Il 3 settembre 1938 venne fondata la Quarta Internazionale.
A ottantuno anni di distanza, intendiamo rievocare quest’evento pubblicando un testo di Valerio Torre che ripercorre il lungo e travagliato cammino che precedette l’avvenimento e che lo seguì nei due anni successivi, fino all’assassinio di León Trotsky: non già per limitarci a una rituale commemorazione, quanto invece perché, come scrive l’autore, si tratta di un progetto nato nel XX secolo ma che proietta la sua ombra sul secolo attuale, poiché chi si richiama ai principi del marxismo rivoluzionario non può prescindere, ancor più oggi, dall’attualità e dalla vigenza dell’analisi avanzata dal Programma di Transizione, e cioè che «la situazione politica mondiale … è caratterizzata principalmente da una crisi storica di direzione del proletariato».
È esattamente per porre rimedio a questa situazione che Trotsky e i suoi lanciarono quel progetto: la costruzione di un’Internazionale rivoluzionaria che riprendesse la bandiera del bolscevismo, gettata nel fango dalla cricca staliniana che aveva trasformato l’Unione sovietica in un immenso gulag.
Per un complesso di ragioni che non è qui possibile esaminare quel progetto è rimasto incompiuto, ed è per questo che oggi differenti organizzazioni, gruppi e settori che si riferiscono al trotskismo dichiarano di voler ricostruire la Quarta Internazionale.
È nostra opinione che, per diversi motivi, nessuna di queste correnti ha finora imboccato il cammino corretto per portare avanti questo disegno; sicché quella “crisi storica di direzione del proletariato”, diagnosticata nel 1938, si è ulteriormente aggravata a livello mondiale, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.
I compiti e gli obiettivi che Trotsky e i suoi si posero ottantuno anni fa sono ancora dinanzi a noi, per cui crediamo opportuno, attraverso questo scritto, gettare retrospettivamente lo sguardo sulla battaglia lanciata allora, che, per quanto detto, è ancora da combattere.
Buona lettura.
La redazione
Trotsky e la battaglia per la Quarta Internazionale (1933‑1940)
Valerio Torre
In letteratura, nel teatro e nella cinematografia si può narrare una storia partendo dall’inizio; oppure, si possono usare dei flashback come tessere di un mosaico da comporre; oppure, ancora, si può raccontare subito la fine, salvo riprendere poi lo sviluppo narrativo per far comprendere al lettore o allo spettatore come si sia giunti all’evento appena descritto.
Queste modalità – e tante altre possibili – sono tutte lecite e possono essere più o meno efficaci nell’economia della storia da raccontare.
Nel caso di questo testo, dovendo illustrare quel periodo breve – che va dal 1933 al 1940 – ma intensissimo (in cui poche settimane possono equivalere a decenni), quel periodo cioè che segnò la gestazione e poi la nascita della Quarta Internazionale, pensiamo sia giusto partire proprio da quest’ultimo evento, e cioè dalla sua fondazione, per poi risalire al contesto storico politico in cui essa maturò. Non perché la creazione della Quarta Internazionale rappresenti “la fine” della storia di cui andremo ad occuparci. Al contrario: perché anzi questo che sembra un epilogo ne rappresenta invece “l’inizio”. L’inizio di una storia più grande in cui tutti coloro che ancor oggi si richiamano ai principi del marxismo rivoluzionario sono totalmente coinvolti. Un compito immenso. Perché, per usare le parole di saluto che nell’ottobre 1938 Trotsky rivolse ad un meeting per la celebrazione del decimo anniversario della nascita dell’organizzazione americana e per la Conferenza fondativa della Quarta appena svolta:
«Non siamo un partito uguale agli altri […] Il nostro obiettivo è la totale liberazione, materiale e spirituale, dei lavoratori e degli sfruttati mediante la rivoluzione socialista […] Il nostro partito ci richiede una dedizione totale e completa […] Ma, in compenso, ci dà la più grande delle felicità, la consapevolezza di partecipare alla costruzione di un futuro migliore, di portare sulle nostre spalle una particella del destino dell’umanità e di non vivere invano la nostra vita»[1].
Trotsky dedicò, nel periodo dal 1933 al 1940, la maggior parte dei suoi sforzi e del suo lavoro alla costruzione della Quarta Internazionale, che venne formalmente costituita – come vedremo – nel settembre del 1938. E lui stesso era tanto consapevole dell’impegno profuso in questo compito, che nel marzo del 1935, lungi da ogni intento autoproclamatorio, scriveva:
«… penso che l’opera nella quale sono impegnato, malgrado il suo carattere insufficiente e frammentario, sia la più importante della mia vita, più importante che il 1917, più importante che lo stesso periodo della Guerra civile o qualunque altro […] Non posso dunque parlare della “indispensabilità” della mia opera, nemmeno per il periodo 1917‑1921. Ma oggi essa è indispensabile nel senso pieno del termine. Non v’è ombra di arroganza in questa pretesa […] All’infuori di me, non v’è nessuno per compiere la missione di armare del metodo rivoluzionario una generazione nuova»[2].
E dunque, il dirigente più illustre insieme a Lenin dell’Assalto al Cielo dell’Ottobre del 1917, l’oratore più autorevole e più popolare della rivoluzione, il creatore dell’Armata Rossa che riuscì a spezzare l’assedio al neonato Stato rivoluzionario da parte di quattordici eserciti di Paesi imperialisti, riteneva che non fossero questi gli aspetti e gli eventi importanti della sua vita. Considerava invece “indispensabile” la sua opera solo per la costruzione della Quarta Internazionale.
Trotsky aveva ragione. Grazie al suo instancabile impegno, la fondazione della Quarta Internazionale, al di là di tutte le sue debolezze, ha reso innanzitutto possibile preservare la continuità organica e storica del marxismo rivoluzionario che era stato sconfitto nei grandi conflitti della lotta di classe sia nell’Urss che nel resto d’Europa.
Ma non è solo questo il merito della nascita della Quarta Internazionale. Essa non fu fondata (come anche alcuni settori che si richiamano al trotskismo fanno apparire in conseguenza della loro politica erronea) come una setta dottrinale destinata a preservare come un feticcio l’eredità ideologica rivoluzionaria in circostanze che ne rendevano impossibile l’utilizzazione. Quando Trotsky insisteva sul fatto che la Quarta Internazionale nuotava contro la corrente, giungendo ad usare per i trotskisti l’espressione “esiliati dalla loro stessa classe”, in realtà stava sottolineando difficoltà e compiti politici oggettivi, non una impossibilità storico‑metafisica di agire. Lo sforzo di Trotsky e dei suoi compagni non deve essere rivendicato allora solo per aver preservato la continuità del programma rivoluzionario, ma anche per aver messo in piedi un’organizzazione attiva nell’arena della lotta di classe mondiale per mezzo di un programma rivoluzionario. In questo senso, se è vero che, come affermava Trotsky, “il partito è il suo programma”, non è meno vera l’espressione opposta: “il programma è il partito”. Ecco perché la corrente che si ispira al trotskismo insiste tanto nell’idea della costruzione del partito, a differenza di altre tendenze della sinistra internazionale per le quali il partito rappresenta ormai una cosa superata, un residuo novecentesco.
