Pubblichiamo, condividendola parola per parola, la dichiarazione del Comitato permanente contro le guerre e il razzismo “Il cuneo rosso” resa a seguito dell’uccisione, da parte di un drone degli Stati Uniti, del generale iraniano – e numero due del regime – Qassem Soleimani, e pubblicata sul sito web “Il pungolo rosso”.
Buona lettura.
La redazione
L’uccisione di Soleimani: un colpo all’Iran e un monito terroristico rivolto alle masse iraniane, arabe e mediorientali
Torniamo in piazza contro le nuove guerre in gestazione, contro il governo Conte che è complice di questi preparativi, per il ritiro immediato di tutte le truppe italiane all’estero! Sostegno incondizionato alle piazze arabe e iraniane in ebollizione contro l’imperialismo e contro i propri regimi oppressivi!
Comitato permanente contro le guerre e il razzismo “Il cuneo rosso”
(Marghera, 6 gennaio 2020)
L’uccisione del gen. Soleimani da parte del Pentagono non è rivolta solo contro un uomo e un regime politico che negli ultimi anni avevano saputo abilmente erodere spazi, in Iraq, Siria, in Yemen, agli Stati Uniti di Obama e di Trump e ai loro alleati. È un monito terroristico rivolto alle masse del mondo arabo e dell’intera area medio-orientale in ebollizione in Sudan, in Algeria, in Libano, in Iraq e altrove affinché abbiano ben presente chi comanda in quella regione, e tengano bene a mente che gli interessi statunitensi sono intoccabili. Questo monito va insieme al tentativo di rilanciare la falsa divisione tra “sunniti” e “sciiti” che tanto ha giovato agli interessi delle classi dominanti, globali e locali.
Non a caso Trump si è immediatamente precipitato a chiarire due cose:
- “non vogliamo un regime change in Iran, non vogliamo buttare giù il regime islamico” – l’obiettivo è di limitare la sua sfera di influenza e renderlo più malleabile al tavolo dei negoziati;
- se ci sarà una risposta iraniana forte, la contro-risposta statunitense sarà “sproporzionata”. Il terrorismo imperialista degli Stati Uniti e della Nato – dello stesso genere di quello che Israele attua contro le masse palestinesi – mira oltre che a dare un avviso ai governanti di Teheran e delle altre capitali dell’area amiche della Russia, a generare paura tra i rivoltosi che da due anni riempiono le piazze di questa area per cambiare radicalmente la propria condizione attraverso l’abbattimento dei rispettivi regimi. Perché questo cambiamento radicale si può realizzare solo tagliando le unghie, le ali e infine la testa alla dominazione imperialista sull’area.
L’America di Obama fu contro la caduta dei vari Mubarak, Ben Ali, Saleh nel 2011. Allo stesso modo l’America di Trump è oggi contro la caduta degli attuali regimi arabi (incluso quello di Assad) e medio-orientali – non a caso ha subito riconosciuto Tebbouni come nuovo presidente dell’Algeria, nonostante la diserzione di massa dalle urne e l’Hirak algerino in atto da un anno. Washington non coltiva più, forse, il folle sogno di avere regimi costruiti a totale immagine e somiglianza dei propri interessi. Sa che questo non è più possibile per l’odio e il discredito che ha accumulato nella regione e nel mondo. Ma usa tutti i mezzi a propria disposizione – guerre, servizi segreti, sanzioni, diplomazia, eserciti privati, mass media, tangenti – per condizionare e costringere questi governi a non danneggiare gli interessi statunitensi. E se in questa sua azione si erge a “protettrice” degli interessi di una minoranza “etnica”, lo fa solo per il cinico gioco “Li amiamo, li usiamo, e alla fine li scarichiamo”. Il caso dei curdi siriani dovrebbe averlo definitivamente chiarito.
Da parte loro il regime di Teheran e i suoi alleati in Iraq, in Libano, in Siria, in Palestina hanno colto al volo l’occasione dell’uccisione di Soleimani per rivitalizzare i loro proclami “anti-imperialisti”, e da ora in poi useranno l’emozione che questo assassinio ha suscitato per scagliare contro i grandi movimenti popolari in atto da mesi in Libano, in Iraq, in Algeria, in Sudan, il brutale ricatto: chiunque si ribella contro i propri governi fa il gioco dell’America e degli imperialisti. Per regimi ovunque traballanti, quale occasione d’oro per riprendere in questo modo fiato e consensi!
