“Comunisti” che raccontano frottole
Ovvero, l’improbabile storia del voto dell’Italia a favore dell’embargo a Cuba
Valerio Torre
Quando, nei mesi di marzo e aprile 2020, due brigate di medici cubani giunsero in Lombardia e Piemonte per coadiuvare i nostri sanitari nell’affrontare la terribile prima ondata della pandemia da Covid‑19, sui social media alte si levarono le esternazioni di giubilo dei campisti e degli stalino‑togliattiani. A loro dire, pareva quasi che i medici inviati da Cuba fossero venuti da noi per debellare il virus SARS‑CoV‑2 inoculando al suo posto negli italiani … il “virus del socialismo”. Ecco – si leggeva – guardate l’esempio di un Paese socialista che corre ad aiutare un Paese imperialista in difficoltà. E in questi trionfanti giudizi c’era non solo orgoglio politico, ma anche fierezza etica.
Dal canto nostro, abituati a non gonfiarci il petto così facilmente – e ritenendo, al contrario, che da molto tempo Cuba non sia più uno Stato socialista (quantunque deformato) bensì un Paese in cui il capitalismo è stato restaurato[1] – abbiamo considerato che la “generosa” offerta di collaborazione sanitaria del governo cubano rientrasse invece nella politica estera che da decenni la Isla pratica, esportando a pagamento servizi di medicina, generale e specialistica.
È chiaro che con questo non intendiamo esprimere alcun giudizio “morale”: in un sistema capitalistico globalizzato, un Paese capitalista (qual è Cuba) vende sul mercato internazionale la merce di cui dispone e che lo caratterizza. Meglio ancora se di alta qualità: c’è chi vende petrolio, chi oro, chi diamanti, rame, stagno, ecc. E Cuba, che oltre allo zucchero di canna e al turismo non ha granché da proporre, vende invece un servizio che, oggettivamente (perché residuo della rivoluzione e dei suoi cambiamenti sociali[2]), è di altissima qualità: quello sanitario[3].
La “merce” che Cuba vende
Questa “merce” rappresenta per lo Stato cubano la colonna vertebrale del proprio bilancio ed è uno dei settori di punta dell’economia[4], sotto la voce “esportazione di servizi”. L’ultimo dato ufficiale reso disponibile dalla Oficina Nacional de Estadística e Información (l’equivalente del nostro Istat) mostra che nel 2018 l’esportazione di servizi sanitari ha fruttato al Paese la bellezza di 6,91 miliardi di dollari; mentre, fra il 2011 e il 2015 la media annuale delle entrate a questo titolo è stata di 11,54 miliardi di dollari[5]: una enormità rispetto all’esportazione di beni, che nel 2017 ha prodotto entrate solo per 1,5 miliardi di dollari. Nel 2019, questa voce ha rappresentato il 46% delle esportazioni cubane e il 19,9% del Pil dell’isola[6]. Un anno fa, i medici cubani impegnati in diverse missioni all’estero (59 Paesi) erano oltre 30.000, ma in passato se ne contavano più di 50.000. Basti pensare che solo quelli inviati in Brasile (prima che il nuovo presidente, Bolsonaro, ponesse fine al programma “Más médicos”) furono 11.000.
Per questa esportazione di servizi, il Paese beneficiario paga allo Stato cubano la cifra convenuta[7] e il governo dell’isola retribuisce il proprio personale in missione con una quota che solo dopo una serie di proteste è arrivata al 25%. Ad esempio, a fronte degli oltre 4000 dollari al mese versati a Cuba dal Brasile per ognuno degli 11.000 medici lì inviati, questi ultimi percepivano inizialmente circa 400 dollari al mese[8], e solo dopo diverse manifestazioni è stato loro riconosciuto un salario mensile di circa 1300 dollari nel 2013 (cifra scesa poi a poco più di 900 dollari nel 2017)[9].
Però, per far fronte al fenomeno dei “medici disertori” (cioè quelli che non fanno ritorno a Cuba per restare nel Paese in cui erano stati destinati) il governo cubano versa il loro salario in conti basati nella Isla, impedisce che i sanitari portino con sé i propri familiari, pretende che all’arrivo nella destinazione di missione i medici consegnino i propri passaporti a un funzionario accompagnatore; e, soprattutto, sanziona con il divieto di ritorno in patria per otto anni i “disertori”[10].
Il voto dell’Italia al Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu
E veniamo ai giorni nostri.
Dopo un anno dalla venuta in Italia della brigata di medici cubani (a cui non può che andare, ovviamente, tutta la nostra gratitudine), è accaduto un fatto che ha dato voce a quegli stessi settori di sinistra che ne avevano salutato entusiasticamente l’arrivo. E, questa volta, una voce di segno opposto.
