In questo mese di ottobre ricorrono gli ottantacinque anni dalla nascita della Comune delle Asturie, in Spagna: un’esperienza che durò dal 5 al 19 ottobre del 1934 e che a tal punto terrorizzò la borghesia spagnola da scatenare una reazione ferocissima, in qualche modo paragonabile a quella che pose fine alla Comune di Parigi.
Ho un debito di riconoscenza verso lo storico e militante del movimento operaio Antonio Liz. Dopo aver letto infatti il suo bel libro, “Octubre de 1934. Insurreciones y revolución”, mi sono talmente appassionato alle vicende così belle, gloriose e pur terribili che hanno segnato quell’episodio, inscritto nel più ampio processo rivoluzionario spagnolo, che ho deciso di approfondire il tema: un tema meritevole, a mio avviso, di essere maggiormente conosciuto in Italia, soprattutto perché, a partire dall’effettiva realizzazione di un autentico fronte unico, nella regione delle Asturie venne costruita una Comune che, sia pure per soli quindici giorni, costituì in embrione uno Stato socialista.
È con tale spirito, perciò, che offro ai lettori di questo sito un mio testo con cui intendo commemorare l’esperienza rivoluzionaria asturiana: un testo che non ha certo la pretesa di rappresentare un saggio accademico, ma che vuole invece essere un contributo militante e un omaggio per coloro che nell’ottobre del 1934 diedero la loro vita per la Rivoluzione.
Insieme alla redazione del Blog auguro, pertanto, buona lettura.
V.T.
“¡Uníos, hermanos proletarios!”
L’esperienza di lotta dei minatori delle Asturie: dalla Comune dell’ottobre 1934 una lezione sul fronte unico
Valerio Torre
«Dell’Ottobre asturiano tutti parlano benissimo come episodio eroico,
ma ci sono elogi che suonano come esequie.
Si tratta invece di conservare ben viva la rivoluzione d’ottobre»
(Javier Bueno, direttore negli anni 30
del giornale socialista nelle Asturie, Avance)
«Dalla Comune di Parigi non si era visto nulla di così splendido
come il movimento rivoluzionario delle Asturie»
(Romain Rolland)
«Dietro le sbarre di questa cella
gridiamo tutti con emozione:
Viva i Soviet! Morte al fascismo!
E venga un’altra rivoluzione»
(Inno rivoluzionario scritto nel carcere di Oviedo
nel novembre 1934 da un operaio catturato dopo la resa)
Lo storico, nonché militante della Izquierda Comunista de España (Ice)[1], Narcis Molins i Fábrega, racconta un piccolo, ma significativo episodio a margine delle gloriose giornate dell’ottobre del 1934 che con l’insurrezione portarono all’instaurazione della Comune delle Asturie:
«Il padre di un bravo ragazzo che lottò a Oviedo e Campomanes diede a suo figlio la stessa arma che nel 1917[2] gli servì per combattere contro le truppe che avevano invaso le Asturie a cannonate, e, con quest’arma, il figlio lottò finché l’insurrezione non fu vinta. L’arma torna a stare nello stesso posto in cui il padre, quando non poté usarla …, l’aveva tenuta nascosta in attesa della rivoluzione che doveva condurre il proletariato alla vittoria. Nel nascondiglio dove è rimasta tanto tempo – dicono ora padre e figlio – dovrà attendere ancora. Molto? Non lo sappiamo, “però se mio figlio non potrà usarla ancora, mio nipote, che in questi giorni di insurrezione ha appreso molto, saprà come funziona e contro chi puntarla”»[3].
Erano passati quasi ottant’anni dagli avvenimenti che ci accingiamo a raccontare, quando, nel 2012, sono stati ancora una volta i minatori delle Asturie – paralizzando strade e autostrade e scontrandosi con la polizia a colpi di rudimentali lanciarazzi fino a realizzare la straordinaria Marcha negra partita dalla regione asturiana e giunta nel centro di Madrid[4] – a fare irruzione sulla scena della lotta di classe nella Spagna e nell’Europa massacrate dalle misure antioperaie e antipopolari che i governi del capitale hanno adottato e continuano ad applicare per far fronte alla più grave crisi economica da quella del 1929, cercando di imporre ai lavoratori tutti un arretramento storico.
E ci piace pensare che il minatore José Luis intervistato nel giugno 2012 dal quotidiano El País[5] sia, se non il nipote, quantomeno il pronipote di quel vecchio operaio di cui ci racconta Molins i Fábrega: «“Siamo stanchi di essere trattati come delinquenti. Siamo lavoratori che lottano contro un sopruso: cercano di cancellare il nostro modo di vivere” […] Dice che le barricate sono l’unica forma di lotta che conosce: “Mio nonno lottò nel 34, mio padre nel 62 e oggi tocca a me”. Sul bavero della giacchetta porta una spilla con l’immagine di Lenin e la falce e martello. I compagni lo prendono in giro: “Tu vuoi solo abbattere il re e instaurare il comunismo”. E lui, serio, risponde: “Naturalmente!”».
Dunque, attraverso la continuità storica, emerge una tradizione di lotta che i minatori – e, più in generale, il popolo delle Asturie – hanno sperimentato e sviluppato in quasi un secolo di scontro frontale con il capitalismo. Sicuramente, però, le mobilitazioni del 2012 hanno evocato alla memoria la grandiosa insurrezione dell’ottobre del 1934, quando i lavoratori asturiani, ergendo il proprio potere, instaurarono una vera e propria Comune proletaria che, sia pure per due sole settimane, si contrappose al potere statale e scrisse una delle pagine più belle, quantunque drammatiche, della storia del movimento operaio.
Fine della monarchia. Nascita della repubblica
La vicenda di cui stiamo per parlare è inscritta in un più generale processo rivoluzionario che, nel mese di ottobre del 1934, attraversò pressoché interamente la Spagna. Si trattò, però, nel suo insieme – e con la sola eccezione di quella nelle Asturie – più di una rivoluzione abortita che sconfitta. Solo nella regione asturiana i lavoratori portarono avanti il progetto insurrezionale che da qualche tempo era maturato nelle loro coscienze, con una precipitazione a partire dalla fine del 1933. Le Asturie, insomma, iniziarono e svilupparono fino alle estreme (seppure non consolidate) conseguenze quella rivoluzione che però non poteva essere vinta nell’isolamento, senza l’appoggio e l’azione comune dei lavoratori di tutto il resto del Paese: solo in quella regione la parola d’ordine «¡Uníos, hermanos proletarios!»[6], che dà anche il titolo a questo scritto, si concretò nella realtà, trovando applicazione nella lotta per il potere.
Invero, è tutta la storia dello Stato spagnolo degli anni 30 ad essere la cronaca della rivoluzione proletaria da un lato e della controrivoluzione borghese dall’altro: tutti gli avvenimenti che si sono succeduti in quel periodo, fino a precipitare nella guerra civile, non hanno fatto altro che evidenziare l’irreconciliabilità degli interessi dei capitalisti, dei latifondisti, della casta militare e di quella ecclesiastica, con quelli di milioni di proletari e contadini. E tutti i regimi politici che si sono succeduti nel tempo, dalla dittatura nel periodo monarchico al parlamentarismo in quello repubblicano, ne sono stati inevitabilmente condizionati: le forme di governo scelte di volta in volta dalle classi dominanti cambiavano solo in funzione dei rapporti di forza nella società. Ma, pur tollerando forme democratiche quando non potevano ricorrere ai metodi dei colpi di stato militari, della guerra civile e, successivamente, del fascismo, mai esse hanno rinunciato ai loro privilegi e alle loro proprietà sulla terra, le fabbriche, le banche: cioè, in essenza, al dominio capitalistico sui lavoratori e sui contadini e braccianti agricoli.
Nel gennaio del 1930, era crollata la dittatura del generale Miguel Primo de Rivera[7]. La screditata monarchia del re Alfonso XIII, confidando nella vittoria dei propri candidati, aveva deciso di convocare per il 12 aprile del 1931 elezioni municipali allo scopo di valutare il grado di consenso popolare prima di indire le elezioni politiche. Nella sorpresa generale, la stragrande maggioranza dell’elettorato diede il proprio consenso ai partiti sostenitori della repubblica. Il risultato fu letto come un plebiscito per la sua costituzione immediata e contro la monarchia: il re partì volontariamente per l’esilio mentre si formava un governo provvisorio di coalizione repubblicano‑socialista. L’esito elettorale venne poi confermato nelle successive elezioni per le Cortes costituenti (28 giugno 1931), che videro il successo delle forze di sinistra (repubblicani di sinistra e socialisti).
Tuttavia, già la stessa composizione del governo provvisorio era rivelatrice sia delle intenzioni che dei limiti dei fondatori della repubblica[8]. Non solo i repubblicani Alcalá Zamora e Miguel Maura erano veri e propri vecchi arnesi del passato regime monarchico (ferventi cattolici, dichiarati conservatori e decisi centralisti, li definisce Pierre Broué), ma gli stessi ministri socialisti del Psoe[9] avevano un’equivoca collocazione sociale: Indalecio Prieto, ministro delle finanze, era un uomo d’affari di Bilbao; Largo Caballero, segretario della Ugt[10] e al quale era stato affidato l’incarico di ministro del lavoro, era un vecchio consigliere di Stato sotto la dittatura di Primo de Rivera[11].
I limiti del nuovo governo, però, non stavano solo in questo. Le aspettative che il regime repubblicano destava nelle masse operaie e contadine erano enormi: l’impazienza dei lavoratori, desiderosi di vedere finalmente cambiate le proprie condizioni di vita che secoli di oscurantismo di un impero decadente avevano ridotto al lumicino, si scontrava con l’estrema prudenza delle misure governative in campo economico‑sociale e con la forte resistenza dei settori conservatori delle gerarchie ecclesiastiche e della borghesia più reazionaria. Da poco insediato, il governo repubblicano si trovò a dover fronteggiare scioperi e occupazioni delle terre mentre la Chiesa e i circoli monarchici si lanciavano in vere e proprie provocazioni contro il nuovo ordinamento istituzionale scatenando la reazione delle masse popolari, che sfociava in tumulti con incendi e saccheggi delle sedi monarchiche, di chiese e conventi[12].
