Il saggio di Rolando Astarita che presentiamo di seguito è anche il complemento dell’articolo recentemente pubblicato su come considerare gli agenti di polizia, se appartenenti – come sbagliando ritengono alcuni – alla classe lavoratrice, oppure no, come in quel testo abbiamo argomentato.
Lo scritto che proponiamo oggi riguarda invece la burocrazia dello Stato; e, richiamando l’elaborazione di Karl Marx, invita la militanza della sinistra a riappropriarsi dei necessari strumenti critici perché possa essere utilmente condotta la lotta contro lo Stato capitalista: di cui proprio la burocrazia costituisce, insieme alle forze armate, la colonna portante,
Buona lettura.
La redazione
Il marxismo e la burocrazia di Stato
Rolando Astarita [*]
Alcuni giorni orsono, in una conferenza per gli alunni dell’Università Nazionale de La Pampa, ho fatto riferimento a una critica di Marx alla spesa fiscale per dimostrare che noi socialisti critichiamo la spesa improduttiva e, più in generale, mettiamo in discussione la burocrazia statale. In questa nota amplio l’argomento. Sono indotto a farlo perché la maggioranza della sinistra ha abbandonato questa critica. Una possibile ragione di ciò è l’influenza dell’ideologia del nazionalismo borghese, secondo cui la contraddizione centrale della società odierna si pone in termini di Stato e di mercato, così che tutto ciò che faccia aumentare il peso dello Stato favorirebbe la battaglia per “domare i mercati”.
Naturalmente, il punto di partenza del marxismo è diverso: la contraddizione che attraversa la società contemporanea non è tra Stato e mercato, ma tra capitale e lavoro, essendo lo Stato parte del polo del capitale. In altre parole, al di sopra delle tensioni e persino dei conflitti che può avere con il capitale privato, lo Stato è capitalista. Perciò la burocrazia – questo gigantesco corpo di funzionari – che costituisce, insieme agli organismi repressivi e di controllo, la struttura fondamentale dello Stato, è capitalista. Più in particolare, la burocrazia e gli organismi repressivi vivono delle imposte, che sono valore generato dal lavoro non retribuito dei lavoratori produttivi. La critica marxista della burocrazia è quindi una parte fondamentale della critica al dominio del capitale.
La critica di Marx
Per recuperare questa tradizione critica, soffocata da infiniti strati di statalismo borghese, riproduco il passaggio di Marx a cui ho accennato nella conferenza, contenuto nello scritto Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850.
Marx sottolinea innanzitutto che in Francia il «patrimonio dello Stato» era caduto nelle mani dell’alta finanza, a causa del crescente indebitamento dello Stato, e sostiene che tale indebitamento fosse causato da un continuo eccesso di spese rispetto alle entrate. E aggiunge:
«Per sfuggire a questo indebitamento lo Stato deve limitare le proprie spese, cioè semplificare l’organismo governativo, ridurlo, governare il meno possibile, impiegare meno personale possibile, entrare il meno possibile in rapporto con la società borghese». Poco più avanti spiega che, oltre a ridurre le spese ed evitare i debiti, era necessario far «pesare imposte straordinarie sulle spalle delle classi più ricche».
Tuttavia, far pesare queste imposte straordinarie sulle classi più ricche significava colpire gli interessi di questa stessa classe dominante. Perciò Marx si domanda: «Per sottrarre la ricchezza nazionale allo sfruttamento della Borsa, il partito dell’ordine avrebbe dovuto sacrificare la propria ricchezza sull’altare della patria? Non era così stupido! Senza un rivolgimento totale dello Stato francese, dunque, non era possibile nessun rivolgimento del bilancio francese dello Stato». Sottolineiamo: la critica alla struttura burocratica e al groviglio spesa‑debito pubblico‑negoziati si collega con l’appello al “rivolgimento totale” dello Stato francese. Un’idea parecchio più radicale rispetto alla tipica riforma impositiva “progressista” con cui sono soliti divertirsi i partiti piccolo‑borghesi.
