Dopo le elezioni
Per un fronte unico classista e anticapitalista!
Ernesto Russo e Andrea Di Benedetto
«Ma adesso avete voi il potere,
adesso avete voi supremazia,
diritto e polizia,
gli dei, i comandamenti ed il dovere.
Purtroppo, non so come siete in tanti,
e molti qui davanti
ignorano quel tarlo mai sincero
che chiamano pensiero»
(F. Guccini, “Canzone di notte n° 2”)
La consultazione referendaria …
Come era facilmente prevedibile, il referendum confermativo sulla legge costituzionale che stabilisce la riduzione dei parlamentari è passato, con il SÌ che ha prevalso con grande margine sul NO, sebbene la relativa percentuale – 69,64% contro il 30,36% – sia risultata essere sensibilmente inferiore a quella emersa in parlamento, dove la legge era stata approvata con 553 voti favorevoli, 14 contrari e 2 astenuti (e dunque una percentuale superiore al 97%). Viene così aggiunto un importante tassello intermedio al complessivo progetto di ridisegno istituzionale che settori ampiamente maggioritari della grande borghesia perseguono da tempo, e che va nella direzione di una progressiva introduzione di elementi di bonapartismo nel sistema democratico‑liberale con lo scopo di imprimere una sempre maggiore torsione reazionaria, e approdare così, infine, a un sistema di tipo presidenziale, in cui le assemblee legislative avranno una funzione puramente decorativa: un sistema, cioè, che è ritenuto dalle classi dominanti più funzionale per la gestione dell’attuale fase storico‑sociale.
È l’approdo di una campagna – quella contro “la Casta” – partita molto tempo fa dal fortunato (per il conto in banca degli autori) omonimo best seller[1], sistematizzata poi dai centri studi del capitalismo[2], e infine fatta propria dal piccolo‑borghese e reazionario Movimento 5 Stelle, che su di essa ha costruito gran parte delle proprie fortune elettorali. Il tratto demagogico e populista di questa campagna ha orientato nel tempo il comune sentire di gran parte delle classi subalterne verso quel diffuso sentimento della c.d. “antipolitica”, che nella recente consultazione referendaria si è espressa incanalandosi, sia nell’ormai endemica tendenza astensionistica, sia nel consenso all’approvazione della legge di riforma sul taglio dei parlamentari.
Paradossalmente, proprio rilevanti settori della borghesia – ben rappresentati, tra gli altri, da uno degli autori di quel best seller – si erano espressi per il NO. Però si è trattato di un paradosso soltanto apparente. In fondo, bisogna capirli i capitalisti nostrani: come abbiamo appena detto, essi hanno un disegno molto più complessivo rispetto a quello di corto respiro dei grillini, i quali hanno spinto per l’approvazione di questa riforma soltanto per poter continuare a “galleggiare”, vista la tendenza costante e progressiva (confermata dalle concomitanti elezioni regionali, di cui parleremo più avanti) all’esaurimento della spinta propulsiva che li aveva proiettati nel panorama politico italiano. Ma non dubitiamo che i circoli economici e finanziari sapranno appropriarsi del risultato della riforma e della sua conferma referendaria per il loro più ampio disegno: non a caso, a fare da “cane da guardia” al SÌ c’era il socio di maggioranza del M5S, e cioè quel Partito democratico che da sempre rappresenta il riferimento politico della grande borghesia nelle istituzioni. Insomma, il SÌ dell’antipolitica, sfrondato dalle scorie grilline, verrà trasformato in un SÌ di classe: della classe capitalista, ovviamente!
Ora, sul tavolo ci sarà un altro tassello di quel complessivo progetto, e cioè la riforma della legge elettorale: che, se dovesse essere approvata secondo le linee del provvedimento ora all’esame delle Camere, produrrà un’ulteriore semplificazione del quadro politico, perfettamente funzionale alla riduzione del numero dei parlamentari. Ma di questo parleremo a tempo debito.
… e le elezioni regionali
Lo scenario che è emerso invece dalle elezioni nelle sette regioni andate al voto delinea una tendenza che può essere riassunta come segue.
Il Pd viene percepito a livello di massa come alternativa alla Lega di Salvini: l’elettorato perciò lo premia, confermandone una sostanziale discreta tenuta che lo incorona – nelle analisi dei dati forniti dall’Istituto Cattaneo[3] – primo partito in questa tornata elettorale, sia al netto che al lordo delle liste civiche di supporto dei candidati presidenti.
Il M5S, invece, vede ratificata dall’esito della consultazione la violenta, rapida e concentrata perdita di consensi, che lo hanno visto precipitare ad un risultato complessivamente inferiore al 10%, certificando altresì il fallimento dell’ipotesi di una stabilizzata contesa “tripolare” fra centrosinistra, centrodestra e, appunto, M5S.
