Il 6 dicembre scorso, si sono svolte in Venezuela le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea nazionale (il parlamento), l’unico organo dello Stato che non era ancora controllato dal regime tardo‑chavista di Maduro e che è stato consegnato a quest’ultimo dall’esito del voto con il 67,6% dei consensi: una percentuale che, però, si è tradotta nel 92% dei seggi.
Con una sola imbarazzata eccezione, non abbiamo letto al riguardo dichiarazioni da parte delle organizzazioni della sinistra che si definisce rivoluzionaria. Che strano! Eppure, c’era stato – quantomeno dal 2017 e poi per tutto il 2019 – un profluvio di bellicosi e accorati proclami contro il presunto “colpo di stato” organizzato dagli Usa e contro la “ingerenza” degli imperialismi di ogni dove ai danni del Venezuela. Sicché, sarebbe stato lecito attendersi un’espressione della soddisfazione di questi “antimperialisti” per la vittoria della “democrazia (socialista?) venezuelana” contro le borghesie capitaliste mondiali, assetate del petrolio dello Stato caraibico. Invece, niente.
Come i nostri lettori ricorderanno, abbiamo ferocemente polemizzato contro la narrazione tossica, secondo cui era in atto un “golpe” dell’imperialismo contro un supposto “socialismo” venezuelano, con diversi articoli (che possono leggersi qui, qui, qui e qui). E crediamo proprio di avere avuto ragione, visto che i fatti – che, come notoriamente diceva Lenin, hanno la testa dura – hanno confermato la nostra lettura della realtà del Venezuela. Proprio il mutismo degli allora ciarlieri “antimperialisti” ne è la dimostrazione.
Dunque, intendiamo ovviare a questo loro colpevole silenzio presentando l’articolo scritto il 30 dicembre scorso da Simón Rodríguez Porras, che descrive come si è svolto il processo elettorale.
Buona lettura.
La redazione
Come ha fatto il chavismo a ottenere il 92% alle elezioni per l’Assemblea nazionale?
Simón Rodríguez P.
Il 6 dicembre si è svolta l’elezione dei membri dell’Assemblea nazionale (An), il parlamento monocamerale venezuelano. La campagna è stata quasi inesistente in gran parte del Paese e pochi elettori si sono recati alle urne. In molti luoghi le file per comprare la benzina erano molto più lunghe di quelle per votare. Secondo i dati ufficiali, l’astensione è stata del 69,5%. I sondaggisti hanno stimato che l’astensione reale sarebbe compresa tra l’80% e il 90%. La stampa statale venezuelana, russa e iraniana, così come i media chavisti negli Stati Uniti e in Europa, hanno presentato il risultato come un trionfo epico per Maduro. Senza dubbio, si tratta di una nuova svolta del regime dittatoriale borghese venezuelano, che ha così assunto il controllo dell’ultima istituzione che non dominava completamente. Ma il risultato elettorale era assicurato già prima del voto. Vediamo quali sono stati i meccanismi attraverso i quali un sostegno popolare che ha raggiunto a malapena il 14% si è tradotto in una maggioranza del 92% dell’An.
L’elezione di un parlamento senza funzioni
La forte astensione indica che la maggioranza dei lavoratori ha compreso quanto insignificanti fossero le elezioni: il voto non avrebbe avuto alcun impatto sulla disastrosa situazione nazionale perché il parlamento era stato di fatto privato di tutte le sue funzioni da diversi anni.
Nel 2015 si sono tenute le ultime elezioni in cui c’è stato un minimo di competizione. In quell’occasione, il voto di protesta di milioni di venezuelani dei quartieri popolari significò il ripudio dell’impoverimento prodotto dalla manovra economica di Maduro con cui venivano ridotte le importazioni di prodotti alimentari e diminuiti i salari per pagare il debito estero, e il rifiuto della crescente repressione. Quel voto di protesta consegnò i due terzi del parlamento alla coalizione di opposizione di centrodestra, la Mesa de la Unidad Democrática (Mud).
