Ricorrono oggi, 7 novembre 2020, i 103 anni dalla Rivoluzione russa (25 ottobre, secondo il calendario giuliano in uso nel 1917 in Russia): un evento che ha segnato l’intero XX secolo e che ancora oggi, nonostante tutto, rappresenta una speranza per le masse popolari oppresse da un sistema che semina miseria, guerre e devastazioni; e, d’altra parte, la paura dei capitalisti – che quel sistema sfruttano per imporre il proprio dominio sulle classi lavoratrici – di perdere il proprio potere se le aspirazioni di libertà tradottesi allora nella presa del potere e nella dittatura del proletariato dovessero nuovamente diventare attuali e concretizzarsi.
Ricordiamo, dunque, quegli avvenimenti, pubblicando il capitolo conclusivo dell’impareggiabile opera di León Trotsky, Storia della Rivoluzione russa.
Buona lettura.
La redazione
Storia della Rivoluzione russa
Lev Davidovič Trotsky
«Anche se, per circostanze sfavorevoli e sotto i colpi del nemico
il regime sovietico fosse rovesciato …
il segno incancellabile della Rivoluzione d’ottobre
rimarrà egualmente su tutta l’evoluzione ulteriore dell’umanità»
[…]
Conclusioni
Nello sviluppo della Rivoluzione russa, appunto perché si tratta di un’autentica rivoluzione popolare che ha messo in movimento decine di milioni di uomini, è possibile cogliere una notevole continuità tra le varie fasi. Gli avvenimenti si susseguono come se fossero determinati dalla legge di gravità. I rapporti di forza vengono verificati in ogni fase in due modi: prima le masse danno prova della potenza dei loro attacchi, poi le classi possidenti, nel tentativo di prendersi la rivincita, non fanno che mettere in luce più chiaramente il loro isolamento.
In febbraio, gli operai e i soldati di Pietrogrado erano insorti non solo contro la volontà patriottica di tutte le classi colte, ma anche contrariamente ai calcoli delle organizzazioni rivoluzionarie. Le masse si dimostrarono irresistibili. Se se ne fossero rese conto, avrebbero assunto il potere. Ma alla loro testa non c’era ancora un forte e autorevole partito rivoluzionario. Il potere finì nelle mani della democrazia piccolo‑borghese, mascherata dietro i colori del socialismo. I menscevichi e i socialrivoluzionari seppero sfruttare la fiducia delle masse solo per chiamare al timone la borghesia liberale, che, a sua volta, non poteva fare a meno di mettere al servizio degli interessi dell’Intesa il potere di cui la investivano i conciliatori.
Nelle giornate di aprile i reggimenti e le fabbriche in rivolta – ancora una volta senza che vi fosse un appello da parte di un qualsiasi partito – scendono nelle strade di Pietrogrado per opporsi alla politica imperialistica del governo che i conciliatori hanno loro imposto. La manifestazione armata ottiene un apparente successo. Miljukov, leader dell’imperialismo russo, è allontanato dal governo. I conciliatori entrano nel governo, in apparenza come rappresentanti del popolo, ma in realtà come commessi della borghesia.
Non avendo risolto nessuno dei problemi posti dalla rivoluzione, in giugno il governo di coalizione viola la tregua di fatto stabilitasi al fronte, mandando le truppe all’offensiva. Con questo atto il regime di febbraio, caratterizzato ormai da una crescente sfiducia delle masse nei confronti dei conciliatori, infligge a se stesso un colpo fatale. Si apre allora la fase della preparazione diretta di una seconda rivoluzione.
Ai primi di luglio, il governo, sostenuto da tutte le classi possidenti e colte, denunciava una manifestazione rivoluzionaria come tradimento verso la patria e intelligenza con il nemico. Le organizzazioni ufficiali delle masse, i soviet, i partiti social‑patrioti, lottavano contro l’offensiva operaia con tutte le loro forze. I bolscevichi, per ragioni tattiche, volevano evitare che gli operai e i soldati scendessero sulle piazze. Ciò nonostante, le masse si misero in movimento. Il movimento fu irresistibile e generale. Non si vedeva più il governo. I conciliatori se ne stavano nascosti. Nella capitale, gli operai e i soldati erano ormai padroni della situazione. Tuttavia, l’offensiva si infranse a causa dell’insufficiente preparazione delle province e del fronte.
Alla fine di agosto, tutti gli organismi e tutte le istituzioni delle classi possidenti, la diplomazia dell’Intesa, le banche, le organizzazioni dei proprietari terrieri e degli industriali, il partito cadetto, gli stati maggiori, il corpo degli ufficiali, la grande stampa erano favorevoli a un colpo di Stato controrivoluzionario. Organizzatore del colpo di Stato non fu altri che il generalissimo, sostenuto dall’alto comando di un esercito che contava molti milioni di uomini. Sulla base di un accordo segreto concluso con il capo del governo, contingenti scelti a bella posta da tutti i fronti erano trasferiti verso Pietrogrado con il pretesto di necessità strategiche.