La Conferenza di fondazione
Dunque, per tener fede alla scelta di partire dalla fine (che, abbiamo visto, poi “fine” non è) della storia della nascita della Quarta Internazionale, diciamo che la Conferenza di fondazione si svolse il 3 settembre del 1938 a Périgny, alla periferia di Parigi, in un granaio messo a disposizione da Alfred Rosmer. Fu un congresso che durò un solo giorno, realizzato nella più assoluta clandestinità sotto l’incombente minaccia della persecuzione stalinista, tanto che era stato ufficialmente convocato in un luogo della Svizzera, e al quale il suo principale ispiratore, León Trotsky, esiliato in Messico, non poté partecipare. Vi prese invece parte una trentina di delegati in rappresentanza di dodici Paesi, cui vennero attribuite le deleghe per altre sezioni che furono impossibilitate ad intervenire per problemi organizzativi o di sicurezza[3].
La discussione fu molto limitata, sia per ragioni di tempo, sia per il fatto che molti documenti erano scomparsi nel rapimento e nell’assassinio ad opera della Gpu staliniana, poco prima della Conferenza, di Rudolf Klement, segretario organizzativo e collaboratore di Trotsky nel periodo d’esilio in Turchia e in Francia. Tuttavia, nonostante queste limitazioni, la Conferenza fondativa era stata preceduta da una prolungata discussione delle tesi politiche generali, sia nelle sezioni che in due preconferenze. La discussione programmatica centrale della Conferenza fu quella sul Programma di transizione, elaborato da Trotsky a partire da un confronto con i dirigenti del Socialist Workers Party (Swp) americano (la più grande sezione della Quarta Internazionale) e che non costituisce, come spesso si dice, il programma della Quarta Internazionale, quanto piuttosto il programma della Quarta Internazionale «per il passaggio alla rivoluzione proletaria a partire dalla crisi della società capitalistica»[4].
Oltre al Programma di transizione, vennero approvati, tra gli altri, lo Statuto, un manifesto contro la guerra imperialista (ricordiamo che già soffiavano sull’Europa i venti della Seconda Guerra mondiale) ed altre risoluzioni, tra cui le tesi sul ruolo mondiale dell’imperialismo nordamericano.
Il punto relativo alla “proclamazione” della Quarta Internazionale registrò una divergenza, che, come poi vedremo nel prosieguo di questo testo, era il portato della lunga fase di gestazione che portò alla sua nascita e delle approfondite discussioni sviluppatesi in seno all’Opposizione di Sinistra Internazionale (Osi: l’organizzazione a partire dalla quale nacque la Quarta Internazionale). Tre delegati (Lamed e Stockfish della Polonia; Craipeau della Francia) si espressero contro la proclamazione già in quella Conferenza, sostenendo l’immaturità di una simile decisione; ma due di essi (i due polacchi) rilasciarono una dichiarazione di voto in cui sostennero che, pur considerando un errore la decisione positiva su questo punto, avrebbero rispettato lo Statuto e la disciplina della Quarta[5].
Fu, quindi, eletto un Comitato Esecutivo. Vale la pena di sottolineare alcune curiosità, riguardo ai delegati e ai membri di quest’organismo.
Per l’Italia era presente come delegato – e venne eletto nel Comitato – Pietro Tresso, uno dei tre militanti (insieme a Leonetti e Ravazzoli) espulsi dal Partito comunista d’Italia (Pcd’I) e che diedero vita alla Noi (Nuova Opposizione Italiana)[6], successivamente assassinato in Francia per mano degli stalinisti[7]. Per la Grecia era presente come delegato Michel Raptis (conosciuto con lo pseudonimo di Pablo) che fu in seguito uno dei più noti dirigenti della Quarta Internazionale dopo la morte di Trotsky e sicuramente uno dei massimi responsabili della profonda e violenta crisi che l’ha attanagliata e che portò a una serie di rotture. Ta Thu Thau, dirigente della sezione dell’Indocina (l’attuale Vietnam) era in carcere al momento della Conferenza, eppure venne eletto nel Comitato Esecutivo.
Così pure Trotsky, assente sia perché esiliato in Messico, sia per ragioni di sicurezza, venne eletto quale membro segreto nell’organismo in rappresentanza dell’Opposizione di Sinistra dell’Unione Sovietica. Il delegato russo alla Conferenza, Mordka Zborowski (conosciuto con lo pseudonimo di Étienne), sottolineò insistentemente quest’assenza[8] proponendosi per sostituirlo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si scoprì che “Étienne” era in realtà un agente del Nkvd, infiltrato nel movimento trotskista e responsabile per l’assassinio del figlio di Trotsky, Lev Sedov, di cui era riuscito a diventare stretto collaboratore[9]. Lev Sedov era, al momento della sua uccisione, responsabile della costruzione europea dell’Opposizione di Sinistra Internazionale.
La battaglia per la riforma del partito e dell’Internazionale
Come nasce in Trotsky la consapevolezza della necessità di fondare la Quarta Internazionale?
A partire dal 1923, di fronte al sorgere dei primi elementi di quella che sarebbe stata la burocratizzazione del partito bolscevico, Trotsky iniziò ad ingaggiare una dura battaglia per il recupero della democrazia interna di partito e, quindi, per il recupero del partito stesso[10]. Ciò lo portò ad uno scontro aperto nei confronti della cosiddetta “troika”, cioè quel blocco fra Stalin, Kamenev e Zinoviev, che, grazie ad un mutuo appoggio per mantenere le proprie cariche di principali dirigenti del partito, riuscirono ad avere e consolidare la maggioranza nel Comitato centrale, controllando di fatto l’intera macchina dell’organizzazione e dell’apparato.
Per dieci lunghi anni, Trotsky continuò nella politica di riforma del partito organizzando l’Opposizione di Sinistra, la cui battaglia non era solo diretta, dopo la rottura della “troika”, contro la politica economica di Stalin e Bucharin, ma anche contro la teorizzazione staliniana della costruzione del “socialismo in un paese solo”.