Il chavismo decise di non riconoscere il risultato e utilizzò allo scopo la Corte Suprema di Giustizia (Tsj) sotto il suo controllo per annullare l’elezione dei quattro deputati dello Stato di Amazonas, impedendo così che potesse comporsi la maggioranza dei due terzi. Grazie a decisioni della Corte Suprema, tra cui una dichiarazione di “vilipendio”, il governo soppresse tutti i poteri del parlamento, dalla promulgazione delle leggi all’audizione di funzionari governativi. In effetti, realizzò un colpo di stato concentrando queste funzioni sul potere esecutivo ed eliminò le garanzie costituzionali avvalendosi del supporto delle Forze armate, il cui potere all’interno del governo aumentò notevolmente.
La Mud si piegò alle decisioni della Corte Suprema, accettando persino che il governo impedisse lo svolgimento di un referendum revocatorio nel 2016 – un meccanismo previsto dalla Costituzione venezuelana che avrebbe rimosso Maduro dal potere attraverso il voto – dedicando poi l’intero anno a oscure trattative con il governo. Ma nel marzo 2017 Maduro, fiducioso nella passività di quell’opposizione, decise di assumere il potere di legiferare e di elargire in maniera diretta concessioni petrolifere. Quest’abuso provocò proteste popolari che oltrepassarono del tutto i partiti di opposizione e si trasformarono in una vera ribellione popolare. Maduro le schiacciò a ferro e fuoco dopo tre mesi di mobilitazioni, saccheggi e scontri con le forze repressive, sia militari che paramilitari. Più di cento persone vennero uccise, migliaia furono gli arrestati e numerosi i torturati.
Il tradimento delle proteste da parte della Mud, che scelse di negoziare con il governo condannando le azioni popolari più radicali, come i saccheggi, le causò un tale discredito che la indusse a sciogliersi poco dopo. Il governo approfittò del suo trionfo maturato sul sangue per imporre un nuovo organo dittatoriale, l’Assemblea nazionale costituente (Anc). Un organo sovra‑costituzionale composto esclusivamente da membri del partito di governo. Si trattò anche del risultato delle prime elezioni fraudolente, senza opposizione, che costituì il modello per quelle successive. Per quanto possa sembrare incredibile, a tutt’oggi i risultati dettagliati di quelle elezioni non sono stati resi noti. Fissando una quota di membri che sarebbero stati eletti da organizzazioni chaviste, come la filopadronale Central Bolivariana Socialista de Trabajadores, e attraverso la sovra‑rappresentazione dei distretti rurali, il governo si assicurò in anticipo una maggioranza assoluta di membri anche laddove avesse ottenuto un voto minoritario.
Nei tre anni in cui è stata operativa, l’Anc non ha redatto nessuna nuova Costituzione, benché fosse questo l’obiettivo per cui era ufficialmente nata. Ha invece rimosso e nominato autorità, revocato l’immunità parlamentare dei deputati dell’Assemblea nazionale, promulgato leggi per limitare i diritti democratici stabiliti nella Costituzione, come la cosiddetta “Legge contro l’odio” leggi per consentire grandi privatizzazioni e svendita di risorse naturali a società private nazionali e transnazionali, convocato elezioni fraudolente e modificato regolamenti elettorali. È stata un braccio del potere dittatoriale di Maduro.
Il fatto che l’An sia stata totalmente svuotata delle sue funzioni e che un’Anc dai poteri illimitati sia stata sovrapposta ad essa già rendeva le elezioni del 6 dicembre una farsa completa. È stato in questo quadro che la maggior parte dell’opposizione, sia quella rappresentata nell’An uscente che quella extraparlamentare e di sinistra, ha boicottato le elezioni. Un settore del centrodestra, guidato da Capriles, ha cercato di negoziare le condizioni elettorali per partecipare, ma non ha ottenuto significative concessioni dal governo. L’Anc è stata sciolta solo quando il governo è stato in grado di impossessarsi fraudolentemente dell’Assemblea nazionale.
