Presentiamo ai nostri lettori l’interessante e documentatissimo saggio di Daniel Gaido e Constanza Bosch Alessio che dà conto del dibattito sviluppatosi sulle colonne della rivista Science & Society a proposito del libro, scritto dallo stesso Gaido insieme a Richard B. Day, in cui i due studiosi avevano ricostruito le origini della teoria della rivoluzione permanente, che, prima di essere sviluppata e sistematizzata da León Trotsky, era stata studiata e rielaborata, proprio a partire dalla sua enunciazione ad opera di Marx ed Engels nel 1850, da altri teorici marxisti, i quali ne avevano applicato i principi alla Rivoluzione del 1905: quest’ultima – che rappresentò il primo tassello del processo rivoluzionario che portò al potere il movimento operaio russo nell’ottobre del 1917 – può così essere meglio interpretata e compresa.
Ringraziamo gli autori del saggio, e in particolare il compagno Daniel Gaido, per averci consentito di pubblicare, tradotto in italiano, questo importante saggio.
Buona lettura.
La redazione
La Rivoluzione russa del 1905 e la teoria della rivoluzione permanente
Un dibattito storiografico recente
Daniel Gaido e Constanza Bosch Alessio
Premessa
La rivista statunitense Science & Society ha pubblicato nel numero di luglio 2013 (vol. 77, n. 3), un dibattito sul libro Witnesses to Permanent Revolution: The Documentary Record, (Brill, 2009), pubblicato da Richard B. Day e Daniel Gaido. A questo dibattito hanno partecipato lo storico Lars Lih (autore di Lenin Rediscovered: What Is to Be Done? in Context, Brill, 2006), John Marot (The October Revolution in Prospect and Retrospect, Brill, 2012) e Alan Shandro (Laurentian University del Canada). La critica di Lars Lih a Witnesses to Permanent Revolution si intitola “Democratic Revolution in Permanenz” e sostiene che la tesi del libro, secondo cui le idee fondamentali della teoria di Trotsky sulla “rivoluzione permanente” furono condivise da altri socialdemocratici tedeschi e russi, è erronea. Secondo Lih, in realtà, i documenti inclusi in Witnesses mostrano che questi scrittori non utilizzarono l’espressione “rivoluzione permanente” nello stesso senso di Trotsky, cioè per connettere i compiti democratici e socialisti, bensì per congiungere episodi entro il processo di rivoluzione democratica. Lih sostiene che, ad eccezione di Trotsky, gli altri autori compresi nel libro (Karl Kautsky, Franz Mehring, Parvus, Rosa Luxemburg e David Rjazanov) erano sostenitori di una rivoluzione democratico‑borghese in permanenza e che la ragione fondamentale della loro mancanza di interesse nella prospettiva di Trotsky riposava nella loro analisi del ruolo dei contadini non socialisti. La replica degli autori si intitola “Permanent Revolution – But Without Socialism?” e sostiene l’erroneità di questa interpretazione, poiché fa sì che si perda il senso della discussione, che ruotava proprio intorno a quest’argomento: in che misura cioè gli elementi borghesi (contadini) e socialisti (proletari) si sarebbero combinati nella rivoluzione che si approssimava. Da un punto di vista filosofico, la posizione di Lih rivela una carenza dialettica per il suo tentativo di forzare la legge di identità (scegliere tra una rivoluzione democratico‑borghese e una socialista) su un evento che fu in sostanza una combinazione di due fenomeni storicamente differenti: una jacquerie e una rivoluzione operaia urbana – a cui si dovrebbe aggiungere la rivolta delle nazionalità oppresse dal giogo zarista. L’articolo si conclude analizzando gli apporti degli altri partecipanti al dibattito e le linee di indagine ancora non esplorate.
L’impatto della Rivoluzione russa del 1905 nel movimento socialista internazionale
La ripercussione della Rivoluzione russa del 1905 è stata oscurata dalla sua “sorella maggiore”, la Rivoluzione russa del 1917, che proiettò i bolscevichi al potere e portò alla fondazione dell’Internazionale comunista nel 1919. Ma all’epoca ebbe un impatto rilevante non solo entro le frontiere dell’impero zarista, ma anche all’interno della sinistra internazionale. Possiamo notarlo, ad esempio, nel congresso di fondazione degli Industrial Workers of the World statunitensi, in cui venne adottata una risoluzione che esprimeva solidarietà alla «grande lotta della classe lavoratrice della lontana Russia», il cui risultato «è di fondamentale importanza per i membri della classe operaia di tutti i paesi nella lotta per la loro emancipazione»[1].
Nel Partito socialdemocratico tedesco (Spd), che con il suo milione di membri era la colonna vertebrale della Seconda Internazionale, la Rivoluzione russa del 1905 rafforzò l’ala sinistra in quel momento diretta da Rosa Luxemburg e Karl Kautsky, e portò a una disputa furibonda intorno allo sciopero di massa sotto la direzione sindacale, ufficialmente subordinata alle decisioni dei congressi dei partiti che però si trovavano già in un processo di burocratizzazione, raggruppata intorno alla Generalkommission der Gewerkschaften Deutschlands, diretta da Karl Legien (Day e Gaido, 2009, pp. 44‑47)[2].