Analogamente, Trotsky riteneva necessario riformare l’Internazionale. Convinto che il processo di burocratizzazione non fosse irreversibile e che l’avanguardia del proletariato mondiale era ancora concentrata nelle file dell’Internazionale comunista, una delle prime attività su cui si concentrò una volta espulso dal Paese ed esiliato in Turchia fu di stabilire contatti con i diversi gruppi che, in tutto il mondo, erano stati espulsi dai partiti comunisti stalinizzati e avevano dichiarato il loro appoggio all’Opposizione russa.
Fu così che il 6 aprile 1930 rappresentanti di otto gruppi di opposizione di vari partiti comunisti si riunirono a Parigi fondando l’Opposizione di Sinistra Internazionale e caratterizzandola come frazione dell’Internazionale comunista. Altri gruppi di diversi Paesi che non erano potuti intervenire alla conferenza di Parigi diedero comunque il loro appoggio.
Ciò che però contrassegnava la neonata Osi era l’estrema eterogeneità dei settori che la componevano. Questo indusse Trotsky ad ingaggiare un’importante battaglia politica di delimitazione depurando le fila dell’Osi da tutti gli elementi casuali, piccolo‑borghesi, propagandisti e settari, poiché l’obiettivo non era solo rimpiazzare Stalin, ma porre alla testa del movimento comunista una direzione marxista rivoluzionaria. Perciò, nel febbraio del 1932 fu approvata una dichiarazione che fissava undici condizioni di principio per poter entrare nell’Osi.
In un testo del dicembre del 1932[11], Trotsky chiarisce che l’Osi e le sue sezioni nazionali si considerano frazioni del Comintern e dei partiti comunisti nazionali, prefigurando tuttavia la possibilità che una catastrofe storica di immense proporzioni, come la caduta dello Stato sovietico o la vittoria del nazismo e la sconfitta del proletariato tedesco, avrebbero messo in questione la sopravvivenza dell’Internazionale Comunista. Quella catastrofe si verificò.
Il “4 agosto dello stalinismo”. Il “Blocco dei Quattro”
La crisi economica del 1929 e i suoi effetti sulla Germania non avevano colto alla sprovvista Trotsky, che aveva ben compreso la portata degli avvenimenti che si stavano verificando in terra tedesca producendo analisi ancora oggi insuperate sulla nascita, il consolidamento e la vittoria del nazismo.
In questi articoli[12], Trotsky tentò invano di allertare il Kpd – cioè il Partito comunista tedesco – contro i pericoli dell’adozione della politica staliniana del “socialfascismo”[13], invitando i comunisti a formare un fronte unico col potente partito socialdemocratico per contrastare il nazismo finché si fosse in tempo. Ma tutto fu inutile. La suicida politica settaria dettata dal Comintern venne ciecamente applicata e in breve tutte le organizzazioni del movimento operaio distrutte.
Il 30 gennaio 1933, Hitler fu designato Cancelliere della Germania. Per chi volesse qualche dimostrazione della “lungimirante analisi” della burocrazia staliniana di fronte all’inverarsi del pericolo nazista, basti sapere che il giorno successivo, il 31 gennaio, l’organo del Partito comunista francese, L’Humanité, relegava la notizia nelle pagine interne titolando “Risultati della politica del male minore: Hitler Cancelliere”. E nei giorni seguenti, Palmiro Togliatti, massimo dirigente del Pcd’l e fra i più in vista dell’Internazionale comunista, affermava che l’avvenimento non era paragonabile alla Marcia su Roma di Mussolini, e anzi prevedeva “una nuova ascesa delle masse”.
Nel successivo mese di marzo, Hitler assunse poteri dittatoriali. Il 1° marzo, il Partito comunista tedesco venne posto fuorilegge. Nel giro di sole ventiquattr’ore, 4.000 dei suoi membri vennero arrestati praticamente senza opporre nessuna resistenza e, a partire dal 3 marzo, si scatenò una vera e propria caccia al comunista.
Thälmann, il più importante dirigente del Kpd, venne arrestato proprio mentre a Mosca la Pravda assicurava che il nazismo non sarebbe riuscito a spezzare il partito comunista, perché non si poteva “sterminare l’avanguardia operaia”, né distruggere un partito che aveva ottenuto “sei milioni di voti operai”[14]. Il poderoso proletariato tedesco, insomma, ingannato e demoralizzato dai suoi partiti, si schiantò senza opporre alcuna resistenza.
Il 12 marzo 1933, Trotsky scrisse che lo stalinismo tedesco crollava più per il suo putridume interno che per i colpi del fascismo e che non era più tempo di pensare alla riforma di un partito che ormai altro non era se non un “cadavere”[15]. Era ora di pensare a “creare un partito nuovo”, poiché egli riteneva che si fosse consumato un nuovo “4 agosto”[16] (riferendosi all’ignominioso crollo della Seconda Internazionale, i cui partiti avevano votato nel 1914, appunto il 4 agosto, i crediti di guerra decretando lo scoppio della Prima guerra mondiale). Ma non era ancora giunto il momento di creare una nuova Internazionale. Trotsky, infatti, pensava che vi fosse ancora spazio per sane reazioni in un certo numero di sezioni del Comintern: «Non si tratta di fondare la Quarta Internazionale ma di salvare la Terza», spiegava[17].
Questa illusione durò davvero molto poco. Il 5 aprile 1933 una risoluzione adottata all’unanimità dal presidium del Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista e supinamente accettata da tutte le sue sezioni, proclamava che la politica seguita in Germania era l’unica giusta[18]. Ma il nazismo non era – diciamo così – molto d’accordo con questa risoluzione: il 26 maggio venne sciolto senza nessuna reazione il Partito comunista austriaco, mentre poco dopo quello bulgaro vedeva limitata la propria attività da restrizioni tali da impedirgli di fatto qualsiasi espressione indipendente[19].
Ciò indusse Trotsky, a partire da un importante testo del 15 giugno[20], a prefigurare il crollo completo dell’Internazionale comunista e la rottura dei rivoluzionari con essa. Da questo momento in poi, il “Vecchio” (così Trotsky veniva affettuosamente chiamato dai militanti dell’Osi, a dispetto dei suoi soli 53 anni, benché il suo segretario dell’epoca, Jean Van Heijenoort, lo avesse visto incanutire nel giro di pochi mesi[21]), il “Vecchio”, dunque, mutò progressivamente la propria analisi politica. A partire da un testo del 15 luglio[22], si pronunciò per la creazione di nuovi partiti comunisti e per una nuova Internazionale. E, vista l’esiguità delle forze in campo, andò via via affinando la propria proposta politica di costruzione sostenendo la necessità di rivolgersi verso quelle organizzazioni socialiste di sinistra che, nella situazione data dal fallimento dell’Internazionale comunista da una parte e dalla decomposizione della socialdemocrazia dall’altra, andavano evolvendo verso posizioni rivoluzionarie: indirizzare, dunque, i propri sforzi organizzativi verso queste correnti centriste in evoluzione verso sinistra[23] doveva costituire il nuovo compito dei bolscevico‑leninisti, cioè dei trotskisti.