Nella capitale, tutto sembrava predisposto per il successo dell’impresa: gli operai sono stati disarmati con l’aiuto dei conciliatori; i bolscevichi subiscono continui colpi; i reggimenti più rivoluzionari vengono allontanati dalla città; centinaia di ufficiali scelti vengono concentrati per costituire reparti d’assalto; assieme alle scuole degli junker e di Cosacchi dovrebbero costituire una forza imponente. E che cosa accadde? La cospirazione, che sembrava godere la protezione persino degli dei, non appena venuta a contatto con il popolo rivoluzionario, andò immediatamente in frantumi.
I due movimenti, dei primi di luglio e di fine agosto, stavano tra loro come un teorema diretto sta al suo inverso. Le giornate di luglio avevano dimostrato la potenza di un movimento spontaneo delle masse. Le giornate di agosto misero in luce la totale impotenza dei dirigenti. Questi rapporti di forza stavano a indicare che un nuovo conflitto era inevitabile. Nel frattempo, le province e il fronte si univano più strettamente alla capitale. Ciò determinava in anticipo la vittoria dell’Ottobre.
«La facilità con cui Lenin e Trotsky riuscirono a rovesciare l’ultimo governo di coalizione di Kerensky» scriveva il cadetto Nabokov «dimostrò l’intima inconsistenza del governo stesso. La misura di questa inconsistenza provocò stupore anche tra le persone allora bene informate». Nabokov, per parte sua, non sembra accorgersi che si trattava della sua stessa inconsistenza, dell’inconsistenza della sua classe, del suo regime sociale.
Come a partire dalla manifestazione armata di luglio la curva sale sino alla Rivoluzione d’ottobre, così il movimento korniloviano sembra una prova generale della campagna controrivoluzionaria intrapresa da Kerensky negli ultimi giorni di ottobre. La sola forza militare che riuscì a trovare il generalissimo della democrazia, fuggito sotto la protezione della bandiera americana e rifugiatosi al fronte per sfuggire ai bolscevichi, fu sempre lo stesso 3° corpo di cavalleria che due mesi prima era stato prescelto da Kornilov per rovesciare lo stesso Kerensky. Alla testa di questo corpo c’era sempre il generale cosacco Krasnov, monarchico militante, che era stato designato a quell’incarico da Kornilov: per la difesa della democrazia, non era possibile trovare un uomo d’armi più indicato.
Del resto, di quel corpo non restava più che il nome: si era ridotto a pochi squadroni di Cosacchi che, dopo un fallito tentativo di attacco contro i rossi sotto Pietrogrado, avevano fraternizzato con i marinai rivoluzionari e consegnato Krasnov ai bolscevichi. Kerensky fu costretto a fuggire. Così, otto mesi dopo il rovesciamento della monarchia, gli operai si trovarono alla direzione del Paese. E vi si mantennero saldamente.
Scene tratte dal film “Reds”, ispirato al libro di John Reed “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”
«Chi avrebbe mai potuto credere che un portiere o un custode del palazzo di giustizia potesse diventare improvvisamente presidente della Corte d’appello? Oppure che un infermiere diventasse direttore di un ambulatorio? Che un barbiere diventasse alto funzionario? Che un sottotenente di ieri fosse promosso generalissimo? Che un servitore o un manovale fosse nominato prefetto? Colui che sino a ieri ungeva le ruote dei vagoni, è diventato capo di un settore della rete ferroviaria o capostazione … Un fabbro è messo alla direzione di un’officina!».
«Chi avrebbe potuto credere?». Si è dovuto credere. Non si è potuto farne a meno, dato che i sottotenenti hanno sconfitto i generali, il prefetto ex manovale ha ridotto alla ragione i padroni della città, gli ingrassatori di ruote hanno regolato i trasporti, i fabbri, divenuti direttori, hanno reso possibile la ripresa dell’industria.
Secondo un detto inglese, il compito principale di un regime politico è di collocare the right man in the righi place. Come si presenta, da questo punto di vista, l’esperienza del 1917? Nei due primi mesi dell’anno, la Russia era sotto il dominio di una monarchia ereditaria, di un uomo scarsamente dotato dalla natura, che credeva alle reliquie e obbediva a Rasputin. Negli otto mesi successivi i liberali e i democratici tentarono, dall’alto delle loro posizioni governative, di dimostrare al popolo che le rivoluzioni vengono fatte perché tutto resti come prima. Non è strano che costoro siano passati sul Paese come ombre tremolanti, senza lasciare traccia. A partire dal 25 ottobre si trovò alla testa della Russia Lenin, la più grande figura della storia politica del Paese. Era circondato da uno stato maggiore di collaboratori che, per ammissione dei peggiori nemici, sapevano quello che volevano ed erano capaci di battersi per raggiungere i loro fini. Quale dunque di questi tre sistemi, nelle condizioni date, era in grado di collocare the right man in the right place?