Ma ancor più tagliente è la critica alla burocrazia statale contenuta ne Il Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte. Dopo aver fatto riferimento alla burocrazia “onnipotente e immutabile”, Marx scrive: «L’imposta è la sorgente di vita della burocrazia, dell’esercito, dei preti e della corte, in breve, di tutto l’apparato del potere esecutivo. Governo forte e imposte forti sono la stessa cosa. La piccola proprietà è adatta, per la sua stessa natura, a servire di base a una burocrazia onnipotente e innumerevole». E in un altro passaggio:
«Si capisce senz’altro che in un Paese come la Francia, in cui il potere esecutivo ha sotto di sé un esercito di più di mezzo milione di funzionari, e dispone quindi continuamente, in modo assoluto, di una massa enorme di interessi e di esistenze; in cui lo Stato, dalle più ampie manifestazioni della vita fino ai movimenti più insignificanti, dalle sue forme di esistenza più generali sino alla vita privata, avvolge la società borghese, la controlla, la regola, la sorveglia e la tiene sotto tutela; in cui questo corpo di parassiti, grazie alla più straordinaria centralizzazione, acquista una onnipresenza, una onniscienza, una più rapida capacità di movimento e un’agilità che trova il suo corrispettivo soltanto nello stato di dipendenza e di impotenza e nell’incoerenza informe del vero corpo sociale, si capisce che in un Paese simile l’Assemblea nazionale, insieme alla possibilità di disporre dei posti ministeriali, perdesse ogni influenza reale, a meno che non avesse in pari tempo semplificato l’amministrazione dello Stato, ridotto il più possibile l’esercito degli impiegati, in una parola, fatto in modo che la società civile e l’opinione pubblica si creassero i loro propri organi, indipendenti dal potere governativo. Ma l’interesse materiale della borghesia francese è precisamente legato nel modo più stretto al mantenimento di quella grande e ramificata macchina statale. Qui essa mette a posto la sua popolazione superflua; qui essa completa, sotto forma di stipendi statali, ciò che non può incassare sotto forma di profitti. interessi, rendite e onorari. D’altra parte il suo interesse politico la spingeva ad aumentare di giorno in giorno la repressione, cioè i mezzi e il personale del potere dello Stato. In pari tempo essa doveva condurre una lotta ininterrotta contro l’opinione pubblica, mutilare e paralizzare per diffidenza gli organi autonomi del movimento sociale, e dove ciò non le riusciva, amputarli completamente».
Osserviamo che da quanto sopra emerge una proposta di programma democratico: semplificare l’amministrazione dello Stato; ridurre il più possibile l’esercito di funzionari; lasciare che la società civile e l’opinione pubblica generino i propri organi, indipendenti dal potere del governo. Programma che, in qualche modo, Marx ritenne in seguito essere stato realizzato dalla Comune di Parigi. Ne La guerra civile in Francia scrisse: «La Comune fece una realtà dello slogan delle rivoluzioni borghesi, il governo a buon mercato, distruggendo le due maggiori fonti di spese, l’esercito permanente e il funzionalismo statale». Sottolineiamo: governo a buon mercato, un desiderio democratico elementare (per inciso, perché diavolo la sinistra oggi ha ceduto questa bandiera all’estrema destra?).
Aggiungiamo che Marx riteneva che l’economia politica, nel suo periodo classico, avesse svolto un ruolo progressivo nella critica alla macchina statale. A questo proposito, la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo, operata da Adam Smith, fu molto importante. Secondo Smith, i funzionari statali, i militari, i preti, i giudici e simili partecipavano al consumo come parassiti dei lavoratori produttivi (che generano plusvalore). Ma in seguito quella critica fu abbandonata dagli ideologi borghesi. In Teorie del plusvalore Marx spiega questa svolta: «La economia politica, nel suo periodo classico, esattamente come la stessa borghesia nel primo periodo del suo affermarsi, assume un atteggiamento severo e critico nei confronti della macchina statale ecc. In seguito essa comprende – [ciò] appare anche nella pratica – e impara dalla esperienza, che la necessità della combinazione sociale, ereditata dal passato, di tutte queste classi, in parte completamente improduttive, deriva dalla sua propria organizzazione».
Precisiamo che la critica di Marx è alla burocrazia, a quella rete di funzionari che parassitano e approfittano delle loro posizioni nello Stato, esercitando anche compiti di controllo e/o di repressione delle masse lavoratrici. Non è una critica ai lavoratori statali che, in cambio di uno stipendio (che molte volte non è nemmeno sufficiente a riprodurre la forza lavoro) contribuiscono alla produzione e riproduzione di quel che si può chiamare capitale “sociale” costante (ad esempio, operai statali impegnati in lavori pubblici); o alla preparazione e conservazione della forza lavoro (lavoratori dell’istruzione, oppure operatori sanitari). Questi lavoratori, benché non generino plusvalore, sono sfruttati dal capitale e dal suo Stato.