Noi siamo con le piazze di Teheran e di Baghdad che bruciano di sentimenti anti-americani e anti-occidentali, perché vediamo in esse un potenziale rivoluzionario oggi sequestrato da abili mestatori. Ma siamo altrettanto risolutamente contro le oligarchie borghesi, abbiano o no vesti religiose, che a Teheran, a Baghdad, a Beirut, ad Algeri, strumentalizzano questi sentimenti per consolidare i propri regimi dispotici e corrotti e, inneggiando all’Islam, continuare a curare interessi molto terreni di arricchimento, accaparramento di fondi statali e privilegi di classe e di clan. Regimi che hanno schiacciato sistematicamente nel sangue ogni tentativo della classe operaia e degli sfruttati di liberarsi da una condizione generalizzata di povertà e di super-sfruttamento. Regimi che, in un modo o nell’altro, hanno applicato le ricette di politica economica del Fmi, imponendo anche di recente pesantissimi sacrifici supplementari alle proprie popolazioni già stremate.
Questi poteri cercheranno di contrapporre il sacrosanto odio di massa contro l’imperialismo e la rabbia maturata ed esplosa contro di loro nel 2011‑2012 e di nuovo nel 2018‑2019. Noi li vediamo invece come forze complementari, da saldare in un solo fronte di lotta internazionale e internazionalista al tempo stesso anti-imperialista e anti-capitalista. Nessuna contrapposizione tra la piazza Tahrir di Baghdad che si rifiuta, giustamente, di considerare il repressore Soleimani un proprio eroe (e come potrebbe?), e la massa degli altri dimostranti che gridano in altre piazze “morte all’America”. Trump e gli ayatollah, i super-gangster del Pentagono e i Soleimani sono due facce della stessa medaglia.
Quanto all’Italia, il governo Conte-bis ha coperto l’azione avventurista e guerrafondaia di Trump, della cui furiosa islamofobia è totalmente complice. Il suo invito alla “cautela”, alla “responsabilità”, alla “moderazione” non nasce certo da amore per la “pace”, di cui nell’area medio-orientale non c’è traccia (chiedere ai palestinesi, agli iracheni, ai curdi). Esprime il faticosissimo tentativo di barcamenarsi nella concorrenza tra Stati Uniti e Unione Europea per assicurarsi una propria fetta di bottino in Nord Africa e Medio Oriente, e non compromettere le proprie buone relazioni commerciali con l’Iran e molti paesi arabi. Ma questo posizionamento non riesce a nascondere la totale complicità dello stato italiano e di tutti i governi italiani, di qualsiasi colore, con la guerra infinita che l’imperialismo occidentale ha scatenato da decenni ai popoli arabi e “islamici” e sta riempiendo questa vasta area del mondo di lutti, distruzioni, emigrazioni forzate, ricacciandola indietro, anzitutto in Iraq come promise Baker, “all’età della pietra”.
Altrettanto impossibile è nascondere che, Salvini o non Salvini, l’Italia di Mattarella, dei Cinquestelle, del Pd, etc. è schierata dalla parte dei regimi borghesi dipendenti che al Cairo come a Tunisi, ad Algeri come a Khartoum, opprimono le proprie classi lavoratrici e usano il pugno di ferro contro le loro ritornanti sollevazioni. L’Italia dell’Eni, della Federmeccanica e delle altre centinaia di imprese che lucrano immensi profitti in questa area, è anche l’Italia delle truppe schierate in Iraq, in Libano, in Niger, per preparare altre guerre e addestrare polizie e truppe speciali anti-sommossa.