Nel polo opposto subisce una battuta d’arresto il progetto salviniano di una incontrastata egemonia della Lega sulla base dell’ipotesi – che non si è verificata – di uno sfondamento al Sud e della conquista della regione Toscana. Se, infatti, Forza Italia vede confermare la propria inarrestabile tendenza alla consunzione, il neofascista movimento capeggiato da Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, guadagna notevoli consensi, mostrando una costante tendenza di crescita che l’ha portato a insidiare, se non numericamente, almeno politicamente, la leadership di Matteo Salvini all’interno del centrodestra.
La presentazione elettorale della sinistra riformista – o, meglio, di ciò che ne resta – si è risolta dappertutto in una vera e propria catastrofe. Solo per restare ai casi più evidenti, in Toscana la coalizione capeggiata da Tommaso Fattori, che raggruppava Rifondazione comunista, Potere al popolo e diversi altri movimenti, è precipitata dal 6,28% (con due consiglieri eletti) di cinque anni fa al 2,23% di oggi, praticamente dimezzando i propri voti (46.000, dagli 83.000 del 2015). La Campania, invece, ha visto la presentazione autonoma di Potere al popolo, che, in preda al proprio solipsismo elettorale[4], ha sdegnosamente rifiutato qualsiasi apparentamento con altre forze che gravitano nello stesso bacino elettorale, come Rifondazione. Ebbene, il suo risultato è di poco meno di 27.000 voti: un’autentica disfatta, se si pensa che alle politiche del 2018, nelle due circoscrizioni in cui è divisa la regione per l’elezione della Camera, la lista ne ottenne invece 45.000 (e 37.000 al Senato).
Sempre in Campania, si è poi costituita, proprio alla vigilia della consultazione, una lista ecologista denominata “Terra”, composta da Rifondazione comunista, Sinistra italiana (che, peraltro, è nella maggioranza che sostiene il governo nazionale Pd‑M5S!), alcuni comitati ambientalisti e un altro centro sociale napoletano, Insurgencia. Anche in questo caso, il rabberciato raggruppamento ha ottenuto un risultato assolutamente negativo: poco più di 25.000 voti. Un disastro, se si pensa che alle precedenti regionali la lista “Sinistra al lavoro”, composta da Rifondazione e Sel (da cui nacque poi Sinistra italiana), ne raggranellò invece 53.000.
È evidente, insomma, che la crisi politica in cui da anni si dibatte la sinistra riformista non può trovare la sua soluzione nelle competizioni elettorali, che anzi ne sanciscono ogni volta la totale e sempre più marcata irrilevanza. È una legge storica: quanto più si acuisce la crisi del capitalismo, tanto più il riformismo – suo fedele scudiero e ammortizzatore delle spinte sociali e delle dinamiche di massa – perde margini di agibilità, fino alla pressoché totale inesistenza.
Si apre la possibilità di un fronte unico classista e anticapitalista
Per evitare che la crisi politica di queste forze proietti la sua ombra anche sulle piccole e purtroppo marginali organizzazioni della frammentata sinistra rivoluzionaria italiana, visto che l’immaginario collettivo sociale impropriamente le accomuna a quelle riformiste, è assolutamente indispensabile un cambio di passo: la costruzione di un fronte unico di classe, che non si risolva in un intergruppi, ma che nasca organizzandosi all’interno della classe operaia combattiva, dai lavoratori che, prescindendo dalla loro collocazione sindacale o politica, abbiano l’obiettivo di abbattere il sistema capitalistico che li opprime e li affama, che genera profitti milionari per se stesso a spese delle masse popolari. Un fronte unico che si formi non sulla base di astratti principi, ma su una piattaforma unificante di lotta che possa raggruppare settori sempre più ampi di lavoratori che in essa si riconoscano, declinando i valori dell’internazionalismo proletario, che è la base fondante del movimento operaio organizzato.
Un embrione di questo progetto è stato positivamente discusso lo scorso fine settimana a Bologna, in un’assemblea che, nonostante le difficoltà dovute anche al particolare momento di emergenza sanitaria, ha raggruppato centinaia di lavoratori del sindacalismo classista e combattivo, a partire da un appello che ha riscontrato un enorme favore[5].
Crediamo che sia questa la strada giusta da percorrere. Nel nostro piccolo ci saremo.
Note
[1] G.A. Stella‑S. Rizzo, La Casta, Rizzoli, 2007.
[2] N. Pasini‑L.M. Fasano, “Costi della politica e patologie del sistema politico italiano: un’analisi critica”, in Quaderni di ricerca del Centro Studi di Confindustria, n. 4, 2007.
[3] “Regionali 20–21 settembre 2020. Chi ha vinto, chi ha perso”, Istituto Cattaneo, 22/9/2020.
[4] Dettato dalla consapevolezza di “giocare in casa”, visto che l’organizzazione si basa prevalentemente sul centro sociale Je so’ pazzo di Napoli.
[5] Qui l’appello che ha promosso l’assemblea; e qui la mozione conclusiva che apre il percorso organizzativo e di lotta.