Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Polemica, Politica nazionale, Teoria

“Patrimoniale”: facciamo chiarezza una volta per tutte

Anche il Monopoli prevede la "patrimoniale"

“Patrimoniale”: facciamo chiarezza una volta per tutte

 

Vale­rio Torre

  

«La ridu­zio­ne del­le tasse,
la loro distri­bu­zio­ne più equa, ecc.
è una bana­le rifor­ma bor­ghe­se»
(K. Marx)

«… pro­mes­se smo­da­te e per­si­no smisurate,
sen­za però com­pren­de­re le condizioni
in cui sarà pos­si­bi­le rea­liz­za­re in con­cre­to quel­le pro­mes­se.
Il pro­ble­ma è tut­to qui.
[…] un’imposta […] sui pro­fit­ti dei capitalisti
[rap­pre­sen­ta] un model­lo di fra­se ad effetto.
Nei par­la­men­ti del­le repub­bli­che borghesi
que­ste fra­si ser­vo­no sem­pre a ingan­na­re il popolo»
(V.I. Lenin)

« Se i par­ti­ti socia­li­sti non avessero
un cri­te­rio oggettivo
per sta­bi­li­re chia­ra­men­te ciò che corrisponde
agli inte­res­si di clas­se del proletariato
e si lascias­se­ro gui­da­re da ciò che alcu­ne persone
riten­go­no buo­no o uti­le per i lavoratori,
i pro­gram­mi socia­li­sti sarebbero
una biz­zar­ra col­le­zio­ne di desi­de­ri soggettivi
e qua­si sem­pre utopistici»
(R. Luxem­burg)

 

 

Gli even­ti che, a par­ti­re dal­la cri­si eco­no­mi­ca del 2009 fino a quel­la sca­te­na­ta dal­la pan­de­mia da Covid‑19, han­no enor­me­men­te impo­ve­ri­to le clas­si subal­ter­ne amplian­do più che mai il diva­rio fra que­ste ulti­me e i gran­di capi­ta­li­sti, spin­go­no le orga­niz­za­zio­ni del­la sini­stra a met­te­re in cam­po diver­si ten­ta­ti­vi per mobi­li­ta­re le mas­se popo­la­ri. Assi­stia­mo, soprat­tut­to in quest’ultimo perio­do, al fio­ri­re di pro­po­ste pro­gram­ma­ti­che varia­men­te decli­na­te sot­to for­ma di riven­di­ca­zio­ni che inten­de­reb­be­ro per­se­gui­re quest’obiettivo.
E così, non pas­sa gior­no sen­za ascol­ta­re paro­le d’ordine a pro­po­si­to del “con­trol­lo ope­ra­io”, dell’imposizione di una “patri­mo­nia­le”, o del­la neces­si­tà di pro­ce­de­re a “nazio­na­liz­za­zio­ni” (quest’ultima, nel­lo spe­ci­fi­co, è tor­na­ta in auge – dopo i casi Ilva e Ali­ta­lia – con rife­ri­men­to alla vicen­da di Auto­stra­de per l’Italia, la socie­tà che fa capo alla fami­glia Benet­ton e che da decen­ni gesti­sce la rete auto­stra­da­le italiana).
Ci sia­mo occu­pa­ti del “con­trol­lo ope­ra­io” in un arti­co­lo spe­ci­fi­co, con­te­stan­do la faci­lo­ne­ria con cui que­sta par­ti­co­la­re riven­di­ca­zio­ne vie­ne avan­za­ta, e a que­sto testo rinviamo.
Voglia­mo, inve­ce, sof­fer­mar­ci su uno degli altri due temi in auge: la patrimoniale.

Una pro­po­sta “di buon sen­so” … apprez­za­ta dai capitalisti
La paro­la d’ordine del­la patri­mo­nia­le appa­re dav­ve­ro di buon sen­so: chi, di fron­te allo sfac­cia­to arric­chi­men­to di pochis­si­mi e all’immiserimento di tan­tis­si­mi, non tro­ve­reb­be sen­sa­to che i “ric­chi” ceda­no qual­co­sa a van­tag­gio del­le fasce socia­li più debo­li? E così, ven­go­no lan­cia­ti slo­gan come “non sare­mo noi a paga­re la vostra cri­si”, oppu­re “la cri­si la paghi­no i padro­ni”, che, nel­le miglio­ri inten­zio­ni di chi li conia, dovreb­be­ro mobi­li­ta­re le clas­si subal­ter­ne crean­do le con­di­zio­ni per una dina­mi­ca di mas­sa ascen­den­te a par­ti­re da que­sto assun­to. Addi­rit­tu­ra, lad­do­ve par­ti­ti che si richia­ma­no al mar­xi­smo rivo­lu­zio­na­rio sono rap­pre­sen­ta­ti in par­la­men­to, ven­go­no per­si­no pre­sen­ta­ti pro­get­ti di leg­ge che pre­ve­do­no l’applicazione di un’aliquota impo­si­ti­va sul­le “gran­di for­tu­ne”[1].
Poche set­ti­ma­ne orso­no, due depu­ta­ti ita­lia­ni, Mat­teo Orfi­ni (del­la “sini­stra” del Pd) e Nico­la Fra­to­ian­ni (di LeU), sono sta­ti i pri­mi fir­ma­ta­ri di un emen­da­men­to alla leg­ge di bilan­cio che pun­ta all’intro­du­zio­ne di una “patri­mo­nia­le” così con­ce­pi­ta: ali­quo­ta pro­gres­si­va mini­ma del­lo 0,2% sui gran­di patri­mo­ni la cui base impo­ni­bi­le è costi­tui­ta da una ric­chez­za net­ta supe­rio­re a 500.000 euro e fino a 1 milio­ne di euro, per arri­va­re al 2% oltre i 50 milio­ni di euro. L’idea alla base di que­sto pre­lie­vo è, nel qua­dro di un pro­get­to di rifor­ma fisca­le, di desti­na­re i pro­ven­ti alla “redi­stri­bu­zio­ne del­la ric­chez­za” e alla sani­tà in quest’epoca di pan­de­mia[2].
La pro­po­sta – che è poi sta­ta boc­cia­ta in Com­mis­sio­ne Bilan­cio del­la Came­ra – ha imme­dia­ta­men­te pro­vo­ca­to il “rilan­cio” da par­te del­le orga­niz­za­zio­ni poli­ti­che e sin­da­ca­li del­la sini­stra extra­par­la­men­ta­re di una pro­po­sta che cir­co­la da qual­che tem­po: tas­sa­re con l’aliquota del 10% il 10% del­la popo­la­zio­ne più ric­ca (c.d. “Mil­lion tax”).
Ma, ben­ché suo­ni para­dos­sa­le, sono gene­ral­men­te gli stes­si capi­ta­li­sti a sug­ge­ri­re l’adozione di una patri­mo­nia­le con la pale­se inten­zio­ne di apri­re una val­vo­la di sfo­go per la pres­sio­ne socia­le accu­mu­la­ta­si a segui­to dell’impoverimento gene­ra­liz­za­to: è sta­to infat­ti il Fon­do mone­ta­rio inter­na­zio­na­le a rac­co­man­dar­ne l’introduzione; men­tre l’Ocse, che in pas­sa­to fu una fie­ra soste­ni­tri­ce del­la misu­ra, oggi con­si­glia che quan­to­me­no si tas­si­no le gran­di cor­po­ra­tion del web. E non è cer­to per­ché afflit­ti da un improv­vi­so sen­so di col­pa per le loro immen­se for­tu­ne che miliar­da­ri del­lo stam­po di Bill Gates e War­ren Buf­fett si lamen­ta­no del­le poche tas­se paga­te al fisco. Tra gli “ideo­lo­gi” di un prov­ve­di­men­to del gene­re anno­ve­ria­mo il noto eco­no­mi­sta fran­ce­se Tho­mas Piket­ty, segui­to dai suoi col­le­ghi sta­tu­ni­ten­si Gabriel Zuc­man ed Emma­nuel Saez. Non pote­va man­ca­re all’appello il sena­to­re Usa, Ber­nie San­ders, che ha inse­ri­to la pro­po­sta nel suo recen­te pro­gram­ma elet­to­ra­le.