Intanto, mentre si moltiplicavano le mobilitazioni dei lavoratori nelle città e nelle campagne, il governo rispondeva con l’uso della forza. L’odiata Guardia civil interveniva brutalmente facendo morti, feriti e arresti. L’energia rivoluzionaria espressa dalle masse si scontrava insomma con la politica di collaborazione di classe dei socialisti al governo, una politica di mutamenti superficiali nel quadro di una repubblica moderata e stabile in cui il Psoe assumeva il ruolo di freno dei conflitti operai, quando non addirittura di agente del governo e alleato delle forze repressive. Emblematico fu il caso dello sciopero indetto dalla Cnt[13] contro la Compañía Telefónica Nacional, che rappresentava la penetrazione in terra spagnola del capitale imperialista americano e, prima della proclamazione della repubblica, era stata al centro dei comizi dei socialisti che ne avevano promesso la nazionalizzazione per quando fossero saliti al potere. Si trattò di una promessa che restò tale. Il Psoe e i suoi alleati non avevano alcuna intenzione di allarmare i capitalisti stranieri: sicché, di fronte alle rivendicazioni dei lavoratori (aumenti salariali, migliori condizioni di lavoro, contratto collettivo), mobilitarono le forze repressive, ricorrendo perfino all’arma della calunnia[14]. Per tutta risposta, la Cnt proclamò lo sciopero generale a cui il governo replicò con la proclamazione dello stato d’assedio. A Siviglia ci volle una settimana per ristabilire l’ordine, con un bilancio di trenta morti e più di duecento feriti.
In realtà, paradossalmente, la coalizione repubblicano‑socialista governò con leggi monarchiche sui lavoratori che avevano invece costruito la repubblica[15], approvando cioè norme che disattendevano e addirittura sospendevano le libertà formalmente garantite dalla Costituzione. In particolare, la legge sull’ordine pubblico proibiva la proclamazione degli scioperi, vietava la diffusione di notizie atte a turbare l’ordine pubblico, sanzionava la denigrazione delle istituzioni. La legge sulle riunioni, figlia del ministro socialista Largo Caballero, conferiva alla polizia l’illimitato potere di sciogliere assemblee arrestandone i partecipanti e imponeva alle organizzazioni operaie di consegnare alla polizia i registri degli attivisti specificandone gli incarichi e il domicilio! La legge sui vagabondi e i malviventi venne, a dispetto del suo nome, applicata soprattutto al movimento operaio: i disoccupati e i rivoluzionari di professione potevano essere arrestati senza alcun mandato poiché, non avendo un’occupazione nota, erano considerati “vagabondi”; mentre la qualifica di “malvivente” era discrezionalmente affibbiata ai militanti operai, che venivano così dapprima condannati ai lavori forzati per essere poi sottoposti a misure di sorveglianza.
Il panorama delle organizzazioni del movimento operaio a sinistra del Psoe
E dunque, l’energia rivoluzionaria delle masse liberata dalla caduta della dittatura e della monarchia rimase invischiata e fu frenata dalla politica borghese del partito socialista. Né trovò un’alternativa nell’anarchismo: una corrente pur molto radicata e combattiva nella Spagna di quegli anni e che era strutturata nella centrale anarcosindacalista Cnt, l’unica organizzazione di massa fino all’avvento della repubblica a praticare la lotta di classe. Tuttavia, priva com’era (in omaggio ai principi dell’anarchismo) di un progetto politico che ponesse la questione del potere, la Cnt oscillava fra l’opportunismo[16] e il settarismo: pur battendosi con coraggio contro il governo, non aveva una bussola politica, un programma di rivendicazioni transitorie e un piano di coordinamento delle lotte, sviluppando una forte tendenza all’avventurismo che sfociava in deviazioni blanquiste[17]. Perciò, quantunque raggruppasse indiscutibilmente i migliori e più combattivi elementi del proletariato spagnolo, la Cnt non era capace di offrire loro né un metodo, né un programma rivoluzionario, aprendo così la strada a talune crisi interne e agevolando col proprio avventurismo la repressione governativa.
D’altro canto, il piccolo Partido Comunista de España (Pce), legato mani e piedi allo stalinismo sovietico e all’Internazionale comunista degenerata, ne seguiva alla lettera gli ordini applicando meccanicamente in Spagna le analisi e le parole d’ordine elaborate nel quadro della politica del c.d. “terzo periodo”[18]. Si trattava, quindi, di un’organizzazione imbevuta di settarismo e rifiuto dell’unità operaia: l’etichettatura del Psoe come un partito “socialfascista” e degli anarchici come “anarcofascisti”, l’ottuso appello a lottare contro la “repubblica borghese” rivendicando invece che “tutto il potere” fosse devoluto a inesistenti – e persino lessicalmente sconosciuti ai più – “soviet”, tutto questo isolava il Pce alienandogli le simpatie delle masse popolari.
Ma alcuni settori comunisti si opponevano a questa politica settaria arrivando fino alla rottura: la Federación Comunista Catalano‑Balear uscì dal partito e, dopo la fusione con il piccolo Partit Comunista Catalá, diede vita al Boc (Bloque Obrero y Campesino) che in realtà fu un’organizzazione intrisa di nazionalismo sconfinante nel separatismo[19], con un programma confuso che proponeva, invece della parola d’ordine della rottura con le organizzazioni borghesi, una piattaforma per una «convenzione nazionale diretta dagli elementi avanzati della piccola borghesia»[20]: l’obiettivo era quello di una rivoluzione democratica e popolare, senza definirne la natura di classe. Per il Boc la repubblica era una conquista non della sola borghesia, ma anche della classe operaia; e una tale analisi non faceva che alimentare la confusione sul ruolo del proletariato in una repubblica democratico‑borghese incoraggiandolo a collaborare con la borghesia. Non a caso, insomma, Trotsky consigliava ai compagni spagnoli di rompere con quest’organizzazione[21].
Infine, a completare il panorama delle organizzazioni del movimento operaio, stava la Izquierda Comunista de España (Ice), fondata ancor prima dell’uscita di scena di Primo de Rivera, da militanti comunisti della prima ora come Andrés Nin, Juan Andrade, Esteban Bilbao, tra gli altri, e legata internazionalmente all’Opposizione di Sinistra di Trotsky. La Ice «comprese ed espose chiaramente il carattere socialista della rivoluzione e delineò la giusta tattica per la conquista del potere da parte del proletariato: unità sindacale e fronte unico operaio di combattimento; programma (…) di rivendicazioni parziali, che allacciassero i problemi di ieri a quelli di oggi e a quelli di domani; costituzione di comitati di fabbrica, di cantiere, di officina, ecc., punto di partenza per la costruzione degli organi di potere rivoluzionario»[22]. Nonostante una certa qual rapida crescita – indubbiamente dovuta ad un programma corretto, affiancato dalla costante critica dei cedimenti riformisti e degli errori delle principali organizzazioni – l’Ice ebbe tuttavia in questo periodo un’influenza e una capacità d’azione limitate, cui lo stesso Trotsky pensò, dopo le vicende dell’ottobre del 1934 che stiamo per affrontare, di porre rimedio suggerendo ai suoi seguaci spagnoli la tattica dell’entrismo nel Psoe e nella sua organizzazione giovanile[23].
La fine del governo repubblicano‑socialista. La minaccia fascista
Abbiamo visto come la politica dei socialisti al governo in coalizione con i repubblicani non venisse affatto incontro alle aspirazioni delle masse dei lavoratori e dei contadini. Tutto ciò non poteva, ovviamente, restare senza conseguenze. Il 19 novembre 1933 si tennero per la seconda volta le elezioni politiche. Le grandi speranze di cambiamento delle classi subalterne (ma anche di settori della piccola borghesia) erano rimaste tali e il disincanto si trasformò in astensione dal voto (32,54%) che rese possibile il trionfo elettorale della destra: «… era la repubblica del disincanto per migliaia di spagnoli. Disincanto per i contadini, che non avevano visto nei primi due anni della repubblica liberale neanche l’ombra della riforma agraria … per i lavoratori, che si scontravano con le forze “dell’ordine” negli stessi termini di sempre … per le classi medie, deluse dalla loro repubblica e un po’ spaventate dalla minaccia operaia … per i socialisti, che avevano investito nella repubblica migliaia di ore e compromessi … per i lavoratori anarcosindacalisti che in due anni avevano scatenato tre insurrezioni alla ricerca del sognato comunismo libertario. Disincanto, infine, per i partiti repubblicani liberali, che erano rimasti senza repubblica, sequestrata dai partiti di destra»[24].
Tuttavia, la disillusione delle masse non significava certo che esse, ridimensionate nelle urne, fossero sparite socialmente; né che non avessero chiara la percezione del pericolo che si stagliava sullo sfondo della realtà spagnola. Gli anni 20 e l’inizio del decennio successivo mostravano in Europa l’ascesa di un fenomeno nuovo – il fascismo – che non rappresentava solo il trionfo della reazione, quanto invece un progetto scientifico con cui la borghesia intendeva distruggere violentemente e fisicamente il proletariato e le sue organizzazioni. I lavoratori spagnoli avevano bene in mente cosa avesse significato l’ascesa al potere di Hitler in Germania e l’affermarsi del nazismo senza che il pur potente movimento operaio tedesco avesse opposto la benché minima resistenza[25].
Ma nei loro occhi erano soprattutto vive le scene di quanto andava coevamente accadendo in Austria, dove il cancelliere Engelbert Dolfuss – filofascista, nonché amico personale di Mussolini, alla cui politica apertamente si ispirava – sciolse nel marzo 1933 il parlamento assumendo poteri dittatoriali. La classe operaia austriaca, però, non aveva intenzione di capitolare senza combattere e iniziò, anche contro le proprie timide direzioni burocratiche[26], una resistenza armata che sfociò in quattro giorni di guerra civile nel febbraio del 1934. Fu necessario bombardare i quartieri dove erano asserragliati gli insorti perché Dolfuss riprendesse il controllo delle principali città d’Austria. Alla fine, l’eroismo dei lavoratori dovette soccombere e il bilancio fu pesante: più di trecento morti, migliaia di feriti, i leader dell’insurrezione passati per le armi o inviati in campi di concentramento, le organizzazioni del movimento operaio sciolte per decreto.
La tragedia vissuta dal proletariato tedesco e da quello austriaco colpì profondamente i lavoratori spagnoli[27]. Furono in particolare i fatti di Vienna ad avere un impatto notevole su di essi[28]. Infatti, la Ceda (Confederación Española de Derechas Autónomas), il partito di destra vincitore delle elezioni, si ispirava apertamente a Dolfuss e al suo partito cristiano‑sociale. Il suo leader, il gesuita José María Gil Robles, teneva accesi comizi in cui esponeva il proprio programma per conquistare il potere utilizzando e poi sottomettendo il parlamento[29]. Benché fosse stato il primo partito alle elezioni, la Ceda non pretese di entrare da subito nel governo, che fu infatti affidato al Partido Radical di Alejandro Lerroux. Si trattò di una fine strategia: Gil Robles sapeva bene che l’immediato ingresso nel governo del suo partito in un quadro nazionale e internazionale così “effervescente” avrebbe scatenato una forte reazione popolare[30], sicché fornì appoggio esterno all’esecutivo lasciando allo stesso Lerroux il compito di iniziare e approfondire l’opera di smantellamento delle sia pur timide riforme del precedente esecutivo repubblicano‑socialista. D’altronde, la vittoria della destra non significava affatto per i suoi esponenti l’alternanza in un sistema bipolare e né semplicemente il ritorno al passato della restaurazione, bensì l’inizio di un attacco molto più profondo al movimento operaio, alle sue conquiste e alle sue organizzazioni nel quadro della creazione di uno Stato corporativo, fascista, sulla base di quanto accaduto in Italia, Germania e Austria.
