Nell’articolo che abbiamo recentemente pubblicato a proposito delle proteste che da settimane stanno attraversando gli Stati Uniti dopo l’assassinio da parte di una pattuglia di poliziotti dell’afroamericano George Floyd, è stato molto efficacemente evidenziato il nefasto ruolo dei sindacati dei lavoratori, i quali, perché legati a filo doppio con i sindacati dei poliziotti, si guardano bene dal proclamare scioperi chiamando la classe operaia a paralizzare l’economia: ciò che, invece, sicuramente farebbe fare un poderoso salto alle già gigantesche mobilitazioni.
Presentiamo oggi un articolo dello studioso marxista Rolando Astarita – i cui testi tante volte abbiamo ospitato sul nostro sito – che riprende, a partire dalle ragioni per le quali i poliziotti americani godono di una sostanziale impunità, una polemica teorica che lo aveva visto protagonista in passato, tenuta con i dirigenti di una piccola organizzazione politica argentina, Izquierda Socialista (IS), che costituisce uno dei frammenti della diaspora del “morenismo”, corrente latinoamericana che si richiama al marxismo rivoluzionario.
La polemica riguarda la questione se i poliziotti possano essere considerati lavoratori, sia pure “in divisa”, e se quindi i marxisti possano rivendicarne l’organizzazione in sindacati.
Con un’argomentazione molto incisiva, Astarita spiega perché una simile caratterizzazione sia totalmente estranea ai principi del marxismo, e da ciò fa discendere una corretta ed efficace analisi su quanto sta accadendo negli Usa.
Ma se la polemica fra Astarita e i dirigenti di IS risale al periodo 2012‑2013 (e, come egli stesso segnala oggi, si fermò lì), c’è un’altra organizzazione – questa volta un frammento un po’ più grande della stessa diaspora del “morenismo” – che in tempi recentissimi (lo scorso febbraio) ha ripreso in buona sostanza gli stessi argomenti di IS, sostenendo che la polizia militare brasiliana (che, in quanto a ferocia repressiva non è affatto seconda a quella statunitense, anzi!) è composta da lavoratori, per cui gli agenti debbono considerarsi appartenenti alla classe operaia: stiamo parlando del Pstu del Brasile, che è sezione della Lit‑Quarta Internazionale.
Segnaliamo questa circostanza, non tanto perché ci interessa coltivare una polemica con quest’organizzazione, o con chi anche in Italia vi si richiama, quanto perché riteniamo particolarmente vergognoso che chi si proclama socialista e marxista rivoluzionario distorca fino a tal punto i principi del marxismo.
Buona lettura.
La redazione
Stati Uniti: sindacati di polizia in azione
Rolando Astarita
Alcuni anni orsono, ho sostenuto una polemica riguardo a ciò: se i socialisti debbano promuovere la formazione di sindacati della polizia. L’argomento di coloro che rispondevano affermativamente si basava essenzialmente sull’osservazione che i poliziotti sono “lavoratori in uniforme” e che, di conseguenza, è un dovere dei socialisti difenderli. Inoltre, sostenevano che i sindacati avrebbero aiutato a guadagnare i poliziotti alla causa della difesa dei lavoratori e delle loro lotte.
Contro queste idee ho sostenuto che i poliziotti non sono “lavoratori in uniforme”, poiché la loro funzione repressiva determina il loro carattere sociale. Così, in risposta a una critica ricevuta da Miguel Sorans, dirigente di Izquierda Socialista, scrissi: «Il poliziotto, a differenza della recluta, entra volontariamente in un corpo repressivo, per giunta con la piena consapevolezza del fatto che andrà a reprimere manifestazioni e lotte operaie e popolari. La sua esistenza come poliziotto dipende dal suo rispondere appieno a questa funzione. Cosa ha a che fare questo con il contadino o l’operaio che viene integrato nell’esercito?». E inoltre: «… il lavoro del poliziotto è indissolubile dalla repressione. In una società divisa in classi sociali, questa repressione non può non essere al servizio della classe dominante. Perciò, il salario, le condizioni di lavoro e le questioni relative sono attraversati dal conflitto sociale e dal ruolo che svolge la polizia in questo conflitto. Il ruolo repressivo dei corpi di polizia è determinante per inquadrare il tema» (qui).
E, in una nota precedente, scrivevo: «Un sindacato può contribuire ad ottenere un apparato poliziesco più efficiente, consolidato e in ottime condizioni, che rappresenta comunque una polizza di assicurazione per il sistema di sfruttamento. Possiamo anche immaginare un sindacato che rivendichi assistenza psicologica, equipaggiamento migliore e bonus economici per i “compagni” che debbono reprimere manifestazioni operaie o, compito ancor più stancante, torturare un detenuto per ottenere informazioni. Perché no, visto che si tratta di “lavoratori salariati”? L’assurdo a cui si giunge è indice rivelatore dell’inconsistenza della proposta da un punto di vista socialista» (qui).
La polemica restò in questi termini, con Izquierda Socialista a difendere i sindacati di polizia perché “sono lavoratori”, e, per contro, le mie posizioni (così come di altri marxisti) a criticare questa difesa.
Ebbene, la condotta dei sindacati di polizia degli Stati Uniti rispetto al recente assassinio di George Floyd, e quel che dice – o non dice – la sinistra su questo tema sembrano gettare nuova luce su quella polemica.