“Patri­mo­nia­le”: riven­di­ca­zio­ne mini­ma o misu­ra di transizione?
E dun­que, un prov­ve­di­men­to che intro­du­ces­se una patri­mo­nia­le per ridur­re gli squi­li­bri tra colo­ro che in que­sti anni si sono enor­me­men­te arric­chi­ti e il resto del­la popo­la­zio­ne, che pun­tas­se cioè a una “redi­stri­bu­zio­ne del­la ric­chez­za”, appa­re ai più, come già det­to, di buon senso.
Ma basta l’apparente “ragio­ne­vo­lez­za” di una simi­le misu­ra – comun­que la si voglia con­ce­pi­re – per­ché chi si richia­ma al mar­xi­smo la sosten­ga al pun­to tale da far­ne una (addi­rit­tu­ra la prin­ci­pa­le, in que­sto momen­to) del­le pro­prie ban­die­re? Noi rite­nia­mo di no.
Gene­ral­men­te, chi decli­na que­sta riven­di­ca­zio­ne – e, dun­que, pun­ta a con­se­gui­re il rela­ti­vo prov­ve­di­men­to che la rea­liz­zi – non dice su qua­li basi essa si fon­da­men­ti; non spie­ga, cioè, di qua­le tipo di riven­di­ca­zio­ne sta par­lan­do. Det­to ancor più chia­ra­men­te: non spie­ga come la si deb­ba inqua­dra­re da un pun­to di vista teo­ri­co. La agi­ta e basta.
E tut­ta­via, abbia­mo infi­ne rin­ve­nu­to nell’elaborazione del­la piat­ta­for­ma pro­gram­ma­ti­ca del­le orga­niz­za­zio­ni politico‑sindacali che stan­no pro­cla­man­do que­sta paro­la d’ordine il con­tor­no teo­ri­co che, nel­le inten­zio­ni di chi l’ha idea­ta, la carat­te­riz­za. In par­ti­co­la­re, i com­pa­gni del Col­let­ti­vo “Il Pun­go­lo ros­so” chia­ri­sco­no sul loro sito che la «patri­mo­nia­le sui più ric­chi» sareb­be «pie­na­men­te compatibil[e] con il capi­ta­li­smo, ed attuabil[e] … entro il peri­me­tro degli attua­li rap­por­ti socia­li poi­ché non toc­ca né la pro­prie­tà dei mez­zi di pro­du­zio­ne e la cen­tra­li­tà dell’azienda nel­la pro­du­zio­ne socia­le, né l’organizzazione e la divi­sio­ne socia­le del lavo­ro». Det­to in altri ter­mi­ni, carat­te­riz­za­no quel­la del­la “Mil­lion tax” – e la misu­ra che dovreb­be rea­liz­zar­la – come una “riven­di­ca­zio­ne minima”.
È noto che Lenin con­si­de­ra­va quel­le “mini­me” come le riven­di­ca­zio­ni che in prin­ci­pio pote­va­no esse­re rag­giun­te entro i limi­ti del capi­ta­li­smo: «Il pro­gram­ma mini­mo è un pro­gram­ma com­pa­ti­bi­le in linea di prin­ci­pio con il capi­ta­li­smo, un pro­gram­ma che non tra­va­li­ca i con­fi­ni del capi­ta­li­smo»[3]. Ma una patri­mo­nia­le del 10% sul 10% più ric­co del­la popo­la­zio­ne può esse­re con­si­de­ra­ta una misu­ra “mini­ma”?
Nien­te affat­to. Essa è, inve­ce, nel­le con­di­zio­ni date, una misu­ra “tran­si­to­ria”, cioè di tran­si­zio­ne al socia­li­smo. Per­ché que­sto? Per­ché rap­pre­sen­ta di fat­to una espro­pria­zio­ne dei pro­fit­ti deri­van­ti dall’estorsione di plu­sva­lo­re e tra­sfor­ma­ti in ric­chez­za dai capi­ta­li­sti: una (alme­no par­zia­le) “espro­pria­zio­ne degli espro­pria­to­ri”. Non si iden­ti­fi­ca con una mera tas­sa­zio­ne, per quan­to pro­gres­si­va, di quel­la ric­chez­za (che, essa sì, sareb­be una misu­ra mini­ma). Ecco per­ché Marx ed Engels la inse­ri­ro­no nell’insieme del­le misu­re di tran­si­zio­ne pre­vi­ste nel Mani­fe­sto[4]. E in que­sto stes­so testo i due rivo­lu­zio­na­ri spie­ga­va­no che quel­le di tran­si­zio­ne sono «misu­re che appa­io­no eco­no­mi­ca­men­te insuf­fi­cien­ti e inso­ste­ni­bi­li, ma che nel cor­so del movi­men­to sor­pas­sa­no se stes­se». E aggiun­go­no che esse non potran­no esse­re intro­dot­te «se non per via di inter­ven­ti dispo­ti­ci nel dirit­to di pro­prie­tà e nei rap­por­ti bor­ghe­si di pro­du­zio­ne». Ma chi dovreb­be esse­re l’autore di que­sti “inter­ven­ti dispo­ti­ci”? Marx ed Engels rispon­do­no: «Il pro­le­ta­ria­to [che] si ser­vi­rà del­la sua supre­ma­zia poli­ti­ca […], orga­niz­za­to come clas­se domi­nan­te». Non cer­to, dun­que, lo Sta­to bor­ghe­se, e cioè il rap­pre­sen­tan­te isti­tu­zio­na­le di que­gli stes­si capi­ta­li­sti. La ragio­ne? Ce la spie­ga lo stes­so Marx quan­do affer­ma che le misu­re tran­si­to­rie con­te­nu­te nel Mani­fe­sto «in se stes­se sono e non pos­so­no che esse­re con­trad­dit­to­rie»[5].

