La Rivoluzione d’ottobre
León Trotsky [*]
(14 settembre 1919, Balachov-Serebriakovo)
A proposito del secondo anniversario della Rivoluzione d’ottobre, che sarà celebrato prossimamente, mi sembra utile mettere in rilievo uno dei tratti distintivi di questa rivoluzione, che non è stato sottolineato come converrebbe nei ricordi e negli articoli che le sono stati dedicati. L’insurrezione d’ottobre fu, per così dire, fissata in anticipo, per una data precisa, per il 25 di ottobre (7 novembre); la data non venne stabilita in una riunione segreta, ma pubblicamente e apertamente, e l’insurrezione vittoriosa ebbe luogo proprio il 25 ottobre 1917, com’era stato deciso.
La storia mondiale conosce un gran numero di rivoluzioni e insurrezioni. Ma invano si cercherà nella storia un’altra insurrezione delle classi oppresse che sia stata fissata in anticipo e pubblicamente, per una data precisa, e realizzata poi nel giorno stabilito e vittoriosamente. Da questo punto di vista, come peraltro da molti altri, la Rivoluzione d’ottobre è unica e incomparabile.
La presa del potere a Pietrogrado era stata fissata per il giorno della riunione del secondo Congresso dei Soviet. Questa “coincidenza” non era opera di cospiratori prudenti, ma il risultato dell’insieme del corso precedente della rivoluzione e, in particolare, dell’intera opera di agitazione e d’organizzazione del nostro partito. Rivendicavamo la consegna del potere ai Soviet. Intorno a questa parola d’ordine avevamo raggruppato, sotto la bandiera del nostro partito, una maggioranza in tutti i più importanti Soviet. Accadde in seguito che non ci fu possibile limitarci a “rivendicare” la consegna del potere ai Soviet; nel nostro ruolo di partito dirigente dei Soviet, dovevamo prendere questo potere. Non dubitavamo che il secondo Congresso dei Soviet ci avrebbe dato la maggioranza.
Neppure i nostri nemici potevano farsi illusioni al riguardo. D’altra parte, essi si erano opposti con tutte le loro forze alla convocazione del secondo Congresso. Così, nella riunione della sezione del Soviet della “Conferenza democratica”, il menscevico Dan si era sforzato con tutti i mezzi di far fallire la convocazione di un secondo Congresso dei Soviet. E quando si rese conto che non gli era possibile ottenerlo, cercò di ritardarne la convocazione. I menscevichi e i socialisti rivoluzionari avevano motivato la loro opposizione alla convocazione del Congresso dei Soviet sostenendo che questo sarebbe potuto servire da arena per un tentativo dei bolscevichi di prendere il potere. Per quanto ci riguarda, avevamo insistito per la convocazione urgente del congresso, senza nascondere che a nostro avviso esso era necessario proprio per strappare il potere dalle mani del governo Kerensky. Infine, nel voto nella sezione del soviet della Conferenza democratica, Dan era riuscito a ritardare la data della convocazione del congresso dal 15 al 25 ottobre. Sicché, il politico “realista” del menscevismo aveva negoziato con la storia una proroga esatta di dieci giorni.
In tutte le riunioni di operai e soldati che si tenevano a Pietrogrado ponevamo la questione in questi termini: il 25 ottobre deve riunirsi il secondo Congresso dei Soviet; il proletariato e la guarnigione di Pietrogrado richiederanno al Congresso che al primo punto all’ordine del giorno figuri la questione del potere e che questa venga decisa nel senso che, di lì in avanti, il potere apparterrà al congresso generale dei Soviet; se il governo Kerensky dovesse cercare di sciogliere il congresso (queste sono le parole esatte delle innumerevoli risoluzioni votate al riguardo), la guarnigione di Pietrogrado avrà l’ultima parola.
La propaganda veniva quotidianamente fatta su questo terreno. Fissando il congresso per il 25 ottobre, facendo sì che la prima e, in fondo, l’unica “questione” iscritta all’ordine del giorno sulla realizzazione (non la condanna, ma la realizzazione) del passaggio del potere ai Soviet; detto in altri termini, fissando il colpo di stato per il 25 ottobre, preparavamo apertamente, sotto gli occhi della “società” e del suo “governo”, una forza armata per portare a termine la rivoluzione.
La questione dell’invio fuori Pietrogrado di una parte considerevole della guarnigione era intimamente legata alla preparazione del Congresso. Kerensky temeva (a ragione, d’altro canto) i soldati di Pietrogrado. Propose a Cheremisov, che all’epoca comandava l’armata del Nord, di richiamare al fronte i reggimenti che non erano fidati.