Gli argomenti alla prova dei fatti
In questi giorni, numerose pubblicazioni negli Usa hanno dato conto della posizione dei sindacati di polizia rispetto ai loro membri accusati di crimini razziali. Di seguito riporto alcuni resoconti.
Benjamin Sachs, “L’omicidio di Floyd dimostra che i sindacati della polizia abusano del potere. Abbiamo bisogno di riforme radicali: ex avvocato sindacale” (qui):
«Tra i molti oltraggi nella morte di George Floyd, ce n’è uno in particolare: Dereck Chauvin, il poliziotto che ha ucciso Floyd era già stato sottoposto ad almeno 17 denunce per cattiva condotta, eppure ha continuato ad essere un membro armato del Dipartimento di Polizia di Minneapolis. Come è potuto succedere? Parte della risposta la troviamo nel contratto collettivo firmato tra il dipartimento di polizia e il sindacato di Chauvin.
Come altri contratti collettivi di questo tipo, quello di Minneapolis concede una protezione straordinaria ai poliziotti rispetto alla disciplina per condotta violenta. Stabilisce un periodo di 48 ore prima che qualsiasi poliziotto accusato di ciò possa essere interrogato. Un ritardo e un lusso … che danno tempo al poliziotto per organizzare una strategia atta ad eludere ogni responsabilità.
Così come accade con molti altri contratti collettivi, tra cui quelli di Baltimora, Chicago e Washington DC, quello di Minneapolis stabilisce anche che i precedenti vengano eliminati dai registri disciplinari della polizia dopo un certo tempo. Per questo, ogni azione disciplinare cui non faccia seguito una sanzione non può risultare nello stato di servizio del poliziotto. Perfino nei casi in cui il poliziotto sia stato licenziato per cattiva condotta, l’accordo prevede un procedimento di appello che molto spesso sfocia nella reintegrazione, soprattutto se il dipartimento che ha svolto le indagini sia incorso in errori procedimentali».
Samantha Michael, nell’articolo “Il presidente del sindacato di polizia di Minneapolis avrebbe indossato un ‘simbolo suprematista’ e fatto commenti razzisti” (qui), segnala che questi, di nome Bob Kroll, accusato di usare eccessiva violenza e di aver utilizzato espressioni razziste, ha difeso Chauvin: «Non è il momento di affrettarsi a giudicare e condannare immediatamente i nostri poliziotti».
In un articolo a più firme sul The Guardian, “I dirigenti bianchi dei sindacati di polizia statunitensi proteggono gli ufficiali accusati di razzismo” (qui), si denuncia l’atteggiamento, che i capi dei sindacati di polizia hanno sempre tenuto, di copertura dei loro associati accusati di brutalità e razzismo, «grazie alla firma di contratti collettivi che rendono difficile, se non addirittura impossibile, licenziarli o comminare loro sanzioni disciplinari».
In altri termini, si sta verificando oggigiorno negli Usa “l’assurdo” di cui parlavo nella mia nota di risposta a Izquierda Socialista, e cioè un sindacato che difende i “compagni poliziotti” che si … sacrificano reprimendo, torturando o assassinando, per esempio, per motivi puramente razzisti.
Cosa dice – e non dice – Izquierda Socialista?
Nell’edizione n. 463 pubblicata oggi, 10 giugno, di El Socialista, periodico di IS, appare un articolo firmato da Miguel Lamas, dal titolo “L’esplosione sociale negli Stati Uniti continua e si estende a tutto il mondo: «George, tu hai cambiato il mondo»”.
Lamas pone in risalto la reazione dei sindacati degli autisti di pullman urbani che si sono rifiutati di collaborare con la repressione trasportando i poliziotti, nonché le dichiarazioni di organizzazioni che, sotto la spinta della propria base, hanno emesso dichiarazioni di solidarietà alle mobilitazioni antirazziste. D’altra parte, e giustamente, denuncia che i dirigenti del sindacato Afl‑Cio non hanno detto una sola parola sull’assassinio e sul razzismo poliziesco. Tutto bene. Però … e sui sindacati di polizia? Ho riletto la nota per assicurarmi di non essermi perso qualcosa, ma non ho trovato una sola riga sul tema, così come nel resto del periodico. Che è accaduto? È qualcosa di poco importante? Lamas non se n’è accorto? O l’ha dimenticato? È così che si informa e si denuncia da parte di un giornale socialista?
Per soprammercato, un marxista deve sentirsi responsabile delle caratterizzazioni sociali e politiche che ha difeso in un altro momento. Sicché, domando: come si accorda ciò che sta accadendo con la tesi per cui “i sindacati di polizia difendono lavoratori come qualsiasi altro sindacato”? Così come occorre chiedere quali ragioni – ideologiche? politiche? – hanno indotto Lamas e IS a “non vedere” ciò che qualsiasi osservatore con un minimo di onestà intellettuale “ha visto”.
In definitiva, non hanno nulla da rivedere i militanti di IS rispetto agli argomenti con i quali hanno supportato la formazione dei “sindacati di lavoratori in uniforme” e hanno replicato ai loro critici? Oppure tutto si risolve nel nascondere problemi ed esperienze sotto il tappeto?