Le “patri­mo­nia­li” nell’interesse del capi­ta­li­smo e quel­le impo­ste dal pro­le­ta­ria­to al potere
Già solo que­sto spie­ga per­ché l’impianto attra­ver­so il qua­le i com­pa­gni del Col­let­ti­vo “Il Pun­go­lo ros­so” pre­sen­ta­no la loro pro­po­sta sia total­men­te erro­neo dal pun­to di vista teo­ri­co. Per giu­sti­fi­ca­re la pre­te­sa di con­si­de­ra­re quel­la sul­la “patri­mo­nia­le” come una misu­ra com­pa­ti­bi­le col siste­ma capi­ta­li­sti­co, essi la acco­mu­na­no alla “impo­sta pro­gres­si­va sul­la ric­chez­za”, per poi con­clu­de­re che entram­be sareb­be­ro tran­quil­la­men­te attua­bi­li entro i limi­ti dei rap­por­ti bor­ghe­si di pro­du­zio­ne. Que­sto non è vero: un’imposta straor­di­na­ria sul patri­mo­nio (c.d. “patri­mo­nia­le”) è com­pa­ti­bi­le con il capi­ta­li­smo sol­tan­to quan­do que­sto ha neces­si­tà di ristrut­tu­rar­si per fare fron­te a situa­zio­ni straor­di­na­rie e vie­ne dun­que appli­ca­ta dal­la bor­ghe­sia inse­dia­ta al pote­re, nel suo stes­so inte­res­se e per con­so­li­da­re il pro­prio siste­ma di domi­na­zio­ne sociale.
Sto­ri­ca­men­te, infat­ti, il siste­ma bor­ghe­se non è in asso­lu­to refrat­ta­rio all’imposizione di patri­mo­nia­li. Nel 2019, in Ita­lia si con­ta­va­no ben quin­di­ci patri­mo­nia­li “nasco­ste”, che han­no frut­ta­to quell’anno allo Sta­to la bel­lez­za di 45,7 miliar­di di euro. Solo per fare qual­che esem­pio: Imu e Tasi val­se­ro da sole 21 miliar­di di euro. Poi ci sono l’imposta di bol­lo, il bol­lo auto, il cano­ne Rai, l’imposta su imbar­ca­zio­ni e aero­mo­bi­li, la tas­sa sul­le tran­sa­zio­ni finan­zia­rie e sul­le suc­ces­sio­ni e dona­zio­ni. Ma que­sti sono pre­lie­vi che in linea di mas­si­ma col­pi­sco­no la gene­ra­li­tà del­le clas­si, sia quel­le sfrut­ta­te (in par­ti­co­lar modo) che quel­le sfrut­ta­tri­ci (mol­to di meno, vista la mag­gio­re capa­ci­tà di spe­sa). Tut­ta­via, anche quan­do sono sta­te intro­dot­te impo­si­zio­ni straor­di­na­rie che han­no col­pi­to soprat­tut­to patri­mo­ni più con­si­sten­ti – ad esem­pio, quel­la fis­sa­ta nel 1922 sui patri­mo­ni impo­ni­bi­li net­ti di alme­no £ 50.000 (equi­va­len­ti agli oltre € 56.000 attua­li); o quel­le sta­bi­li­te nel 1936, nel 1937 e nel 1938 – ciò è sta­to fat­to dal­lo Sta­to bor­ghe­se e nell’interesse del siste­ma capi­ta­li­sti­co[6], non cer­to dal pro­le­ta­ria­to e nel suo stes­so inte­res­se[7].
E que­sto riman­da a un pro­ble­ma che get­ta ampia luce sul­la natu­ra dell’imposta patri­mo­nia­le così come vie­ne oggi sban­die­ra­ta con tan­ta faci­lo­ne­ria. E cioè: chi, da qua­le inte­res­se di clas­se e per qua­le inte­res­se di clas­se, va ad appli­ca­re la misu­ra pro­po­sta? Qui vie­ne in rilie­vo l’abissale dif­fe­ren­za tra l’elaborazione teo­ri­ca di Marx ed Engels da un lato – che vede­va­no nel “pro­le­ta­ria­to orga­niz­za­to come clas­se domi­nan­te”, che cioè si è già impos­ses­sa­to del pote­re poli­ti­co in uno Sta­to bor­ghe­se, il sog­get­to che “si ser­vi­rà del­la sua supre­ma­zia poli­ti­ca” per ini­zia­re a distrug­ger­lo appli­can­do “misu­re di tran­si­zio­ne al socia­li­smo” – e, dall’altro, la costru­zio­ne un po’ cial­tro­ne­sca di chi, inve­ce, per “supe­ra­re” il pro­ble­ma di «Come fare “tec­ni­ca­men­te”?», rispon­de con asso­lu­ta non­cha­lan­ce: «Inter­ve­nen­do sul siste­ma ban­ca­rio e assi­cu­ra­ti­vo, e sul­le bor­se con un decre­to di emer­gen­za. Oggi … biso­gne­reb­be chie­de­re di bloc­ca­re imme­dia­ta­men­te ogni tra­sfe­ri­men­to di capi­ta­li all’estero»[8]. Capi­te? UN DECRETO! Cioè, si pro­po­ne di chie­de­re allo Sta­to bor­ghe­se di appli­ca­re con decre­to una misu­ra di tran­si­zio­ne al socia­li­smo!!! In altri ter­mi­ni, che esso pre­pa­ri con un atto aven­te for­za di leg­ge la pro­pria stes­sa distru­zio­ne e quel­la del­la clas­se domi­nan­te dei cui inte­res­si è il rappresentante.
Ciò riman­da a un tema fon­da­men­ta­le, che può esse­re rias­sun­to in una sem­pli­ce doman­da: la “patri­mo­nia­le” la si chie­de o la si impo­ne allo Sta­to capi­ta­li­sta? Per­ché se nel­le con­di­zio­ni di domi­nio nor­ma­le del­la bor­ghe­sia sul­la socie­tà la si chie­de, ciò che potrà al mas­si­mo otte­ner­si sarà una insi­gni­fi­can­te modi­fi­ca del­le ali­quo­te fisca­li che potreb­be­ro mar­gi­nal­men­te inci­de­re sui capi­ta­li­sti: e ciò, sem­pre che lo Sta­to bor­ghe­se lo riten­ga con­fa­cen­te agli inte­res­si in gio­co in quel pre­ci­so momen­to sto­ri­co; e comun­que, imman­ca­bil­men­te, con una con­tro­par­ti­ta che va a rica­de­re sul­le spal­le del­la clas­se lavo­ra­tri­ce[9]. In que­sto caso, non si otter­rà altro che una bana­le rifor­ma fisca­le entro i limi­ti del­la lega­li­tà bor­ghe­se: per­ché sen­za una situa­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria in atto e con il pro­le­ta­ria­to in armi non c’è modo di impor­re una misu­ra del genere.

Engels vs. Hein­zen: misu­re tran­si­to­rie che si tra­sfor­ma­no in reazionarie
Ma c’è di più. Le “impo­ste for­te­men­te pro­gres­si­ve” postu­la­te da Marx ed Engels nel Mani­fe­sto era­no arti­co­la­te nel qua­dro di un pro­gram­ma di misu­re rivo­lu­zio­na­rie che devo­no esse­re appli­ca­te da un gover­no rivo­lu­zio­na­rio. Stia­mo par­lan­do, cioè, di un pro­gram­ma rivo­lu­zio­na­rio che nel suo insie­me deve esse­re mes­so in atto da un gover­no rivo­lu­zio­na­rio inse­dia­to al pote­re. Marx ed Engels non han­no mai, in nes­su­na del­le loro cospi­cue ope­re, pro­po­sto l’applicazione di una sin­go­la (cioè, sle­ga­ta dal­le altre) misu­ra di tran­si­zio­ne al socia­li­smo[10], e men che meno in una situa­zio­ne non rivo­lu­zio­na­ria, cioè in una situa­zio­ne di domi­nio incon­tra­sta­to del­la bor­ghe­sia, con la clas­se ope­ra­ia sfi­du­cia­ta, divi­sa e sul­la difensiva.
Chia­ris­si­mo, a tal pro­po­si­to, fu Engels, il qua­le pole­miz­zò fero­ce­men­te con Hein­zen (un libe­ra­le tra­sfor­ma­to­si, come egli lo descri­ve, in un “radi­ca­le asse­ta­to di san­gue”). Hein­zen pro­po­ne­va, «in una situa­zio­ne paci­fi­ca, bor­ghe­se» – scri­ve Engels[11] – misu­re di carat­te­re tran­si­to­rio, cioè le stes­se avan­za­te dai comu­ni­sti (e che sareb­be­ro poi con­flui­te nel siste­ma di riven­di­ca­zio­ni e misu­re di tran­si­zio­ne dise­gna­to nel Mani­fe­sto), sen­za ovvia­men­te esse­re in gra­do – pro­prio per­ché tali – di «dibat­te­re […], spie­ga­re, espor­re e difen­de­re le riven­di­ca­zio­ni del par­ti­to, così come com­bat­te­re e respin­ge­re le riven­di­ca­zio­ni e le affer­ma­zio­ni del par­ti­to avver­so»: com­pi­ti, que­sti, che Engels rite­ne­va neces­sa­ri in una fase non rivo­lu­zio­na­ria. E le misu­re pro­po­ste da Hein­zen era­no sì, per il coau­to­re del Mani­fe­sto, «non solo pos­si­bi­li […], ma di fat­to […] neces­sa­rie». A con­di­zio­ne, però, argo­men­ta Engels – e qui casca l’asino! – «che tut­to il pro­le­ta­ria­to insor­to le difen­da e le impon­ga con la for­za del­le armi. […] Sono pos­si­bi­li come pas­si pre­pa­ra­to­ri, fasi tem­po­ra­nee e di tran­si­zio­ne ver­so l’abolizione del­la pro­prie­tà pri­va­ta, ma non in altro modo»[12]. Le riven­di­ca­zio­ni e misu­re tran­si­to­rie, insom­ma, «non sono dise­gna­te per una situa­zio­ne paci­fi­ca, bor­ghe­se». In que­sto caso, è la con­clu­sio­ne, chi le pro­po­ne «le con­ver­te in misu­re impos­si­bi­li e al con­tem­po rea­zio­na­rie»[13].
E ci pia­ce nota­re di pas­sa­ta, per ter­mi­na­re su que­sto pun­to, che per­fi­no in una situa­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria, con un ese­cu­ti­vo che era il pro­dot­to del­la Rivo­lu­zio­ne di feb­bra­io, con un dop­pio pote­re in atto (il gover­no prov­vi­so­rio e i Soviet), però solo alla vigi­lia del­la pre­sa del pote­re e non già quin­di col pote­re nel­le mani, Lenin liqui­dò con que­ste paro­le una pro­po­sta ana­lo­ga (anzi, ancor più radi­ca­le, visto che si chie­de­va una tas­sa­zio­ne del 100% sui pro­fit­ti dei capi­ta­li­sti) avan­za­ta dal socia­li­sta Sko­be­lev: «Non sol­tan­to è impos­si­bi­le appli­ca­re il pro­gram­ma di Sko­be­lev, ma, in gene­ra­le, non si pos­so­no nean­che fare pas­si di una qual­che impor­tan­za in que­sta dire­zio­ne quan­do si va a brac­cet­to con die­ci mini­stri del par­ti­to dei gran­di pro­prie­ta­ri fon­dia­ri e dei capi­ta­li­sti e ci si ser­ve di un appa­ra­to buro­cra­ti­co di fun­zio­na­ri di cui il gover­no capi­ta­li­sti­co (con la sua appen­di­ce di men­sce­vi­chi e di popu­li­sti) è costret­to a con­ten­tar­si. […] Biso­gna impa­dro­nir­si del­la cit­ta­del­la prin­ci­pa­le del capi­ta­le finan­zia­rio. Biso­gna per­ciò comin­cia­re – e comin­cia­re subi­to – dal­la mili­zia ope­ra­ia per avviar­ci con pas­so sal­do ed esper­to, pur rispet­tan­do la neces­sa­ria gra­dua­li­tà, ver­so l’istituzione di una mili­zia popo­la­re, ver­so la sosti­tu­zio­ne del­la poli­zia e dell’esercito per­ma­nen­te con l’armamento gene­ra­le del popo­lo»[14]. E cioè, anche per Lenin sen­za il pote­re ope­ra­io dife­so in armi nes­su­na misu­ra così con­ce­pi­ta può esse­re applicata.