Ma non meno importante degli aspetti istituzionali dell’impatto della Rivoluzione russa del 1905 fu la sua influenza sullo sviluppo della teoria marxista, sia dentro che fuori del Partito operaio socialdemocratico russo (Posdr). Per quel che si riferisce alla famosa scissione tra bolscevichi e menscevichi, che aveva avuto luogo due anni prima per motivi organizzativi, la Rivoluzione del 1905 aiutò a consolidare queste divergenze fornendo loro una base strategica. Ci riferiamo, naturalmente, alla famosa parola d’ordine di Lenin a proposito della “dittatura democratica del proletariato e dei contadini”, che rompe con la strategia menscevica di concordare un’alleanza tra la classe operaia e la borghesia nel quadro della rivoluzione democratica, ma al contempo limita l’alleanza fra operai e contadini alla nazionalizzazione della terra, alla proclamazione della repubblica democratica e alla giornata lavorativa di otto ore: cioè, esclude il programma massimo socialista (l’espropriazione della borghesia e la socializzazione dei mezzi di produzione) dagli obiettivi raggiungibili nel quadro della rivoluzione russa. Questa apparentemente strana posizione, che Lenin avrebbe poi abbandonato nelle famose “Tesi di Aprile” del 1917, si spiega con la sua convinzione che i contadini avrebbero esercitato la loro egemonia nel futuro governo operaio‑contadino, ciò che avrebbe limitato gli obiettivi da raggiungere ad opera dei rivoluzionari al conseguimento di una “via (nord)americana di sviluppo capitalista” in contrapposizione alla “via prussiana” a cui puntavano le riforme di Stolypin[3]. Sebbene risuscitata da Stalin e Bucharin per giustificare la disastrosa subordinazione del Partito comunista cinese al Kuomintang dopo la morte di Lenin, questa teoria non svolse un ruolo importante nella seconda Rivoluzione russa del 1917 poiché, come abbiamo detto, lo stesso Lenin l’aveva di fatto abbandonata al momento del suo arrivo a Pietrogrado.
Molto più significativo nel lungo periodo fu, quindi, un altro effetto della rivoluzione russa del 1905 sullo sviluppo della teoria marxista: ci riferiamo alla riscoperta della teoria della rivoluzione permanente, proclamata per la prima volta nel famoso Indirizzo del Comitato Centrale alla Lega dei Comunisti, scritto da Marx ed Engels alla fine del mese di marzo 1850, e che, secondo la maggior parte delle spiegazioni successive, sarebbe riemersa completamente formulata, come Minerva dalla testa di Zeus, nel libro di León Trotsky Bilanci e prospettive, scritto nella prigione zarista nei primi mesi del 1906[4]. È per colmare questa lacuna storiografica che abbiamo prodotto, insieme al professor Richard B. Day dell’Università di Toronto, un’edizione critica di fonti primarie che descrivono la graduale riscoperta di questa teoria alla luce dell’esperienza rivoluzionaria del 1905. Questo libro è stato pubblicato nel 2009 dall’editore olandese Brill con il titolo Witnesses to Permanent Revolution: The Documentary Record e poi ripubblicato nel 2011 dall’editore statunitense Haymarket.
L’accoglienza di Witnesses to Permanent Revolution: The Documentary Record
Witnesses to Permanent Revolution comprende 23 documenti tradotti dal russo e dal tedesco, otto dei quali scritti da Karl Kautsky, cinque da León Trotsky, quattro da Rosa Luxemburg, due da Parvus, due da N. Rjazanov, uno da Franz Mehring e uno da G.V. Plechanov. Il libro ha avuto una certa eco nella sinistra anglosassone: sette recensioni su riviste e siti web, tutte positive, ad eccezione di quella stilata dagli Spartacisti con il titolo piuttosto eloquente di “Recycling the Second International: The Neo-Kautskyites”. Degna di nota in questa serie di recensioni è quella scritta da David North sul sito World Socialist Web Site, intitolato “A significant contribution to an understanding of Permanent Revolution”, che con più di 10.000 parole non è solo la più lunga, ma anche la più erudita.
Molto più circospetta è stata l’accoglienza del nostro libro in ambito accademico, sebbene sia stato positivamente recensito da William Pelz in Critique e da Reiner Tosstorff in Archiv für die Geschichte des Widerstandes und der Arbeit. Vale la pena ricordare, per la sua stranezza, la critica mossa da Erik van Ree sulla rivista History of European Ideas, secondo la quale la socialdemocrazia tedesca, e in particolare Kautsky, non si sarebbero accorti che, in un capitalismo sviluppato, non c’è una classe rivoluzionaria[5].
Data la limitatezza di una seria discussione accademica sul nostro libro, è stato con grandi aspettative che abbiamo accolto con favore la celebrazione di un dibattito su Witnesses to Permanent Revolution nelle pagine di Science & Society, una rivista pubblicata trimestralmente dal 1936 a New York, di ampia diffusione negli ambiti accademici marxisti anglosassoni. Per una migliore comprensione di questo dibattito, esamineremo brevemente i contenuti del libro.
Le origini della teoria della rivoluzione permanente nel marzo 1850
Nell’Indirizzo del Comitato centrale alla Lega dei comunisti del marzo 1850 (Ansprache der Zentralbehörde an den Bund vom März 1850), Marx ed Engels tracciano un bilancio dell’esperienza rivoluzionaria in Germania dal marzo 1848 e giungono alla conclusione che è necessario delimitare politicamente la classe operaia dalla piccola borghesia democratica. La borghesia liberale tedesca aveva tradito le classi popolari nel 1848, alleandosi con i monarchi e la burocrazia per paura di un’insurrezione operaia: un timore ispirato soprattutto dall’esempio del proletariato parigino del febbraio 1848, che culminò nel massacro di 3000 operai a giugno. Marx ed Engels prevedono che durante la successiva ondata rivoluzionaria i democratici piccolo‑borghesi avrebbero svolto un ruolo altrettanto insidioso. Fissano quindi il seguente compito per la Lega dei comunisti:
«La posizione del partito operaio rivoluzionario verso la democrazia piccolo‑borghese è la seguente: esso procede d’accordo con quest’ultima contro la frazione di cui persegue la caduta; esso si oppone ai democratici piccolo‑borghesi in tutte le cose pel cui mezzo essi vogliono consolidarsi per conto proprio» (Marx ed Engels, 1850, p. 182).