Il solo annuncio della vittoria della Ceda provocò differenti reazioni nelle organizzazioni della classe lavoratrice: mentre gli anarchici della Cnt si gettavano in tentativi insurrezionali isolati e avventuristici che vennero rapidamente sconfitti, i socialisti lanciarono al governo l’avvertimento che l’entrata di ministri della Ceda avrebbe scatenato la rivoluzione; mentre il Boc e la Ice avanzavano la parola d’ordine del fronte unico, i comunisti mantennero una posizione rigidamente settaria. Ciò era espressione di una profonda divisione politica del movimento operaio che il nuovo governo seppe cogliere per sconfiggere le mobilitazioni che sorsero. Tuttavia, prima di analizzare gli eventi è importante soffermarsi sulla “svolta a sinistra” dei socialisti.
Largo Caballero, riformista della prima ora, colse al volo l’opportunità di riciclarsi come rivoluzionario. A partire da alcuni suoi infuocati discorsi, in cui prendeva atto del fallimento della democrazia borghese rivendicando la dittatura del proletariato, le masse popolari spagnole subirono come una frustata che le portò a radicalizzarsi in brevissimo tempo. Come efficacemente scrive Munis[31], «una direzione riformista spaventata assume facilmente un linguaggio pseudorivoluzionario al solo scopo di riconquistare le posizioni perdute e tornare a collaborare con la borghesia; ma ciò che per i dirigenti era solo una cinica manovra fu preso sul serio dalle masse». Insomma, pochi comizi[32] e qualche acceso editoriale fecero emergere dal profondo delle coscienze in cui era sopito il principio della rivoluzione socialista. E così l’obiettivo della conquista del potere divenne l’unico orizzonte della classe.
Infine, la Ceda ruppe gli indugi e reclamò il proprio ingresso a pieno titolo nel governo. Questo evento si sarebbe prodotto il 4 ottobre del 1934.
Nasce l’Alianza Obrera. La differenza dell’Alianza asturiana
Intanto, dieci mesi prima, nel dicembre del 1933, su iniziativa del Boc e dell’Ice sorgeva a Barcellona un organismo di fronte unico antifascista di carattere difensivo che venne chiamato Alianza Obrera de Catalunya, in cui confluirono anche la Ugt, il Psoe, i sindacati di opposizione espulsi dalla Cnt e la Unió de Rabassaires (i vignaioli). È importante segnalare che sia gli anarchici che gli stalinisti non parteciparono alla sua conformazione. Anzi, questi ultimi allertarono la classe lavoratrice a diffidare da quello che veniva definito un “organismo controrivoluzionario”[33]. Ma va al contempo evidenziato che pure i socialisti erano tutt’altro che entusiasti della convergenza con altre organizzazioni: basti pensare che il loro organo di informazione sindacale, Boletín de la Ugt de España, quantomeno fino al mese di settembre del 1933 avvertiva i propri attivisti di non assecondare «i capricci di coloro che vogliono seminare equivoci e confusioni nelle nostre file per attrarle in conglomerati che provocherebbero danni all’organizzazione». Il Psoe, insomma, accettò, malvolentieri, di formare la Alianza, e fu indotto a tanto soprattutto laddove non era l’organizzazione dominante, come in Catalogna; così come il sindacato anarchico Cnt si risolse a farlo dov’era minoranza, come nelle Asturie. In questa regione, in particolare, nessuna delle due forze era egemonica: il che spiega perché lì non vi furono specifiche resistenze a confluire nel nuovo organismo.
La Alianza non pretendeva di essere un’organizzazione unica della classe, dato che i partiti e sindacati che vi partecipavano mantenevano il proprio programma e la propria bandiera[34]. Ma, pur adottando un iniziale profilo difensivo[35] (fronte unico antifascista), divenne poi, nell’esperienza asturiana che tra poco esamineremo, anche un vero e proprio fronte comune di lotta sul modello di quel fronte unico teorizzato dalla Terza Internazionale sotto la direzione di Lenin e Trotsky: un fronte che intendeva rappresentare la classe lavoratrice disposta a lottare dando battaglia alla borghesia in piena indipendenza per conquistare il potere e realizzare la rivoluzione sociale[36]. E l’esperienza delle Alianzas Obreras rappresentò anche un grande stimolo per l’azione e un importante passo per la creazione di organismi di potere operaio[37].
L’idea, peraltro, era di avere Alianzas in tutto lo Stato spagnolo. E infatti ne sorsero in tutta la regione catalana, a Valencia, Alcoy, Elda, Puerto de Sagunto nel febbraio del 1934; nelle Asturie, a Santander e Murcia in marzo; ad Alicante, Madrid, Navarra, Pontevedra, Siviglia e Zamora in maggio; a Castellón e Toledo in luglio; a Badajoz, Elche e Granada in agosto; a Almería e Jaén in settembre. Ma il tentativo di estenderle organicamente in tutto il Paese fallì per le ragioni che di qui a poco analizzeremo.
La nascita di questi organismi fece sì che l’idea del fronte unico diventasse sempre più patrimonio comune e riscuotesse crescenti simpatie anche tra gli aderenti alle organizzazioni – Pce e Cnt – che non vi partecipavano[38]. In questo senso, da un lato le Alianzas svolgevano un ruolo importante, elevando a un grado superiore la coscienza del proletariato e favorendo l’unità d’azione: per questo gli operai e i contadini le consideravano le loro organizzazioni rappresentative e ne auspicavano la generalizzazione, volevano che si ponessero alla testa delle lotte e che prendessero il potere. Ma, dall’altro, le direzioni dei socialisti e dell’Ugt non erano affatto di quest’avviso. Utilizzando la retorica rivoluzionaria, Caballero e i suoi riuscirono a imporre che le Alianzas non prendessero parte al movimento degli scioperi perché – questa era la giustificazione – dovevano restare puri organismi insurrezionali e non potevano … indebolirsi nella pratica delle lotte quotidiane[39]. E impedirono anche che si coordinassero nazionalmente. Insomma, il trasferimento nelle Alianzas del peso politico che il Psoe e l’Ugt avevano nel Paese fece sì che esse vennero considerate al più una cinghia di trasmissione della loro decisione di lanciare l’insurrezione al momento stabilito[40].
Nella regione delle Asturie, però, le cose andarono diversamente. La Cnt asturiana, contrapponendosi alla sua direzione nazionale e disattendendone la decisione contraria, firmò il patto con i socialisti[41] per la formazione dell’Alianza Obrera Revolucionaria de Asturias di cui fecero parte anche il Boc e la Ice; mentre, in ossequio alla criminale politica del “terzo periodo”, il Pce stalinista rifiutò espressamente di parteciparvi definendola un organismo della controrivoluzione[42], salvo entrarvi poi all’ultimo minuto, proprio pochi giorni prima dell’insurrezione[43].
Occorre inoltre soffermarsi su un aspetto che distinse l’Alianza asturiana dalle altre e che rese possibile in quella regione e non in altre l’esplosione insurrezionale e la nascita della Comune: i socialisti con il loro sindacato Ugt da un lato e gli anarchici della Cnt dall’altro deposero vicendevolmente le armi della violenta polemica reciproca sottoscrivendo un accordo che era un autentico programma per la rivoluzione sociale e la presa del potere e che presupponeva un piano d’azione militare. Un’intesa, insomma, fondata sull’indipendenza di classe e sulla democrazia operaia e che rappresentava, per usare le stesse frasi scritte dai firmatari, «un accordo tra organizzazioni della classe operaia per coordinare la loro azione contro il regime borghese e abolirlo».
Ma perché solo nelle Asturie fu possibile questo patto? Molte e combinate tra loro sono le ragioni.
Benché la direzione regionale socialista condividesse in linea di principio l’orientamento nazionale del partito per cui la Alianza non doveva “indebolirsi” partecipando agli scioperi, la grande conflittualità nella regione (solo tra febbraio e ottobre del 1934 si registrarono ben sei scioperi generali) non lasciò indifferente l’organismo unitario: l’unità d’azione fra lavoratori di diverse e contrapposte organizzazioni (Ugt e Cnt, nessuna delle due preponderante rispetto all’altra: circostanza – questa – che favorì in entrambe la percezione della necessità di collaborare) contribuì alla loro fraternizzazione.
La grande concentrazione nella regione di decine di migliaia di lavoratori metalmeccanici e minatori con un impressionante tasso di sindacalizzazione (68,1%, corrispondente a circa 75.000 affiliati nell’estate del 1934), la maggioranza dei quali di età inferiore ai 35 anni, facilitò la disciplina, l’organizzazione e l’impeto giovanile nella risposta alla repressione governativa e alle provocazioni delle organizzazioni reazionarie.
Con la radicalizzazione politica si ampliò l’organizzazione di milizie armate. Con un paziente lavoro iniziato sul finire del 1933 venne creato un vero e proprio “Esercito rosso” e lo si equipaggiò grazie a un’operazione che coinvolse un migliaio di uomini: si rubavano armi dalle fabbriche presenti nelle Asturie, candelotti di dinamite dalle miniere, venivano comprate pistole da altre regioni e importate clandestinamente grazie alla rete creata dal sindacato dei trasporti legato all’Ugt[44]; l’istruzione militare ai gruppi armati era affidata a ex sergenti e coperta da circoli culturali e di escursionismo o dissimulata da false scampagnate. Le armi acquisite venivano occultate in nascondigli ricavati in miniere chiuse, cimiteri, sale di musica. L’esistenza di quest’enorme infrastruttura organizzativa avrebbe poi fatto sì che il giorno dell’insurrezione, a un solo ordine, in trenta diversi punti della regione partisse l’attacco alle caserme, col blocco delle strade, la creazione di una rete di comunicazione e la distribuzione dell’armamento[45].
La grande diffusione della letteratura marxista e il ruolo che svolse il giornale socialista Avance[46] nella crescita della coscienza di classe contribuirono all’unificazione delle aspirazioni di radicale cambiamento che esistevano fra le masse operaie asturiane: il quotidiano si convertì nell’intrepido portavoce della rivoluzione sociale e dell’unità d’azione, creando un vincolo identitario con i suoi lettori.
Insomma, per questo complesso di ragioni la classe lavoratrice delle Asturie rappresentò l’avanguardia e la maturità del proletariato spagnolo.
