Ha senso oggi, nel XXI secolo, riprendere la polemica che, sul finire dell’Ottocento, vide impegnata la rivoluzionaria Clara Zetkin contro il movimento femminista borghese? È ancora attuale quella polemica?
A nostro avviso, sì: è attualissima. Perché assistiamo, soprattutto in quest’ultimo periodo, a un marcato iperattivismo di settori del femminismo borghese, ma soprattutto piccolo‑borghese, che tentano di prendere la testa del movimento delle donne attraverso “battaglie” che sembrano (o vengono spacciate per) essenziali per un’effettiva parità di genere, mentre sono in realtà dei diversivi rispetto alla lotta per un’autentica liberazione della donna. Solo per fare un esempio, pensiamo alla questione del linguaggio e della scrittura “inclusivi”, su cui proprio in queste settimane nel nostro Paese si è sviluppata una polemica a partire dalla dichiarazione di una direttrice d’orchestra che ha chiesto di essere chiamata invece “direttore”: una dichiarazione che ha scandalizzato esponenti, appunto, di quei settori del femminismo piccolo‑borghese, che l’hanno ritenuta “un ostacolo” sul percorso verso la parità di genere.
E invece, riteniamo noi, la battaglia per la liberazione della donna deve svilupparsi proprio partendo da una ferma e netta demarcazione del femminismo proletario rispetto alle correnti borghesi e piccolo‑borghesi del movimento di liberazione della donna; una condizione essenziale perché le donne lottino fianco a fianco con gli uomini contro il capitalismo che opprime entrambi, per la conquista del potere politico che entrambi libererà: esattamente nei termini postulati da Clara Zetkin nel testo che presentiamo qui di seguito.
Si tratta di un estratto dal bel libro di Cintia Frencia e Daniel Gaido, “El marxismo y la liberación de las mujeres trabajadoras: de la Internacional de Mujeres Socialistas a la Revolución Rusa”, Ariadna Ediciones, 2016, di cui raccomandiamo vivamente la lettura.
La redazione
La polemica di Clara Zetkin con le femministe: “Separazione netta” (1894)
Cintia Frencia e Daniel Gaido
«La lotta per la liberazione della donna proletaria
non può essere una lotta simile a quella
sviluppata dalla donna borghese contro l’uomo della sua classe;
al contrario, la sua è una lotta
con l’uomo della sua classe contro la classe capitalista»
(C. Zetkin)
La parola “femminismo” è di origine francese e risale agli inizi degli anni Novanta del 1800; il primo gruppo ad utilizzarla fu la Federazione francese delle società femministe (1891), che convocò un “Congresso generale delle società femministe” a Parigi nel 1892. In Germania, prima della Prima guerra mondiale, si utilizzava l’espressione Frauenrechtlerinnen, cioè “difenditrici dei diritti delle donne”, equivalente alla denominazione – Women’s Righters – utilizzata allora in inglese.
Frauenrechtlerinnen è un termine più chiaro rispetto a “femministe”, perché esprime esplicitamente il programma del femminismo, l’estensione cioè alle donne dei diritti umani proclamati dalle rivoluzioni borghesi, un programma derivato dalla teoria del diritto naturale[1]. Clara Zetkin utilizzava spesso in senso dispregiativo i termini Frauenrechtelei e Frauenrechtlerei, solitamente tradotti come “femminismo” o “movimento femminista”, ma a cui attribuiva il reale significato di “predica (o chiacchiericcio) intorno all’uguaglianza dei diritti per le donne”[2].
Il carattere di classe del movimento borghese delle donne si mostrò in tutta la sua evidenza durante l’epoca delle Leggi antisocialiste in Germania, dal 1878 al 1890, quando il Partito socialdemocratico fu proscritto e i suoi dirigenti, compresa Zetkin, vivevano in esilio. Il femminismo borghese fu complice di questa repressione. E l’ostilità continuò anche dopo l’abolizione di quelle leggi nel 1890: il Bund Deutscher Frauenvereine, ad esempio, fondato nel marzo 1894 come organizzazione coordinatrice del movimento femminista borghese (ispirata all’International Council of Women, creato nel 1893 in occasione dell’Esposizione mondiale di Chicago), proibì alle sue aderenti di partecipare alle associazioni femminili socialdemocratiche. Non deve sorprendere, dunque, che, sia per motivi ideologici come per la sua amara esperienza, Zetkin esigesse una separazione netta (“Reinliche Scheidung”, pubblicato in Die Gleichheit, 18 aprile 1894) del movimento delle donne socialiste dal femminismo borghese.
