La “patrimoniale” dei chiacchieroni e quella dei rivoluzionari
Il decreto con cui il governo bolscevico impose una vera patrimoniale
Ritorniamo sul tema della c.d. “patrimoniale”, dopo essercene interessati in un precedente articolo.
In quel testo argomentavamo non solo che si tratta di una misura (e non già di una “rivendicazione”) transitoria – e cioè, di transizione al socialismo – ma che, proprio per questo, essa non può essere agitata «in una situazione pacifica, borghese», come scriveva Engels. Anzi, proprio perché deve essere inserita in un complesso di altre misure che, tutte insieme, formano un “programma di transizione”, non può essere agitata separata dalla altre e indirizzata ad un governo borghese insediato al potere, ma soltanto imposta alla classe capitalista dal «proletariato … organizzato come classe dominante» (Marx‑Engels), cioè dalla classe lavoratrice “insorta e che l’imponga con la forza delle armi” (Engels).
Né è pensabile, come ritengono alcuni, che l’agitazione di questa parola d’ordine serva per “mobilitare le masse”. In quanto transitoria, la misura della patrimoniale – con la relativa rivendicazione – deve essere considerata intrinsecamente contraddittoria con il sistema capitalistico (e infatti Marx ed Engel nel Manifesto la collocavano nell’insieme di misure che il proletariato, dal potere, avrebbe dovuto mettere in pratica per avviare la transizione al socialismo). E perciò, in quanto transitoria, non è realizzabile entro i limiti del sistema e della dominazione capitalistica. Pensare che il semplice fatto di agitarla “mobiliti le masse” significa essere totalmente a digiuno della psicologia sociale delle stesse. Se bastasse questo metodo, irrealizzabile per irrealizzabile tanto varrebbe agitare direttamente la parola d’ordine della presa del potere del proletariato; mobilitazione per mobilitazione, tanto varrebbe mobilitare le masse per il socialismo!
Il fatto è che rivendicando in un periodo di dominazione borghese la “patrimoniale” si scade nel riformismo e financo nella collaborazione di classe: si chiede, cioè, allo Stato borghese di risolvere i problemi del proletariato attraverso una “riforma” del capitalismo che proprio quegli stessi problemi ha generato. Agitare parole d’ordine che appaiono come “soluzioni” semplici da realizzare (e che invece non lo sono; o quantomeno, non nel sistema capitalista) non significa affatto che le masse le adottino “come proprie” e che, sol per questo “si mobilitino”; né che, ove mai si realizzasse una mobilitazione, questa si svilupperebbe in un’ascesa sempre più vertiginosa fino a sboccare nella lotta aperta per la presa del potere. Una visione così meccanicistica non tiene conto di una serie di variabili, quali l’ideologia delle masse (con la loro aspettativa di ottenere un risultato favorevole immediato entro i limiti del sistema) combinata con quella dominante della classe capitalistica (con la sua capacità di fare concessioni al momento opportuno per sviare o chiudere le lotte, utilizzando anche le burocrazie politico‑sindacali quali propri agenti all’interno del movimento operaio; o in ultima analisi di stroncare quella mobilitazione con la violenza dei corpi repressivi dello Stato).
Perché, alla fine dei conti, bisogna decidersi. Se siamo consapevoli che entro i limiti del sistema capitalista non ci sono soluzioni per far fronte alle crisi che il sistema stesso produce e che colpiscono la classe lavoratrice e, più in generale, le masse popolari, allora non possiamo diventare consiglieri dello Stato borghese, suggerendogli espedienti semplici per porre fine a quelle crisi e spacciandoci perdipiù per “marxisti”. Altrimenti, perché mai Marx avrebbe dedicato la gran parte della sua esistenza allo studio e alla critica dell’economia politica borghese (perlopiù vivendo nell’indigenza) con lo scopo di rovesciarne il sistema, quando invece gli sarebbe bastato individuare una o due rivendicazioni da agitare all’indirizzo dello Stato capitalista (per esempio, la “patrimoniale”) per stimolare la “mobilitazione delle masse” fino ad ottenere che “prendessero coscienza” che è necessario il socialismo?
Se cioè sosteniamo che l’unica soluzione è l’instaurazione del socialismo, non ci si può chiedere di utilizzare Il Capitale oppure Il Manifesto per risolvere i problemi che il capitalismo produce alla classe lavoratrice “collaborando” con esso per individuare in questo sistema le modalità per alleviare le sofferenze delle classi subalterne.
Ecco perché – per ritornare al tema specifico della “patrimoniale”, e al dibattito che si sta sviluppando in queste settimane nella sinistra del nostro Paese – ci piace evidenziare che neanche in una situazione di doppio potere, nel quadro di una profonda crisi politica che squassava dalle fondamenta la società russa e alla vigilia della Rivoluzione d’ottobre, i bolscevichi si sognarono di avanzare all’indirizzo del governo provvisorio – che pure era il prodotto di una rivoluzione – la rivendicazione della “patrimoniale”. Anzi, Lenin fu addirittura esplicito nel chiarire che un programma di misure transitorie sarebbe stato attuabile solo dopo «la conquista del potere da parte del proletariato, con il partito bolscevico alla testa […]».
E fu di parola. Soltanto il 20 ottobre (2 novembre) 1918 – un anno dopo la presa del potere! – il governo bolscevico decise di imporre, dal potere, una vera patrimoniale di dieci miliardi di rubli sulle classi possidenti.