L’Indi­riz­zo del Comi­ta­to cen­tra­le: come distor­ce­re il pen­sie­ro di Marx ed Engels
Insom­ma, come abbia­mo dif­fu­sa­men­te argo­men­ta­to nel pre­ce­den­te para­gra­fo, una “impo­sta for­te­men­te pro­gres­si­va” sul capi­ta­le ha un signi­fi­ca­to pro­gres­si­vo per la clas­se ope­ra­ia se è arti­co­la­ta all’interno di un pro­gram­ma rivo­lu­zio­na­rio (di tran­si­zio­ne al socia­li­smo) e quest’ultimo ven­ga mes­so in pra­ti­ca dal­la stes­sa clas­se ope­ra­ia. Un pro­gram­ma, cioè, come reci­ta il Mani­fe­sto, che abbia come asse cen­tra­le quel­lo di far fun­zio­na­re l’economia su basi non capi­ta­li­ste a par­ti­re dall’espropriazione dei mez­zi di pro­du­zio­ne dete­nu­ti dal­la bor­ghe­sia e dall’amministrazione e dal con­trol­lo operaio.
Nell’Indi­riz­zo del Comi­ta­to cen­tra­le alla Lega dei Comu­ni­sti (mar­zo 1850), e cioè due anni dopo il siste­ma di misu­re di tran­si­zio­ne ela­bo­ra­to nel Mani­fe­sto, Marx ed Engels for­mu­la­ro­no una tat­ti­ca tran­si­to­ria di riven­di­ca­zio­ni in cui era com­pre­sa anche quel­la per l’introduzione di una tas­sa­zio­ne tan­to pesan­te­men­te pro­gres­si­va «che il gran­de capi­ta­le ne vie­ne rovi­na­to». Però que­sto pro­gram­ma riven­di­ca­ti­vo non era rivol­to a un gover­no capi­ta­li­sta, ben­sì a un pos­si­bi­le gover­no del­la pic­co­la bor­ghe­sia radi­ca­le sor­to da una ipo­te­ti­ca rivo­lu­zio­ne: un ese­cu­ti­vo che, nel­la pre­vi­sio­ne dei due auto­ri, sareb­be sta­to «costret­to a pro­por­re misu­re più o meno socia­li­ste». In que­sto caso – e solo in que­sto caso (infat­ti, Marx ed Engels deli­nea­no nel loro testo tre diver­si sce­na­ri) – le mas­se arma­te e orga­niz­za­te sul­la base dell’indipendenza di clas­se[15] avreb­be­ro dovu­to avan­za­re al gover­no sor­to dal pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio tali riven­di­ca­zio­ni tran­si­to­rie (tra cui quel­la sul­la tas­sa­zio­ne for­te­men­te pro­gres­si­va sul capi­ta­le). Le misu­re indi­vi­dua­te nell’Indi­riz­zo era­no cioè rag­grup­pa­te in un pro­gram­ma di riven­di­ca­zio­ni che la clas­se ope­ra­ia in armi avreb­be dovu­to agi­ta­re e difen­de­re nei con­fron­ti di un gover­no piccolo‑borghese radi­ca­le in una situa­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria (per acuir­la) e di dop­pio pote­re[16].
Insom­ma, è del tut­to evi­den­te che in nes­su­na occa­sio­ne Marx ed Engels ipo­tiz­za­ro­no l’agitazione urbi et orbi di una sin­go­la riven­di­ca­zio­ne tran­si­to­ria. Cir­co­scris­se­ro, inve­ce, l’applicazione di un pro­gram­ma di tran­si­zio­ne (cioè di un insie­me di misu­re che si lega­no le une con le altre e che «nel cor­so del movi­men­to sor­pas­sa­no se stes­se e spin­go­no in avan­ti, e sono ine­vi­ta­bi­li come mez­zi per rivo­lu­zio­na­re l’intero modo di pro­du­zio­ne»[17]) a uno sce­na­rio in cui la clas­se ope­ra­ia aves­se pre­so il pote­re e potes­se quin­di appli­ca­re quel pro­gram­ma dal pote­re[18].
Così come in nes­su­na occa­sio­ne, gio­va ripe­ter­lo, con­si­glia­ro­no ai pro­pri adep­ti di agi­ta­re riven­di­ca­zio­ni tran­si­to­rie in una situa­zio­ne paci­fi­ca, di domi­nio nor­ma­le del­la bor­ghe­sia, chie­den­do allo Sta­to bor­ghe­se di appli­ca­re misu­re di tran­si­zio­ne al socialismo.