L’ascesa storica dell’umanità, considerata nel suo insieme, può essere sintetizzata come un susseguirsi di vittorie della coscienza sulle forze cieche – nella natura, nella società, nell’uomo stesso. Il pensiero critico e creatore ha potuto sinora riportare i suoi maggiori successi nella lotta contro la natura. Le scienze fisico‑chimiche sono già arrivate a un punto tale che l’uomo si accinge di tutta evidenza a diventare padrone della materia. Ma i rapporti sociali continuano a formarsi alla maniera delle isole coralline. Il parlamentarismo ha illuminato solo la superficie della società e per di più con una luce artificiale. In confronto alla monarchia e ad altri retaggi del cannibalismo e dello stato selvaggio delle caverne, la democrazia costituisce naturalmente una grande conquista. Ma non intacca il gioco cieco delle forze nei rapporti sociali. La Rivoluzione d’ottobre ha alzato la mano per la prima volta contro questa più profonda sfera dell’inconscio. Il sistema sovietico vuole stabilire una finalità e un piano nelle basi stesse di una società, dove sino a quel momento avevano prevalso solo effetti accumulati.
Gli avversari fanno dell’ironia sottolineando che a quindici anni dalla rivoluzione il Paese dei soviet non assomiglia ancora a un paradiso terrestre. Un argomento simile potrebbe essere suggerito solo da un’eccessiva fiducia nella potenza magica dei metodi socialisti, se non fosse in realtà ispirato da una cieca ostilità. Il capitalismo ha avuto bisogno di secoli per sviluppare la scienza e la tecnica e giungere poi a far precipitare l’umanità nell’inferno della guerra e delle crisi. Gli avversari concedono solo quindici anni al socialismo per costruire e consolidare il paradiso in terra. Noi non ci siamo presi impegni di questo genere. Non abbiamo mai fissato simili scadenze. I processi delle grandi trasformazioni devono essere valutati con criteri adeguati.
Ma le sventure che si sono abbattute sui vivi? Ma l’incendio della guerra civile? I risultati della rivoluzione giustificano, in sostanza, le vittime che ci sono state? Si tratta di un problema teleologico e quindi sterile. Con lo stesso diritto, di fronte alle difficoltà e alle afflizioni di una esistenza individuale, si potrebbe chiedere: vale la pena di venire al mondo? Le riflessioni malinconiche non hanno tuttavia impedito alla gente di generare e di nascere.
Anche nell’attuale fase di insopportabili calamità, solo un’esigua percentuale di abitanti della terra ricorre al suicidio. E i popoli cercano nella rivoluzione una via d’uscita a pene insopportabili.
Non è forse significativo che il più delle volte a indignarsi per le vittime delle rivoluzioni sociali siano gli stessi che, se pur non sono stati fautori diretti della guerra mondiale, ne hanno almeno preparato ed esaltato le vittime, quanto meno si sono rassegnati a vederle cadere? A nostra volta chiediamo: era giustificata la guerra? Quali risultati ha dato? Che cosa ci ha insegnato?
Non c’è bisogno di soffermarsi sulle asserzioni dei proprietari russi che sono stati colpiti, secondo cui la rivoluzione avrebbe determinato un declino culturale del Paese. La cultura della nobiltà rovesciata dalla rivoluzione non era, in sostanza, che una superficiale imitazione dei più alti modelli della cultura occidentale. Pur rimanendo inaccessibile al popolo russo, non aggiungeva nulla di sostanziale al patrimonio dell’umanità.
La Rivoluzione d’ottobre ha gettato le basi di una nuova cultura; al servizio di tutti e per questo ha assunto immediatamente un significato internazionale. Anche se, per circostanze sfavorevoli e sotto i colpi del nemico il regime sovietico fosse rovesciato – ci sia permessa per un istante questa ipotesi – il segno incancellabile della Rivoluzione d’ottobre rimarrà egualmente su tutta l’evoluzione ulteriore dell’umanità.
Il linguaggio delle nazioni civili ha colto due epoche nettamente diverse nello sviluppo della Russia. Se la cultura della nobiltà ha introdotto nel linguaggio universale barbarismi come zar, pogrom, nagaika, l’Ottobre ha internazionalizzato parole come bolscevico, soviet e pjatiletka[1]. Questo basta a giustificare la rivoluzione proletaria, ammesso che abbia bisogno di una giustificazione.
Note
[1] Piano quinquennale (Ndr).