Scoppia l’insurrezione. I tre fuochi: Madrid, Barcellona, Asturie. L’Ottobre asturiano e la proclamazione della Comune: un embrione di società socialista
Come abbiamo accennato[47], i socialisti avevano minacciato il governo che l’ingresso di ministri della Ceda avrebbe scatenato la rivoluzione. Questo fu un grosso errore: lasciare, cioè, l’esplosione insurrezionale (e, quindi, l’iniziativa) nelle mani del nemico di classe e non prepararla adeguatamente e su tutto il territorio nazionale[48], sia da un punto di vista politico che militare.
Benché, come abbiamo ripetutamente segnalato, le Alianzas non si fossero estese in tutto il Paese e, pur sorgendo in diverse località, non si fossero coordinate (per precisa volontà dei socialisti) come un’unica struttura, l’incarico di organizzare l’insurrezione venne affidato a un Comitato rivoluzionario nazionale presieduto da Largo Caballero. L’incarico per la logistica militare e i contatti con i repubblicani fu affidato a Indalecio Prieto. Insomma, il compito di preparare la rivoluzione era nelle mani dei due ex ministri del vecchio governo borghese repubblicano‑socialista!
Il 4 ottobre 1934 si verificò ciò che i socialisti si ripromettevano di scongiurare con le minacce insurrezionali all’indirizzo dell’esecutivo: l’ingresso di tre ministri della Ceda con l’esplicitata intenzione di forzare la fascistizzazione della repubblica.
Il giorno successivo, il Comitato rivoluzionario diede l’ordine dello sciopero generale: il blocco era pressoché totale a Madrid, Barcellona, Valencia, Oviedo e Bilbao, fra le altre. Il problema, però, era che la classe lavoratrice non sapeva se si stesse lanciando in uno sciopero generale o in un’insurrezione, se la mobilitazione dovesse servire per cacciare i tre ministri della Ceda dal governo oppure per prendere il potere. Lo stesso Comitato aveva lasciato tutto all’improvvisazione, né aveva minimamente tentato di coinvolgere l’altra grande potenza della Cnt. Insomma, le cose si svolgevano senza un programma.
Almeno apparentemente: perché come gli eventi del successivo 1936 (che non costituiscono però oggetto di questo testo) si sarebbero incaricati di dimostrare, i socialisti un programma lo avevano, ed era quello di non colpire il sistema capitalista, né l’economia di mercato e il sistema democratico parlamentare[49].
In ogni caso, si svilupparono sostanzialmente tre fuochi insurrezionali di diversa intensità[50]. A Madrid, dove l’Alianza era dominata dai socialisti e la Cnt si era rifiutata di entrarvi, il Psoe e la Ugt convocarono uno “sciopero generale pacifico” con l’intenzione, neanche tanto velata, di fare pressioni sul presidente della repubblica, Alcalá Zamora, perché tornasse sui suoi passi circa la nomina dei tre ministri della Ceda. Le masse popolari, invece, chiedevano le armi che erano state promesse e che non ottennero. Otto giorni – e con tensione sempre più decrescente – durò quello sciopero, finché i socialisti, i quali avevano messo da parte l’Alianza Obrera che addirittura non si riunì neanche una volta durante lo sciopero, ordinarono il rientro al lavoro. Salvo qualche scaramuccia dimostrativa provocata da franchi tiratori della Gioventù socialista e anarchici, non vi fu scontro a fuoco generalizzato, né un vero e proprio tentativo insurrezionale. Addirittura, Largo Caballero venne arrestato dalla polizia mentre dormiva placidamente a casa sua[51]; e mesi dopo, nel processo a suo carico, tentò di scrollarsi di dosso ogni responsabilità nel tentativo insurrezionale[52].
A Barcellona (regione della Catalogna), l’Alianza era sostanzialmente animata dal Boc e dalla Ice, mentre il peso dei socialisti era molto minore che non a Madrid. Anche in questo caso, gli anarchici della Cnt ne restarono fuori, ma con l’aggravante di un atteggiamento settario che li portò di fatto a boicottare lo sciopero[53] convocato il 5 ottobre dall’Alianza Obrera (e che intanto andava estendendosi, raggiungendo, sia pure per poco tempo, proporzioni insurrezionali), così di fatto dislocandosi nel campo politico del governo centrale. Tuttavia, benché abbia svolto un ruolo molto più attivo rispetto a quella di Madrid, l’Alianza catalana, in considerazione del peso che in essa aveva il Boc[54], si caratterizzò come ala sinistra della Generalitat[55], come strumento di pressione “da sinistra”, e si ritagliò il ruolo di «coadiuvarla senza ambizioni di sopravanzarla né di avvantaggiarsene appena possibile»[56], anteponendo così gli interessi del governo borghese catalano a quelli del movimento rivoluzionario, che riteneva incapace di un’azione operaia indipendente.
Dal canto suo, anche l’Ice mostrava alcuni limiti nel compito di direzione delle masse e di elaborazione di linea, se è vero che la rivendicazione avanzata dal Boc, di instaurazione della repubblica catalana, trovò contrario persino Andrés Nin, che la giudicava “nazionalista”. In proposito, Trotsky criticò la passività dell’Ice all’interno dell’Alianza e la incoraggiò ad avanzare rivendicazioni più offensive, compresa quelle della «proclamazione di una repubblica catalana indipendente» e «dell’armamento immediato di tutto il popolo per difenderla»[57].
Il giorno successivo – siamo al 6 ottobre – il movimento rivoluzionario, spontaneamente, cioè senza attendere direttive (che infatti non vennero) né dall’Alianza, né dalla Generalitat (che permaneva nel suo stato di immobilismo), si impadronì delle strade e delle piazze, ergendo barricate, ma senza un piano preordinato e, soprattutto, senza aver ottenuto le armi che aveva inutilmente chiesto[58]. E così, il presidente del governo regionale, Lluís Companys, sotto la crescente pressione popolare si vide costretto a proclamare malvolentieri[59] «l’indipendenza dello Stato catalano nel quadro della repubblica federale spagnola», realizzando sì una “insurrezione simbolica”, ma oggettivamente ponendosi in posizione di scontro con Madrid.
E fu proprio in considerazione della sua appartenenza di classe alla borghesia catalana che Companys, temendo le conseguenze di un armamento generalizzato del proletariato, non diede le armi ai lavoratori che le chiedevano ma si rivolse invece al generale Doménec Batet, chiedendogli di porsi ai suoi ordini.
Per tutta risposta, questi si consultò con il capo del governo centrale, Alejandro Lerroux, che gli ordinò di dichiarare lo stato di guerra. E mentre le truppe di Batet iniziavano ad occupare le strade e le piazze, Companys si astenne dal mobilitare la polizia autonoma della Generalitat per difendere il nuovo Stato catalano. La difesa del processo rivoluzionario restò così nelle mani di poche decine di militanti dell’Alianza, i quali si scontrarono con l’esercito venendo sopraffatti in qualche ora, e durante la notte le truppe assaltarono il palazzo della Generalitat a colpi di mortaio. Il 7 ottobre Companys si arrese ai militari e venne arrestato. Era evidente la frattura fra la strategia nazionalista della borghesia catalana e, pur con i limiti di cui abbiamo detto, quella insurrezionale proletaria dell’Alianza. Quest’ultima però, non essendo riuscita a coinvolgere la Cnt vincendone le pulsioni settarie, si ridusse ad essere una variabile dipendente della Generalitat, subordinando gli interessi del proletariato catalano a quelli della locale borghesia.
In alcune città della Catalogna dove più forte era la concentrazione operaia, invece, gli operai andarono oltre, in alcuni casi assaltando le caserme della Guardia Civil e conquistando persino i palazzi delle istituzioni (come, ad esempio, a Sabadell, dove venne proclamata la repubblica catalana; o a Vilanova, dove addirittura venne proclamata la repubblica socialista). Ma con la fine della giornata la sollevazione era complessivamente terminata: l’8 ottobre la situazione era sotto controllo. L’Ottobre catalano terminava così nel più assoluto fallimento, tanto che il giornale El Debate poté permettersi di titolare: «L’esercito issa la bandiera della Spagna sulla Generalitat sollevata»[60].
Abbiamo già detto che nelle Asturie le cose andarono ben diversamente. Ma va subito precisato che il proposito dei socialisti nei confronti dell’Alianza era lo stesso che a livello nazionale: renderla un organismo di pressione e non già uno rappresentativo e deliberante, capace di esercitare il potere politico del proletariato. Ciò che, in qualche modo, riequilibrò la situazione fu, da una parte, il peso delle altre organizzazioni che la componevano e, dall’altra, la dirompente combattività dei minatori: anche il lungo lavoro di preparazione militare che abbiamo in precedenza descritto fu qualcosa che andò oltre le intenzioni dei dirigenti socialisti, e non già il frutto di un loro cosciente progetto rivoluzionario[61].
Infatti, alla notizia dell’ingresso dei ministri della Ceda nel governo, i socialisti diramarono l’ordine di sciopero attraverso l’Ugt. Ma il movimento che iniziò la notte fra il 4 e il 5 ottobre nel bacino minerario della regione assunse da subito un carattere insurrezionale, che trascendeva la convocazione di un semplice sciopero. I minatori, che disponevano di poche armi, assaltarono le caserme della Guardia Civil con la dinamite e si appropriarono dell’armamento. Il fenomeno dilagò nel giro di poche ore in tutta la regione abbattendo le fondamenta dello Stato borghese. Vennero assaltate e prese le fabbriche di cannoni di Trubia. Colonne armate proletarie si coordinarono per convergere da diversi punti su Oviedo, dove erano concentrate le truppe del governo e dove la battaglia infiammò per giorni fino alla presa del parlamento, del tribunale, dell’impresa Telefónica e della Banca di Spagna, dai cui forzieri venne prelevato tutto il denaro custodito.
Ma non tutto si ridusse a lotta armata. È importante sottolineare i risultati politici di quella battaglia: i rivoluzionari ripartirono le terre e riorganizzarono su basi diverse il proprio esercito proletario, la produzione, la giustizia, la sanità, i trasporti, i rifornimenti e gli approvvigionamenti, l’ordine pubblico e la propaganda; in altri termini, riordinarono la società sulla base della giustizia sociale[62].