[…]
La polemica di Clara Zetkin con il Vorwärts sul femminismo borghese (1895)
Il rifiuto di Clara Zetkin ad appoggiare le iniziative del femminismo come movimento borghese la portarono a scontrarsi pubblicamente con la redazione dell’organo centrale della Spd, il Vorwärts, il 24 gennaio 1895. Il periodico aveva pubblicato, in data 9 gennaio, una petizione redatta dalle femministe Minna Cauer e Lili Braun, insieme a una militante della Spd, Adele Gehrard, scritta in nome delle «donne tedesche di tutte le classi e di tutti i partiti».
Il documento faceva appello a porre fine alle leggi sulle riunioni e associazioni che limitavano l’attività politica delle donne nella gran parte degli Stati tedeschi. Il Vorwärts pubblicò la petizione insieme a una dichiarazione di sostegno, raccomandando che i membri del partito la firmassero. Anche Zetkin ristampò la petizione in Die Gleichheit, accompagnandola però con quest’avvertenza: «Raccomandiamo fermamente a tutti i membri con coscienza di classe del proletariato di non appoggiare questa petizione in alcun modo». Secondo Zetkin, «la petizione è nata in circoli borghesi e trasuda letteralmente uno spirito borghese, in alcuni passaggi perfino uno spirito borghese limitato». Tra le altre cose, Zetkin segnalava che il fatto che le donne borghesi non avessero cercato di giungere preventivamente a un’intesa comune con le operaie rivelava il loro disprezzo per il programma delle donne appartenenti alla classe lavoratrice, e criticava sia il contenuto che la tattica della petizione.
Zetkin evidenziava che «la petizione non contiene neanche una parola sull’interesse vitale delle lavoratrici ad avere il diritto di formare associazioni e celebrare riunioni, [un diritto] che è per loro diventato un’incontestabile necessità. Né spiega la ragione per cui il proletariato appoggia questa rivendicazione». Poco importava dunque ciò che le sue autrici pensavano nel pubblicarla, bensì le rivendicazioni che realmente si agitavano. Allo stesso tempo, coglieva il fatto che presentare una “supplica” al Reich implicava un arretramento in relazione alla lotta permanente della socialdemocrazia e delle donne lavoratrici per ottenere il diritto alla libertà di associazione contro il potere imperiale: la «socialdemocrazia ha sempre lottato contro il dualismo dei poteri legislativi, un potere che esiste in Germania perché la nostra borghesia non ha rotto con il potere dell’assolutismo che invece, al contrario, sta vigliaccamente cooperando con esso».
Rivendicava inoltre la posizione del partito in base alla quale «la questione della donna può essere compresa e risolta solo in relazione alla questione sociale generale». Il partito rappresentava gli interessi dei lavoratori di ambo i sessi e lottava per la conquista delle libertà democratiche molto più seriamente delle femministe […]. E fu solo con enorme difficoltà che Zetkin riuscì a far pubblicare sul Vorwärts la nota di protesta. Zetkin scrisse una lettera di quindici pagine ad Engels spiegando dettagliatamente le ragioni del suo inflessibile atteggiamento nei confronti della petizione femminista.
In questa lettera, Zetkin affermava la propria convinzione che, fintantoché le femministe delle classi sfruttatrici come Lili Braun si fossero mosse all’interno del proprio circolo, non v’era ragione per criticarle. Ma dovevano invece essere criticate nel momento in cui avessero portato le loro idee femministe alle donne della classe lavoratrice. Questa vigilanza era tanto più necessaria perché «la tendenza verso l’opportunismo e il riformismo è già abbastanza forte e cresce con l’espansione del partito». Engels commentò in una lettera a Victor Adler datata 28 gennaio 1895: «Louise è particolarmente contenta del fermo rifiuto della petizione della Lega delle Donne. Dai un’occhiata all’articolo di Clara Zetkin nel supplemento del Vorwärts di giovedì. Clara ha ragione e ha dovuto lottare molto perché il suo articolo fosse pubblicato. Brava Clara!».