E continuano:
«Mentre i piccoli borghesi democratici vogliono portare al più presto possibile la rivoluzione alla conclusione … è nostro interesse e nostro compito render permanente la rivoluzione sino a che tutte le classi più o meno possidenti non siano scacciate dal potere, sino a che il proletariato non abbia conquistato il potere dello Stato, sino a che l’associazione dei proletari, non solo in un Paese, ma in tutti i Paesi dominanti del mondo, si sia sviluppata … Non può trattarsi per noi di una trasformazione della proprietà privata, ma della sua distruzione; non del mitigamento dei contrasti di classe, ma della abolizione delle classi; non del miglioramento della società attuale ma della fondazione di una nuova società» (ivi, p. 183).
Esortano i loro seguaci a creare «un’organizzazione propria del partito operaio, sia legale che segreta» per garantire l’indipendenza politica del proletariato e instaurare una situazione di doppio potere[6]. A tal fine, rivendicano l’armamento del proletariato e la sua organizzazione indipendente come milizie operaie, la presentazione di candidati operai insieme ai candidati borghesi democratici, la confisca senza indennizzo delle fabbriche e dei mezzi di trasporto da parte dello Stato, l’adozione di imposte confiscatorie sul capitale e il ripudio del debito pubblico. E concludono sostenendo che gli operai tedeschi daranno il loro massimo contributo alla vittoria finale:
«prendendo coscienza dei propri interessi di classe, occupando quanto prima una posizione indipendente di partito e impedendo che le frasi ipocrite dei democratici piccolo‑borghesi li sottraggano per un solo momento al compito di organizzare il partito del proletariato in piena indipendenza. Il loro grido di battaglia deve essere: la rivoluzione permanente» (ivi, p. 189).
In una lettera inviata un anno più tardi a Engels, Marx riassume il contenuto del documento come segue: «L’Indirizzo alla Lega che abbiamo scritto insieme [non è] fondamentalmente altro che un piano di battaglia contro la democrazia»[7]. L’Indirizzo del Comitato centrale alla Lega dei comunisti fu riprodotto da Engels nel 1885 come appendice alla ristampa delle Rivelazioni sul processo dei comunisti di Colonia.
Attaccata da Eduard Bernstein come vestigia del putschismo blanquista durante la controversia revisionista scoppiata nel 1898[8] – e difesa da Franz Mehring, futuro biografo di Marx e membro della Lega di Spartaco – la teoria della rivoluzione permanente continuò a non suscitare troppa attenzione nei circoli marxisti internazionali fino ai primi anni del XX secolo.
L’introduzione della teoria della rivoluzione permanente nella socialdemocrazia russa
Una delle cose che ci hanno sorpreso nel corso della ricerca che ha portato alla pubblicazione di Witnesses to Permanent Revolution è stata scoprire che la teoria della rivoluzione permanente è stata introdotta nel Partito socialdemocratico russo dei lavoratori (Posdr) da David Rjazanov (David Borisovič Rjazanov Goldendach, il futuro biografo di Marx ed Engels), in un lungo commento di 302 pagine alla bozza del programma scritta dal gruppo che pubblicava l’Iskra, a cui facevano riferimento sia Lenin che Plechanov (Rjazanov 1903).
Dall’analisi di questo documento emerge che, se in Germania la teoria della rivoluzione permanente era intimamente legata alla critica della democrazia borghese, in Russia si poneva l’accento sulla transizione diretta da una rivoluzione democratico‑borghese a una rivoluzione socialista in un Paese dall’incipiente sviluppo capitalista. Questa enfasi sulla dinamica rivoluzionaria peculiare dei Paesi arretrati nasce dall’incorporazione nel discorso marxista russo di alcune idee dei Narodniki, o “populisti”, sviluppate in particolare da Nikolai Chernyshevsky, il leader del movimento rivoluzionario degli anni 60 del XIX secolo, e dai “populisti legali” Nikolai Danielson (alias Nikolai‑on) e V.P. Vorontsov. Tutti questi autori evidenziavano i cosiddetti “privilegi dell’arretratezza”, cioè la possibilità che i Paesi storicamente arretrati non copiassero meccanicamente tutte le fasi di sviluppo dei Paesi avanzati, ma piuttosto, imparando dalla loro esperienza e assimilando i loro progressi tecnologici e intellettuali, saltassero le fasi storiche e sperimentassero uno sviluppo economico e sociale accelerato[9].
Nella sua critica al programma dell’Iskra, Rjazanov riprende questi argomenti e cerca di applicarli all’analisi di quelle che chiama «le caratteristiche speciali della Russia e i compiti dei socialdemocratici russi», formulando una teoria preliminare della rivoluzione permanente (Day e Gaido, 2009, p. 84). Se la Russia “arretrata” poteva avviare il risveglio rivoluzionario dell’Europa, era essenziale capire come un Paese “contadino”, che tra tutte le potenze capitaliste era la meno sviluppata, potesse saltare dall’asfissia delle istituzioni semifeudali a una rivoluzione che avrebbe sgomberato la strada verso un futuro socialista. L’audace tesi di Rjazanov fu che la Russia era un’eccezione al “modello normale” di evoluzione dal feudalesimo al capitalismo e da lì al socialismo.