Abbiamo letto infatti su diversi siti di informazione[11] urla e strepiti contro un supposto voto dell’Italia in sede Onu contro la fine delle sanzioni a Cuba.
Perbacco! – si è scritto – Quanta ingratitudine da parte di un Paese imperialista nei confronti di quello socialista che, dimentico delle differenze di regime, è corso in suo aiuto! Ecco: questa è la differenza fra il socialismo e il capitalismo! Una differenza perfino morale! VERGOGNA!
Ma come stanno realmente le cose? Davvero l’Italia è favorevole all’embargo contro Cuba? Davvero ha votato per il suo mantenimento?
Come sempre accade con i cascami dello stalinismo, imbastendo e apparecchiando per bene una notizia falsa la si può far apparire per quello che non è: cioè, una notizia vera. Se a questo si aggiunge la velocità con cui essa viene fatta circolare in rete, e in questo caso anche il sentimento di commozione per le decine di migliaia di morti che ci sono state nel nostro Paese per la pandemia, la riprovazione per un comportamento che viene in tal modo messo all’indice non trova più ostacoli: in questa narrazione l’Italia diventa a dir poco uno Stato irriconoscente.
E invece le cose non stanno così.
Giova premettere che, a partire dal 1992, anno in cui fu presentato all’Assemblea generale dell’Onu, nella 47ª sessione plenaria un progetto di risoluzione che condannava l’embargo imposto dagli Stati Uniti a Cuba, l’Italia non ha mai votato contro[12]. Da allora, ad ogni sessione plenaria la risoluzione è stata presentata e approvata con un numero sempre crescente di voti negli anni. Solo per restare agli ultimi tre in cui il tema è stato discusso in sessione plenaria, il risultato delle votazioni è stato il seguente.
- 2017: 191 voti a favore, 2 contro (Usa e Israele), nessuna astensione.
- 2018: 189 voti a favore, 2 contro (Usa e Israele), nessuna astensione. Due assenti (Ucraina e Moldavia).
- 2019: 187 voti a favore, 3 contro (Usa, Israele e Brasile), 2 astenuti (Colombia e Ucraina). La Moldavia non ha partecipato al voto.
Dunque, in sede di Assemblea generale delle Nazioni Unite l’Italia non si è mai espressa in favore dell’embargo a Cuba.
E invece – e questo ha scatenato le ire dei campisti e degli stalino‑togliattiani – durante la sessione dei lavori del Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu, tenutasi dal 22 febbraio al 24 marzo 2021, l’Italia (insieme ad altri Paesi) ha votato contro una risoluzione presentata da Cina, Azerbaigian e Stato palestinese sulle ripercussioni di sanzioni economiche unilaterali (non precisamente quelle contro Cuba, ma in generale) sul godimento dei diritti umani. Nonostante i voti contrari, la risoluzione è comunque passata.
Come può facilmente arguirsi dalla lettura del testo, in nessuna parte si fa riferimento all’embargo imposto dagli Stati Uniti contro Cuba. Anzi, in nessuna parte del documento si fa affatto riferimento all’embargo in generale. Il progetto di risoluzione approvato riguarda astrattamente e genericamente l’incidenza che sanzioni economiche unilateralmente imposte possono avere sul godimento dei diritti umani.
Con il suo voto contrario, la rappresentanza italiana in sede di Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu[13] ha espresso la convinzione che sanzioni economiche non influiscono sul godimento dei diritti umani nei Paesi che ne vengono colpiti. Cuba e l’embargo impostole dagli Usa non c’entrano assolutamente nulla, e ad essi non c’è alcun riferimento nella risoluzione approvata. Dunque, è falso sostenere che l’Italia abbia votato per il mantenimento del bloqueo a Cuba.
Altrimenti, i settori di sinistra nostrani che stanno gridando allo scandalo propalando una notizia falsa dovrebbero, se vogliono restare fedeli a questa fasulla ricostruzione, difendere anche l’Egitto del dittatore Al‑Sisi (che anch’esso è sottoposto a sanzioni, come risulta dal sito del Dipartimento del Tesoro italiano), sostenendo perciò che l’imposizione di misure restrittive a questo Paese influisce sui diritti umani dei suoi abitanti: e dovrebbero quindi paradossalmente affermare che il povero Giulio Regeni è morto non perché torturato e assassinato dagli sgherri di quel regime, ma per colpa delle sanzioni. E così pure, la sorte del povero Patrick Zaki – e delle migliaia di prigionieri politici rinchiusi nelle segrete egiziane – dovrebbe essere messa in relazione alle misure finanziarie e commerciali imposte all’Egitto che non permetterebbero la fruizione dei diritti umani, e non già alla feroce dittatura lì insediata.