Il 27 e 28 agosto del 1933, si svolse a Parigi la Conferenza delle organizzazioni socialiste e comuniste di sinistra, cui partecipò anche l’Osi, che pose in discussione il proprio programma basato sugli undici punti di principio di cui abbiamo già riferito. La partecipazione a questa Conferenza valse all’Osi la possibilità di attrarre altre tre organizzazioni: il Sap tedesco (di cui faceva parte il giovane Willy Brandt, futuro Cancelliere della Germania dal 1969 al 1974) e l’Osp e il Rsp olandesi. Insieme, sottoscrissero una dichiarazione, conosciuta poi come “Dichiarazione dei Quattro”, in cui convenivano sulla necessità della fusione dell’avanguardia rivoluzionaria in una nuova Internazionale: la Quarta.
Certamente, il c.d. “Blocco dei Quattro” si formò intorno a un testo che non costituiva il riassunto del pensiero politico di Trotsky, ma solo la presa d’atto del “minimo comun denominatore” esistente fra le organizzazioni firmatarie, e cioè di un quadro per la costruzione e la discussione che fosse allo stesso tempo uno strumento di lotta politica[24]. Nondimeno, per Trotsky si trattò di un avvenimento importante, che costituiva un rilevante punto di partenza per la costruzione della Quarta Internazionale intorno all’Osi, che frattanto aveva cambiato nome in Lega Comunista Internazionalista (Lci).
Trotsky non pensava di costruire la nuova Internazionale con i socialisti di sinistra nel loro complesso, ma di guadagnarne le avanguardie. Si trattava, insomma, di un’esperienza da praticare per rompere il muro di isolamento che limitava la sua organizzazione.
Tuttavia, si trovò di fronte a difficoltà provenienti dall’interno della stessa Lci, con settori che criticavano la scelta di puntare sul “Blocco” con le altre tre organizzazioni in ragione del loro centrismo; e difficoltà provenienti da alcune di queste ultime, che non avevano un reale interesse a “compromettersi” con il trotskismo.
Trotsky si vide quindi costretto a difendere vigorosamente le proprie posizioni nei confronti dei suoi stessi militanti (il che non impedirà alcune scissioni nei ranghi della Lci); e ad ingaggiare un’energica battaglia teorica nei confronti delle altre organizzazioni firmatarie della “Dichiarazione” per indurle ad evolvere definitivamente verso posizioni coerentemente rivoluzionarie.
Ciò, tuttavia, non si verificò, sicché l’esperienza del “Blocco dei Quattro” si consumò in una rottura di fatto. Essa, però, non si tradusse in un fallimento: innanzitutto, dimostrò agli occhi dell’avanguardia rivoluzionaria europea che per i trotskisti quella della Quarta Internazionale non era una rivendicazione settaria; in secondo luogo, evidenziò, all’interno della stessa Lci, l’esistenza di divergenze simili a quelle poste dai centristi, ma che furono discusse e poi sconfitte; infine, consentì di reclutare quadri e gruppi che sarebbero poi stati decisivi per la costruzione della Quarta Internazionale: basti pensare alla fusione dell’Osp e del Rsp olandesi in un nuovo partito, il Rsap, che aderì poi alla Lci; e, dall’altro lato dell’oceano, alla fusione, nata all’interno della lotta di classe, della sezione americana della Lci con un partito operaio guidato da un pastore protestante; fusione fondata sulla base del comune riconoscimento della necessità di creare una nuova Internazionale.
La “svolta francese”: l’entrismo
La vittoria di Hitler produsse una profonda inquietudine nel movimento operaio europeo, specie nei quadri della socialdemocrazia, in cui cominciarono a sorgere tendenze verso la sinistra. Nel febbraio del 1934, gli operai socialdemocratici austriaci sostennero eroiche, benché infruttuose, lotte armate contro il loro governo, seguiti con la medesima sorte dagli operai spagnoli in ottobre. In Spagna, Francia, Belgio e Svizzera, settori della gioventù socialista manifestavano simpatie per le idee trotskiste. Insomma, benché ancora influenzate dalla socialdemocrazia, le masse erano in via di radicalizzazione.
Trotsky – per il quale l’idea della costruzione della Quarta Internazionale non doveva essere meccanicamente sviluppata a tavolino, ma doveva fare i conti con la realtà del movimento di massa – approfondì, dopo averla avviata con la politica che aveva portato al “Blocco dei Quattro”, la sua riflessione sul lavoro politico da compiere in direzione delle masse in via di radicalizzazione.
Lo stalinismo, che aveva aperto un’autostrada alla presa del potere da parte di Hitler con la teorizzazione del socialfascismo, senza neanche giustificare l’abbandono di questa politica concluse, a partire dalla Francia, patti d’unità d’azione con i partiti socialisti (che solo pochi mesi prima aveva definito, appunto, “socialfascisti”) per resistere all’avanzata del nazismo.
In realtà, questo processo era il prodotto della pressione di settori, soprattutto giovanili, che in Francia respingevano la politica di divisione all’interno della classe operaia fino ad allora propugnata dalla screditata Internazionale stalinizzata e si rivolgevano prioritariamente ai partiti socialisti, sensibili alle loro aspirazioni ma sostanzialmente incapaci di rispondervi.
Trotsky, sempre attento ai processi politici, comprese subito che la crisi di questi partiti – non congiunturale, bensì storica, nell’epoca di declino dell’imperialismo – offriva ai trotskisti uno spazio enorme per un lavoro, al loro interno, di conquista di quei settori che, su basi confuse, si collocavano all’ala sinistra: un lavoro, come sempre nella visione trotskiana, finalizzato alla costruzione del nuovo partito rivoluzionario. Inoltre, questa politica avrebbe aiutato la Lega a superare il pericolo della marginalità: rifiutarla avrebbe significato essere respinti con irritazione dalle masse.
È per questo motivo che Trotsky definì quella che venne chiamata “svolta francese” – e cioè l’entrismo nel partito socialista francese – come una “svolta decisiva”[25].