È impossibile prevedere se l’uccisione di Soleimani e quello che ne seguirà come risposta ad essa innescherà una reazione a catena incontrollabile, generando in Medio Oriente una guerra generale tra Stati Uniti, Israele, UE, petromonarchie da un lato, Russia, Iran e loro alleati dall’altro – banco di prova per la formazione di due schieramenti capitalistici contrapposti in vista di un nuovo macello mondiale di inimmaginabile capacità distruttiva per l’umanità e la natura. Il rilancio del militarismo ad Ovest come a Est, nel Nord come nel Sud del mondo, della guerra per lo spazio, la decisione esplicita della Nato di mettere nel suo mirino la Cina, non lasciano dubbi sul fatto che nei circoli dominanti si pensa concretamente a questa possibilità per risolvere una crisi economica nonostante tutto irrisolta, e rispondere con sperimentate ricette reazionarie ad una crisi di legittimità e di egemonia del sistema capitalistico di portata sempre più ampia.
Siamo già su questo piano inclinato. E sarebbe infantile immaginare che ci si possa fare scudo di un art. 11 della Costituzione che per i governanti italiani è stato fin dall’inizio carta straccia. La parola deve passare alle piazze, ad una lotta ampia e determinata contro le nuove guerre capitaliste-imperialiste in gestazione e quelle già in corso. Basta con le esitazioni! Basta anche con l’idea, detta e non detta, che il fronte in formazione Russia-Cina-Iran sia tutto sommato preferibile all’odioso schieramento Usa-Nato-Ue. Per quanto diviso da conflitti di interessi con quello occidentale, Il fronte Russia-Cina-Iran non ha nulla di preferibile per la classe lavoratrice, non promette altro di diverso da quello che già fa oggi, quotidianamente, sui “propri” lavoratori: sfruttamento, sfruttamento, sfruttamento.
Torniamo quindi a manifestare con lo slogan dei manifestanti di San Francisco e di altre città degli Stati Uniti: “No war, but class war”. No alla guerra tra capitalisti e regimi capitalistici, per fini capitalistici di oppressione del lavoro e di saccheggio della natura; sì alla guerra di classe globale tra sfruttati e sfruttatori.
Naturalmente non mettiamo gli Stati Uniti (o l’Ue) e l’Iran sullo stesso piano. Gli Stati Uniti, per quanto in declino, sono sempre e comunque il paese imperialista n. 1 nel mondo. L’Iran degli ayatollah è una semplice potenza di area – giustamente odiata per la sua azione anti-operaia da tanti proletari in Iran (dove appena poco più di un mese fa ci sono state diffuse proteste popolari schiacciate nel sangue), in Iraq (dove le milizie che facevano capo a Soleimani sparavano da ottobre contro le dimostrazioni di strada) e in Siria (dove pure si sono distinte per simili azioni “umanitarie”).
Quindi: ora e sempre contro l’imperialismo Usa, in quanto guida e coordinatore, fin che potrà, del capitalismo globale. E anzitutto ora e sempre contro il “nostro” imperialismo e il governo Conte, i suoi maneggi di “pace” e di guerra, subdoli ma non per questo meno efficaci all’interno dello schieramento della Nato e dell’Ue, che ricadranno inevitabilmente sulle spalle della classe lavoratrice. Mai, però, con l’Iran capitalista degli ayatollah, che ha confiscato e schiacciato nel sangue la grandiosa sollevazione popolare e proletaria del 1979, ed è schierato oggi con le sue milizie e la sua influenza politico-ideologica contro le sollevazioni popolari in atto nel mondo arabo.
Gli internazionalisti rivoluzionari stanno incondizionatamente dalla parte delle sollevazioni delle masse oppresse e sfruttate del mondo arabo, del Medio Oriente e dell’Iran contro l’imperialismo e contro i loro regimi, in un grado o nell’altro integrati al capitalismo globale e al fronte della controrivoluzione globale.
- Abbasso il militarismo capitalistico e le guerre capitaliste e imperialiste!
- No all’aggressione yankee e occidentale agli sfruttati iraniani, arabi e “islamici”!
- Nessuna apertura di credito a Iran, Russia, Cina, regimi capitalistici e oppressori dei lavoratori quanto i regimi democratici occidentali!
- Solidarietà incondizionata alle masse oppresse e sfruttate arabe e iraniane in rivolta!
- Internazionalismo proletario militante! Socialismo internazionale!