Ne “Il progetto di programma dell’Iskra e i compiti dei socialdemocratici russi”, Rjazanov indagò sistematicamente le “peculiarità” della storia russa, proprio come Trotsky avrebbe fatto quasi tre decenni dopo nel primo capitolo della sua Storia della Rivoluzione russa. Rjazanov osservò che, a differenza dell’Europa occidentale, in Russia era emerso un movimento social-rivoluzionario autoctono che era coinciso con l’ascesa del capitalismo. Poiché il capitalismo russo era stato in gran parte finanziato dalle importazioni di capitali, e in questo senso era stato trapiantato dall’Europa occidentale, la borghesia russa era troppo debole per offrire un’efficace opposizione liberale all’autocrazia. E la combinazione di uno sviluppo capitalista accelerato con un liberalismo impotente rendeva necessariamente i lavoratori organizzati responsabili del futuro rivoluzionario della Russia. La sterilità politica della borghesia russa faceva sì che il compito principale dei socialdemocratici, secondo Rjazanov, era «spingere in avanti la rivoluzione e portarla alle sue estreme conseguenze. La parola d’ordine dell’attività socialdemocratica è la rivoluzione permanente: non “ordine” invece di rivoluzione, ma rivoluzione invece di “ordine”» (Rjazanov 1903, p. 131).
Vediamo che Rjazanov effettivamente anticipò gli argomenti principali che León Trotsky avrebbe successivamente incorporato nel suo famoso libro Bilanci e prospettive. Questa convinzione è rafforzata dalle prove fornite da un secondo documento, scritto tre anni dopo e anch’esso incluso in Witnesses to Permanent Revolution, in cui Rjazanov afferma: «Concentrando tutti i suoi sforzi nel completamento dei propri compiti, al contempo il proletariato si avvicina al momento in cui il problema non sarà la partecipazione a un governo provvisorio, ma la presa del potere da parte della classe operaia e la conversione della “rivoluzione borghese” in un prologo diretto della rivoluzione sociale» (Rjazanov 1905, p. 473 ).
Parvus e la teoria della rivoluzione permanente
Molto più noto rispetto al ruolo di Rjazanov nella rielaborazione della teoria della rivoluzione permanente durante la rivoluzione russa del 1905 è quello di Parvus (Alexander Israel Helphand), la cui importanza è evidenziata, ad esempio, nella trilogia biografica su Trotsky scritta da Isaac Deutscher. Ma, curiosamente, il documento principale a cui si fa generalmente riferimento in questo contesto, la sua introduzione all’opuscolo di Trotsky Prima del 9 gennaio, intitolata “Che cosa ci dà il 9 gennaio?”, non era mai stata tradotta in inglese o spagnolo. In Witnesses to Permanent Revolution abbiamo tradotto sia l’opuscolo di Trotsky sia l’introduzione di Parvus (Day and Gaido 2009, pp. 251–332), nonché un articolo di Parvus intitolato “I nostri compiti”, datato 13 novembre 1905.
In “Che cosa ci dà il 9 gennaio?” Parvus sostiene che il liberalismo nell’Europa occidentale era fiorito nel contesto della vita urbana e del commercio, ma che il liberalismo russo era stato un’idea importata, con radici poco profonde. Storicamente, la vita urbana della Russia assomigliava davvero poco a quella dell’Europa occidentale: le «città» erano principalmente sedi amministrative dell’autocrazia o, nel migliore dei casi, «centri commerciali per i proprietari terrieri e i contadini delle zone vicine». Quando le pressioni straniere avevano infine costretto la Russia a importare elementi della modernità capitalista, il proletariato industriale emergente si era concentrato in grandi fabbriche, saltando la fase dell’organizzazione in corporazioni e della manifattura.
Parvus credeva che nella prima fase della Rivoluzione russa le forze opposte del liberalismo e del socialismo avrebbero potuto trovare un terreno comune, ma che il rovesciamento dell’autocrazia avrebbe dato inizio a una lunga lotta politica in cui le loro relazioni in termini di obiettivi reciprocamente contraddittori avrebbero dovuto essere definite. Mentre i liberali avrebbero cercato di ottenere il sostegno della classe operaia al costituzionalismo borghese, l’obbligo più importante dei socialdemocratici sarebbe stato quello di mantenere l’indipendenza politica del proletariato e il suo impegno per un programma socialista. I socialdemocratici dovevano avvalersi del sostegno dei liberali ove possibile, ma dovevano anche prepararsi per una lunga lotta di classe e persino per una guerra civile in cui l’esperienza storica dell’Europa occidentale poteva essere drasticamente ridotta e il proletariato russo poteva emergere come l’avanguardia della rivoluzione socialista internazionale. La conclusione inevitabile era che solo i lavoratori potevano completare il rovesciamento rivoluzionario dell’assolutismo (Parvus 1905).
La visione di Parvus era impressionante per la sua audacia, ma lasciava anche profonde domande senza risposta: fino a che punto un governo operaio in Russia sarebbe stato costretto dalla sua stessa missione ad avanzare in direzione del socialismo, e fino a che punto sarebbe potuto avanzare prima di essere infine rovesciato dalla reazione?
Karl Kautsky e la rivoluzione permanente
Forse la più grande sorpresa che abbiamo avuto è stata scoprire il ruolo centrale che Karl Kautsky – generalmente considerato un apostolo del quietismo e del riformismo socialdemocratico – ha svolto nella rinascita della teoria della rivoluzione permanente durante la Rivoluzione russa del 1905. Ci rammarichiamo sinceramente del fatto che gli Spartacisti americani ci considerino “neo‑kautskisti” interessati a “riciclare la Seconda Internazionale”, ma come storici il nostro dovere è soprattutto quello di tener conto di ciò che dicono le fonti[10].