Marx ed Engels non era­no “con­si­glie­ri” del capi­ta­le: vole­va­no distruggerlo
Ma va anco­ra aggiun­to che in nes­su­na occa­sio­ne, ben­ché duran­te la loro vita si fos­se­ro svi­lup­pa­te vio­len­te cri­si eco­no­mi­che che col­pi­ro­no gra­ve­men­te la clas­se ope­ra­ia, a Marx e ad Engels pas­sò mai per la testa di “offri­re solu­zio­ni” per com­bat­te­re i mali del capi­ta­li­smo sug­ge­ren­do allo Sta­to bor­ghe­se di usa­re la leva del­la tas­sa­zio­ne, o di for­ni­re un aiu­to eco­no­mi­co alle mas­se lavo­ra­tri­ci chie­den­do a quel­lo stes­so Sta­to di appli­ca­re impo­ste sul­le gran­di for­tu­ne e sui patri­mo­ni. Eppu­re, essi ebbe­ro modo di assi­ste­re alla cri­si del 1846‑1847 (sfo­cia­ta poi nei moti gene­ra­liz­za­ti del 1848), a quel­le del 1857 (epo­ca nel­la qua­le Marx era impe­gna­to nel­la ste­su­ra dei Grun­dris­se), del 1866 e del 1873 (quest’ultima ven­ne defi­ni­ta la “Gran­de Depres­sio­ne” e durò sva­ria­ti anni, secon­do alcu­ni stu­di fino al 1895).
Ebbe­ne in tut­te que­ste occa­sio­ni, di fron­te alla cre­scen­te mise­ria in cui le mas­se popo­la­ri veni­va­no sem­pre più sca­ra­ven­ta­te, i due rivo­lu­zio­na­ri non si sogna­ro­no mai di diven­ta­re “con­si­glie­ri” del capi­ta­li­smo for­nen­do­gli faci­li ricet­te per aiu­tar­lo ad usci­re dal­le pro­prie cri­si, ed aiu­ta­re così indi­ret­ta­men­te la clas­se ope­ra­ia. Come mai non invo­ca­ro­no una “patri­mo­nia­le sul­le gran­di for­tu­ne”? For­se era­no essi stes­si indif­fe­ren­ti alle sof­fe­ren­ze dei lavo­ra­to­ri? Oppu­re per­ché, inve­ce, sape­va­no benis­si­mo – a dif­fe­ren­za dei moder­ni teo­riz­za­to­ri di “patri­mo­nia­li” – che le cri­si sono feno­me­ni ogget­ti­vi che pro­vo­ca­no gigan­te­sche sva­lo­riz­za­zio­ni del capi­ta­le e a cui cer­ta­men­te non si può por­re rime­dio median­te l’imposizione di tas­se, sia pure “straor­di­na­rie”?
Non ci con­sta­no, insom­ma, ela­bo­ra­zio­ni teo­ri­che del mar­xi­smo in cui si sia affer­ma­ta la pos­si­bi­li­tà di soste­ne­re le neces­si­tà eco­no­mi­che del­la clas­se ope­ra­ia impo­nen­do tri­bu­ti “sul­le gran­di ric­chez­ze”. Non a caso, lo stes­so Marx nel­le “Istru­zio­ni per i dele­ga­ti del Con­si­glio Cen­tra­le Prov­vi­so­rio dell’A.I.L.” spe­ci­fi­ca­va: «Nes­su­na modi­fi­ca del­la for­ma di impo­si­zio­ne può pro­dur­re un qual­che impor­tan­te cam­bia­men­to nel­le rela­zio­ni tra lavo­ro e capi­ta­le». Ciò in quan­to quel­lo che resta sul­lo sfon­do è, appun­to, il qua­dro del­le rela­zio­ni tra lavo­ro e capi­ta­le; e qual­sia­si misu­ra che voglia seria­men­te inci­de­re su quest’ultimo a van­tag­gio del pri­mo non può che basar­si sul pote­re del­la clas­se ope­ra­ia.
Chi “esi­ge” dal­lo Sta­to bor­ghe­se l’introduzione di una “patri­mo­nia­le” sem­bra non ren­der­si con­to che per i mar­xi­sti i pro­ble­mi che il capi­ta­li­smo di per sé gene­ra per il pro­fit­to di pochi, e a dan­no del­la clas­se lavo­ra­tri­ce e del­le mas­se subal­ter­ne, non tro­va­no solu­zio­ne entro i limi­ti del­lo stes­so siste­ma capi­ta­li­sta. In que­sto sen­so, i mar­xi­sti non pro­pon­go­no ricet­te per risol­ve­re pro­ble­mi entro quei limi­ti. Il Mani­fe­sto o il Capi­ta­le non sono sta­ti scrit­ti per risol­ve­re i pro­ble­mi del­la bor­ghe­sia, ma per abbat­ter­la. “Sug­ge­ri­re solu­zio­ni” allo Sta­to bor­ghe­se signi­fi­ca diven­ta­re “con­si­glie­ri del Prin­ci­pe”; signi­fi­ca pun­tel­lar­lo; signi­fi­ca, in defi­ni­ti­va, attua­re un’evidente col­la­bo­ra­zio­ne di clas­se.

“Mobi­li­ta­re le mas­se” … ver­so cosa?
D’altro can­to, lo abbia­mo ripe­tu­ta­men­te soste­nu­to, la “riven­di­ca­zio­ne” di una “patri­mo­nia­le” si risol­ve nel­la for­mu­la­zio­ne di un obiet­ti­vo irrea­liz­za­bi­le nel­le con­di­zio­ni date, poi­ché si “esi­ge” che lo Sta­to bor­ghe­se appli­chi – para­dos­sal­men­te con­tro se stes­so – una misu­ra di tran­si­zio­ne al socia­li­smo, cioè ini­zi un pro­ces­so di “auto­di­stru­zio­ne”.
Colo­ro che lan­cia­no que­sta paro­la d’ordine vor­reb­be­ro attra­ver­so di essa “mobi­li­ta­re le mas­se”. Ma il fat­to è che quel­la paro­la d’ordine rap­pre­sen­ta un assur­do poli­ti­co, poi­ché è irrea­liz­za­bi­le nel con­te­sto attua­le di domi­nio paci­fi­co del­la bor­ghe­sia e di pro­fon­do arre­tra­men­to del­la clas­se ope­ra­ia[19]. L’inattuabilità empi­ri­ca di una misu­ra di tal fat­ta vie­ne però nasco­sta a quel­le stes­se mas­se che si vor­reb­be­ro mobi­li­ta­re. Anzi, sven­to­lan­do i prov­ve­di­men­ti che qui e là nel mon­do sono sta­ti mes­si in cam­po[20], que­ste ven­go­no invi­ta­te a cre­de­re nel­la con­cre­ta rea­liz­za­bi­li­tà di quel­la misu­ra, e dun­que le si ingan­na. E per chi si pro­cla­ma rivo­lu­zio­na­rio non c’è peg­gior cri­mi­ne che men­ti­re alle mas­se e ingan­nar­le. Al riguar­do, non a caso nel­lo scrit­to che abbia­mo già cita­to Engels rim­pro­ve­ra a Hein­zen di non pre­oc­cu­par­si nel modo più asso­lu­to del­la fat­ti­bi­li­tà con­cre­ta del­le sue pro­po­ste, che «non sono appro­pria­te né han­no sen­so, dato che egli le con­ce­pi­sce arbi­tra­ria­men­te, come visio­ni ottu­sa­men­te bor­ghe­si per indi­riz­za­re il mon­do; per­ché non fa alcun rife­ri­men­to alla con­nes­sio­ne fra que­ste misu­re e lo svi­lup­po sto­ri­co»[21].
E sul­la base di qua­le ana­li­si si ritie­ne pos­si­bi­le “mobi­li­ta­re le mas­se” per por­ta­re nel­le piaz­ze que­sta “riven­di­ca­zio­ne”? Non sul­la base di un’inchiesta ope­ra­ia; oppu­re di un esa­me con­cre­to del­la real­tà e dei rap­por­ti socia­li in esse­re, del peso con­cre­to del­le rela­zio­ni fra le clas­si. No, nien­te di tut­to que­sto: in fin dei con­ti si trat­ta di meto­di otto­cen­te­schi! La base di sti­mo­lo di que­sta mobi­li­ta­zio­ne – ci spie­ga­no i com­pa­gni del Col­let­ti­vo “Il Pun­go­lo ros­so” – sta inve­ce in uno stru­men­to mol­to più moder­no: un son­dag­gio! Sì, ave­te capi­to bene: un son­dag­gio. Da cui emer­ge­reb­be che «il 60,2% si è det­to a favo­re, o mol­to a favo­re, di un’imposta patri­mo­nia­le».
Nell’attesa, dun­que, che oltre 36 milio­ni di ita­lia­ni muo­va­no in armi ver­so Palaz­zo Chi­gi per strap­pa­re que­sto prov­ve­di­men­to così sospi­ra­to[22], con­vie­ne anche sot­to­li­nea­re che in un altro loro testo i com­pa­gni pre­ci­sa­no che la loro «è una pro­po­sta di mobi­li­ta­zio­ne, di lot­ta anti‑capitalista, di lot­ta al capi­ta­li­smo. Non fac­cia­mo cer­to una sup­pli­ca al gover­no Conte‑bis per­ché ci ascol­ti. È una riven­di­ca­zio­ne con­tro il gover­no Con­te, con­tro il siste­ma ban­ca­rio, con­tro la Con­fin­du­stria, […] che pre­sen­tia­mo ai pro­le­ta­ri e ai ceti impo­ve­ri­ti, che dovran­no met­ter­si in moto se vor­ran­no sal­va­re la pel­le e la digni­tà».
Il fat­to è che, per far sì che “si met­ta­no in moto” occor­re­reb­be dire loro la veri­tà, e non – come abbia­mo in pre­ce­den­za evi­den­zia­to – ingan­nar­li, facen­do loro cre­de­re che basti “riven­di­ca­re” una misu­ra allo sta­to irrea­liz­za­bi­le per “otte­ner­la”. Biso­gne­reb­be spie­ga­re loro che solo dopo ave­re con­qui­sta­to il pote­re, e difen­den­do­lo in armi, potran­no espro­pria­re gli espro­pria­to­ri con una serie di misu­re, tra le qua­li l’«impo­sta for­te­men­te pro­gres­si­va» che Marx ed Engels ave­va­no inse­ri­to in un siste­ma arti­co­la­to di prov­ve­di­men­ti (e non di “riven­di­ca­zio­ni”, dato che essi non era­no soli­ti “chie­de­re” misu­re di tran­si­zio­ne a uno Sta­to che, in quan­to bor­ghe­se, costi­tui­va – come ancor oggi costi­tui­sce – il rap­pre­sen­tan­te isti­tu­zio­na­le del nemi­co di classe).
E se, nono­stan­te tut­ti gli sfor­zi teo­ri­ci com­piu­ti (in manie­ra erra­ta: v. in par­ti­co­la­re la nota 16) da chi squa­der­na la posi­zio­ne da noi cri­ti­ca­ta, quei “pro­le­ta­ri e ceti impo­ve­ri­ti” non doves­se­ro poi mobi­li­tar­si, sem­mai per­ché per­ce­pi­sco­no l’irrealizzabilità pra­ti­ca del­la paro­la d’ordine che vie­ne loro amman­ni­ta? Non vor­rem­mo dover­ci tro­va­re allo­ra nel­la con­di­zio­ne di ascol­ta­re dagli stes­si pro­po­nen­ti la fra­se iro­ni­ca­men­te conia­ta da Ber­tolt Bre­cht: «Il Comi­ta­to cen­tra­le ha deci­so: poi­ché il popo­lo non è d’accordo, biso­gna nomi­na­re un nuo­vo popo­lo».