Il governo sceglie i candidati ufficiali e anche i propri “oppositori”
Dal 2016, il governo ha approfondito la sua politica di proscrizione dalla partecipazione elettorale di candidati e partiti dell’opposizione. Tra le elezioni del 2015 e quelle del 2020, il numero dei partiti nazionali al ballottaggio è sceso da 35 a 26. Ma questa cifra di per sé sola è fuorviante. In realtà, nelle elezioni del 2015 i partiti di opposizione scelsero di utilizzare un’unica coalizione unitaria, composta da più di 50 partiti legalmente riconosciuti. In quell’occasione, l’unico partito che presentò candidature fuori dal controllo del governo fu il Partito Comunista del Venezuela (Pcv), che, nonostante il sostegno a Maduro, lanciò candidati chavisti dissidenti. Questo dissenso limitato ebbe come conseguenza persecuzioni, licenziamenti, detenzioni arbitrarie e soprusi polizieschi.
Otto partiti hanno composto la coalizione ufficiale, metà della quale è stata attribuita ad agenti governativi attraverso decisioni giudiziarie per impedire la possibilità di candidature chaviste dissidenti, come accadde col Pcv (è stato così per i partiti Ppt, Podemos, Tupamaro e Mep). Le restanti 17 liste elettorali corrispondevano a organizzazioni di opposizione sottoposte a manipolazione da parte del Tsj o che hanno capitolato al governo. Ad esempio, la “Alianza Democrática” era composta dalle liste Acción Democrática e Copei, partiti borghesi tradizionali in cui c’è stata ingerenza del Tsj, Avanzada Progresista, organizzazione diretta dall’ex chavista Henri Falcón e che si è sottomessa al governo, e dagli evangelici di estrema destra di Esperanza por El Cambio, anch’essi legati al chavismo da corruzione in affari come il traffico di carburante. La “Alianza Venezuela Unida” era composta da Venezuela Unida e Voluntad Popular, entrambe organizzazioni sottoposte ad ingerenza giudiziaria, e Primero Venezuela, un’organizzazione autorizzata dal Tsj a partecipare a questa elezione e legata a Luis Parra, un deputato dell’opposizione che si è autoproclamato presidente dell’An nel gennaio 2020 con il sostegno del chavismo. Si è presentata con lo stesso simbolo di Primero Justicia, un’altra organizzazione di opposizione che non ha partecipato alle elezioni.
La maggioranza dei candidati della pseudo‑opposizione era composta da personaggi totalmente sconosciuti alla gran parte della popolazione. La loro unica funzione era quella di dare al processo elettorale una parvenza di pluripartitismo.
Il ricatto della fame
Oltre a impedire la partecipazione indipendente alle elezioni e dissuadere la maggioranza che ripudia la dittatura dall’utilizzare il voto come mezzo per esprimere la propria posizione politica, bisognava però ancora sottoporre a pressioni i pochi elettori che intendevano votare. L’ex ministro del servizio penitenziario e candidata governativa all’An, Iris Varela, ha coniato lo slogan “chi non vota sia licenziato”, facendo dunque appello al licenziamento dei dipendenti pubblici.
Il presidente dell’Anc, il militare Diosdado Cabello, durante una manifestazione elettorale nello stato di Carabobo ha lanciato un avvertimento, cinicamente poi fatto passare per una battuta: “Chi non vota, non mangia. Niente cibo per chi non vota”.
In Venezuela, gran parte della popolazione dipende dalla concessione di buoni alimentari per integrare una dieta sempre più ristretta a causa della riduzione del salario minimo a un dollaro al mese. Il 30% dei bambini è afflitto da problemi di scarsa crescita a causa della malnutrizione e il 79% delle famiglie non può coprire il costo del paniere alimentare. Con una contrazione economica di oltre il 75% che dal 2013 si è andata accumulando, crescenti settori di popolazione dipendono da questi sussidi statali sempre più esigui.