L’intervento di Clara Zetkin al congresso femminista di Berlino (1896)
Nel settembre del 1896, si tenne un congresso femminista a Berlino a cui Clara Zetkin partecipò. Ne riproduciamo l’intervento integrale, poiché è sintomatico di tutto l’atteggiamento del movimento delle donne proletarie nei confronti del femminismo.
«Signore e signori! Debbo specificare che sono qui non come una partecipante al Congresso, bensì come ascoltatrice, come un’oppositrice (Gegnerin), con una precisazione. La Sig.ra Schwerin dice che una dirigente del movimento delle donne socialdemocratiche ha recentemente dichiarato all’indirizzo delle donne borghesi: “Potete ostacolarci, ma non imporvi su di noi!”. Debbo presentarmi come la cosiddetta dirigente che ha pronunciato queste parole, come una di quelle donne che si trovano incondizionatamente nel campo della socialdemocrazia e dedicano tutte le loro energie esclusivamente al movimento delle lavoratrici socialiste. Non ho utilizzato queste parole contro il movimento delle donne borghesi perché – non voglio essere offensiva, bensì limitarmi a segnalare un fatto – finora non ho giudicato il movimento delle donne borghesi un potere sociale così forte da giustificare l’uso di quelle espressioni contro di voi.
Gentile pubblico! Le ho utilizzate invece contro gli sporchi stratagemmi che lo Stato capitalista impiega per sopprimere il movimento delle donne lavoratrici che si basa risolutamente sulla concezione socialista della lotta di classe. L’oratrice ha ragione, tra il movimento femminista borghese e quello delle donne proletarie esistono punti di contatto. Tutte quelle rivendicazioni di riforma avanzate per porre fine alla schiavitù del sesso femminile sono rivendicazioni che anche noi sosteniamo e per le quali abbiamo lottato per anni con una lucidità e una determinazione che finora il movimento femminista borghese non ha mostrato. Abbiamo lottato per anni per l’uguaglianza politica del sesso femminile, per il diritto di associazione e di voto. Quale congresso femminista borghese ha osato avanzare ufficialmente questa rivendicazione in qualche occasione? Ancora una volta qui è stata pronunciata giustamente la parola d’ordine: marciare separate, colpire insieme. Non possiamo procedere di pari passo con le donne borghesi, perché la nostra lotta è prima di tutto una lotta di classe contro la borghesia e contro la società capitalista. Anche in relazione alla tattica non possiamo seguire le orme del movimento femminista borghese. Voi presentate petizioni di riforma non solo alle autorità legislative, ma anche a Sua Maestà Imperiale e al governo. Chi può pretendere da noi, che siamo repubblicane, che ci abbassiamo a supplicare un monarca? Chi può chiedere a noi socialdemocratici che ci abbassiamo ad avanzare una petizione a un governo che contro di noi ha promulgato una legge d’emergenza sotto l’imperio della quale siamo stati schiavizzati e perseguiti per dodici anni come solo gli oppositori politici possono essere schiavizzati e perseguitati? Come potremmo chiedere a un governo che ha messo in atto contro le organizzazioni delle lavoratrici il giudizio dei tribunali, rispetto al quale quello di Salomone appare addirittura giusto?
E quando – gentile pubblico – la precedente oratrice ha insistito sul fatto che considera la questione femminile come parte di un compito culturale intorno a cui i circoli di volenterosi e tutti i partiti possono convergere, dobbiamo rispondere: non è questione di formulare meravigliosi desideri e utili rivendicazioni, ma di mettere in piedi un potere sociale in grado di attuare concretamente quelle rivendicazioni. Qual è il potere delle persone di buona volontà contro una forza brutale che è decisiva in termini socio‑politici? L’intera società borghese oggigiorno si sforza di mantenere oppressa la classe operaia; resiste a qualsiasi seria riforma sociale. Il circolo di volenterosi non ha il potere per mettere in pratica le riforme necessarie contro il potere organizzato dello Stato delle classi dominanti.