Misu­ra­re la for­za secon­do le inten­zio­ni, o le inten­zio­ni secon­do la forza?
Tut­to ciò riman­da, in fin dei con­ti, al pro­ble­ma dell’esatto inqua­dra­men­to teo­ri­co del­le paro­le d’ordine per pote­re tra­dur­le cor­ret­ta­men­te in azio­ne. Altri­men­ti si sca­de nel pro­pa­gan­di­smo astrat­to, in un avan­guar­di­smo paro­la­io che ren­de dif­fi­ci­le – se non addi­rit­tu­ra impos­si­bi­le – riu­sci­re ad otte­ne­re un rea­le radi­ca­men­to di mas­sa nel­la clas­se lavoratrice.
Ecco per­ché Rosa Luxem­burg spie­ga­va che «[…] al socia­li­smo scien­ti­fi­co non piac­cio­no solu­zio­ni radi­ca­li, fan­ta­sti­che e fat­te di bel­le paro­le per i pro­ble­mi socia­li. […] Ci saran­no sem­pre par­ti­ti socia­li­sti che, sen­za gli “intral­ci” che le dot­tri­ne scien­ti­fi­che com­por­ta­no, han­no pron­ti in tasca rega­li mera­vi­glio­si per tut­ti, di gran lun­ga supe­rio­ri alle nostre pro­po­ste»[23].
E aggiun­ge­va: «Basan­do­si sui fon­da­men­ti sto­ri­ci – i fon­da­men­ti del­lo svi­lup­po del­la socie­tà capi­ta­li­sti­ca – l’odierna social­de­mo­cra­zia[24] dedu­ce i suoi inte­res­si imme­dia­ti (le riven­di­ca­zio­ni del pro­le­ta­ria­to di oggi) e i suoi obiet­ti­vi a lun­go ter­mi­ne, non già a par­ti­re da un ragio­na­men­to sog­get­ti­vo su ciò che sareb­be “buo­no” o “uti­le” per il pro­le­ta­ria­to, ma a par­ti­re dall’analisi del­lo svi­lup­po ogget­ti­vo del­la socie­tà, al fine di garan­ti­re i suoi inte­res­si rea­li e iden­ti­fi­ca­re i mez­zi mate­ria­li per la loro rea­liz­za­zio­ne»[25].
La con­clu­sio­ne del­la gran­de rivo­lu­zio­na­ria – che fac­cia­mo nostra – era per­ciò net­ta. Trac­cian­do una deci­sa linea di con­fi­ne tra il rivo­lu­zio­na­ri­smo anar­chi­cheg­gian­te e il socia­li­smo mar­xi­sta, sostie­ne che il pri­mo “misu­ra la for­za secon­do le inten­zio­ni, e non le inten­zio­ni secon­do la for­za”. Cioè, «misu­ra le sue aspi­ra­zio­ni uni­ca­men­te in fun­zio­ne di ciò che la sua ragio­ne spe­cu­la­ti­va, gio­can­do mal­de­stra­men­te con una vuo­ta uto­pia, ritie­ne “buo­no” o “neces­sa­rio” per la sal­vez­za dell’umanità».
I comu­ni­sti, inve­ce, «basa­no sal­da­men­te le loro aspi­ra­zio­ni sul ter­re­no sto­ri­co e, con­se­guen­te­men­te, ten­go­no con­to del­le pos­si­bi­li­tà sto­ri­che. Il socia­li­smo mar­xi­sta dif­fe­ri­sce da tut­ti gli altri socia­li­smi per­ché, tra le altre cose, non fin­ge di ave­re bel­le e pron­te le top­pe per chiu­de­re tut­ti i buchi che lo svi­lup­po sto­ri­co ha crea­to»[26].


