma le voci secondo cui il vecchio Bronstein aveva lasciato vicino alla salma della sua amata moglie dei gioielli d’oro e un oggetto d’argento non tennero certo lontani diversi avventurieri nella nostra campagna – ricorda nonno Alexandre Grigorievič – Ed ecco che un giorno due trattoristi agganciarono la lapide al trattore, la divelsero e penetrarono nella tomba. Dissero di aver trovato l’oro. Ma la scoperta non portò loro fortuna: proprio nel medesimo mese, uno dei due finì sotto le ruote del trattore e morì durante il trasporto in ospedale; l’altro morì nel corso dello stesso autunno. La sua abitazione, in cui c’erano la moglie e i figli, aveva preso fuoco. Lui si precipitò per salvarli, ma non poté più uscire dalla casa in fiamme e rimase schiacciato sotto una trave che gli era caduta addosso. Nel villaggio si dice che queste morti siano legate al saccheggio della tomba dei Bronstein». Dopo questi fatti, chi passa a bordo di un trattore nel luogo dove c’era il cimitero lo aggira accuratamente e nessuno si è più deciso a toccare l’enorme lapide di marmo con il nome di Anna Bronstein. In realtà, trovarla non è semplice. «Fra un paio d’anni – si lamentano gli abitanti di Bereslavka – non si troverà più nulla. Poco tempo fa erano venuti qui con una jeep delle persone a nome di un uomo molto ricco. Hanno fotografato tutto, hanno promesso che avrebbero fatto restaurare la lapide a Kiev, ma fino ad ora non se ne è saputo più niente».
(Traduzione di Andrea Di Benedetto)