Cheremisov, come testimonia la corrispondenza rinvenuta dopo il 25 ottobre, si rifiutò ritenendo che la guarnigione di Pietrogrado fosse troppo sensibile alla propaganda bolscevica e, di conseguenza, non potesse essere di alcuna utilità alla guerra imperialista. Tuttavia, vista l’insistenza di Kerensky, orientata da motivi puramente politici, Cheremisov finì per emanare l’ordine richiestogli.
Dal momento in cui l’ordine relativo al trasferimento delle unità della guarnigione fu trasmesso “per la sua esecuzione” da parte dello stato maggiore del distretto militare al Comitato esecutivo del Soviet di Pietrogrado, divenne chiaro per noi, rappresentanti dell’opposizione proletaria, che tale questione poteva acquisire, nel corso del suo ulteriore sviluppo, un’importanza politica decisiva. Nell’ansiosa attesa del colpo di stato fissato per il 25 ottobre, Kerensky tentava di disarmare la capitale ribelle. Non ci restava altro, allora, se non opporre al governo Kerensky, su questo terreno, non solo gli operai, ma tutta la guarnigione.
In primo luogo, decidemmo di creare, sotto forma di Comitato militare rivoluzionario, un organismo destinato a verificare le ragioni di guerra suscettibili di giustificare l’ordine di allontanare la guarnigione di Pietrogrado. Sostanzialmente, è così che fu creato, insieme alla rappresentanza politica della guarnigione (la sezione dei soldati nel Soviet), il quartier generale rivoluzionario di questa guarnigione.
Ancora una volta, i menscevichi e i socialisti rivoluzionari “compresero” che si trattava di creare l’apparato di un’insurrezione armata e lo dichiararono apertamente nella sessione del Soviet. Pur avendo votato contro la formazione del Comitato militare rivoluzionario, i menscevichi entrarono a farvi parte – in qualità di addetti alla verbalizzazione o di segretari – nel momento stesso del colpo di stato. Fu così che, dopo avere preventivamente negoziato dieci giorni di esistenza politica in più, essi si assicurarono poi il diritto di assistere, in qualità di spettatori d’onore, alla loro propria morte politica.
Il Congresso era dunque stato fissato per il 25 ottobre. Il partito, certo di avere la maggioranza, assegnò al Congresso il compito di impadronirsi del potere. La guarnigione, che aveva rifiutato di lasciare Pietrogrado, venne mobilitata per la difesa dell’atteso Congresso. Il Comitato militare rivoluzionario, contrapposto allo stato maggiore del distretto militare, fu trasformato in stato maggiore rivoluzionario del Soviet di Pietrogrado. Tutto ciò si svolse apertamente, davanti agli occhi di tutta Pietrogrado, del governo Kerensky e del mondo intero. Il fatto è unico nel suo genere.
Durante questo tempo, la questione dell’insurrezione armata costituiva apertamente oggetto di dibattito, sia nel partito che sulla stampa. Le discussioni si discostarono sensibilmente dal corso degli avvenimenti, non ricollegando l’insurrezione né al Congresso, né all’allontanamento della guarnigione, ma considerando il colpo di stato come un complotto organizzato con modalità cospirative. In realtà, l’insurrezione armata non fu soltanto “accettata” da noi, bensì preparata per una data ben precisa, stabilita in anticipo, e il suo stesso carattere fu determinato preventivamente – almeno per quanto riguarda Pietrogrado – dallo stato della guarnigione e dal suo atteggiamento verso il Congresso dei Soviet.
Alcuni compagni accettavano con scetticismo l’idea che la rivoluzione potesse essere fissata così, per una data precisa. Credevano fosse più sicuro predisporla in maniera strettamente cospirativa e approfittare del considerevole vantaggio che avremmo certamente avuto agendo all’improvviso. Effettivamente, Kerensky, attendendosi l’insurrezione per il 25 di ottobre, poteva prepararsi facendo giungere forze fresche, “epurando” la guarnigione, ecc.
Ma fu proprio la questione della modifica della composizione della guarnigione di Pietrogrado a diventare il centro stesso del colpo di stato stabilito per il 25 ottobre. Il tentativo messo in atto da Kerensky di modificare la composizione dei reggimenti di Pietrogrado fu considerato – a ragion veduta, d’altronde – come il seguito dell’attentato di Kornilov. Inoltre, l’insurrezione “legalizzata” ipnotizzava in qualche modo il nemico. Non facendo eseguire alla lettera l’ordine dato di inviare la guarnigione al fronte, Kerensky accrebbe considerevolmente la fiducia in se stessi dei soldati e contribuì in tal modo ad assicurare il successo del colpo di stato.