E potremmo continuare riferendoci, per esempio, alla Cina, all’Iran, alla Siria, alla Russia, agli Stati arabi in cui vige la sharia, e a Cuba stessa: tutti Paesi in cui alla dissidenza politica e sociale è riservato un trattamento altamente repressivo (in alcuni casi perfino con condanne a morte) e in cui parlare di diritti umani è come parlare dell’esistenza dell’unicorno.
“Diritti umani” nel capitalismo?
Tutto quanto abbiamo detto finora, ovviamente, non può essere interpretato come una giustificazione del voto dell’Italia in seno al Consiglio per i Diritti Umani. Non è assolutamente nostra intenzione difendere la politica estera dell’imperialista nazione italiana. Al contrario. Abbiamo sempre ben presente l’insegnamento di Karl Liebknecht: «Der Hauptfeind steht im eigenen Land!» («Il nemico principale è in casa nostra!»). Però, prima di passare a trarre le conclusioni di questo scritto, occorre fare alcune precisazioni.
Per noi, a differenza di questi scandalizzati “compagni”, vale ancora la sobria definizione che Lenin dava della Società delle Nazioni (antesignana dell’attuale Organizzazione delle Nazioni Unite), chiamandola “covo di briganti”. Ecco, noi continuiamo a definire allo stesso modo l’Onu e tutti i suoi organismi, compreso quel Consiglio in cui si è votata la risoluzione della quale ci stiamo occupando: sicché, una discussione sui diritti umani che avvenga sulla base di astratte petizioni di principio e senza che sia messo in discussione il sistema globale che li comprime fino a sopprimerli (un sistema che anche a Cuba è adottato, come abbiamo indicato nella nota 1), è una discussione che può appassionare solo chi ripone fiducia in quel “covo di briganti”.
Noi riteniamo che i diritti umani non siano inficiati da sanzioni unilateralmente imposte, ma dal sistema capitalista che vige tanto nei Paesi retti da una dittatura (compresa la stessa Cuba), quanto in quelli formalmente “democratici” (come la stessa Italia). Certo, delle misure finanziarie e commerciali emanate da uno Stato contro un altro possono sicuramente contribuire all’impoverimento delle classi popolari; ma i “diritti umani” di quelle classi vengono negati dai regimi (dittatoriali o democratici) che le governano in forza del sistema di dominio capitalistico adottato, e non già a causa delle sanzioni che vengono loro comminate.
Ora, però, occorre riprendere un argomento cui abbiamo già accennato, e cioè quello del voto dell’Italia in sede di Assemblea generale dell’Onu sulle risoluzioni di condanna dell’embargo a Cuba che dal 1992 ogni anno vengono presentate.
Come abbiamo detto, l’Italia non ha mai votato in quella sede per il mantenimento del bloqueo. E allora, come si spiega – una volta ribadito che nella risoluzione in sede di Consiglio per i Diritti Umani non era minimamente trattato il tema delle sanzioni a Cuba – il comportamento dell’Italia? Si tratta forse di un contegno contraddittorio?
La “contraddizione” è soltanto apparente, e solo chi rifugge da un’analisi marxista della realtà può “scandalizzarsi” come stanno facendo quei settori della sinistra nostrana che stiamo criticando.
E la risposta a questa apparente contraddizione sta in un detto popolare: “è il capitalismo, bellezza!”.
In sede di Assemblea generale dell’Onu, votando a favore della risoluzione che condanna l’embargo a Cuba, l’Italia si è ritagliata negli anni una nicchia importante di commercio estero con la Isla, tanto da diventare uno dei suoi più importanti partner commerciali al mondo[14]. Mentre Cuba restaurava il capitalismo[15], e perciò apriva al commercio internazionale il proprio mercato, l’Italia insieme a Spagna, Canada e altri Paesi imperialisti, coglieva una grande opportunità di espansione sul nuovo mercato cubano.
In sede di Consiglio per i Diritti Umani, invece, dove si parla di questioni astratte e non della “ciccia” capitalistica, l’Italia, come altri Paesi imperialisti (Germania, Giappone, Paesi Bassi, ecc.), ha votato contro la risoluzione che legava i diritti umani alle sanzioni unilateralmente imposte perché sa benissimo che non c’è quel legame; e che quand’anche uno Stato come gli Usa – in ossequio alla propria teoria unilateralista delle relazioni mondiali – impone sanzioni ad altri Stati, ciò non impedisce all’Italia stessa, così come all’Unione Europea, di “sganciarsi” economicamente dal proprio storico alleato atlantico e fare affari con i Paesi sanzionati, indipendentemente e contro quelle sanzioni. Non è forse quel che accade, tra gli altri, con Cina, Russia, o Iran, con i quali l’Italia commercia tranquillamente, disinteressandosi del tutto delle misure inflitte dagli Stati Uniti d’America?