In effetti, nella sua introduzione del 1922 al suo libro sulla prima Rivoluzione russa, Trotsky aveva già menzionato Kautsky come sostenitore della teoria della rivoluzione permanente nel 1905. In quella sede affermava:
«I conflitti di idee in merito al carattere della rivoluzione russa trascendevano si d’allora l’area della socialdemocrazia russa, guadagnando gli elementi di punta del socialismo mondiale. Il punto di vista menscevico sulla rivoluzione borghese fu esposto assai scrupolosamente, quanto dire in modo franco e piatto, dal libro di Čerevanin (Tscherewanin 1908). Gli opportunisti tedeschi lo fecero subito proprio. Su invito di Kautsky, ne feci la recensione sulla “Neue Zeit”. A quell’epoca, Kautsky condivideva in pieno il mio giudizio. Anche lui, come il defunto Mehring, era un assertore della “rivoluzione permanente” (Mehring 1905). Adesso, un po’ tardivamente, tende a rifarsi una verginità menscevica, vuole umiliare e abbassare il suo ieri al livello del suo oggi. Sennonché tale falsificazione, imposta dalle inquietudini di una coscienza che non si trova abbastanza a posto di fronte alle proprie teorie, è smentita dai documenti di stampa. Ciò che Kautsky scriveva in quel tempo, il meglio della sua attività letteraria e scientifica (la sua risposta al socialista polacco Luśnia, gli studi sugli operai americani e russi, la risposta all’inchiesta di Plechanov sul carattere della rivoluzione russa, etc.), fu e resta uno spietato rifiuto del menscevismo, la piena giustificazione, sul piano teorico, della posteriore tattica rivoluzionaria dei bolscevichi, che taluni sciocchi e rinnegati, con alla testa il Kautsky di oggi, censurano ora quali avventurieri, demagoghi, bakuninisti» (Trotsky 2006, p. 15).
I tre documenti di Kautsky menzionati da Trotsky, insieme ad altri cinque, sono stati inclusi in Witnesses to Permanent Revolution. Kautsky credeva che il centro dell’attività rivoluzionaria si stesse spostando verso l’Europa orientale e che le imminenti tempeste politiche in Russia avrebbero potuto rivitalizzare la socialdemocrazia tedesca.
Nella risposta a una recensione del suo libro Die Soziale Revolution, scritta da Michał Luśnia (Kazimierz Kelles-Krauz), dirigente socialista e massimo teorico del Partito socialista polacco (PPS), Kautsky sviluppa l’idea che, una volta che il partito proletario avesse preso il potere politico, la logica oggettiva della sua situazione lo avrebbe costretto a cominciare ad applicare un programma socialista. Afferma testualmente che «là dove il proletariato ha conquistato il potere politico, la produzione socialista appare come una necessità naturale … I suoi interessi di classe e la necessità economica lo costringono ad adottare misure che conducono alla produzione socialista» (Kautsky 1904, p. 199). L’impatto di questi argomenti su Trotsky fu enorme: invece del tradizionale determinismo economico, secondo cui le forze produttive in Russia non erano sufficientemente sviluppate per permettere la realizzazione dei compiti socialisti, Kautsky sostiene che la dinamica della lotta di classe costringerà la classe operaia, quando assumerà le redini del potere politico, ad attuare misure economiche di natura socialista.
Ancora più eloquente è l’articolo “Le conseguenze della vittoria giapponese e la socialdemocrazia”, scritto nel luglio del 1905, in cui Kautsky usa otto volte l’espressione “rivoluzione permanente”. Una citazione sarà sufficiente per mostrare fino a che punto Trotsky si appoggiò a Kautsky quando scrisse Bilanci e prospettive un anno dopo, nell’estate del 1906:
«La rivoluzione permanente è esattamente ciò di cui hanno bisogno i lavoratori russi. La rivoluzione è già maturata ed è cresciuta enormemente in forza, soprattutto in Polonia. In pochi anni potrebbe trasformare gli operai russi in una truppa d’assalto, forse la truppa d’assalto del proletariato internazionale; una truppa che unirà tutto il fuoco della gioventù con l’esperienza di una pratica di lotta storico‑mondiale e con la forza di un potere dominante nello Stato. Abbiamo tutte le ragioni per sperare che il proletariato russo giungerà alla rivoluzione in permanenza o, per dirla in termini borghesi, al caos e all’anarchia, e non al governo forte che il signor Struve ei suoi amici liberali sperano» (Kautsky 1905a , p. 380).
L’articolo di Kautsky “Vecchia e nuova rivoluzione”, scritto per un opuscolo che commemora il primo anniversario della “Domenica di sangue” del 9 (22) gennaio 1905, è notevole per il confronto tra le dinamiche di classe delle rivoluzioni inglese, francese e russa. Secondo Kautsky, la Rivoluzione inglese era stata «un evento puramente locale»; la Rivoluzione francese, sebbene abbia sconvolto l’intera Europa, era sfociata nel regime militare di Napoleone; ma la Rivoluzione russa prometteva di «inaugurare un’era di rivoluzioni europee che terminerà con la dittatura del proletariato, aprendo la strada alla creazione di una società socialista» (Kautsky 1905b, p. 536, corsivo nell’originale).
Quanto alla risposta di Kautsky all’inchiesta di Plechanov sul carattere della Rivoluzione russa, intitolato “Le forze motrici della rivoluzione russa e le loro prospettive” (Kautsky 1906b, pp. 567‑607), lo stesso Trotsky la definì nel 1908 come «la migliore esposizione teorica delle mie opinioni» (Lettera di Trotsky a Kautsky, 11 agosto 1908, Kautsky Archive, International Institute of Social History, Amsterdam, citato in Donald 1993, p. 91). È interessante notare che l’articolo è stato tradotto dal tedesco al russo separatamente sia da Trotsky che da Lenin, poiché entrambi lo consideravano una rivendicazione delle loro rispettive opinioni sulla Rivoluzione russa (vedi l’introduzione di Lenin al testo in Lenin 1906).