Benché il “Vecchio” avesse da subito raccomandato «audacia, rapidità e unanimità»[26] nell’applicazione di questa tattica, si aprì una crisi sia nella Lega francese che nella Lega internazionale. Alcuni settori la considerarono una capitolazione alla socialdemocrazia e si svilupparono appassionate discussioni nel movimento trotskista internazionale. Tuttavia, nonostante alcune scissioni, la tattica dell’entrismo fu applicata in vari Paesi oltre alla Francia, con alcuni notevoli successi, il più significativo dei quali si registrò negli Stati Uniti dove il prodotto di questa politica fu la successiva nascita del Swp, che divenne la sezione più importante e di maggior peso operaio della Quarta Internazionale.
Nel 1935, Trotsky si sentì in dovere di tracciare un bilancio del complesso delle politiche che aveva avviato a partire dalla constatazione del crollo della Terza Internazionale. Preso formalmente atto che l’esperienza del “Blocco dei Quattro” era giunta al termine, Trotsky sottolineò che l’adozione generalizzata e su scala internazionale della politica staliniana del fronte popolare decretava la definitiva liquidazione del Comintern. In questo quadro, i sintomi di una rapida marcia verso la guerra, lo indussero a ritenere giunto il momento di accelerare il ritmo della costruzione della Quarta Internazionale. In questo senso deve essere letta la “Lettera aperta per la Quarta Internazionale”[27] rivolta alle organizzazioni rivoluzionarie di tutto il mondo e firmata dalla Lci e da altri partiti.
La “Lettera aperta” segnò l’inizio di un nuovo periodo nella preistoria della Quarta Internazionale: messi da parte l’affermazione dei principi generali e l’aspetto della propaganda, Trotsky sottolineava la necessità di mettere in campo il primo atto concreto della costruzione della nuova Internazionale, poiché le condizioni storico-politiche della nuova fase imponevano urgentemente che i rivoluzionari si dedicassero al compito immediato della sua creazione.
A quell’epoca, Trotsky sperava ancora che la fondazione della Quarta Internazionale non avrebbe coinvolto la sola Lci. Pensava che i bolscevico-leninisti sarebbero stati solo una frazione dell’Internazionale in costruzione, ma alla fine le cose non andarono in questo modo. Tra l’altro, anche all’interno della sua stessa organizzazione Trotsky incontrava parecchie resistenze: non più ad opera delle organizzazioni centriste guadagnate al movimento per la Quarta Internazionale nel periodo 1933‑1936 (che, anzi, dall’esterno si impegnarono in permanenti polemiche contro il “trotskismo”), quanto ad opera di dirigenti stessi del movimento (Vereeken, Victor Serge, Sneevliet) che vi veicolavano posizioni centriste[28].
In ogni caso, sul finire del mese di luglio del 1936, si svolse a Parigi una Conferenza internazionale della Lci in cui si decise che quella sarebbe stata la prima conferenza per la Quarta Internazionale e in cui si determinò altresì di sciogliere la Lci e di proclamare al suo posto la nascita del Movimento per la Quarta Internazionale.
In questo periodo, e fino alla Conferenza fondativa di cui abbiamo in precedenza parlato, Trotsky si dovette misurare con numerose obiezioni rispetto alla “maturità” delle condizioni per “fondare” la Quarta Internazionale. A queste critiche egli contrappose argomenti contenuti in decine di scritti su cui non possiamo, nell’economia di questo testo, soffermarci.
Giova, tuttavia, ricordare a mo’ di sintesi alcune poche frasi di Trotsky, il quale era convinto – e lo ripeteva in ogni occasione utile – che la Quarta Internazionale non andava “proclamata”, bensì “forgiata nella lotta”. E, dunque, il “Vecchio” diceva:
«È ridicolo, quanto assurdo, discutere se sia opportuno “fondarla”. Un’Internazionale non si “fonda” come fosse una cooperativa: la si costruisce nella lotta»[29].
Oppure, ancora, rispetto alla critica di un’elaborazione teorica non del tutto completa:
«La Quarta Internazionale non uscirà completamente elaborata dalle nostre mani come Minerva dalla testa di Giove. Crescerà e si svilupperà nella teoria come nell’azione»[30].
L’Opposizione in Unione Sovietica
La “testardaggine” e il puntiglio di Trotsky nell’insistere sulla costruzione in Europa trova la sua spiegazione nel fatto che proprio questo continente egli reputava centrale per la nascita di un partito rivoluzionario mondiale, dal momento che qui erano gravide le condizioni per un conflitto bellico; qui egli vedeva concentrarsi le contraddizioni che avrebbero potuto determinare un’ascesa rivoluzionaria.
Perciò, la tattica dell’entrismo produsse, ad esempio in Francia, dei rilevanti successi; mentre la politica verso quei settori della socialdemocrazia che sviluppavano una tendenza a sinistra consentì al movimento trotskista di reclutare gruppi e quadri che avrebbero in seguito avuto un ruolo importante nella costruzione della Quarta Internazionale.
Ma la sezione più importante dell’Osi, numericamente e per radicamento, era nell’Unione Sovietica.
La grande battaglia politica del 1926‑1927 si era conclusa con la sconfitta dell’Opposizione e la deportazione di Trotsky ad Alma‑Ata. Millecinquecento trotskisti vennero espulsi dal partito e presto altre migliaia ne avrebbero seguito le sorti insieme ai militanti più in vista dell’Opposizione[31]: un’avanguardia avviata su un cammino che verrà percorso dalla quasi totalità dei bolscevichi della rivoluzione, giovani o vecchi, indipendentemente dalla loro posizione nello scontro del 1926‑1927. In realtà, l’obiettivo dei primi arresti – già nel 1927 – e più tardi, nel 1928, dell’inizio delle deportazioni di massa, era di spezzare l’Opposizione come organizzazione, privandola di tutti i suoi dirigenti e quadri.
Nel 1929, Trotsky venne espulso dal territorio dell’Unione Sovietica. Secondo i verbali della riunione dell’Ufficio politico[32], Stalin argomentò la proposta di espulsione basandola, tra l’altro, sul fatto che finché egli fosse restato nel Paese avrebbe potuto dirigere ideologicamente l’opposizione, la cui forza numerica non smetteva di aumentare.
In realtà, ciò che, per bocca dello stesso Stalin, era vero nel 1929 – e Trotsky stesso stimava, sulla base di atti ufficiali, che nel solo 1928 ben 8.000 oppositori erano stati arrestati, deportati e condannati a pene detentive – si confermò negli anni successivi.