Dopo la rivoluzione del 25 ottobre, i menscevichi, e soprattutto Martov, hanno abbondantemente descritto la presa del potere come l’azione di un pugno di cospiratori che avrebbero agito, secondo lui, all’insaputa del Soviet e della classe operaia. È difficile immaginare un’offesa più evidente alla verità come essa emerge dai fatti stessi; e così pure è difficile procurarsi una smentita più eclatante. Quando, nella riunione della sezione del Soviet della Conferenza democratica, fissammo a maggioranza la data del 25 ottobre per lo svolgimento del Congresso dei Soviet, i menscevichi dichiararono: «Voi state stabilendo la data del colpo di stato». Quando, rappresentati dall’immensa maggioranza del Soviet di Pietrogrado, ci rifiutammo di far uscire i reggimenti dalla capitale, i menscevichi affermarono: «È l’inizio dell’insurrezione armata». Quando, al Soviet di Pietrogrado, formammo il Comitato militare rivoluzionario, i menscevichi osservarono: «È l’apparato dell’insurrezione armata». E quando, il giorno stabilito, con l’aiuto dell’apparato preventivamente “rivelato”, l’insurrezione che era stata prevista ebbe realmente luogo, proprio nella data fissata, gli stessi menscevichi si misero a strepitare che «un pugno di cospiratori aveva realizzato un colpo di stato all’insaputa della classe operaia». In realtà, l’unica accusa che, su questo terreno, poteva esserci mossa era di avere predisposto, nel Comitato militare rivoluzionario, alcuni dettagli tecnici “all’insaputa” dei membri menscevichi.
È fuori dubbio che, in quel momento, un tentativo di complotto militare fatto indipendentemente dal secondo Congresso dei Soviet e dal Comitato militare rivoluzionario non avrebbe avuto altro risultato che seminare confusione nel cammino stesso degli avvenimenti, e avrebbe persino potuto far fallire momentaneamente il movimento insurrezionale. La guarnigione, di cui facevano parte reggimenti senza formazione politica, avrebbe considerato la presa del potere da parte nostra mediante un complotto come un avvenimento ad essa estraneo, e anche come una misura ostile verso certi reggimenti. Al contrario, questi reggimenti ritennero del tutto naturale, facilmente comprensibile, e persino necessario, il rifiuto di lasciare Pietrogrado per assumere il compito di proteggere il Congresso dei Soviet che era destinato a trasformarsi nel potere del Paese. I compagni che definivano un’utopia fissare l’insurrezione per il 25 di ottobre non facevano, in realtà, che disconoscere la nostra forza e la potenza della nostra situazione politica a Pietrogrado rispetto al governo Kerensky.
Il Comitato militare rivoluzionario, che esisteva legalmente, inviò dei commissari presso tutte le unità della guarnigione di Pietrogrado diventando così, nel vero senso della parola, padrone della situazione. In qualche modo, avevamo sotto gli occhi la mappa politica della guarnigione.
Potevamo in ogni momento raggruppare le forze necessarie ed assicurarci tutti i punti strategici. Restavano da eliminare le tensioni e l’eventuale resistenza delle unità politicamente più arretrate, soprattutto le unità di cavalleria. Realizzammo questo lavoro nelle più favorevoli condizioni. Durante le riunioni organizzate dai reggimenti, la nostra parola d’ordine – “Non lasciare Pietrogrado ed assicurare con la forza armata la presa del potere da parte dei Soviet” – fu adottata da tutti, quasi senza eccezioni. Nel reggimento Semenovsky, il più conservatore, Skobelev e Gotz – che in particolare offrivano ai soldati come principale argomento un progetto di viaggio diplomatico che Skobelev avrebbe fatto a Parigi allo scopo di informare Lloyd George e Clemenceau – non solo non suscitarono alcun entusiasmo, ma, al contrario, subirono una secca sconfitta. La maggioranza dei soldati votò a favore della nostra risoluzione.
Al Circo Moderno, nella riunione dei soldati ciclisti che erano considerati il bastione di Kerensky, la nostra risoluzione ottenne l’immensa maggioranza dei voti. Il quartiermastro generale Poradelov pronunciò un discorso ambiguo per fare appello alla conciliazione, ma i suoi evasivi emendamenti furono respinti.
Fu nel cuore stesso di Pietrogrado, nella fortezza di Pietro e Paolo, che portammo il colpo di grazia al nemico. Di fronte allo stato d’animo della guarnigione della fortezza, che assisteva al completo alla nostra riunione nel cortile, il vicecomandante del distretto militare propose, in maniera molto amichevole, di “mettersi d’accordo e porre fine ai malintesi”.
Da parte nostra, promettemmo di adottare i provvedimenti necessari per finirla completamente con i malintesi. E, in effetti, due o tre giorni dopo ebbe fine il governo Kerensky, il più grande malinteso della Rivoluzione russa.
La Storia voltò pagina e aprì il capitolo dei Soviet.
Note
[*] Pubblicato sul n. 3 del Bulletin Communiste, organo del Comitato della Terza Internazionale, 1° aprile 1920.
(Traduzione di Valerio Torre)