Alla guerra scatenata dal padronato rispondiamo con la guerra sociale!
Lo sblocco dei licenziamenti apre una nuova fase
Valerio Torre
Una ricostruzione fantastica alla prova della verità
Il 30 giugno scorso, il quotidiano della sinistra collaborazionista e piccolo‑borghese, il manifesto, che abusivamente si fregia nella testatina dell’appellativo “quotidiano comunista”, commentava l’intesa raggiunta fra governo, padronato e sindacati a proposito della fine del periodo di blocco dei licenziamenti con un articolo dal titolo “Così i sindacati hanno piegato Confindustria”, a firma Massimo Franchi.
Se non fosse stato scritto a margine della vera e propria tragedia sociale che si sta profilando, questo testo potrebbe fungere da copione per uno di quei film di fantascienza di bassa lega che perfino i cinema di periferia si rifiutano di proiettare, tanto sono brutti e poco credibili. E infatti, il suo autore si è prodigato nella costruzione di una “realtà” talmente fasulla che verrebbe da chiedersi quali sostanze egli abbia assunto prima di accingersi a comporlo. Vi è descritto un Landini talmente agguerrito («Non andremo solo ad ascoltare» è l’urlo di battaglia che gli viene attribuito) da aver messo in un angolo un inerme Mario Draghi: il quale, consapevole di essere stato sconfitto su tutta la linea, avrebbe tentato di ridurre alla ragione il «recalcitrante» (così viene definito) patron di Confindustria, Carlo Bonomi, riuscendovi con non poca fatica e solo dopo avergli fatto comprendere che soltanto una resa onorevole avrebbe potuto limitare i danni.
E così sarebbe stato firmato un armistizio che, nella improbabile prosa del giornalista Massimo Franchi, avrebbe sancito la disfatta padronale, un armistizio al quale sarebbe stato dato l’altisonante nome di “avviso comune”.
Molto più sobria, invece, ma soprattutto realistica, è stata la ricostruzione del quotidiano dei padroni, Il Sole 24 Ore, che con un testo asciutto ha raccontato che il famoso “avviso comune” altro non è che una “raccomandazione” rivolta agli industriali perché, se proprio “costretti” a licenziare, utilizzino almeno gli ammortizzatori sociali. In pratica, i sindacati si “raccomandano” agli imprenditori alla stessa maniera in cui il condannato a morte “raccomanda” la propria anima a dio. E pare esserne consapevole perfino Massimo Franchi nel passaggio del suo testo in cui, riuscendo a tenere a bada la sua fervida fantasia, è stato costretto ad ammettere a denti stretti che sì, l’avviso comune non ha «valore coercitivo, se un’azienda non lo rispetterà e licenzierà i suoi lavoratori invece di usare strumenti alternativi non potrà essere sanzionata».
Dalle (vuote) parole ai fatti
Ebbene, quasi come se fossero stati illuminati da quest’ultimo passo, gli industriali hanno deciso senza perder tempo di passare ai fatti: come un branco di belve affamate dopo lungo digiuno, con la bava alla bocca hanno immediatamente messo mano ai licenziamenti. Dopo soli tre giorni dalla firma dello “storico” avviso comune, il 3 luglio sono stati licenziati con una laconica mail 152 operai della Gianetti Fad Wheel di Ceriano Laghetto (Monza); cinque giorni dopo, l’8 luglio, sono stati licenziati 12 lavoratori della Shiloh Industries Italia di Verrès (Aosta); il giorno successivo, il 9 luglio, la GKN di Campi Bisenzio (Firenze) ha aperto la procedura di licenziamento collettivo nei confronti di tutti i 422 lavoratori (355 operai e 67 impiegati), a cui vanno aggiunti 16 quadri e 4 dirigenti. E siamo solo all’inizio.
Naturalmente, subito si sono rincorse le pelose e impotenti dichiarazioni degli esponenti della politica borghese e dei sindacati gialli, tutti politicamente e socialmente responsabili di una situazione che oggi emerge in tutta la sua drammaticità, ma che affonda le proprie radici in decenni di controriforme che hanno pressoché azzerato le conquiste del movimento operaio. E tanto sono impotenti quelle parole, che sono state immediatamente liquidate con sprezzante altezzosità da Carlo Bonomi, il presunto sconfitto nella fasulla ricostruzione de il manifesto, il quale ha dichiarato: «Le aziende che stanno procedendo a chiusure potevano licenziare anche prima. Chi vuole strumentalmente utilizzare questi argomenti vuole solo fare polemica».
L’attacco padronale non può restare senza risposta
È evidente ormai che i padroni hanno scatenato una guerra senza esclusione di colpi contro il proletariato: licenziamenti collettivi, repressione e indagini giudiziarie ai danni del sindacalismo combattivo[1], assassinio di delegati sindacali.
All’attacco padronale va data una risposta, che non può ovviamente essere quella di fare affidamento sulla politica borghese e sui sindacati di regime che hanno regalato, più che svenduto, i diritti dei lavoratori alla borghesia. Deve essere una risposta adeguata al livello dello scontro.
Alla guerra sociale scatenata in nome del profitto, il proletariato deve rispondere scatenando la guerra sociale contro il profitto, occupando immediatamente le fabbriche, costituendo in ogni luogo di lavoro comitati di sciopero che, coordinandosi tra loro e unendo tutte le lotte oggi divise, proclamino infine lo sciopero generale politico ad oltranza contro il padronato e contro il governo che ne rappresenta la facciata istituzionale.
Parafrasando lo slogan delle rivolte nere negli Stati Uniti, dobbiamo proclamare: “Le vite dei lavoratori contano!”. Dobbiamo spezzare l’assedio che il capitalismo ci impone e dobbiamo rovesciare i rapporti di forza.
Per farlo, dobbiamo dare l’assalto alla cittadella del profitto, che è il cuore pulsante del regime capitalista, e possiamo farlo solo paralizzando il sistema economico che lo sorregge.
Nessuna fiducia nelle direzioni burocratiche dei sindacati di regime!
Nessuna fiducia nei partiti della borghesia, di qualsiasi colore politico!
Nessuna fabbrica, nessun luogo di lavoro deve più restare sotto il controllo dei padroni!
Occupazione delle fabbriche!
Sciopero generale politico ad oltranza contro padronato e governo!
Note
[1] Di cui abbiamo dato conto in alcuni articoli su questo stesso sito (qui, qui e qui) e a cui va aggiunto l’ultimo episodio in ordine di tempo, e cioè il foglio di via a carico del sindacalista del S.I. Cobas, Eduardo Sorge, al quale va tutta la nostra solidarietà militante.