E allora, lasciamo volentieri ai campisti di ogni sorta, agli stalinisti, ai togliattiani, lo sterile esercizio di appassionarsi alle vicende di un “covo di briganti” che discute di questioni astratte. Lasciamo loro il “privilegio” di gonfiarsi il petto d’orgoglio per Paesi capitalisti come la Cina che presentano inutili risoluzioni mentre continuano a reprimere le proprie classi lavoratrici, e per altri Paesi capitalisti, come Cuba, che hanno tradito la rivoluzione con cui avevano sovvertito un sistema nelle cui braccia ora sono tornati. E lasciamo loro anche l’esclusiva di leggere la realtà con le lenti sfocate delle loro analisi sovrastrutturali, invece che attraverso quelle del marxismo.
Cediamo loro il passo in questo senso. Ma non possiamo esimerci dallo sbugiardarli.
Note
[1] Ne abbiamo parlato in questo testo. Dall’epoca in cui l’abbiamo scritto, il governo cubano ha sviluppato e applicato riforme che hanno ulteriormente confermato le nostre conclusioni: le ultime in ordine di tempo sono entrate in vigore lo scorso 1° gennaio e sono compendiate in un provvedimento che si chiama “Tarea Ordenamiento”, sul cui impatto ci riserviamo di tornare in un prossimo articolo.
[2] Cambiamenti che, proprio in funzione della restaurazione del capitalismo, si stanno progressivamente perdendo. Il rinomato economista cubano Carmelo Mesa‑Lago ha segnalato, in uno studio sull’economia cubana fra il 2007 e il 2017, che gli enormi progressi che la Rivoluzione aveva portato con l’adozione di un sistema sanitario universale e gratuito si stanno via via dissipando attraverso chiusure di ospedali nelle zone periferiche e tagli generalizzati di posti letto, mancata manutenzione delle strutture rimaste e deterioramento degli equipaggiamenti sanitari, eliminazione delle prestazioni sanitarie più costose, scarsità di medicinali.
[3] Il pregio delle cure mediche prestate dalle brigate sanitarie cubane è stato riconosciuto perfino dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che nel 2017 le ha insignite del “Premio di Salute Pubblica in Memoria del Dr. Lee Jong-wook”.
[4] Addirittura più del commercio della canna da zucchero e addirittura del turismo.
[5] Dati citati da El Nuevo Herald del 11/5/2018, che li ha ripresi dal sito ufficiale Cubadebate. Nel 2017 le entrate ammontavano a 9,63 miliardi di dollari.
[6] Come emerge dallo studio di L. Galeano Zaldívar e A. Esquenazi Borrego, “El sistema de salud cubano: una mirada a su forma de financiamiento”, Economía y Desarrollo, vol. 162, n. 2, 2019.
[7] In alcuni casi il pagamento è a carico dell’Organizzazione Panamericana della Sanità o dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
[8] Una cifra comunque di gran lunga superiore a quanto guadagna un medico che lavora a Cuba, che all’epoca percepiva un salario medio fra i 25 e i 41 dollari al mese!
[9] Il giornale The Guardian riferisce di un accordo riservato fra Cuba e Qatar in virtù del quale quest’ultimo Paese pagherebbe al governo cubano una cifra oscillante fra 5000 e 10.000 dollari al mese per ciascun sanitario della brigata medica: a ognuno di essi andrebbe invece un salario pari al 10%.
[10] Per approfondire il tema dei “medici disertori” rinviamo alla pagina web No somos desertores.
[11] Ne citiamo solo un paio, vista l’uniformità dell’analisi in essi avanzata: per esempio, L’Antidiplomatico e Contropiano.
[12] Qui i dati delle votazioni nelle Assemblee generali Onu dal 1992 ad oggi.
[13] Va ricordato che i seggi nel Consiglio sono a rotazione e la carica per ogni Paese membro dura tre anni (l’Italia è in carica fino alla fine del 2021); e che attualmente nell’organismo sono rappresentati Stati che non possono certo essere definiti campioni nel rispetto dei diritti umani (ad esempio, Cina, Libia, Filippine, Polonia, Russia, Somalia, Sudan, Venezuela).
[14] L’Italia è il secondo partner europeo dopo la Spagna. Nel 2017 le esportazioni italiane verso Cuba sono state di 388 milioni di dollari, cui si sommano circa 20 milioni di dollari di importazioni. Nel 2018 l’Italia ha esportato merci e servizi per 275,97 milioni di dollari; nel 2019 per 294,92. Negli stessi anni, l’import ha registrato rispettivamente 14,15 e 15,41 milioni di dollari.
[15] V. il testo indicato alla nota 1.