Il governo ha sistematicamente installato dei gazebo vicino alle sezioni elettorali utilizzando il “Carnet de la Patria” per controllare che i beneficiari del programma alimentare sovvenzionato Clap stessero votando[1].
Questo ricatto è servito a portare alle urne alcuni dei pochi elettori della giornata.
Rappresentanza non proporzionale
Il Consiglio nazionale elettorale, designato dal Tsj e non dall’Assemblea nazionale come previsto invece dalla Costituzione, ha aumentato il numero dei seggi da 167 a 277, ma ciò non ha migliorato la rappresentanza proporzionale. Il 69,2% dei voti ottenuti dalla coalizione chavista risulta sovrarappresentato con 256 deputati, cioè il 92% dei seggi in lizza. Gli pseudo‑oppositori della Alianza Democrática e della Alianza Venezuela Unida hanno ottenuto rispettivamente 18 e 2 deputati, mentre l’alleanza chavista dissidente guidata dal Pcv ha ottenuto un solo deputato.
Senza alcun ritegno, il Consiglio nazionale elettorale ha pure modificato i risultati, addirittura dopo la loro pubblicazione, per favorire due sedicenti oppositori che erano rimasti senza seggio, Luis Parra e Timoteo Zambrano.
Se si considera l’astensione, il voto per il chavismo equivale, secondo i dati ufficiali, al 20% del totale dei votanti nelle liste elettorali. La cifra reale è ancora più bassa.
Il crollo dell’opposizione filo‑statunitense
Nel gennaio 2019, approfittando della natura fraudolenta delle elezioni presidenziali del 2018, il presidente dell’Assemblea nazionale si è autoproclamato “presidente ad interim”, sponsorizzato dall’amministrazione Trump. Il semisconosciuto Juan Guaidó ha suscitato in gran parte della popolazione aspettative che però ben presto sono sfumate. Per molto tempo Guaidó ha centrato il suo discorso sul fatto che gli Stati Uniti e la “comunità internazionale” avrebbero salvato il Paese e che bisognava limitarsi ad aspettare. Ha sostenuto l’applicazione delle sanzioni petrolifere che hanno aumentato la miseria che milioni di persone già stavano soffrendo a causa delle politiche di saccheggio e semi‑schiavitù applicate dal chavismo. Insieme al suo mentore, Leopoldo López, ha tentato di organizzare un complotto che in realtà avrebbe dovuto essere posto in essere dagli stessi militari chavisti ma che è fallito com’era prevedibile. Poi è arrivato il fiasco dell’avventura dei mercenari americani nel maggio 2020. Il Washington Post ha pubblicato il contratto con i mercenari firmato da Guaidó e ha avuto accesso a un video che registra il momento della firma. Inoltre, Guaidò è stato coinvolto in tutti i tipi di scandali di corruzione, che lo hanno collegato persino a settori della boliborghesia.
I sondaggi hanno rispecchiato il crollo del sostegno a Guaidó e hanno espresso un rifiuto delle sanzioni economiche statunitensi superiore al 70%.
La risposta di Guaidó alla farsa elettorale del 6 dicembre si è limitata alla realizzazione di una consultazione elettronica per disconoscere il risultato delle urne, estendere il mandato ormai terminato del parlamento uscente e sollecitare una maggiore ingerenza straniera. Anche questo evento non ha suscitato l’interesse delle masse popolari.
Contro l’ingerenza imperialista e la dittatura civico‑militare
Non ci sono state grandi proteste contro la farsa elettorale del 6 dicembre. Ma la dittatura civico‑militare è ben lontana dal godere di una stabilizzazione del suo governo. Il Paese è in rovina, con l’inflazione fuori controllo e la produzione nazionale in caduta libera. Bande criminali scorrazzano per gran parte del Paese. Ogni settimana ci sono decine di proteste su tutto il territorio.