Per decenni la degenerazione spirituale e morale delle classi lavoratrici ha gridato vendetta, e benché i socialdemocratici ritengano che solo una rivoluzione sociale può mettere fine a questa miseria, tuttavia riconosciamo la necessità di riforme. Non le rifiutiamo. Al contrario, diciamo “avanti con le riforme! sempre più riforme!”. Ma la classe operaia non vi ringrazia per queste riforme, perché ciò che la società borghese è capace di produrre in termini di tali riforme è una quantità insignificante rispetto al debito che ha verso il proletariato. Di più: riteniamo che tutto questo sia il nostro diritto di nascita, il diritto di una classe rivoluzionaria. Signore e signori, non abbiate paura della parola “classe rivoluzionaria”, ha un significato storico e non la usiamo nel senso dei capitalisti o nel gergo della questura.
La Sig.ra Schwerin ha detto, tra le altre cose, che le donne borghesi e quelle proletarie potrebbero collaborare nel campo dell’educazione primaria. Ma, domando io, come potrebbero le proletarie trovare il tempo per istruirsi soddisfacentemente per poter partecipare a questo compito? La donna che passa tutto il giorno al lavoro non ha tempo per correre a conferenze e partecipare a commissioni. Può usare il suo tempo in modo molto più utile prendendo parte alle lotte della socialdemocrazia.
Se il movimento femminista borghese vuol fare qualcosa che favorisca anche le cosiddette sorelle più povere, allora deve pronunciarsi innanzitutto in favore dell’uguaglianza politica piena dei sessi, perché in tal modo la lavoratrice avrà diritto a lottare economicamente e politicamente insieme a suo marito contro la borghesia. Il movimento femminista borghese dovrebbe pronunciarsi anche per una riforma del sistema tributario, perché si riduca l’imposizione sui poveri, per l’abolizione delle leggi sulla servitù (Gesindeordnungen) e per la giornata di otto ore senza distinzione di sesso. La buona disposizione delle donne borghesi nel promuovere le organizzazioni di lavoratrici può avvantaggiare le proletarie se queste organizzazioni sono strutturate come organizzazioni di lotta contro il capitale, e non come chiacchierate da salotto sull’armonia. Se il movimento femminista borghese difende queste riforme camminerà al nostro fianco. Sapremo apprezzare se otterrete in questo campo qualcosa che sia utile alle lavoratrici. Ma se un’azione parallela è possibile, ciò non vuol dire che si tratta di un’azione comune. Anche se abbiamo punti di contatto, ci troviamo in campi differenti. Per noi, in primo luogo, vengono le questioni di principio: la donna proletaria porta avanti una lotta di classe insieme ai suoi compagni maschi, e non una lotta contro i privilegi del sesso maschile, mentre il movimento femminista borghese, conformemente a tutto il suo sviluppo, considera proprio quest’ultima come il suo compito storico».
[…]
Il discorso programmatico di Clara Zetkin al congresso di Gotha della Spd (1896)
Clara Zetkin formulò le basi teoriche per l’orientazione del movimento delle donne socialiste in un discorso programmatico pronunciato al congresso della Spd che fu celebrato a Gotha nel 1896. Zetkin riteneva che la contraddizione in seno alla famiglia tra l’uomo come proprietario e la donna come non proprietaria era stata la base della dipendenza economica e della mancanza di diritti sociali del sesso femminile. le macchine, il modo moderno di produzione, cominciarono gradualmente a minare la produzione autonoma della famiglia, ponendo a milioni di donne il problema di trovare una nuova fonte di sostentamento, un obiettivo serio nella vita, un’attività che al contempo fosse anche emotivamente gratificante.
Milioni di donne si videro obbligate a cercare il loro sostentamento e il contenuto della loro vita fuori di casa, nella società. Allora cominciarono a prendere coscienza che la mancanza di diritti rendeva molto difficile la salvaguardia dei propri interessi, e a partire da quel momento sorse la questione femminile moderna.
La questione femminile, come problema politico, esisteva solo in seno a quelle classi della società che erano il prodotto del modo di produzione capitalistico. Non esisteva una questione femminile nella classe contadina, quantunque la sua economia naturale fosse già molto limitata e piena di crepe. Pertanto, la questione femminile si poneva per le donne del proletariato, della piccola borghesia, degli strati intellettuali e della grande borghesia, e presentava distinte caratteristiche a seconda della situazione di classe di questi gruppi.