Note

[1] È il caso dei par­ti­ti argen­ti­ni rag­grup­pa­ti nel Fit‑U, dei qua­li abbia­mo in pas­sa­to denun­cia­to a gran voce l’adattamento all’ideologia bor­ghe­se sul­la “cen­tra­li­tà” dell’istituzione par­la­men­ta­re (si veda­no gli arti­co­li “Per­ché non dia­mo il nostro soste­gno poli­ti­co alla lista del Fit‑U” e “Di come il cre­ti­ni­smo par­la­men­ta­re spa­lan­ca le por­te per­si­no al sio­ni­smo”). I depu­ta­ti di que­ste orga­niz­za­zio­ni han­no depo­si­ta­to uno spe­ci­fi­co pro­get­to di leg­ge che tut­ta­via non ha avu­to asso­lu­ta­men­te i nume­ri per esse­re esa­mi­na­to. Intan­to, depu­ta­ti che fan­no capo alla mag­gio­ran­za ne han­no depo­si­ta­to un altro, mol­to più mode­sto, rispet­to al qua­le i depu­ta­ti del Fit‑U han­no dichia­ra­to la volon­tà di aste­ner­si, pre­ci­san­do comun­que che, se gli impor­ti che se ne rica­vas­se­ro fos­se­ro desti­na­ti total­men­te alla sani­tà pub­bli­ca e all’istruzione, non avreb­be­ro avu­to alcu­na dif­fi­col­tà a soste­ner­lo dan­do un voto favo­re­vo­le. Ciò a ripro­va del carat­te­re cen­tri­sta e con­ci­lia­to­re di que­sto bloc­co (a pro­po­si­to dell’atteggiamento che i par­la­men­ta­ri comu­ni­sti deb­bo­no tene­re rispet­to ai pro­get­ti di leg­ge pre­sen­ta­ti dai par­ti­ti bor­ghe­si, per quan­to pos­sa­no appa­ri­re “pro­gres­si­sti”, rin­via­mo a “L’antifascismo non è nul­la” e, soprat­tut­to, al già richia­ma­to “Per­ché non dia­mo il nostro soste­gno poli­ti­co alla lista del Fit‑U”). Men­tre chiu­de­va­mo quest’articolo, però, abbia­mo avu­to noti­zia dell’avvenuta appro­va­zio­ne del pro­get­to di leg­ge gover­na­ti­vo in Argen­ti­na: ne par­le­re­mo nel­la suc­ces­si­va nota 9.
[2] In real­tà, a dare fia­to alla pro­po­sta ita­lia­na è sta­to il pro­get­to del­la mano­vra di bilan­cio del gover­no spa­gno­lo, spac­cia­to dai rifor­mi­sti nostra­ni come una “patri­mo­nia­le” che pun­te­reb­be a tas­sa­re for­te­men­te i ric­chi redi­stri­buen­do risor­se. E inve­ce, i famo­si “ric­chi” non sono sta­ti per nul­la “ter­ro­riz­za­ti” da una misu­ra che si com­pen­dia in un lie­ve aumen­to del­le ali­quo­te dell’Irpef che andreb­be ad inci­de­re sul solo 0,17% del­la pla­tea dei con­tri­buen­ti. Le pre­vi­sio­ni sono di mag­gio­ri incas­si per 144 milio­ni di euro quest’anno e 346 l’anno pros­si­mo! Per “com­pen­sa­re” que­ste bri­cio­le che cadran­no dal­le tavo­le imban­di­te dei con­tri­buen­ti più agia­ti, il gover­no Sánchez‑Iglesias andrà con­te­stual­men­te ad aumen­ta­te diver­se impo­ste che gra­ve­ran­no inve­ce sul­la restan­te par­te del­la popo­la­zio­ne. Per­ciò suo­na tan­to più truf­fal­di­na l’impropria cita­zio­ne del­la famo­sa fra­se che Marx scris­se nel­la Cri­ti­ca del Pro­gram­ma di Gotha«Ognu­no secon­do le sue capa­ci­tà; a ognu­no secon­do i suoi biso­gni!» – infi­la­ta nel “Pro­get­to di Bilan­cio gene­ra­le del­lo Sta­to per il 2021” (pag. 21) dall’esecutivo spa­gno­lo, visto ormai dai rifor­mi­sti nostra­ni come l’ennesima fon­te d’ispirazione dopo che sono via via fini­ti gli inna­mo­ra­men­ti col­let­ti­vi per Jospin, poi per Schrö­der, poi per Lula, poi per Tsi­pras, poi per Cor­byn, poi per San­ders (e chis­sà quan­ti altri ancora)!
[3] V.I Lenin, “Osser­va­zio­ni a pro­po­si­to di un arti­co­lo sul mas­si­ma­li­smo”, in Ope­re, vol. 41, Edi­zio­ni Lot­ta comu­ni­sta, 2002, p. 476.
[4] «Impo­sta for­te­men­te pro­gres­si­va»: K. Marx, F. Engels, Mani­fe­sto del par­ti­to comu­ni­sta, Edi­to­ri Riu­ni­ti, 1996, pp. 33‑34 (il gras­set­to è nostro).
[5] K. Marx, “Let­te­ra a Frie­drich Adol­ph Sor­ge”, 20 giu­gno 1881, in Let­te­re 1880‑1883 (mar­zo), Edi­zio­ni Lot­ta comu­ni­sta, 2008, p. 82.
[6] In par­ti­co­la­re, la pri­ma per far fron­te alle con­se­guen­ze del­la Pri­ma guer­ra mon­dia­le; le altre tre per le esi­gen­ze indot­te dal­la guer­ra d’Africa.
[7] Si pen­si anche alla patri­mo­nia­le intro­dot­ta nel 1947 per sop­pe­ri­re alla rico­stru­zio­ne del­lo Sta­to libe­ra­le dopo i vent’anni di dit­ta­tu­ra fasci­sta e la Secon­da guer­ra mon­dia­le: un’imposta che col­pi­va con un’aliquota del 61,61% i patri­mo­ni supe­rio­ri al miliar­do e mez­zo di lire dell’epoca (equi­va­len­ti a qua­si tren­ta milio­ni di euro attua­li)! Dav­ve­ro si può cre­de­re che ciò avven­ne nell’interesse del­le clas­si lavo­ra­tri­ci che vive­va­no nel­la mise­ria più nera di quel­la fase sto­ri­ca? In tem­pi più vici­ni a noi va anche ricor­da­ta la patri­mo­nia­le sui con­ti cor­ren­ti intro­dot­ta not­te­tem­po con decre­to leg­ge dal gover­no Ama­to nel 1992 per tam­po­na­re le disa­stro­se con­se­guen­ze del­la vio­len­ta sva­lu­ta­zio­ne del­la lira.
[8] “Il 10% del 10%. Due con­ti sul­la patri­mo­nia­le (Labo­ra­to­rio poli­ti­co Iskra)”, 7 apri­le 2020, Il Pun­go­lo ros­so.
[9] È ciò che, come abbia­mo appre­so nel chiu­de­re que­sto scrit­to, è appe­na acca­du­to in Argen­ti­na (v. nota 1), con l’approvazione del­la “Ley de Apor­te Soli­da­rio y Extraor­di­na­rio de las Gran­des For­tu­nas”, che gra­ve­rà per un’unica vol­ta sui patri­mo­ni del­le per­so­ne che abbia­no dichia­ra­to più di 200 milio­ni di pesos (equi­va­len­ti a 1.970.000 euro) sul­la base di un’aliquota che va dal 2 al 3,5%, col­pen­do di fat­to cir­ca 12.000 con­tri­buen­ti su una popo­la­zio­ne di oltre 45 milio­ni di per­so­ne. Gli impor­ti che saran­no otte­nu­ti andran­no in spe­sa sani­ta­ria solo per il 20%. Il resto, a par­te qual­che inte­gra­zio­ne a pro­gram­mi di spe­sa socia­le, andrà sot­to for­ma di sus­si­di alle pic­co­le e medie impre­se e a pro­get­ti di sfrut­ta­men­to, svi­lup­po e pro­du­zio­ne di gas natu­ra­le (come si vede, se il pote­re resta sal­do nel­le mani del­la bor­ghe­sia anche la gestio­ne dei fon­di così rac­col­ti non potrà che esse­re a bene­fi­cio del­la stes­sa). Rispet­to a que­sta leg­ge i depu­ta­ti del Fit‑U si sono aste­nu­ti! Pres­so­ché con­tem­po­ra­nea­men­te, però, il gover­no ha appro­va­to una leg­ge di bilan­cio che taglia i fon­di per: le tes­se­re ali­men­ta­ri per le fami­glie pove­re, gli asse­gni fami­lia­ri, le pen­sio­ni, oltre ad eli­mi­na­re total­men­te il buo­no fami­lia­re di emer­gen­za. Insom­ma, in regi­me capi­ta­li­sti­co i por­ta­fo­gli del­la bor­ghe­sia non si toc­ca­no gratis!
[10] Anzi, nel­la “Let­te­ra a Sor­ge” di cui alla nota 5, Marx spie­ga­va bene che una misu­ra tran­si­to­ria, pre­sa iso­la­ta dal suo con­te­sto di un pro­gram­ma tran­si­to­rio, costi­tui­va «la pana­cea socia­li­sta degli eco­no­mi­sti bor­ghe­si».