Nonostante la dura repressione, gli oppositori si mostravano sempre più come gli unici continuatori delle tradizioni del Partito bolscevico. Ad essi si avvicinavano settori di massa che conservavano quelle tradizioni, riconoscendo in tal modo questo ruolo all’Opposizione, la quale, facendosi portavoce del malcontento sociale prodotto dalle vistose diseguaglianze, rappresentava perciò una minaccia potenziale contro la dominazione della burocrazia sovietica. È per questo che, come sottolinea bene Pierre Broué:
«… la lotta contro il “trotskismo” rappresentò una tappa decisiva nello sviluppo e nell’instaurazione del totalitarismo staliniano, e fu contro i “bolscevico‑leninisti” che fu messo a punto e perfezionato il sistema contemporaneo dell’apparato poliziesco, dalla Gpu ai Gulag»[33].
Andava insomma emergendo nel movimento di massa un orientamento verso l’Opposizione di Sinistra; e il grande timore della burocrazia era che quest’avanguardia, diretta dall’Opposizione, avrebbe potuto intercettare un’eventuale ascesa di massa in un contesto internazionale che lo rendeva altamente probabile.
In carcere gli “irriducibili” (così erano definiti i trotskisti, che perfino nelle durissime condizioni della detenzione riuscivano a spezzare l’isolamento guadagnando anche nella prigionia nuovi adepti e simpatizzanti) discutevano, riuscivano a pubblicare e a far circolare articoli, dibattevano le divergenze, affrontavano questioni teoriche e di attualità. Fu per questo che il carcere di Verkhneuralsk venne definito “l’unica università indipendente dell’Urss”[34].
Fedeli alle proprie idee e in virtù della ferrea disciplina cui erano stati abituati durante la clandestinità sotto lo zarismo, i trotskisti deportati commemorarono sempre le due date del 1° Maggio e del 7 Novembre inscenando manifestazioni interne, cantando L’Internazionale nonostante il divieto e inalberando stracci rossi a mo’ di bandiere. Certo, queste manifestazioni costavano loro molto care: celle di isolamento, aggravamento delle pene inflitte. E quando il regime carcerario diventava insopportabile non restava che l’estrema protesta: lo sciopero della fame, di cui i trotskisti furono protagonisti, dirigendo dei veri e propri “comitati di sciopero” e coinvolgendo anche gli altri prigionieri. E alla Gpu non restava altro che ricorrere alla terribile alimentazione forzata per mezzo di grossi tubi di gomma infilati a forza nelle gole dei deportati, alcuni dei quali tentavano anche il suicidio per sfuggire a questo tremendo sistema.
Valga perciò il riconoscimento fatto ai trotskisti in carcere da Leopold Trepper, fondatore e capo della rete di spionaggio sovietico denominata “l’Orchestra rossa”, e dunque uomo del regime, ma stalinista disilluso, che, arrestato e condannato a dieci anni di carcere per aver osato esigere dai propri superiori una spiegazione sul perché non si fosse tenuto conto delle informazioni da lui fornite per tempo sui piani di Hitler per invadere l’Unione Sovietica, ebbe modo di conoscere durante il suo peregrinare da una prigione all’altra molti militanti trotskisti che divisero con lui il destino della prigionia e a cui dedicò queste parole:
«I bagliori dell’Ottobre si spegnevano nel crepuscolo carcerario. La rivoluzione degenerata aveva dato vita a un sistema di terrore e d’orrore in cui gli ideali del socialismo venivano cancellati in nome di un dogma fossilizzato che i carnefici avevano ancora il coraggio di chiamare marxismo. E tuttavia noi seguimmo la corrente, interiormente lacerati ma docili, stritolati dall’ingranaggio che avevamo messo in moto con le nostre stesse mani. Rotelle dell’apparato, terrorizzati fino all’angoscia, ci costruimmo gli strumenti della sottomissione. Tutti coloro che non si sono erti contro la macchina staliniana sono responsabili, collettivamente responsabili: io non sfuggo a questo giudizio. Ma chi, in quel periodo, protestò? Chi si levò per gridare il proprio disgusto? I trotskisti possono rivendicare quell’onore. Sull’esempio del loro capo, che pagò la sua testardaggine con un colpo di piccone, essi combatterono totalmente lo stalinismo: e furono i soli. All’epoca delle grandi purghe, essi potevano urlare la loro rivolta solo negli immensi spazi ghiacciati ove erano stati trascinati per meglio essere sterminati. Nei campi, la loro condotta fu degna e anche esemplare: ma la loro voce si perse nella tundra. Oggi i trotskisti hanno il diritto di accusare coloro che un tempo urlarono sfrenatamente con i lupi. Essi non devono però dimenticare che su di noi possedevano l’immenso vantaggio di avere una visione politica complessivamente coerente, suscettibile di sostituire lo stalinismo, e alla quale potevano aggrapparsi nel profondo sconforto della rivoluzione tradita»[35].
Il Terrore staliniano. La “soluzione finale”
In questo quadro, il Terrore staliniano, cioè i tre Processi di Mosca – in cui vennero condannati a morte e giustiziati grazie a false accuse estorte con la tortura quasi tutti i più importanti dirigenti della Rivoluzione d’Ottobre, indipendentemente dalla loro adesione all’Opposizione di Sinistra – e le Grandi Purghe, costituirono una sorta di guerra civile preventiva per impedire il trionfo di una rivoluzione politica che, sconfiggendo la burocrazia stalinista, ristabilisse la prospettiva rivoluzionaria in Urss. E fu esattamente per queste ragioni che Stalin decise quella che sarebbe stata la “soluzione finale”.
Sul finire del 1936, la quasi totalità dei bolscevico‑leninisti ancora vivi era stata internata nei campi di Vorkuta, al di là del circolo polare artico con temperature di ‑50°.
Nonostante le condizioni inumane, i trotskisti rifiutavano di lavorare oltre le otto ore, ignoravano sistematicamente il regolamento carcerario, criticavano apertamente Stalin e, nell’autunno del 1936, dopo il primo Processo di Mosca, organizzarono manifestazioni di protesta mentre un’assemblea generale votava lo sciopero della fame con una serie di rivendicazioni: separazione dei prigionieri politici dai comuni; riunificazione in un unico campo dei nuclei familiari dispersi; lavoro conforme alla specializzazione professionale di ciascuno; diritto a ricevere libri e giornali; miglioramento delle condizioni di alimentazione e di vita.
Lo sciopero della fame durò 132 giorni. Furono impiegati tutti i mezzi per farlo cessare (alimentazione forzata, sospensione del riscaldamento), ma inutilmente: gli scioperanti resistettero. Improvvisamente, agli inizi di marzo del 1937, da Mosca giunse l’ordine di soddisfare le rivendicazioni.