Dopo aver postulato l’esistenza di una “questione femminile” diversa per ogni classe della società, Zetkin passò ad analizzarle. Le donne della grande borghesia, grazie al loro patrimonio, potevano sviluppare liberamente la propria individualità, seguire le proprie inclinazioni, trasferendo sul personale di servizio salariato i pesi dei loro ruoli come spose e madri. Queste donne, innanzitutto, si preoccupavano di acquisire la libertà di amministrare le loro proprietà. Le loro rivendicazioni erano «l’ultima tappa dell’emancipazione dalla proprietà privata».
Le caratteristiche della questione femminile nei circoli della piccola e media borghesia e nel seno delle intellettuali borghesi erano differenti. Nella misura in cui il capitalismo avanzava, la produzione della piccola e media borghesia procedeva verso la sua distruzione. Le donne delle classi medie dovevano conquistare prima di tutto l’uguaglianza economica con l’uomo, e potevano ottenerla mediante due rivendicazioni, l’uguaglianza dei diritti nella formazione professionale e nella pratica professionale, cioè la libera concorrenza tra l’uomo e la donna. «La concorrenza delle donne nelle professioni liberali è la forza motrice della resistenza degli uomini contro le rivendicazioni delle femministe borghesi (bürgerlichen Frauenrechtlerinnen)».
E a questo punto Zetkin introdusse un elemento inatteso – un riferimento a Nora, la protagonista del dramma di Henrik Ibsen, Casa di bambola – che mostra la delicatezza della sua analisi e dimostra la fallacia dell’accusa di Richard Evans, uno storico ostile alla posizione marxista, che ha qualificato il rifiuto di Clara Zetkin verso il “femminismo borghese” come “selvaggio”[3]:
«Finora ho abbozzato soltanto il fattore originale, puramente economico. Tuttavia, saremmo ingiusti con il movimento femminista borghese se volessimo solo ridurlo a motivi economici. No, include anche un aspetto morale e spirituale molto più profondo. La donna borghese non solo vuole guadagnarsi la propria pagnotta, ma anche avere una vita spirituale e sviluppare la sua personalità. È proprio in questi strati che troviamo quelle figure tragiche come Nora, così interessanti dal punto di vista psicologico, donne stanche di vivere come bambole in una casa di bambole, che vogliono partecipare allo sviluppo della cultura moderna; e sia nell’aspetto economico che dal punto di vista morale‑spirituale, le aspirazioni delle femministe borghesi (bürgerlichen Frauenrechtlerinnen) sono pienamente giustificate».
La donna proletaria aveva conquistato la sua indipendenza economica, ma né come essere umano, né come donna, né come moglie aveva l’opportunità di sviluppare pienamente la propria individualità. Per i suoi compiti di sposa e madre le restavano solo le poche ore lasciate libere dalla produzione capitalistica.
Zetkin consigliava di separare nettamente le lavoratrici dalle femministe borghesi, sia sul piano organizzativo che dal punto di vista politico‑programmatico:
«Perciò la lotta per la liberazione della donna proletaria non può essere una lotta simile a quella sviluppata dalla donna borghese contro l’uomo della sua classe; al contrario, la sua è una lotta con l’uomo della sua classe contro la classe capitalista. La proletaria non ha bisogno di lottare contro l’uomo della sua classe per abbattere le barriere che questi ha eretto contro la libera concorrenza. Le necessità dello sfruttamento capitalistico e lo sviluppo del modo di produzione moderno l’hanno collocata in una posizione assolutamente sfavorevole in questa lotta. Al contrario, devono erigersi nuove barriere contro lo sfruttamento della donna proletaria; è necessario restaurarle e assicurare a lei i suoi diritti come sposa e come madre. L’obiettivo finale della sua lotta non è la libera concorrenza con l’uomo, ma la conquista del potere politico da parte del proletariato. La donna proletaria combatte fianco a fianco con l’uomo della sua classe contro la società capitalista. naturalmente, appoggia anche le rivendicazioni del movimento femminista borghese. Ma la soddisfazione di queste rivendicazioni rappresenta per lei solo un mezzo per un fine, affinché possa entrare nella lotta al fianco del proletario equipaggiata con le stesse armi».