Gli “studi sugli operai americani e russi”, citati da Trotsky sulla base del titolo della traduzione russa, sono una serie di articoli originariamente pubblicati nel febbraio 1906 su Die Neue Zeit con il titolo The American Worker, in risposta al famoso saggio dello storico tedesco Werner Sombart Perché non c’è socialismo negli Stati Uniti?, che è stato tradotto in spagnolo[11]. La conclusione di Kautsky era che non c’era e non poteva esserci un “percorso unico” di sviluppo capitalista. Kautsky paragonò l’evoluzione storica di Gran Bretagna, Inghilterra e Stati Uniti basandosi sull’idea che il mercato mondiale è l’insieme contraddittorio che spiega le peculiarità necessarie di tutte le parti. In questo quadro più ampio, Kautsky non vedeva un “modello” in grado di spiegare uniformemente le relazioni di classe in termini astratti di “livelli” di sviluppo capitalistico. Al contrario, sostenne che «ogni estremo può essere presente in un Paese nella misura in cui l’estremo opposto esiste in un altro Paese». La Russia e gli Stati Uniti erano gli estremi del capitalismo che insieme annunciavano il futuro del socialismo mondiale. In entrambi, «uno dei due elementi del modo di produzione capitalistico è sproporzionatamente forte, cioè più forte di quanto dovrebbe essere secondo il suo livello di sviluppo: negli Stati Uniti, la classe capitalista; in Russia, la classe operaia» (Kautsky 1906a, pp. 620‑621) Purtroppo non possiamo recensire, visti i limiti di questo saggio, la brillante analisi di Kautsky sulle cause della debolezza politica della classe operaia americana in confronto a quella tedesca e soprattutto russa.
Rosa Luxemburg sul carattere combinato della Rivoluzione russa
Infine, dobbiamo menzionare il contributo di Rosa Luxemburg al dibattito sulla teoria della rivoluzione permanente. In un articolo intitolato “Dopo il primo atto”, pubblicato il 4 febbraio 1905, Rosa Luxemburg fu la prima persona a fare riferimento nella stampa socialista dell’Europa occidentale a una “situazione rivoluzionaria in permanenza” in Russia (Luxemburg 1905a, p. 370). Rosa sperava che la rivoluzione diventasse permanente, non solo nel senso di comprendere tutti i popoli e le regioni dell’impero dello Zar, ma anche nel senso di infondere in un evento formalmente borghese il contenuto vitale della lotta proletaria cosciente.
In un altro documento incluso nel nostro libro, intitolato “La rivoluzione russa” (20 dicembre 1905), Rosa Luxemburg analizza come la Rivoluzione russa fosse collegata alla storia europea dopo la Rivoluzione francese del 1789. L’idea di base è che una rivoluzione di carattere duale in Russia avrebbe completato la serie di rivoluzioni borghesi inaugurate nel 1789 e, allo stesso tempo, avrebbe dato inizio a un nuovo ciclo di rivoluzioni proletarie su scala internazionale che avrebbe portato al trionfo del socialismo. Proprio come la Rivoluzione francese aveva influenzato l’intera storia politica del XIX secolo, Luxemburg si aspettava che la Rivoluzione russa avrebbe avuto un’influenza simile nel XX secolo (Luxemburg 1905b).
Infine, nel suo discorso al quinto congresso del Partito operaio socialdemocratico russo, tenutosi a Londra dal 13 maggio al 1° giugno 1907, Rosa Luxemburg affermò che gli operai russi non potevano contare né sui liberali né sui contadini come alleati affidabili. I loro unici alleati affidabili erano i lavoratori degli altri Paesi. Lasciato a se stesso, un governo operaio in Russia sarebbe inevitabilmente crollato, sicché l’esito finale della Rivoluzione russa dipendeva dal contesto internazionale: più in particolare, dalla misura in cui la Rivoluzione russa servisse da innesco per una serie di rivoluzioni proletarie nei Paesi a capitalismo avanzato (Rosa Luxemburg 1907).
La critica di Lars Lih a Witnesses to Permanent Revolution e la nostra replica
Nella sua lunga recensione del nostro libro (Lih 2012), Lars Lih afferma che, nonostante i sei anni trascorsi a raccogliere e tradurre i documenti inclusi in Witnesses to Permanent Revolution dal russo e dal tedesco, non avevamo capito il loro vero significato perché avremmo portato avanti questo progetto con una missione ideologica, vale a dire per sostenere: «che Rjazanov, Parvus, Luxemburg, Mehring e in particolare Kautsky “avrebbero anticipato” l’argomento di Trotsky sulla “rivoluzione permanente”». “Ipnotizzati” dall’espressione “rivoluzione permanente”, non ci saremmo accorti che in realtà c’erano differenze importanti tra questi autori, e avremmo ipotizzato che «chiunque abbia usato questa espressione sarebbe stato … essenzialmente d’accordo con lo specifico argomento di Trotsky». Quindi, saremmo giunti alla semplicistica conclusione che tutte queste eminenze della prima Rivoluzione russa sarebbero stati trotskisti incipienti, che meritavano i nostri più calorosi elogi, mentre tutti coloro che non erano d’accordo con Trotsky (in particolare Plechanov e Lenin) avrebbero svolto nel nostro libro il ruolo dei cattivi. Lih procede a leggere i documenti “correttamente” e afferma che solo Trotsky avrebbe indicato «un collegamento tra la rivoluzione democratica e la rivoluzione socialista», mentre «nessuno degli altri scrittori» è andato oltre «il quadro della rivoluzione democratica»: in effetti, tutti costoro non avrebbero fatto altro che prevedere una «rivoluzione democratica in Permanenz» (Lih 2012, pp. 434‑435).