[11] F. Engels, The Com­mu­nists and Karl Hein­zen, 26 settembre‑3 otto­bre 1847, Deu­tsche-Brüs­se­ler-Zei­tung, nn. 79 e 80.
[12] E che la que­stio­ne del­la pre­via pre­sa del pote­re del pro­le­ta­ria­to per poter met­te­re in atto un siste­ma di misu­re tran­si­to­rie sia una que­stio­ne cen­tra­le per Engels nel­lo scrit­to che stia­mo com­men­tan­do, vie­ne con­fer­ma­to dal pas­sag­gio in cui il rivo­lu­zio­na­rio le defi­ni­sce come “misu­re di salu­te pub­bli­ca”, cioè prov­ve­di­men­ti che si attua­no dal pote­re e con la for­za del­le armi.
[13] È per que­sto moti­vo che ci espri­mem­mo in manie­ra ana­lo­ga a pro­po­si­to dell’altra paro­la d’ordine, che pure vie­ne abi­tual­men­te agi­ta­ta (e nel­le stes­se con­di­zio­ni del­la patri­mo­nia­le), del “con­trol­lo ope­ra­io”. Riman­dia­mo, al riguar­do, all’articolo cita­to all’inizio di que­sto testo. Ma ci pia­ce qui segna­la­re un esem­pio clas­si­co del ragio­na­men­to di Engels per cui riven­di­ca­zio­ni tran­si­to­rie decli­na­te in epo­ca paci­fi­ca di domi­nio del capi­ta­le si tra­sfor­ma­no «in misu­re impos­si­bi­li e al con­tem­po rea­zio­na­rie»: si trat­ta pro­prio del “con­trol­lo ope­ra­io”: che, lad­do­ve è sta­to riven­di­ca­to in «una situa­zio­ne paci­fi­ca, bor­ghe­se», è sta­to fat­to pro­prio dal­la bor­ghe­sia e appli­ca­to, con l’aiuto del­le buro­cra­zie poli­ti­che e sin­da­ca­li, esat­ta­men­te come misu­ra rea­zio­na­ria. Basti pen­sa­re alla “Mit­be­stim­mung” (co‑gestione) adot­ta­ta per leg­ge in Ger­ma­nia, in cui la “par­te­ci­pa­zio­ne” dei lavo­ra­to­ri attra­ver­so i pro­pri rap­pre­sen­tan­ti (sin­da­ca­ti buro­cra­ti­ci) alla gestio­ne del­le impre­se, lun­gi dall’indirizzarli alla “con­qui­sta dell’industria”, li costrin­ge inve­ce a “par­te­ci­pa­re” alla costan­te ope­ra di “razio­na­liz­za­zio­ne” del pro­ces­so lavo­ra­ti­vo, cioè a ridu­zio­ni dei posti di lavo­ro e mag­gio­re sfrut­ta­men­to del­la forza‑lavoro. A tut­to van­tag­gio, ovvia­men­te, dei capi­ta­li­sti che con­ser­va­no la pro­prie­tà del­la fabbrica.
[14] V.I. Lenin, “Cata­stro­fe ine­vi­ta­bi­le e pro­mes­se smi­su­ra­te”, in Ope­re, cit., vol. 24, pp. 435 e ss.; pub­bli­ca­to anche su que­sto sito.
[15] «[…] gli ope­rai devo­no esse­re arma­ti e orga­niz­za­ti. L’intero pro­le­ta­ria­to deve esse­re arma­to subi­to di moschet­ti, fuci­li, can­no­ni e muni­zio­ni […]; gli ope­rai devo­no cer­ca­re di orga­niz­zar­si auto­no­ma­men­te come guar­dia pro­le­ta­ria, con capi elet­ti e con il pro­prio sta­to mag­gio­re elet­to; devo­no cer­ca­re di met­ter­si non agli ordi­ni dell’autorità sta­ta­le ma dei con­si­gli loca­li rivo­lu­zio­na­ri isti­tui­ti dai lavo­ra­to­ri. Lad­do­ve i lavo­ra­to­ri sono impie­ga­ti del­lo Sta­to, devo­no armar­si e orga­niz­zar­si in cor­pi spe­cia­li con diri­gen­ti elet­ti, o come par­te del­la guar­dia pro­le­ta­ria. Con nes­sun pre­te­sto si dovreb­be­ro cede­re armi e muni­zio­ni; qual­sia­si ten­ta­ti­vo di disar­ma­re i lavo­ra­to­ri deve esse­re fru­stra­to, con la for­za se neces­sa­rio».
[16] È quel­lo che non han­no com­pre­so i com­pa­gni del Col­let­ti­vo “Il Pun­go­lo ros­so”, che cita­no in manie­ra estre­ma­men­te super­fi­cia­le il testo di Marx ed Engels, dimen­ti­can­do che il pro­gram­ma di riven­di­ca­zio­ni tran­si­to­rie da quest’ultimo avan­za­to era, appun­to, decli­na­to in una situa­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria e con le mas­se popo­la­ri arma­te, e non era un elen­co di bel­le inten­zio­ni da pro­por­re col cap­pel­lo in mano e a capo chi­no al gover­no bor­ghe­se di tur­no. L’intero scrit­to di que­sti com­pa­gni, peral­tro, cita pas­sag­gi di vari auto­ri mar­xi­sti che tut­ti, indi­stin­ta­men­te, argo­men­ta­no sul tema nei sen­si che abbia­mo indi­ca­to noi, cioè rife­ren­do­si a situa­zio­ni rivo­lu­zio­na­rie, con il popo­lo in armi o addi­rit­tu­ra già inse­dia­to al pote­re del­lo Sta­to anco­ra bor­ghe­se, nel qua­le appli­ca­re misu­re di tran­si­zio­ne al socialismo.
[17] V. pre­ce­den­te nota 4.
[18] È lo stes­so meto­do uti­liz­za­to da Lenin nel testo “La cata­stro­fe immi­nen­te e come lot­ta­re con­tro di essa”, in Ope­re, cit. vol. 25, pp. 305 e ss. In que­sto scrit­to, Lenin arti­co­la un pro­gram­ma di misu­re di tran­si­zio­ne al socia­li­smo che non ven­go­no affat­to “indi­riz­za­te” al gover­no prov­vi­so­rio sor­to dal­la Rivo­lu­zio­ne di feb­bra­io sot­to for­ma di “riven­di­ca­zio­ni”. Al con­tra­rio, costi­tui­sco­no un siste­ma com­ples­si­vo per attua­re il qua­le «occor­re una dit­ta­tu­ra rivo­lu­zio­na­ria del­la demo­cra­zia, diret­ta dal par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio; la demo­cra­zia deve cioè diven­ta­re di fat­to rivo­lu­zio­na­ria» (ivi, p. 338): in altri ter­mi­ni, deve pri­ma rea­liz­zar­si «la con­qui­sta del pote­re da par­te del pro­le­ta­ria­to, con il par­ti­to bol­sce­vi­co alla testa […]» (ivi, p. 335).
[19] Oppu­re, come abbia­mo già spe­ci­fi­ca­to, si trat­te­reb­be di una misu­ra che può pure esse­re rea­liz­za­ta nel qua­dro del siste­ma capi­ta­li­sti­co, ma su impul­so del­le clas­si domi­nan­ti e nel loro esclu­si­vo interesse.
[20] Per esem­pio, in Spa­gna e in Argen­ti­na: v. pre­ce­den­ti note 1, 2 e 9.
[21] F. Engels, The Com­mu­nists and Karl Hein­zen, cit. in nota 11.
[22] Ci pre­me pre­ci­sa­re, a scan­so di equi­vo­ci, che con il pre­sen­te testo non voglia­mo irri­de­re i com­pa­gni di cui stia­mo cri­ti­can­do la pro­po­sta. La nostra è e vuo­le esse­re una cri­ti­ca poli­ti­ca e teo­ri­ca a quel­la pro­po­sta; e la muo­via­mo a loro per­ché essi sono sta­ti gli uni­ci nel cam­po del­la sini­stra anti­ca­pi­ta­li­sta a cer­ca­re di dar­le una con­si­sten­za dal pun­to di vista del­la teo­ria (a nostro avvi­so sba­glian­do). Peral­tro, oltre a muo­ver­ci all’interno di quel­lo stes­so cam­po, in diver­se occa­sio­ni abbia­mo avu­to il pia­ce­re di ripren­de­re su que­sto sito alcu­ni testi del Col­let­ti­vo “Il Pun­go­lo rosso”.
[23] R. Luxem­burg, La cue­stión nacio­nal y la auto­no­mía, El Vie­jo Topo, 1998, p. 33.
[24] Quel­lo, cioè, che oggi chia­mia­mo il movi­men­to comunista.
[25] R. Luxem­burg, op. cit., p. 73. Sem­bra qui di ria­scol­ta­re l’Engels del­la pole­mi­ca con­tro Heinzen.
[26] Ivi, p. 34.