Fondamentalmente, la società borghese non si opponeva alle rivendicazioni del movimento femminista borghese, come dimostravano le riforme in favore delle donne che erano già state introdotte nell’area del diritto pubblico e privato in vari Stati. La borghesia tedesca temeva solo che la realizzazione di queste riforme avrebbe portato vantaggi alla socialdemocrazia:
«Certamente, il timore della democrazia borghese è molto miope. Anche se le donne ottenessero l’uguaglianza di diritti politici, nulla cambierebbe nei rapporti di forza reali. La donna proletaria si colloca nel campo del proletariato e la borghese in quello della borghesia. Non dobbiamo farci ingannare dalle tendenze socialiste in seno al movimento femminista borghese, che si manifestano solo finché le donne borghesi si sentono oppresse».
Quanto più la democrazia borghese tradiva la sua missione, tanto più spettava alla socialdemocrazia sostenere la causa dell’uguaglianza politica delle donne. Zetkin passava allora a sviluppare le conclusioni pratiche per l’agitazione socialista tra le donne:
«Il principio‑guida deve essere il seguente: non dobbiamo portare avanti nessuna agitazione specificamente femminile, bensì l’agitazione socialista tra le donne. Non dobbiamo mettere in primo piano i meschini interessi momentanei del mondo della donna: il nostro compito deve essere la conquista della donna proletaria moderna alla lotta di classe. Non abbiamo compiti speciali per l’agitazione tra le donne. Le riforme che devono essere ottenute per le donne nel quadro del sistema sociale esistente sono già incluse nel programma minimo del nostro partito. […] L’agitazione tra le donne deve essere unita ai problemi che rivestono un’importanza prioritaria per tutto il movimento proletario. Il compito principale consiste nel risvegliare la coscienza di classe fra le donne lavoratrici e fare in modo che partecipino alla lotta di classe. La sindacalizzazione delle lavoratrici è estremamente difficile, in particolar modo per quelle che sono impiegate nel lavoro domestico. Poi dobbiamo anche combattere con la percezione generalizzata delle ragazze giovani che l’attività nell’industria è per esse qualcosa di temporaneo, che termina col matrimonio. Per molte donne, il risultato finale è un doppio peso, poiché debbono lavorare in fabbrica e in famiglia. Tanto più necessaria è la fissazione di una giornata di lavoro legale per le lavoratrici».
[…]
Zetkin proponeva la pubblicazione di una serie di opuscoli dedicati alle donne proletarie che trattassero specificamente i loro problemi, e concluse affermando:
«Perché, così come i proletari possono raggiungere la loro liberazione soltanto se lottano uniti, senza distinzione di nazionalità o professione, così possono raggiungere la loro liberazione se lottano insieme senza distinzione di sesso. L’inclusione della grande massa delle donne proletarie nella lotta di liberazione del proletariato è una delle condizioni preliminari per la vittoria dell’idea socialista, per lo sviluppo della società socialista. Solo la società socialista potrà risolvere il conflitto provocato ai giorni nostri dall’impiego della donna. Quando la famiglia come unità economica scomparirà, e al suo posto sorgerà la famiglia come unità morale, la donna sarà capace di promuovere la sua individualità quale compagna al fianco dell’uomo, con uguali diritti giuridici, con le stesse aspirazioni e capacità creative, e al contempo potrà svolgere pienamente il suo ruolo di sposa e madre».