Il problema metodologico fondamentale della critica di Lih è che prende come base il principio di identità aristotelico (A = A); ovvero, per dirla in termini evangelici, «Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno» (Matteo 5:37). In altre parole, Lih opera con le rigide categorie di “una cosa o l’altra”: nella sua opinione, una rivoluzione può essere democratico‑borghese o socialista; parlando di una rivoluzione permanente, i partecipanti al dibattito hanno fatto riferimento, o a una “rivoluzione democratica in Permanenz”, oppure a una rivoluzione permanente che porta inevitabilmente al socialismo. È proprio questo tipo di dicotomia che ci eravamo proposti di evitare, non solo perché è un ragionamento profondamente antidialettico, quanto perché l’intero problema dell’analisi della Rivoluzione russa del 1905 deriva dal fatto che essa non fu né una rivoluzione puramente borghese, né puramente socialista, ma un fenomeno storico sui generis che combinava elementi borghesi e proletari. Più specificamente, la Rivoluzione russa è stata una combinazione di una jacquerie nelle zone rurali, dove viveva più del 80% della popolazione (a cui va aggiunto il movimento di liberazione delle nazionalità oppresse dall’impero zarista), con una rivolta operaia nelle città, in una società che contava tre milioni di salariati su un totale di 150 milioni di abitanti (Haupt 1979). Pertanto, il tentativo di imporre alla rivoluzione russa la legge metafisica dell’identità fa violenza al suo carattere. Nel nostro libro abbiamo riprodotto il seguente paragrafo di Rosa Luxemburg sulla duplice natura della rivoluzione russa:
«L’attuale rivoluzione nel nostro Paese, così come nel resto del regno zarista, ha un duplice carattere. Nei suoi obiettivi immediati, è una rivoluzione borghese. Il suo scopo è l’introduzione nello Stato zarista della libertà politica, della repubblica e nell’ordine parlamentare che, con il dominio del capitale sul lavoro salariato, altro non è se non una forma avanzata di Stato borghese, una forma di dominio di classe della borghesia sul proletariato. Tuttavia, in Russia e in Polonia la rivoluzione borghese non è stata condotta dalla borghesia, come in precedenza è accaduto in Germania e Francia, ma dalla classe operaia; e, per giunta, da una classe operaia che è ampiamente consapevole dei suoi interessi di classe, una classe operaia che non ha conquistato la libertà politica per la borghesia, ma, al contrario, con l’obiettivo di facilitare la propria lotta contro la borghesia, allo scopo di accelerare il trionfo del socialismo. Per questo motivo, la rivoluzione attuale è allo stesso tempo una rivoluzione operaia. Pertanto, la lotta contro l’assolutismo in questa rivoluzione deve andare di pari passo con la lotta contro il capitale, contro lo sfruttamento» (Rosa Luxemburg, “In revolutionärer Stunde: Was weiter?”, Czerwony Sztandar [Cracow], n. 26, maggio 1905, Beilage, riprodotto in Luxemburg, Gesammelte Werke, vol. 1, n. 2, Berlin, Dietz Verlag, cit. in Day e Gaido 2009, p. 521‑522).
Il tema dell’articolo di Rosa Luxemburg, “La rivoluzione russa” (riprodotto nel capitolo 18 di Witnesses to Permanent Revolution), è che una doppia rivoluzione in Russia avrebbe allo stesso tempo completato la serie di rivoluzioni borghesi inaugurata nel 1789 e dato il via a un nuovo ciclo di rivoluzioni proletarie che avrebbero condotto al trionfo internazionale del socialismo. Il carattere duale della rivoluzione permanente in termini di completamento di un progetto storico guidato dalla borghesia e l’inizio di un altro in cui il soggetto rivoluzionario è incarnato dagli operai – e, nel caso della Russia, dai contadini – è l’asse intorno al quale ruota tutto il nostro libro. Curiosamente, nella sua risposta alla nostra replica, Lih ha visto in questa affermazione del carattere duale della rivoluzione russa «una ritrattazione de facto» (Lih 2013).
Il dibattito su Witnesses to Permanent Revolution in Science & Society
I contributi di Alan Shandro e John Marot possono essere trattati succintamente. Marot ci accusa di avere un «atteggiamento deferente nei confronti del “visionario” Trotsky» e afferma che «Lih è intervenuto in maniera decisiva per chiarire il tema» (Marot 2013, p. 412). C’è però un notevole elemento di incoerenza, perché Marot afferma che «Trotsky si dimostrò incorreggibilmente dottrinario fino al 1917, quando i bolscevichi adottarono la sua teoria della rivoluzione permanente in modo del tutto indipendente, adottando le Tesi di aprile di Lenin per orientare la loro attività politica» (Marot 2013, p. 414). Lih, invece, nega che i bolscevichi abbiano adottato la teoria della rivoluzione permanente nel 1917 e afferma che non ci sono differenze sostanziali tra questa teoria e la “dittatura democratica del proletariato e dei contadini”. Secondo Lih, «Day e Gaido seguono la tradizione trotskista di prestare troppa attenzione alla presunta contrapposizione tra la formula di Lenin “dittatura democratica degli operai e dei contadini” e la formula associata a Trotsky, cioè “gli operai che si appoggiano sui contadini”», benché «le reali differenze politiche tra queste formule siano inconsistenti» (Lih 2012, p. 443, nota 8).
Shandro, al contrario, tende a difendere la nostra analisi dalla critica di Lih, sebbene lo faccia in termini estranei all’universo concettuale dei partecipanti al dibattito (“telos” vs. “agency”). Tuttavia, riproduce due citazioni che confermano la nostra enfasi sul carattere duale della Rivoluzione russa. La prima è tratta dall’articolo di Rosa Luxemburg “La rivoluzione russa”, scritto il 20 dicembre 1905, e dice chiaramente che la rivoluzione russa «essendo formalmente democratico‑borghese, ma essenzialmente proletario‑socialista, è, sia nel suo contenuto come per il suo metodo, una forma di transizione dalle rivoluzioni borghesi del passato alle rivoluzioni proletarie del futuro, che implicheranno direttamente la dittatura del proletariato e la realizzazione del socialismo» (Day e Gaido 2009, p. 526, corsivo nostro). La seconda citazione, tratta dalla risposta di Karl Kautsky al questionario di Plechanov, afferma che la Rivoluzione russa «non è né una rivoluzione borghese in senso tradizionale, né socialista, ma un processo completamente unico che si svolge al confine tra la società borghese e quella socialista, che richiede la dissoluzione della prima mentre prepara la creazione della seconda» (Day e Gaido 2009, p. 607). Shandro conclude che Lih tenta di «marginalizzare in modo poco convincente» i «riferimenti alla rivoluzione socialista di Kautsky, Luxemburg, ecc.» (Shandro 2013, p. 409)[12].