Burocrazia statale e corruzione di dirigenti
Dobbiamo aggiornare quanto spiegato nel paragrafo precedente evidenziando il modo in cui il moderno apparato burocratico statale è diventato un fattore di cooptazione, corruzione, divisione e disorganizzazione dei movimenti sociali o dei partiti di sinistra. In Argentina, almeno, si tratta di un fenomeno molto comune (ma i colleghi brasiliani mi dicono che qualcosa di simile accade nel loro Paese, specialmente con i quadri del Pt[1]).
Si tratta di centinaia o addirittura migliaia di dirigenti e attivisti, che ottengono incarichi – l’immaginazione per inventare incarichi è inesauribile – in ministeri, segretariati, sottosegretariati, direzioni, a livello nazionale, provinciale o municipale, oltre a un numero infinito di organismi autonomi. Incarichi che servono per intascare notevoli somme di denaro, sostenere dirigenti politici e sottoproletari “tuttofare”. Oltre a fungere da cinghie di trasmissione di ideologie e politiche che contribuiscono alla riproduzione del dominio sul lavoro. Tutto questo in collaborazione con burocrati sindacali, dirigenti di quartiere, funzionari ecclesiastici e simili. E con l’aiuto aggiuntivo di intellettuali progressisti e di sinistra, disposti a giustificare qualsiasi cosa per continuare con la farsa della “liberazione nazionale” e della “lotta contro il mercato”. È così che si assiste al triste spettacolo di centinaia di carrieristi, sprofondati nella bassezza (per quanto si definiscano “militanti”), che strisciano senza posa per ottenere la loro fetta nel banchetto. Si tratta senza dubbio di fattori di divisione e demoralizzazione nelle masse. Non c’è nulla in questa manica di parassiti che favorisca la classe operaia.
Burocrazia e il progetto socialista
La critica alla burocrazia statale pone anche la questione del perché e del come la burocrazia si sia riprodotta ed espansa nei regimi definiti socialisti. Teniamo presente che in Lo Stato e la rivoluzione, e nel solco della tradizione di Marx, anche Lenin considerava che la burocrazia e l’esercito permanente fossero «dei “parassiti” sul corpo della società borghese, parassiti generati dalle contraddizioni interne che dilaniano questa società, ma parassiti appunto che ne “ostruiscono” i pori vitali». Anche per questo, poche righe più avanti, rivendica l’idea dell’anarchismo, dello Stato “come organismo parassitario”.
Tuttavia, Lenin pensava che, una volta che la classe operaia avesse preso il potere, con misure semplici, come l’eleggibilità e la revocabilità dei funzionari dello Stato operaio, e la riduzione del loro stipendio al livello del salario di un operaio, sarebbe stato possibile mettere in pratica una democrazia proletaria radicalmente nuova. Si sarebbe allora realizzata la rivendicazione del governo a buon mercato. La distruzione dell’esercito permanente, insieme alla creazione della milizia, avrebbe rappresentato l’altro pilastro di questa democrazia delle masse lavoratrici.
Ma poco dopo l’instaurazione del nuovo regime, si dovette constatare che la burocrazia stava rinascendo, imponendosi sugli stessi funzionari comunisti (si veda l’intervento di Lenin all’XI Congresso del Pcus, marzo‑aprile 1922). E avrebbe acquisito proporzioni molto maggiori negli anni 20 e 30, fino al consolidamento della nomenklatura (uno strato esteso di burocrati che viveva del lavoro degli operai e dei contadini). Qualcosa di simile è accaduto nel resto dei regimi chiamati “socialismi reali”; o nel cosiddetto “socialismo del XXI secolo”. Tutti i movimenti e partiti che hanno proclamato la costruzione del socialismo “dall’alto” (dal Partito, dal Comitato centrale, dal leader), hanno finito per creare mostruosi apparati burocratici. Non è un caso che i militanti dei partiti comunisti e degli ex partiti comunisti, i maoisti, i castristi e le relative varianti, abbiano sistematicamente messo a tacere la critica marxiana della burocrazia.
È necessario ristabilire la centralità della critica alla burocrazia, sia essa capitalista, o “operaia” (o socialista). Fa parte della lotta del socialismo contro le ideologie borghesi e burocratico‑staliniste.
(Traduzione di Andrea Di Benedetto)
Note
[1] Partido dos Trabalhadores: si tratta del partito dell’ex presidente Lula (NdT).
[*] Rolando Astarita è uno studioso marxista di economia. Insegna all’Università di Quilmes e di Buenos Aires, in Argentina.