La città di Mieres divenne la capitale della rivoluzione asturiana e lì venne proclamata la repubblica socialista: non come mera petizione di principio, ma realmente instaurando un nuovo ordine sociale, caratterizzato dal potere operaio. La vita delle persone venne organizzata sulla base di comitati operai che avevano responsabilità per i diversi compiti che erano necessari. La moneta nazionale venne sostituita da buoni firmati dal Comitato rivoluzionario. La produzione non si fermò neanche per un solo istante: benché in gran parte riconvertita alle esigenze militari del momento (fabbricazione di armi, munizioni e blindatura di veicoli), vennero conservate le attività di estrazione nelle miniere, di produzione del pane e di alimentari. Il consumo venne organizzato su basi ben diverse da quanto accade in una società capitalista, con la distribuzione cioè di viveri e vestiario in misura uguale e senza distinzioni di classe fra tutti i cittadini, e la creazione di mense comunitarie. Venne altresì organizzato il servizio sanitario pubblico e universale, abolendo i servizi sanitari privati, mentre i farmaci furono requisiti per essere utilizzati nelle strutture assistenziali pubbliche. I beni di utilità generale vennero incamerati dalla repubblica. E tutte queste attività si svolgevano sotto reale controllo operaio, mentre le milizie operaie vigilavano affinché non si producessero forme di boicottaggio o accaparramento di merci. Inoltre, a riprova del superiore grado di democrazia di questo nuovo tipo di società, le donne vennero incorporate in tutti i compiti che la situazione richiedeva: non solo nei servizi o nell’approvvigionamento, ma a pieno titolo nelle mansioni di controllo e negli incarichi di tipo militare.
Le tendenze politiche raggruppate nell’Alianza combatterono alla pari in un’insurrezione per conquistare il potere politico, conservando ciascuna la propria idea di società ma agendo coscientemente in piena unità sulla base di un unico e condiviso programma rivoluzionario. Nei quindici giorni che durò l’Ottobre asturiano, sorsero comitati e milizie popolari, cioè l’embrione di uno Stato socialista, mentre la classe lavoratrice si diede il proprio governo: il Comitato rivoluzionario provinciale, composto da sei socialisti, tre anarcosindacalisti e un comunista del Boc in rappresentanza anche dell’Ice. La Comune asturiana si era trasformata in realtà.
Certo, questa magnifica esperienza di organizzazione fu ristretta nei limiti che la realtà della guerra civile imponeva – fretta, improvvisazione, pressione militare, dispersione, contraddizioni tra le diverse tendenze – sicché dalla miscela di questi limiti e del formidabile impulso rivoluzionario emerse più l’opera demolitrice del vecchio ordine che quella costruttiva di un compiuto ordine nuovo[63]. Nelle condizioni date, di più non poteva essere fatto, dal momento che – come abbiamo già visto – perché l’insurrezione potesse imporsi a livello nazionale, sarebbero occorsi un coordinamento e una centralizzazione della direzione del movimento rivoluzionario a livello statale, capaci di dirigere la battaglia contro il potere centrale borghese. Ciò non avvenne, sicché questa battaglia, confinata nella sola regione asturiana, fu perduta. È innegabile, tuttavia, che in quella regione della Spagna sorse una struttura di organizzazione e potere operaio, che conteneva in sé alcuni elementi di un nuovo progetto di società.
La sconfitta militare dell’insurrezione. Le atrocità della reazione
Benché le munizioni scarseggiassero, i 20.000 miliziani armati[64] sarebbero stati sufficienti a sconfiggere le truppe del governo di stanza nelle Asturie, che non superavano le 2.700 unità.
Ma il totale isolamento in cui si trovò la rivoluzione – dato che l’insurrezione non si sviluppò, come abbiamo appena visto, nel resto del Paese – rese possibile la sconfitta dei rivoluzionari, poiché il potere centrale scatenò una reazione violentissima, persino con bombardamenti aerei sui civili[65], concentrando nella regione le truppe necessarie a vincere le milizie operaie ormai quasi prive di proiettili e, soprattutto, verso la difensiva a causa del fallimento degli altri movimenti insurrezionali.
Il governo, non avendo fiducia nelle truppe di nazionalità spagnola[66], puntò soprattutto su quelle della legione straniera e dei mori: 40.000 militari bene armati, coperti dall’artiglieria e dall’aviazione, ma soprattutto privi di scrupoli, misero in atto un’inaudita repressione (a Gijón, ad esempio, le truppe africane passarono gli operai a fil di spada). Ma anche con questa sproporzione di uomini e mezzi, le forze governative dovettero scontrarsi – spesso ripiegando – con la valorosa resistenza degli operai e dei minatori che, con la dinamite e con congegni lanciabombe ingegnosamente costruiti per supplire alla mancanza di altre armi, riuscirono spesso a ritardare l’avanzata del nemico[67].
Gli scontri durarono fino al 19 ottobre, quando il Comitato rivoluzionario aprì i negoziati col generale López Ochoa, che comandava le truppe della reazione. I rivoluzionari offrirono la fine delle ostilità e la consegna delle armi in cambio dell’ordine di dislocare nella retroguardia i legionari e i mori. La condizione venne formalmente accettata, ma non fu poi facile farla digerire agli insorti, una parte dei quali intendeva proseguire nella battaglia fino all’ultima goccia di sangue ritenendo che deporre le armi sarebbe stato un tradimento della causa rivoluzionaria. Eppure, alla fine, passò la decisione della ritirata. Recitava il comunicato del Comitato rivoluzionario provinciale del 18 ottobre: «A tutti i lavoratori: […], riteniamo necessaria una tregua nella battaglia, deponendo le armi per evitare mali peggiori. Perciò, riuniti tutti i comitati rivoluzionari con quello provinciale, si è deciso il ritorno alla normalità, raccomandando a tutti voi che ritorniate ordinatamente, coscientemente e serenamente al lavoro. Questa nostra ritirata, compagni, la consideriamo onorevole, per quanto inevitabile. La disparità di mezzi per lottare, per quanto abbiamo dato mostra di ideali e coraggio sullo scenario di guerra […], ci ha indotti per morale rivoluzionaria a prendere questa estrema decisione. Si tratta di una pausa nel cammino, una parentesi, una sosta ristoratrice dopo tanto sforzo. Noi, compagni, vi ricordiamo una frase storica: “Il proletariato può essere battuto, ma mai vinto”».
D’altro canto, il generale López Ochoa aveva accettato le condizioni poste dagli insorti poiché temeva che la loro resistenza potesse ancora prolungarsi: i rivoluzionari, infatti, benché privi di munizioni, erano ancora in possesso di notevoli quantità di dinamite con cui avrebbero potuto tenere in scacco l’esercito regolare per almeno un paio di mesi ancora, con l’inevitabile aggravio di morti e feriti fra le truppe[68]. Tuttavia, il patto non venne rispettato. I soldati cominciarono ad invadere la cuenca minera[69], cioè il territorio storico della regione asturiana, e, di fatto, ai mori e ai mercenari venne lasciato campo libero: poterono così saccheggiare, razziare, stuprare, assassinare senza distinzione di sesso o di età.
Le atrocità furono inenarrabili: intere famiglie sterminate, compresi vecchi e bambini, esecuzioni di massa, torture ai prigionieri[70], mutilazioni[71]. Una repressione così barbara e selvaggia – in cui si distinse il comandante della guardia civil, Lisandro Doval Bravo – fu, in definitiva, la risposta di una borghesia terrorizzata dalla possibilità di perdere tutto a causa della rivoluzione sociale: «Dal contenuto degli interrogatori, dalle inchieste giornalistiche, dalle memorie dei politici conservatori, si deducono facilmente gli scopi oggettivi della repressione: a) localizzare le armi in possesso degli operai; b) catturare i dirigenti del movimento; c) recuperare il denaro del Banco de España. Ma, al di là di questi scopi …, c’è un fine ultimo, terribile, evidente, che traspare da tutto lo strumento organizzativo messo in piedi dal comandante Doval: seminare il terrore tra i lavoratori asturiani»[72]. E la misura di questa risposta della borghesia sta nei numeri: per quanto non sia possibile ricostruirli con precisione, si stima con una certa attendibilità che siano stati più di 3.000 i lavoratori uccisi, 7.000 i feriti, oltre 40.000 i detenuti, 15.000 i torturati, con tre mesi di stato di guerra nella regione e decine di migliaia di lavoratori licenziati per rappresaglia[73].
Le lezioni dell’ottobre ’34: la necessità di un fronte unico di lotta su basi e con un programma di classe
Dopo l’Ottobre asturiano, Andrés Nin[74] scrisse: «Salvo che nella gloriosa insurrezione delle Asturie, al proletariato spagnolo è mancata la coscienza della necessità della conquista del potere (…) Per questo era necessario un partito che, interpretando gli interessi legittimi della classe operaia, si sforzasse di creare preventivamente gli organismi del fronte unico, al fine di conquistare, attraverso le “Alianzas Obreras”, la maggioranza della popolazione (…) Senza partito rivoluzionario non vi può essere rivoluzione vittoriosa. Questa è l’unica e vera causa della sconfitta della rivoluzione d’ottobre». Una sconfitta che, in un altro testo[75], definisce, per paradossale che sembri, «un … esempio di sconfitta feconda (…) La classe operaia spagnola doveva prendere le armi. La lezione è stata utile. Non siamo abbattuti, né demoralizzati (…) Dalla sconfitta di oggi sorgerà la vittoria di domani».
Quel “domani” potrebbe non essere poi così lontano se il proletariato riuscirà a riprendere l’iniziativa organizzata per reagire ai violenti attacchi che i governi del capitale stanno portando ai lavoratori per cercare di invertire la dinamica della crisi stessa, senza tuttavia riuscirvi.
Le vicende che abbiamo descritto in queste pagine sono infatti la dimostrazione della necessità imperiosa, allora come oggi, oltre che di un’organizzazione rivoluzionaria, di un fronte unico della classe lavoratrice, basato su un programma di classe.
Ritorniamo da dove siamo partiti in quest’articolo: dopo 78 anni, sono stati di nuovo i minatori delle Asturie a riattualizzare la memoria storica della loro energia rivoluzionaria.
Tutto era partito dalla decisione del governo spagnolo di tagliare i sussidi alle miniere, misura che preludeva alla chiusura (ormai prossima, nonostante la resistenza operaia dal 2012 ad oggi[76]) dei giacimenti con la perdita di migliaia di posti di lavoro. La reazione dei minatori è stata immediata e, nonostante l’evidente volontà delle burocrazie sindacali (Ugt e Comisiones Obreras) di non portare avanti un’azione indipendente dei lavoratori ma di limitarsi invece a utilizzare la loro vertenza come arma di pressione e di negoziato verso il governo, si è trasformata in un esempio e un riferimento per tutti i lavoratori spagnoli che hanno accolto con enorme simpatia lo sciopero a tempo indeterminato, l’occupazione dei pozzi, i blocchi stradali, gli scontri armati con la polizia. Una simpatia che si è fatta evidente quando la Marcha negra – migliaia di minatori che hanno percorso a piedi in due settimane 500 km. dalle Asturie fino al centro di Madrid – è stata ricevuta il 10 luglio 2012 nella capitale da una manifestazione di 60.000 persone che intonavano slogan di appoggio alla loro lotta inneggiando all’unità della classe operaia[77]. Per la memoria storica della loro tradizione di lotta, i minatori asturiani sono considerati eroi della classe operaia: e questo spiega l’affetto e il calore con cui essi vennero accolti da una città che negli slogan si autodefiniva “Madrid obrero”.