Fra gli alleati internazionali di Maduro si annoverano macellai reazionari come il dittatore siriano Bashar Al Assad, il regime teocratico di estrema destra iraniano, il turco Recep Erdogan o il gangster Vladimir Putin. Ironia della sorte, anche una parte della sinistra internazionale sostiene Maduro e approva le sue politiche antioperaie e antipopolari sotto la bandiera di un falso “antimperialismo” e persino “socialismo”. Non c’è nulla di più lontano dal socialismo che la politica di privatizzazione e saccheggio condotta da Maduro e dai suoi militari corrotti, con le sue conseguenze di estrema disuguaglianza sociale.
Come affermato dal Partito Socialismo e Libertà, dall’opposizione di sinistra: «Al popolo venezuelano resta una sola strada, quella della lotta e della mobilitazione. È imperativo organizzarci nelle comunità, nelle fabbriche, nelle aziende e nelle università. Unire le diverse lotte che i lavoratori stanno portando avanti e cercare di connetterci con le proteste che le comunità stanno facendo contro i pessimi servizi pubblici».
Dai settori rivoluzionari e democratici dobbiamo continuare a denunciare le sanzioni economiche degli Usa che dissanguano il Venezuela, senza cessare di difendere le libertà democratiche del popolo venezuelano, basate sul diritto elementare all’alimentazione e ad un salario non meramente simbolico in cambio della giornata lavorativa. Sarebbe davvero significativo se la sinistra statunitense si demarcasse dai visitatori “progressisti” che visitano il Paese per scrivere elogi alla dittatura e farsi selfie in ristoranti alla moda[2]; se coloro che si dichiarano antimperialisti denunciassero aziende statunitensi ed europee come Chevron e Total che pagano stipendi inferiori a 15 dollari al mese ai lavoratori venezuelani del petrolio, approfittando delle condizioni lavorative di semischiavitù imposte da Maduro. Alziamo la voce in favore dei detenuti politici come Rodney Álvarez, un operaio incarcerato da più di nove anni senza processo. per gli operai petroliferi arrestati, come Bartolo Guerra, Aryenis Torrealba e Alfredo Chirinos, e per gli attivisti di sinistra vittime di sparizioni forzate, come Alcedo Mora, per i leader indigeni uccisi dalla polizia chavista, come Sabino Romero, o per le migliaia di giovani giustiziati in modo extragiudiziale ogni anno dagli squadroni della morte chavisti.
(Traduzione di Andrea Di Benedetto)
Note
[1] Il “Carnet della Patria” è una sorta di tessera annonaria elettronica che, oltre a servire per ricevere i sussidi alimentari, viene utilizzata per pagare i servizi di base (elettricità, telefono, gas). Poiché contiene anche i dati identificativi del titolare, può essere usata anche per votare: e infatti, il “suggerimento” del governo attraverso i gazebo posti vicino alle urne era proprio di utilizzarla a questo scopo. In tal modo, risulta facile “associare” il voto ai sussidi alimentari. E in questo sta il ricatto di cui si parla nel testo: se nel “Carnet” non c’è traccia di partecipazione al voto, viene minacciato il diritto all’elargizione del buono alimentare. Insomma, è fin troppo agevole ritenerlo un sistema di controllo sociale [Ndt].
[2] Basti pensare al politologo “di sinistra” Ignacio Ramonet, già direttore di Le Monde Diplomatique, che realizza ogni anno un’intervista a Maduro, in cui con aria complice lo blandisce riempiendolo di complimenti, mentre l’altro si compiace di tanta attenzione. Chi avesse voglia di assistere alla pantomima realizzata lo scorso 1° gennaio può farlo accedendo a questo link [Ndt].