Nelle sue conclusioni, Zetkin rispose alle obiezioni che le erano state mosse, evidenziando ancora una volta l’abisso che separava le donne proletarie dalle femministe borghesi:
«Sono stata accusata di essere oltremodo teorica. Il dibattito ha dimostrato quanto necessario sia adottare una posizione di principio nei confronti del femminismo borghese (bürgerlichen Frauenrechtlerei). La compagna Löwenherz ha detto che abbiamo tutti i motivi per marciare a fianco delle femministe borghesi (bürgerlichen Frauenrechtlerinnen) perché esse difendono molte delle rivendicazioni che anche noi difendiamo. Non sono d’accordo. Questo punto di vista corrisponde all’idea che esiste un “movimento delle donne” in quanto tale, in se stesso. Crediamo che esista solo un movimento di donne in connessione con lo sviluppo storico, e che perciò esista un movimento femminista borghese e un movimento femminista proletario che non hanno in comune più che la socialdemocrazia e la società borghese. Ci opponiamo alle femministe borghesi, non perché non appoggiamo il poco che esse rappresentano, ma perché esse contestano il molto che noi rappresentiamo, ciò che costituisce il contenuto essenziale delle nostre rivendicazioni, non solo rispetto al futuro, ma anche rispetto alle rivendicazioni minime che avanziamo oggi nel quadro della società borghese. I progetti educativi, ad esempio, sono illusori se i bambini proletari debbono al tempo stesso lavorare per guadagnarsi da vivere. Esigiamo non solo alimento spirituale, ma anche materiale. E sarebbe assurdo se noi, che abbiamo dietro di noi il potere sociale compatto della socialdemocrazia, volessimo unirci alle donne borghesi che non hanno dietro di sé alcuna potenza. E un’altra cosa ci separa: la tattica. Debbono forse le proletarie con coscienza di classe presentarsi con suppliche al trono dell’imperatore e ai governi? La compagna Löwenherz dice che dobbiamo lasciare che le femministe borghesi agitino per conto nostro perché non abbiamo agitatrici esperte […] Non è solo questione di ciò che si domanda, ma con che intenzione lo si fa. Quando le donne borghesi avanzano rivendicazioni, non lo fanno col fine di fornire armi in più al proletariato nella lotta per la sua liberazione, ma, sotto la spinta della cattiva coscienza della borghesia, con lo scopo di chiudere la bocca del proletariato proprio con quelle rivendicazioni. Ma vogliamo che, nell’ora del collasso della società borghese, alla fine dello sviluppo capitalista, il proletariato non si trovi come lo schiavo che ha appena spezzato le sue catene, ma come una personalità completamente sviluppata fisicamente, mentalmente e moralmente. E da questo punto di vista non è possibile tra la società borghese e quella proletaria alcuna comunità».
Il Congresso del Partito Socialdemocratico tedesco, celebrato nella città di Gotha nel 1896, adottò una risoluzione programmatica basata sulla mozione e l’intervento di Clara Zetkin.
Note
[1] Teoria che servì da base, ad esempio alla “Dichiarazione di Indipendenza” statunitense del 4 luglio 1776 e alla “Dichiarazione dei Diritti” della Virginia del 12 giugno 1776, ma soprattutto alla “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” proclamata il 26 agosto 1789 dall’Assemblea nazionale durante la Rivoluzione francese. A questa dichiarazione borghese dei “diritti umani” (cioè, alla proclamazione dell’uguaglianza giuridica e politica e della disuguaglianza economico‑sociale, e quindi dello sfruttamento) Lenin contrappose la “Dichiarazione dei Diritti del Popolo Lavoratore e Sfruttato”, adottata dal Terzo Congresso dei Soviet di tutta la Russia (23‑31 gennaio 1918), inclusa come preambolo alla Costituzione approvata dal Quinto Congresso dei Soviet di tutta la Russia (4‑10 luglio 1918).
[2] Zetkin utilizzò quest’espressione nel suo famoso Ricordi di Lenin, scritto nel gennaio 1925: «Le linee guida dovranno esprimere nitidamente che la vera emancipazione della donna è possibile solo con il comunismo. Bisogna evidenziare con forza la relazione indissolubile che esiste tra la posizione sociale e umana della donna e la proprietà privata dei mezzi di produzione. Così tracceremo la linea divisoria ferma e indelebile con il movimento femminista (die feste, unverwischbare Trennungslinie gegen die Frauenrechtlerei)». Nel suo Storia del movimento femminista proletario in Germania (1928), Zetkin utilizzò entrambe le espressioni deplorando la «tendenza femminista (feministische Tendenz) di illustre dirigenti del movimento di Berlino» che erano state influenzate da «idee femministe (frauenrechtlerischen Gedankengängen)».
[3] Evans ha enfatizzato nel suo saggio “The Concept of Feminism: Notes for Practicing Historians” «la profondità della divisione» tra il movimento delle donne socialiste e il femminismo, e nondimeno ha intitolato il suo libro Le femministe.
(Traduzione di Ernesto Russo e Arianna Bove)