Ma quel sentimento popolare di simpatia – che spesso, come in quell’occasione, si manifesta di fronte a lotte operaie – non è sufficiente. Quel che oggi manca di fronte all’avanzata del capitale è proprio ciò che la vicenda dell’ottobre del 1934 ci ha insegnato: un fronte unico di lotta contro la borghesia e tutti i suoi governi, non solo come necessità immediata di tutti i lavoratori per contrastare gli attacchi del padronato, ma anche come risposta alla volontà delle direzioni burocratiche di dividere il movimento operaio per poterlo meglio controllare continuando a portare in dote la pace sociale al tavolo negoziale con la borghesia. Ciò che infatti rappresenta una costante in tutti i Paesi d’Europa – ma il discorso vale analogamente per ogni altra parte del mondo – è la preoccupante dispersione delle lotte: nessun movimento e nessun conflitto, se isolati e non organizzati unitariamente e con indipendenza di classe, potranno mai ottenere una significativa vittoria. Pertanto, l’obiettivo del coordinamento di tutte le lotte intorno a una piattaforma unificante è una necessità cruciale che, sebbene sentita dalla base, è ostacolata dalle direzioni burocratiche grandi e piccole, sia a livello politico che sindacale.
Per realizzare quest’obiettivo occorre investire su quella parola d’ordine che fu la colonna vertebrale dell’Ottobre asturiano: «¡Uníos, hermanos proletarios!», «Unitevi, fratelli proletari!». Una parola d’ordine che trasformò un iniziale fronte unico difensivo in offensivo[78], un fronte unico di lotta che si pose il problema del potere operaio[79]: e che lo concretizzò, sia pure per un breve lasso di tempo per le ragioni che abbiamo visto.
In un momento in cui, a livello mondiale – e nonostante le lotte e i movimenti di resistenza che sorgono – la reazione avanza distruggendo una ad una tutte le conquiste realizzate dai lavoratori con le loro lotte nei decenni scorsi, è più urgente che mai costruire quel fronte unico. Non a caso, lo storico Antonio Liz ha sostenuto che «l’Ottobre asturiano aveva dimostrato che la vittoria della classe lavoratrice era possibile solo se si marciava in unità d’azione […]»[80].
E le belle parole scritte da Grandizo Munis a proposito dello slogan che fu la bandiera del processo rivoluzionario dell’ottobre 1934 sembrano le più appropriate per concludere questo testo: «Quella sigla – Uhp, Unión de Hermanos Proletarios, Unione dei Fratelli Proletari – terribile agli occhi della borghesia, che gli insorti tracciarono sui loro mezzi rozzamente corazzati, gridando la quale caddero crivellati migliaia di eroi (…), è ormai una bandiera per le battaglie rivoluzionarie del proletariato spagnolo e mondiale. Unión de Hermanos Proletarios, semplice, scarna espressione che non fu escogitata da nessun teorico, da nessun partito: la sua semplicità esprime l’interesse comune degli oppressi e la loro eccezionale capacità di lotta. I teorici e i partiti degni della classe operaia la cuciranno con orgoglio sui loro stendardi. Il trionfo della rivoluzione comincia a farsi strada a partire dall’unità della lotta proletaria contro la borghesia. Vergogna ai traditori che adottano la politica di quest’ultima!»[81].
Note
[1] La Ice era l’organizzazione trotskista diretta da Andrés (Andreu in catalano) Nin e da Juan Andrade, legata all’Opposizione di Sinistra Internazionale, diretta da Trotsky. Sarebbe poi confluita, insieme al Boc (Bloque Obrero y Campesino: in catalano, Bloc Obrer i Camperol) nel Partido Obrero de Unificación Marxista (Poum).
[2] Il riferimento qui è allo sciopero generale rivoluzionario proclamato nella regione delle Asturie il 13 agosto 1917 e duramente represso nel sangue dalle truppe.
[3] N. Molins i Fábrega, Uhp. La insurrección proletaria de Asturias, Ediciones Júcar, 1977, p. 123.
[4] “Spagna, la ‘marcha negra’ arriva a Madrid”, Today.it (https://tinyurl.com/y6ec42q5).
[5] “Mi abuelo luchó en el 34, mi padre en el 62 y ahora me toca a mí”, El País, 17/6/2012 (https://tinyurl.com/yxef656n).
[6] «Unitevi, fratelli proletari!», consacrata nella sigla ¡Uhp!
[7] La dittatura di Primo de Rivera era iniziata sette anni prima con la benedizione del re e delle gerarchie militari per occultare le loro responsabilità politiche nel disastro in termini di vite umane nella guerra coloniale in Marocco: il solo fatto che si fosse profilata la possibilità di aprire un dibattito parlamentare sulla «orgia delle spese spropositate, delle prebende, delle promozioni, delle decorazioni» (G. Munis, Lezioni di una sconfitta, promessa di vittoria, Edizioni Lotta comunista, 2007, pp. 38, 67‑68) a fronte della disastrosa disfatta militare (10‑20.000 morti), convinse monarchia e ambienti conservatori della necessità del colpo di stato. Venne sospesa la Costituzione, le Cortes (il parlamento) furono sciolte e il potere venne assunto da un direttorio militare con a capo, appunto, Primo de Rivera.
[8] P. Broué, “España 1931‑1939: la revolución perdida”, Marxists Internet Archive, (https://tinyurl.com/y2lck6mz).
[9] Partido Socialista Obrero Español.
[10] Unión general de trabajadores, il sindacato legato al Psoe.
[11] Il fatto è – come segnala P.I. Taibo II, Asturias, Octubre 1934, Crítica, 2013, p. 19 – che, al tempo di Primo de Rivera, «il socialismo spagnolo non era repubblicano», dato che «diffidava della timidezza della borghesia liberale spagnola»; sicché, «per le masse operaie, argomentava, la monarchia o la repubblica borghese non erano la loro forma di governo». Il tipico costume dei riformisti, di adattarsi benissimo ad ogni forma di regime borghese, fece sì che i socialisti stabilissero con Primo de Rivera punti di contatto che consentirono loro la «partecipazione al governo, in cambio di alcune modifiche legislative relative ai conflitti tra operai e padronato, così da promuovere da quella posizione la migliore organizzazione delle loro file». Solo verso il 1930, quando «i limiti della monarchia spagnola si facevano evidenti», si imposero all’interno del Psoe le tesi dell’ala repubblicana di Indalecio Prieto.
[12] La Chiesa, primo latifondista del Paese, rappresentava per milioni di persone il potere che li condannava a un’esistenza miserabile: proprietaria di decine di migliaia di fondi agricoli e immobili urbani del valore catastale stimato in centoventinove milioni di pesetas (una cifra stratosferica per l’epoca!), oltre a quasi 4.000 fra conventi e monasteri, aveva un bilancio di oltre cinquanta milioni di pesetas. Al mantenimento degli 80‑90.000 membri del clero (ma alcune stime arrivano a oltre 130.000) era destinata una parte molto rilevante del plusvalore estratto dalla classe operaia e dai contadini e braccianti. Deteneva, inoltre, il quasi totale monopolio dell’insegnamento grazie alle scuole confessionali in cui erano stati educati più di cinque milioni di adulti. La sua gerarchia rappresentava, in definitiva, un settore profondamente reazionario della società spagnola. La furia popolare contro il potere ecclesiastico trova, dunque, spiegazione in questo stato di cose.
[13] Confederación nacional de trabajadores, la centrale sindacale legata al movimento anarchico.
[14] È vero che lo sciopero della Telefónica fu occasione di scontro fra socialisti e anarchici, fra militanti dell’Ugt e della Cnt (P. Broué, op. cit.). Tuttavia, per l’enorme popolarità in Spagna dell’arma dello sciopero e in ragione dei vincoli di solidarietà fra i lavoratori, non furono pochi i casi in cui sezioni sindacali dell’Ugt inviavano agli scioperanti attestazioni di solidarietà e fondi per la loro cassa di resistenza (G. Munis, op. cit., pp. 78‑79).
[15] A. Liz, Octubre de 1934. Insurreciones y revolución, Ed. Espuela de Plata, 2009, p. 23.
[16] Non furono pochi i casi in cui gli anarchici mostrarono una connivente contiguità con l’ala piccolo‑borghese repubblicano‑socialista: dalla promessa di appoggio politico a questi due partiti sul finire della dittatura di Primo de Rivera in cambio del ripristino della libertà di organizzazione per quando si fosse instaurato il regime repubblicano, al concreto appoggio elettorale alle elezioni del 1931 che decretarono la caduta della monarchia. D’altro canto, la Cnt non fu aliena a letture impressionistiche degli eventi di quegli anni: il fatto che il regime monarchico fosse crollato senza l’intervento violento delle masse la indusse a ritenere che fosse possibile un’evoluzione pacifica verso il “comunismo libertario” attraverso una “rivoluzione incruenta”: così A. Nin, “Il proletariato spagnolo di fronte alla rivoluzione”, in Guerra e rivoluzione in Spagna, 1931/1937, Feltrinelli editore, 1974, p. 45.
[17] Nella regione dell’Alto Llobregat militanti della Fai (Federación Anarquista Ibérica), che costituiva il nucleo di direzione della Cnt, lanciarono un’insurrezione armata prendendo il controllo di alcuni villaggi miserabili dove proclamarono l’instaurazione del “comunismo libertario”: furono schiacciati in pochi giorni e molti di loro, tra cui Buenaventura Durruti, vennero deportati alle Canarie e nel Sahara spagnolo. Stessa sorte toccò alla sommossa di Casas Viejas del gennaio 1933, in cui trovò la morte una trentina di militanti anarchici, e all’insurrezione del 8‑12 dicembre 1933. Ecco perché P.I. Taibo II, op. cit., p. 12, sintetizza quest’aspetto sostenendo che la Cnt era «dentro un progetto insurrezionale di stampo golpista che aveva accumulato il suo secondo fallimento in due anni e ne avrebbe ancora subito un terzo».