Conclusione
A nostro avviso, i documenti raccolti in Witnesses to Permanent Revolution non hanno ancora trovato lettori sufficientemente informati per far avanzare realmente l’analisi storica consultando fonti documentarie ad oggi inesplorate che consentono di contestualizzare la rinascita della teoria della rivoluzione permanente in forma più dettagliata. Ad esempio, il seguente campo di ricerca meriterebbe un esame più attento: il leader menscevico Martov scrisse sull’Iskra, n. 93 (17 marzo 1905), che se i partiti radicali «svaniscono prima di aver avuto il tempo di fiorire … il proletariato non potrà rifiutare il potere politico. Ma è anche chiaro che … non potrà circoscriversi entro i limiti di una rivoluzione borghese … Può solo lottare per una rivoluzione in Permanenz, per una lotta diretta contro l’intera società borghese. In concreto questo significa un’altra Comune di Parigi o l’inizio di una rivoluzione socialista in Occidente che si estenderà alla Russia. Siamo obbligati ad aspirare a quest’ultimo scenario» (cit. in Keep 1963, p. 200).
(Traduzione di Valerio Torre)
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Note
[1] Industrial Workers of the World, 1905, p. 213.
[2] Su Karl Legien e il ruolo politico svolto dai burocrati della Commissione Generale dei Sindacati “Liberi” (cioè, socialdemocratici) della Germania, v. Bosch e Gaido, 2012.
[3] Sull’analisi di Lenin circa la via nordamericana di sviluppo capitalista, v. Gaido, 2006, pp. 28‑48, e Gaido, 2013. Sulla riforma agraria di Stolypin v. Ascher, 2004, pp. 176‑182.
[4] Due parziali eccezioni a questa generalizzazione sono i libri di Reidar Larsson e Hartmut Mehringer, elencati nella bibliografia.
[5] «La rivoluzione permanente esprimeva la speranza che i partiti comunisti potessero giungere al potere e persino convincere gli altri partiti a seguirli nel socialismo, nel vivo delle lotte nazionali in cui erano in movimento grandi masse. Con il progresso economico e le riforme politiche degli ultimi decenni del XIX secolo, questo tipo di rivoluzione popolare divenne un’illusione. Kautsky era irrealistico solo nel senso che non riusciva a capire che anche il proletariato era in procinto di essere integrato nella società. In altre parole, che non era rimasta neanche una classe rivoluzionaria; non ce n’erano» (Van Ree, pp. 587–8).
[6] «Accanto ai nuovi governi ufficiali, gli operai devono istituire immediatamente governi operai rivoluzionari, sia sotto forma di comitati o consigli municipali, sia sotto forma di circoli o comitati operai, in modo tale che i governi democratico‑borghesi non solo perdano immediatamente il sostegno dei lavoratori, ma si vedano dal primo momento sorvegliati e minacciati dalle autorità dietro le quali si trova l’intera massa dei lavoratori» (Marx ed Engels 1850, p. 185).
[7] L’originale tedesco recita: «Dies die von uns beiden verfasste ‘Ansprache an den Bund’ — au fond nichts als ein Kriegsplan gegen die Demokratie» (Marx and Engels in Manchester [Londra], 13 luglio 1851. Marx und Engels, Werke, Berlino, Dietz Verlag, 1965, Band 27, p. 278.)
[8] Bernstein 1899, cap. 2, “Der Marxismus und Hegelsche Dialektik, a) Die Fallstricke der hegelianisch-dialektischen Methode” (“Le insidie del metodo dialettico hegeliano”), e Mehring 1899.
[9] Su questo argomento si veda l’ottimo libro di Walicki 1971.
[10] Il provincialismo anglosassone degli Spartacisti fa sì che essi abbiano poca familiarità con la biografia principale di Kautsky, disponibile solo in polacco e italiano (Waldenberg 1980).
[11] Sombart 2009. Karl Kautsky, “Der amerikanische Arbeiter”, Die Neue Zeit, 24, 1905‑1906, 1. Bd. (1906), pp. 676‑683, 717‑727, 740‑52 e 773‑787. Tradotto in inglese in Day e Gaido 2009, pp. 609‑661.
[12] Come dettaglio curioso, si potrebbe aggiungere la citazione che Shandro offre del marxista prediletto dai circoli accademici, Antonio Gramsci, che nei Quaderni del carcere afferma, in maniera del tutto goffa, che la teoria della rivoluzione permanente «ripresa, sistematizzata, elaborata, intellettualizzata dal gruppo Parvus-Bronstein, si manifestò inerte e inefficace nel 1905 e in seguito: era diventata una cosa astratta, da gabinetto scientifico» (Q19, §24, Gramsci 1975, vol. 3, p. 2034). Gramsci aveva già affermato in precedenza che la teoria della “rivoluzione permanente” (come “guerra di movimento”) era stata sostituita dal concetto di “egemonia civile” (intesa come “guerra di posizione”): «la formula quarantottesca della “rivoluzione permanente” viene elaborata e sostituita nella scienza politica nella formula di “egemonia civile”. Avviene nell’arte politica ciò che avviene nell’arte militare: la guerra di movimento è sempre la guerra di posizione» (Q13, §28, Gramsci 1975, vol. 3, p. 1566).