Il decreto all’uopo adottato, che presentiamo qui di seguito nella traduzione in italiano, fu possibile non perché la classe operaia avesse agitato la relativa rivendicazione all’indirizzo di un esecutivo borghese, né perché fosse stata “mobilitata” da quella parola d’ordine, ma perché essa, in armi, era insediata al potere e aveva la forza di imporre quella misura in danno degli sfruttatori che si erano arricchiti negli anni precedenti alle spalle della popolazione. Con separata ordinanza il governo bolscevico precisò pure che l’imposta prevista da questo decreto trovava applicazione anche nei confronti di cittadini stranieri, domiciliati però sul territorio della Russia sovietica.
Crediamo che per la discussione sul tema in esame sia utile questo riferimento storico perché rappresenta un’applicazione concreta all’esperienza pratica dei criteri che il marxismo ha elaborato.
Il testo è tratto dal libro di Raoul Labry, Une législation communiste. Recueil des lois, decrets, arrêtés principaux du gouvernement bolchéviste, Payot & C., 1920, pp. 560 e ss.
Buona lettura.
La redazione
Decreto sull’imposta unica e straordinaria rivoluzionaria confermata dal Comitato Centrale Esecutivo di Russia il 20 ottobre 1918
La situazione internazionale derivante dagli ultimi avvenimenti sul teatro della guerra imperialista mondiale e l’unificazione del fronte dell’armata internazionale dei proletari che attualmente è in via di formazione obbligano a tendere tutte le forze nella lotta per la difesa della rivoluzione sociale, non soltanto russa, bensì mondiale. Così la Repubblica russa crea una poderosa Armata rossa.
Per l’organizzazione, l’equipaggiamento e l’addestramento di quest’armata occorrono somme colossali, che le entrate ordinarie dello Stato non possono fornire.
Tuttavia, la borghesia delle città e gli accaparratori dei villaggi hanno saputo, durante gli anni della guerra imperialista, accumulare – e continuano ancora ad accumulare – enormi capitali, soprattutto attraverso una rapace speculazione sui prodotti di prima necessità e in particolare sul grano.
È necessario sottrarre, immediatamente e per intero, tutte queste ricchezze agli elementi parassitari e controrivoluzionari della popolazione utilizzandole per i prementi bisogni della lotta rivoluzionaria.
Conseguentemente, il Comitato centrale esecutivo ordina di gravare i gruppi agiati della popolazione delle città e delle campagne con un’imposta generale, unica, per un ammontare totale di dieci miliardi di rubli, da applicare sulla base dei seguenti criteri:
- L’imposta unica e straordinaria si applica alle persone appartenenti ai gruppi agiati della popolazione delle città e delle campagne.
- Coloro che abbiano come unico mezzo di sostentamento il loro salario, stipendio o pensione, non superiori a 1500 rubli al mese, e che non godano di risorse pecuniarie, non sono assoggettati all’imposta unica e straordinaria.
- L’imposta unica e straordinaria non può essere applicata alle imprese nazionalizzate e municipalizzate, né alle cooperative dei consumatori e alle comuni agricole.
- L’ammontare totale dell’imposta unica e straordinaria è ripartito fra i governi della Repubblica conformemente alla lista di riparto allegata al presente decreto.
Nota: A richiesta dei Comitati esecutivi dei governi, giustificata da dati precisi, il Commissario del popolo alle Finanze, d’intesa con il Commissario del popolo all’Interno, ha il potere di modificare la somma totale dell’imposta unica e straordinaria fissata per il riparto dal rispettivo governo.
- L’ammontare totale dell’imposta unica e straordinaria fissata giusta il precedente paragrafo 4 da ciascun governo è ripartito dal Comitato esecutivo del governo fra i distretti e le città che partecipano al Congresso dei soviet del governo (Costituzione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, art. 53, lett. b[1]).
Il Comitato esecutivo distrettuale ripartisce la somma dell’imposta unica e straordinaria fissata dal Comitato esecutivo del governo tra le comuni del distretto e i consigli dei deputati comunali: fra i villaggi e le borgate (Costituzione, art. 57, lett. b[2]).
- I comitati degli indigenti e i consigli dei villaggi comunali e municipali redigono le liste degli individui assoggettati all’imposta unica e straordinaria e stabiliscono la ripartizione delle somme dovute dalla popolazione del villaggio o della città fra i soggetti passivi del tributo, conformemente alla loro situazione finanziaria e alle entrate di ogni individuo. Tale ripartizione è fatta in modo che i poveri delle città e delle campagne siano del tutto esenti dall’imposta unica e straordinaria, che le fasce intermedie della popolazione siano tenute al versamento di una somma non gravosa e che tutto il peso dell’imposta unica e straordinaria colpisca la parte ricca della popolazione urbana e i contadini ricchi.
- L’introduzione dell’imposta unica e straordinaria non abroga nessuna delle imposte esistenti.
- Il mancato pagamento dell’imposta unica e straordinaria comporta la responsabilità personale e finanziaria.
- L’imposta unica e straordinaria è iscritta fra le entrate generali dello Stato nel bilancio del dipartimento delle imposte dirette del Commissariato del popolo alle Finanze.
- Il presente decreto entra immediatamente in vigore, in modo che tutta la ripartizione sia portata a termine per il 1° dicembre e la riscossione avvenga al massimo entro il 15 dicembre del corrente anno.
Il presidente del Comitato centrale esecutivo panrusso:
J. Sverdlov
Il presidente del Consiglio dei Commissari del popolo:
V. Ul’janov (Lenin)
Il segretario del Comitato centrale esecutivo:
A. Enukidze
Note
[1] R. Labry, Une législation communiste. Recueil des lois, decrets, arrêtés principaux du gouvernement bolchéviste, Payot & C., 1920, pp. 11‑12.
[2] Ivi, p. 13.