[18] Nel 1928, l’analisi del Comintern si fondò su una lettura completamente errata della realtà internazionale, secondo cui, dopo un primo periodo (1917‑1924) di crisi del capitalismo e ascesa rivoluzionaria e un secondo (1925‑1928) di sua stabilizzazione, si apriva una nuova e più imponente fase di ascesa rivoluzionaria (appunto, il “terzo periodo”) nella quale i partiti riformisti e socialisti rappresentavano, in quanto freno delle lotte, un nemico del proletariato. Questa teorizzazione prendeva le mosse da un testo di Stalin in cui la socialdemocrazia veniva definita «l’ala moderata del fascismo», con la conseguenza che «queste organizzazioni non si escludono tra di loro, ma si completano a vicenda. Non sono antagoniste, ma gemelle» (J. Stalin, “La situazione internazionale”, 20/9/1924, in Opere complete, vol. 6, Edizioni Rinascita, 1952, pp. 339‑340). Da questa stolta equiparazione alla definizione di “socialfascisti” dei socialisti il passo fu breve e avrebbe poi avuto conseguenze tragiche: di fronte all’avanzata del nazismo in Germania, se i comunisti tedeschi si fossero alleati in un fronte unico con il potente partito socialdemocratico, certamente gli eventi avrebbero preso tutt’altra piega. La suicida tattica del “terzo periodo” – che solo Trotsky denunciò e vanamente tentò di contrastare – portò invece alla disfatta senza alcuna resistenza del pur gigantesco e organizzato proletariato tedesco. Per un’analisi approfondita della tattica del “terzo periodo”, L. Trotsky, “Il ‘terzo periodo’ degli errori dell’Internazionale comunista” (https://tinyurl.com/yybkb85d). Per un approfondimento più generale sulle tragiche conseguenze dell’applicazione di questa tattica ultrasinistra, L. Trotsky, I problemi della rivoluzione cinese e altri scritti su questioni internazionali, 1924‑1940, Giulio Einaudi Editore, 1970, pp. 301 e ss.; L. Trotsky, La Terza Internazionale dopo Lenin, Schwarz editore, 1957, pp. 241 e ss.; L. Trotsky, Revolucão e contrarrevolucão na Alemanha, Editora Instituto José Luís e Rosa Sundermann, 2011; L. Trotsky, La lucha contra el fascismo, Fundación Federico Engels, 2004.
[19] In questo senso, il Boc «strisciava all’ombra della borghesia catalana» (G. Munis, op. cit., p. 61).
[20] P. Broué, op. cit. Di tutt’altro avviso, ovviamente, il principale dirigente del Boc, Joaquín Maurín, secondo cui il Bloque «ha agito seguendo una linea politica marxista‑leninista corretta, contribuendo in gran parte a correggere gli errori del movimento operaio» (J. Maurín, “Hacia la segunda revolución”, Marxists Internet Archive, (https://tinyurl.com/y4n2jcx9). Sferzante come sempre, Trotsky diede questa definizione di Maurín e della sua organizzazione: «La politica di Maurín […] è un miscuglio di pregiudizi piccolo‑borghesi, di ignoranza, di “scienza” provinciale e di civetteria politica. […] La confusione di Maurín non attrae, ma respinge gli operai» (L. Trotsky, “La rivoluzione spagnola giorno per giorno. 2 luglio 1931”, in Scritti 1929‑1936, Arnoldo Mondadori Editore, 1970, p. 284). Per un’approfondita analisi della politica del Boc, A. Nin, “Dove va il Blocco operaio e contadino?”, in Terra e libertà, Erre emme edizioni, 1996, p. 96.
[21] Purtroppo, questo consiglio non verrà più seguito quando, nel settembre del 1935, rompendo con Trotsky, la Ice (Izquierda Comunista de España) si unificherà con il Boc dando vita al Poum, partito che nel febbraio 1936 entrerà prima nella coalizione e poi nel governo di fronte popolare che porterà definitivamente alla sconfitta la rivoluzione spagnola. Fu in quest’occasione che Trotsky parlò di “tradimento del Poum”, emettendo poi il suo severo giudizio: «Alla fine dei conti, nonostante le sue intenzioni, il Poum è risultato essere il principale ostacolo sulla strada della costruzione di un partito rivoluzionario» (L. Trotsky, “Lezioni di Spagna, ultimo avvertimento”, in Œuvres, vol. 15, Institut Léon Trotsky, 1983, p. 402).
[22] G. Munis, op. cit., p. 65.
[23] Tuttavia, la tattica entrista venne respinta dall’Ice.
[24] P.I. Taibo II, op. cit., p. 12.
[25] Ciò fu dovuto, come abbiamo accennato, alla criminale politica del “terzo periodo”, varata dall’Internazionale comunista stalinizzata e duramente contrastata da Trotsky (v. nota 18).
[26] Invece di organizzare e armare gli operai che lo chiedevano espressamente, il partito socialista austriaco preferì presentare ricorso ai tribunali … contro la soppressione delle libertà democratiche da parte del regime! Non c’è dubbio: in ogni epoca storica il riformismo si distingue per la sua adorazione nei confronti delle istituzioni dello Stato borghese. Basti pensare ai sindacati italiani che, in questi anni di violenta reazione padronale, invece di contrastare i piani della borghesia industriale (di cui in particolare l’ex amministratore delegato della Fiat, Marchionne, si era reso interprete) occupando le fabbriche, si sono vanamente limitati a presentare dei ricorsi in tribunale.
[27] Per un inquadramento delle vicende di cui ci stiamo occupando nel contesto europeo (e non solo), è utile rifarsi a P. Broué, “Octubre del 34 en el contexto europeo”, in G. Jackson, P. Broué e altri, Octubre 1934. Cincuenta años para la reflexión, Siglo Veintiuno Editores, 1985, p. 9 e ss.
[28] In solidarietà verso i lavoratori austriaci, quelli spagnoli proclamarono numerosi scioperi e mobilitazioni, lanciando la parola d’ordine «Meglio Vienna che Berlino!», cioè meglio resistere come in Austria che capitolare vergognosamente senza combattere come in Germania.
[29] «La democrazia per noi non è un fine, ma un mezzo per conquistare uno Stato nuovo. Al momento giusto, il parlamento si sottometterà o lo faremo sparire!»: così tuonava Gil Robles in un comizio per la campagna elettorale (riportato da P.I. Taibo II, op. cit., p. 15).
[30] D’altronde, gli stessi socialisti, mettendo da parte il loro abito riformista e indossando invece – come poi vedremo più approfonditamente – quello “rivoluzionario”, avevano esplicitato che l’ingresso della Ceda al governo avrebbe significato l’inizio della rivoluzione.
[31] Op. cit., pp. 120‑121.
[32] Santos Juliá (“Los socialistas y el escenario de la futura revolución”, in G. Jackson, P. Broué e altri, op. cit., pp. 103 e ss.) pone in evidenza l’estrema ambiguità dei discorsi pubblici di Caballero, che parlava di conquista del potere «nei limiti che la Costituzione e le leggi dello Stato ci assegnano».
[33] Salvo poi, nel giugno 1935, disinvoltamente intestarsi politicamente il successo dell’insurrezione delle Asturie, regione dove invece gli stalinisti entrarono a far parte solo all’ultimo momento del fronte unico, come poi vedremo.
[34] Infatti, il manifesto di presentazione della Alianza Obrera de Cataluña proclamava: «Le sottoscritte entità, di tendenze e aspirazioni dottrinali diverse, ma unite nel comune desiderio di salvaguardare tutte le conquiste finora ottenute dalla classe lavoratrice spagnola, hanno costituito “la Alianza Obrera” per opporsi all’instaurazione della reazione nel nostro Paese, per evitare qualsiasi tentativo di colpo di stato o instaurazione di una dittatura […]. Lavoratori di Catalogna e Spagna! Fate come noi. Abbandonate le discussioni che vi separano dai vostri compagni di sfruttamento, per quanto conserviate e difendiate i vostri punti di vista dottrinali, al fine di costituire i Comitati locali e territoriali antifascisti e di opposizione all’avanzamento delle forze reazionarie […]».
[35] V., al riguardo, L. Trotsky, “Conversazione con un operaio socialdemocratico. A proposito del fronte unico difensivo”, 23/2/1933, in Scritti, cit., pp. 458 e ss. Ma già nell’articolo “El giro de la Internacional comunista y la situación en Alemania” (in L. Trotsky, La lucha contra el fascismo, cit., pp. 39 e ss.) che risale a quasi tre anni prima, Trotsky aveva segnalato la necessità di assumere «una posizione difensiva [che] implica una politica di avvicinamento alla maggioranza della classe operaia tedesca e il fronte unico con gli operai socialdemocratici e senza partito contro il pericolo fascista» (ivi, p. 55).
[36] Il documento sottoscritto dalle organizzazioni che diedero vita alla Alianza Obrera nelle Asturie esplicitamente si pone l’obiettivo della «azione associata di tutti i settori operai con l’esclusivo scopo di promuovere e portare a termine la rivoluzione sociale […] Le organizzazioni che sottoscrivono questo patto lavoreranno di comune accordo fino al trionfo della rivoluzione sociale in Spagna stabilendo un regime di eguaglianza economica, politica e sociale, fondato su principi socialisti federalisti».
[37] In nessun momento le Alianzas si conformarono sul modello dei soviet russi o dei consigli tedeschi. Ma sicuramente avrebbero potuto trasformarsi in soviet se l’esperienza fosse stata approfondita (con elezione dei delegati dalla base secondo i principi della democrazia operaia) e coordinata (con la creazione di un coordinamento nazionale).
[38] In moltissimi casi la base del Pce simpatizzava per le Alianzas Obreras. Dal canto suo, la Cnt si divise rispetto alla partecipazione.
[39] N. Molins i Fábrega, op. cit., p. 222.
[40] Lo sintetizza efficacemente G. Munis, op. cit., p. 136: «[…] i socialisti non considera[va]no l’Alianza Obrera un organismo di fronte unico rivoluzionario, ma uno spauracchio col quale minacciare la borghesia senza attaccarla, con l’unico obiettivo di riannodare i […] legami con i repubblicani e lo Stato borghese». Dal canto suo, N. Molins i Fábrega, op. cit., p. 224, segnala una lettera che nell’aprile 1935 – e quindi oltre sette mesi dopo gli avvenimenti rivoluzionari di cui parleremo oltre – Largo Caballero scrisse alle federazioni locali del sindacato socialista allo scopo di dissociare qualsiasi responsabilità dell’Ugt da quelle delle Alianzas Obreras: non sia mai che si pensasse che i socialisti avessero qualcosa a che fare con queste!
[41] M. Grossi Mier, La insurrección de Asturias: quince días de revolución socialista, Ediciones Júcar, 1978, p. 18.
[42] Un manifesto del Pce asturiano si concludeva così: «Lavoratori! Non lasciatevi ingannare da questa falsa strada che vi viene offerta per l’unità. I vostri capi vi stanno tradendo. L’Alianza Obrera è il nervo vivo della controrivoluzione. Abbasso l’Alianza Obrera del tradimento!». Questa posizione venne propagandata dagli stalinisti delle Asturie fino alla vigilia dell’insurrezione (M. Grossi Mier, op. cit.).