Ma la tregua durò poco: qualche mese dopo, l’alimentazione fu ridotta e i carcerieri incitavano i prigionieri comuni alla violenza contro i trotskisti, che infine vennero tutti radunati in un campo apposito, ricavato da una vecchia fabbrica di mattoni, circondato da filo spinato e sorvegliato da guardie armate giorno e notte.
Una mattina del marzo 1938 trentacinque di loro, uomini e donne, vennero portati nella tundra, allineati vicino a fosse già scavate e uccisi a colpi di mitragliatrice. Giorno dopo giorno, a gruppi di una quarantina circa, vennero tutti sterminati[36]. L’uomo che era stato incaricato da Stalin della “soluzione finale” si chiamava Kachketin, era il comandante del campo e a lui si attribuisce l’uccisione di decine di migliaia di oppositori, un compito che egli eseguiva con zelo nella speranza di una promozione: promozione che non arrivò. Arrivò invece una convocazione a Mosca, dove, appena messo piede, fu arrestato e fucilato. Era un testimone troppo scomodo e troppo ben informato sul massacro.
L’epurazione non riguardò solo i comunisti sovietici: decine di migliaia di comunisti stranieri che vivevano in Unione Sovietica furono sterminati e le purghe si abbatterono sui militanti in tutti i partiti comunisti del mondo, facendo registrare gli assassini selettivi di chi si fosse collocato politicamente alla sinistra del Cremlino.
Il grande Terrore staliniano equivalse dunque a un genocidio politico: venne massacrata l’intera specie dei bolscevichi antistalinisti. Si consumò così quella che Victor Serge avrebbe chiamato “la mezzanotte del secolo”[37].
L’atto finale: l’assassinio di Trotsky
Eppure, nonostante la portata tragica e macabra di questi eventi, restava in vita colui che incarnava la tradizione rivoluzionaria bolscevica. La farsa dei Processi di Mosca non era riuscita a macchiare l’onore e la figura di León Trotsky, principale accusato e condannato a morte in contumacia. Se la Quarta Internazionale appena fondata rappresentava, per le condizioni in cui era nata, il corpo di un nano, su quel corpo si ergeva la testa di un gigante. E appunto contro quella testa si indirizzarono tutti gli sforzi della mostruosa macchina burocratica e dell’apparato poliziesco di Stalin. Anche da un punto di vista simbolico, l’assassinio di Trotsky con un colpo di piccozza sul capo era diretto a spegnere l’unica voce ancora in grado di far tremare la burocrazia sovietica.
Dopo aver fatto terra bruciata intorno a lui eliminando i suoi più stretti collaboratori, dopo averlo privato anche dei suoi affetti familiari, uccidendo o determinando la morte dei suoi quattro figli, dei due generi, della prima moglie, dopo un fallito tentativo nel maggio 1940, infine la Gpu staliniana riuscì ad eliminare nel successivo mese di agosto l’ultimo autentico erede degli ideali della Rivoluzione d’Ottobre.
Nei due anni successivi alla sua fondazione, la Quarta Internazionale ha avuto nel movimento operaio mondiale un ruolo fondamentale per le sue analisi sull’incipiente Seconda guerra mondiale: le elaborazioni di Trotsky e della sua neonata organizzazione restano insuperate per lo studio minuzioso e l’inquadramento preciso delle condizioni che portavano ineluttabilmente allo scoppio del conflitto bellico. Analogamente, la disamina sul ruolo degli Usa rispetto alla guerra appare di una precisione che nessun commentatore politico dell’epoca riuscì a raggiungere.
La giovane Quarta aveva rivolto una speciale attenzione al lavoro e all’organizzazione della gioventù e considerò l’importanza di guadagnare a una politica rivoluzionaria gli intellettuali e gli artisti: esemplare, in questo senso, è il Manifesto per un’Arte Rivoluzionaria, scritto da Trotsky insieme a André Breton e Diego Rivera. Un altro tema affrontato era stato quello delle nazionalità oppresse, riprendendo e ampliando la questione del diritto all’autodeterminazione dei popoli che fu centrale per la Terza Internazionale prima della stalinizzazione.
Tuttavia, la direzione politica della Quarta subì la cesura dovuta all’assassinio di Trotsky per mano del sicario di Stalin, Ramón Mercader.
Fu così che la giovane organizzazione rivoluzionaria entrò nei grandi avvenimenti della Seconda guerra mondiale orfana di direzione. Eppure, nonostante le difficili condizioni dettate dal dominio nazista in Europa e la limitatezza delle proprie forze, i trotskisti svolsero anche nella resistenza un ruolo addirittura eroico, perseguitati e incarcerati dai governi “democratici” di Inghilterra e Stati Uniti e braccati dagli stalinisti e dai nazisti.
Un bilancio
A mo’ di conclusione, possiamo tentare un bilancio per rispondere a quelle critiche, ancor oggi ricorrenti, che descrivono Trotsky e i suoi seguaci come un gruppo di incorreggibili settari, infarciti di dottrinarismo slegato dalla realtà politica e dalla lotta di classe.
Chi avanza questi argomenti dovrebbe però spiegare perché Stalin mise in campo su larga scala la repressione di massa dalla fine degli anni 30 contro tutti quelli che in qualche modo si erano impegnati con il “trotskismo”; perché disegnò su misura per i trotskisti l’universo concentrazionario dei gulag; perché, all’interno dei campi di concentramento, separava i trotskisti da tutti gli altri detenuti creando per essi – e solo per essi – prigioni speciali; perché, se si trattava di settari impenitenti o sognatori utopisti, fu necessario sterminarli fino all’ultimo uomo nei campi di Vorkuta e di Kolyma; perché, infine, fra i milioni di detenuti liberati dai campi dopo la morte di Stalin, sopravvissero menscevichi, socialisti rivoluzionari, zinovievisti, “destri”, mentre i trotskisti scampati alla morte si contarono sulle dita di una sola mano[38].
Chi avanza queste critiche dovrebbe spiegare ancora perché una delle menti più lucide dell’imperialismo, Winston Churchill, nel 1929, quando Trotsky era indubbiamente l’uomo più indifeso del mondo, sconfitto insieme alla sua Opposizione di Sinistra, espulso dall’Urss ed esiliato nella recondita isola turca di Prinkipo, fu spinto a dedicargli un saggio intitolato “Trotsky, l’orco d’Europa”, denotando perciò il timore per quel che il rivoluzionario russo rappresentava per l’ordine capitalistico[39]; e perché, nel 1937, dopo aver appoggiato i Processi di Mosca, gli dedicò un intero capitolo di un suo libro definendolo “il morbo del cancro” (mentre nello stesso libro parlava con ammirazione di Hitler)[40].