[43] Ciò spiega perché il ruolo del Pce sia stato nullo nella preparazione dell’insurrezione asturiana e marginale nella sua esecuzione, benché poi i suoi militanti si siano distinti nell’azione militare. Tuttavia, per una migliore comprensione dei fatti, è importante soffermarsi sulle ragioni di un così improvviso mutamento della sua politica: dalla denuncia, cioè, delle Alianzas come controrivoluzionarie (v. nota precedente) fino a dichiarare pubblicamente che senza i militanti comunisti quell’insurrezione non avrebbe avuto luogo. Ciò fu dovuto al più generale cambiamento della politica del Comintern, che in quel periodo abbandonò il settarismo del “terzo periodo” per approdare alla teorizzazione del “fronte popolare”: Palmiro Togliatti – che, com’è noto, ebbe un ruolo di primo piano all’interno della Terza Internazionale per quel che riguarda la rivoluzione spagnola – giunse a scrivere che al Pce andava ascritto il merito di aver trasformato le Alianzas Obreras in organi di ampio carattere popolare in cui erano compresi «piccolo‑borghesi, cattedratici, medici e altri intellettuali» (riportato da B. Bayerlein, “El significado internacional de Octubre de 1934 en Asturias”, in G. Jackson, P. Broué ed altri, op. cit., p. 29. Secondo l’Autore, Togliatti esprimeva in tal modo una preformulazione ideologica dei postulati della politica di fronte popolare, che ovviamente non aveva nulla da spartire con le ragioni che portarono alla nascita delle Alianzas Obreras e che abbiamo descritto nel testo).
[44] P.I. Taibo II, op. cit., pp. 75 e ss.
[45] P.I. Taibo II, “Las diferencias asturianas”, in G. Jackson, P. Broué ed altri, op. cit., pp. 236 e ss.
[46] La tiratura del giornale era di 25.000 copie al giorno, con una punta di 50.000 esemplari pubblicati il 1° Maggio: ciò a dispetto dell’azione repressiva del governo che procedeva a colpi di sequestri, il più delle volte infruttuosi. Avance si distingueva per un linguaggio assolutamente alieno al tatticismo, a differenza della direzione nazionale del Psoe. Basti pensare all’edizione del 5 ottobre, giorno dello scoppio dell’insurrezione, che uscì con un titolo a tutta pagina che rappresentava un’inequivoca parola d’ordine: «¡Cojones y dinamita!» (riteniamo superflua la traduzione in italiano).
[47] V. sopra, nel testo, e alla nota 30.
[48] Abbiamo appena visto, infatti, che l’unica eccezione si ebbe nelle Asturie.
[49] Così M. Romero, “Uhp. La lucha por la unidad obrera en la revolución del 34”, Viento Sur n. 105, p. 74.
[50] Ci furono, sì, sommovimenti in altre regioni (Paesi Baschi, Galizia, Cantabria, la zona mineraria di León y Palencia, Aragona, Andalusia, Murcia, Valencia, Alicante), che si limitarono però a scioperi e sporadici scontri a fuoco.
[51] Ben strana sorte per il massimo dirigente del Comitato rivoluzionario nazionale!
[52] L. Caballero, Mis recuerdos, Ediciones Unidas, 1976, pp. 81‑82. In queste stesse pagine, egli annotò, tornando sugli avvenimenti dell’ottobre del 1934: «Feci bene o male? Avrei dovuto consegnare alla voracità della giustizia borghese un difensore del proletariato? La mia coscienza è tranquilla. Sono convinto di aver adempiuto al mio dovere, poiché offrirmi come vittima senza alcun vantaggio per la causa del proletariato sarebbe stato tanto innocente quanto inutile».
[53] Addirittura, due giorni dopo, uno dei dirigenti della Cnt parlò dalla radio della 4ª Divisione dell’esercito, invitando gli operai a ritornare ai loro posti di lavoro. Tohil Delgado (Octubre de 1934. La Comuna obrera de Asturias, Fundación Federico Engels, 2013, p. 37) riferisce che gli anarchici accolsero a fucilate la commissione operaia che era andata ad incontrarli per chiedere che aderissero allo sciopero.
[54] Per la caratterizzazione della politica del Boc rimandiamo alle precedenti note 19 e 20.
[55] Il governo regionale autonomo.
[56] Secondo la candida ammissione del leader del Boc, J. Maurín, in op. cit.
[57] L. Trotsky, “Il conflitto catalano e i compiti del proletariato”, in Œuvres, cit., vol. 4, p. 184, che aggiunge: «Il proletariato deve dimostrare alle masse catalane che esso nutre un sincero interesse per la difesa dell’indipendenza catalana. È in ciò che risiederà il passo decisivo verso la conquista della direzione nella lotta di tutti gli strati sociali […] L’armamento del popolo deve diventare il centro della nostra agitazione nelle prossime settimane […]». È utile, in ogni caso approfondire il tema complessivo degli errori strategici dei dirigenti dell’Alianza Obrera di Barcellona attraverso G. Munis, op. cit., pp. 156 e ss.
[58] Ma anche senza pensare a impadronirsene con un’azione di forza, cosa che sarebbe stata possibile, come temevano gli stessi componenti della Generalitat (v., in proposito, G. Munis, op. cit., p. 164).
[59] In questo senso si comprende ciò che segnala J. Maurín, op. cit., cioè che «la Generalitat assiste a una nascita come se fosse un funerale. È a lutto. Finita la cerimonia, il Consiglio si ritira ad aspettare».
[60] A. Liz, op. cit., p. 59.
[61] Un piccolo, ma emblematico, episodio sta a sottolinearlo. Dopo l’insurrezione, Andrés Saborit, deputato socialista asturiano, si recò nel carcere di Oviedo a far visita ad alcuni arrestati e, contrariato, disse loro: «Nessuno vi ha ordinato di fare la rivoluzione: la consegna era fare lo sciopero!».
[62] «L’Alianza Obrera … aveva compiuto il miracolo di unire in un solo blocco, in un solo esercito gli operai di tutte le tendenze rivoluzionarie. I comitati rivoluzionari si suddividevano in comitati militari, di Approvvigionamento, dei Trasporti, della Sanità. A Turón …, inoltre, crearono quello del Lavoro» (N. Molins i Fábrega, op. cit., p. 123).
[63] P.I. Taibo II, Asturias, cit., p. 451.
[64] Secondo la testimonianza di M. Grossi Mier, op. cit., i combattenti furono 30.000, con un totale di 50.000 persone mobilitate. Tuttavia, al di là delle crude cifre, va posto l’accento sul fatto che l’insurrezione ebbe indiscutibilmente un carattere di classe.
[65] N. Molins i Fábrega, op. cit., p. 161.
[66] Il timore – tutt’altro che infondato – era, infatti, che potessero solidarizzare con i rivoluzionari.
[67] Va segnalato l’aspetto, non secondario, per cui l’atteggiamento della Cnt statale di non voler partecipare alla lotta attraverso le Alianzas Obreras – salvo che, come abbiamo visto, nelle Asturie – si tradusse nel fatto che il sindacato dei ferrovieri aderente all’organizzazione anarchica non impedì, come avrebbe invece potuto proclamando lo sciopero, il trasferimento delle truppe more e legionarie nella regione (J.I. Ramos, “La Comuna asturiana de 1934. La insurrección proletaria y la República”, Marxismo hoy, n. 13, gennaio 2005, p. 35).
[68] P.I. Taibo II, op. ult. cit., pp. 466 e ss., riporta il contenuto della trattativa tra il generale López Ochoa e l’inviato degli insorti, Belarmino Tomás.
[69] La “entrata delle iene”, la definisce M. Grossi Mier, op. cit.
[70] Il convento “Las Adoratrices” di Oviedo venne adibito a carcere e in esso furono detenute, tra il 23 ottobre e il 10 dicembre, circa 600 persone, tutte torturate. Ma in ogni città delle Asturie sorsero strutture simili, dove si realizzavano efferate sevizie sui prigionieri, alcuni dei quali si suicidavano, o tentavano il suicidio, pur di sfuggirvi.
[71] Lo stesso López Ochoa, in una conversazione di alcuni mesi dopo la fine dell’insurrezione con il vicepresidente del Psoe, Vidarte, gli riferì di un manipolo di legionari che, di notte, fecero uscire ventisette lavoratori detenuti nel carcere di Sama per fucilarli, ma ne uccisero solo tre o quattro perché temevano che il crepitio dei colpi potesse attirare i rivoluzionari che si nascondevano sui monti. Sicché, gli altri li giustiziarono, invece, decapitandone alcuni e impiccandone altri, per poi tagliare ai cadaveri mani, piedi, orecchie, lingue e persino gli organi genitali (P.I. Taibo II, ivi, p. 480). Ma tutte le ricostruzioni storiografiche sull’Ottobre asturiano sono piene di racconti simili a proposito delle carneficine occorse come rappresaglia generalizzata da parte delle truppe controrivoluzionarie.
[72] P.I. Taibo II, ivi, p. 489.
[73] Il deputato della destra per le Asturie, Melquíades Álvarez, dichiarò in un intervento parlamentare: «Lo spargimento di sangue costa molte lacrime e dubbi, ma al di sopra della sensibilità c’è l’interesse della Spagna. Di fronte agli orrori della Comune di Parigi, nel 1870, Thiers, l’ometto che fu lo zimbello dei suoi contemporanei, fucilò in nome della Repubblica e fece migliaia di vittime. Con quelle fucilazioni salvò la Repubblica, le istituzioni e mantenne l’ordine. Che i delitti non restino impuniti: osservando la legge si servono gli interessi della Repubblica e della Spagna» (riportato da J.I. Ramos, “La Comuna asturiana de 1934. La insurrección proletaria y la República”, cit., p. 35).
[74] A. Nin, “Le lezioni dell’insurrezione d’ottobre. È necessario un partito rivoluzionario del proletariato”, in Guerra e rivoluzione in Spagna, cit., p. 127.
[75] A. Nin, “Sconfitte demoralizzanti e sconfitte feconde”, ivi, p. 131.
[76] “Los mineros marginados de la ‘muerte dulce’ del carbón en Asturias”, Público, 22/1/2019, alla pagina https://tinyurl.com/y6ted3pb.
[77] «¡Madrid obrero apoya a los mineros!» e «¡Viva la lucha de la clase obrera!».
[78] Sul concetto di “fronte unico difensivo” è utile rifarsi allo scritto di L. Trotsky, “El frente único defensivo”, in La lucha contra el fascismo, cit., pp. 309 e ss.
[79] In un’intervista rilasciata il 1° ottobre 1984, Enrique Rodríguez, un militante della Ice durante le gloriose giornate dell’Ottobre asturiano, è stato molto esplicito al riguardo: «Il fronte unico ha rappresentato, a mio parere, la mancanza principale dell’Ottobre al di fuori delle Asturie, e nelle Asturie trionfò proprio perché il fronte unico venne realizzato […]» (“Madrid no era Asturias, aquí apena había armas”, Inprecor, n. speciale, novembre 1984, p. 13).
[80] A. Liz, “La Cnt y la Alianza Obrera”, Viento Sur, n. 105, ottobre 2009, p. 68.
[81] G. Munis, op. cit., p. 168.