Chi sostiene questa tesi dovrebbe, infine, spiegare perché, nel 1939, molte settimane dopo la firma del patto Hitler‑Stalin, in un incontro (su cui ebbero a riferire, sul finire dell’agosto 1939, i quotidiani francesi Le Temps e Paris Soir) con l’ambasciatore francese presso il Terzo Reich, Robert Coulondre, il Führer si fosse vantato delle mani libere che il patto gli lasciava in Europa. E quando Coulondre gli fece notare che in caso di guerra il vero vincitore sarebbe stato Trotsky, Hitler saltò su tutte le furie rispondendo che lo sapeva bene ma che la colpa sarebbe stata tutta dei suoi nemici (intendendo Francia e Inghilterra)[41].
Tutto ciò dimostra senza dubbio che la borghesia percepiva chiaramente il pericolo per l’ordine mondiale imperialista che, sullo sfondo di un conflitto bellico, potesse materializzarsi lo spettro di una rivoluzione vittoriosa a cui dava il nome di Trotsky[42].
L’assassinio di Trotsky, dunque, non fu il prodotto di una vendetta personale, né un regolamento di conti fra diverse frazioni comuniste, quanto piuttosto un fatto politico di primaria importanza in cui la burocrazia staliniana agì per conto della borghesia imperialista che già le aveva dato il proprio appoggio per quel che concerne i Processi di Mosca, nei quali Trotsky era l’accusato principale e condannato a morte in contumacia.
D’altro canto, la pur giovane e debole Quarta Internazionale si andava trasformando in un fattore oggettivo della politica mondiale, tanto da giustificare, come abbiamo visto, la concordanza fra Hitler e l’ambasciatore francese Coulondre e l’odio congiunto degli stalinisti, dei nazisti e dei “democratici” liberali. Era perciò necessario soffocarla nella culla massacrandone i militanti e i potenziali aderenti, uccidendone i principali dirigenti, Trotsky su tutti.
L’episodio appena riferito dimostra inequivocabilmente che i Paesi imperialisti da un lato, e la cricca burocratica al potere in Urss dall’altro, avevano ben compreso che Trotsky – o, per meglio dire, il progetto che egli incarnava col suo incessante sforzo di fondare un’Internazionale rivoluzionaria – costituiva un pericolo mortale per il dominio sul mondo della borghesia e di quella che si stava affermando come suo organo e agente: la controrivoluzionaria burocrazia staliniana. Quel progetto non doveva essere portato a compimento!
Nelle condizioni della “mezzanotte del secolo” in cui venne fondata la Quarta Internazionale, il compito ideologico e politico di León Trotsky era stato gigantesco. Ed egli lo affrontò fino alle estreme conseguenze, pagando con la propria vita ma creando anche le basi per un autentico pensiero ed una vera azione rivoluzionaria nella tappa politica successiva, la nostra. Il gigante rivoluzionario del XX secolo proietta la sua ombra sul XXI secolo, cioè sulla nostra stessa storia.
Per questo, fra tante citazioni che si potrebbero fare in chiusura di questo testo ci sembra appropriato riportare un passo dell’orazione funebre per Trotsky pronunciata da James Cannon, dirigente del Swp americano e della Quarta Internazionale:
«Noi non neghiamo che il dolore stringa i nostri cuori. Ma il nostro non è il dolore della prostrazione, il dolore che consuma la volontà. Esso è temprato dalla rabbia, dall’odio e dalla determinazione. Lo tramuteremo nella volontà di continuare a lottare con tutte le nostre forze per proseguire la battaglia del “Vecchio”. I suoi discepoli gli dicono addio nel modo più degno, da buoni soldati dell’armata di Trotsky. Non rannicchiati nella debolezza e nella disperazione, ma in piedi, con gli occhi asciutti e i pugni chiusi. Con la canzone della lotta e della vittoria sulle nostre labbra. Con la canzone della fede nella Quarta Internazionale di Trotsky, il Partito internazionale della razza umana!»[43].
Note
[1] L. Trotsky, “La fondation de la IVe Internationale”, in Œuvres, vol. 19, EDI, 1978, pp. 99 e ss.
[2] L. Trotsky, Diario d’esilio, Il Saggiatore, 1969, pp. 72‑73.
[3] Per un resoconto sullo svolgimento del Congresso fondativo rinviamo a Les congrès de la Quatrième Internationale, vol. 1 (1930‑1940), Éditions La Brèche, 1978, pp. 199 e ss.
[4] P. Broué, La rivoluzione perduta. Vita di Trotsky, 1879–1940, Bollati Boringhieri, 1991, p. 882.
[5] Les congrès de la Quatrième Internationale, cit., p. 251.
[6] Per approfondire le vicende della Noi è utile riferirsi al testo All’opposizione nel Pci con Trotsky e Gramsci. Bollettino dell’Opposizione Comunista Italiana (1931‑1933), Massari editore, 2004.
[7] Per conoscere la vita, l’attività politica e le circostanze della morte di Pietro Tresso non si può prescindere da P. Casciola‑G. Sermasi, Vita di Blasco. Pietro Tresso, dirigente del movimento operaio internazionale, Odeonlibri ISMOS, 1985; U. De Grandis, “È perché siamo rimasti giovani”. Vita e morte di Pietro Tresso “Blasco”, rivoluzionario scledense, Libera Assoc. Cult. “Livio Cracco”, 2012; A. Azzaroni, Blasco. La riabilitazione di un militante rivoluzionario, Edizioni Azione Comune, 1963; P. Broué‑R. Vacheron, Assassinii nel maquis. La tragica morte di Pietro Tresso, Prospettiva Edizioni, 1995; A. Bianchi, Pietro Tresso (1893–1943) e “l’opposizione dei tre”, su questo stesso sito.
[8] I. Deutscher, Il profeta esiliato, Longanesi, 1965, pp. 532‑533.
[9] Tra gli altri, P. Broué, La rivoluzione perduta. Vita di Trotsky, 1879–1940, cit., pp. 839‑841; ancora P. Broué, “Les trotskystes en Union soviétique (1929–1938)”, in Cahiers Léon Trotsky, n. 6, EDI, 1980, p. 53.
[10] Per una minuziosa descrizione di questa battaglia, sorta all’interno del Comitato centrale, si veda E.H. Carr, La morte di Lenin. L’interregno 1923–1924, Einaudi, 1965, pp. 274 e ss. Una sintesi degli eventi si trova in L. Trotsky, La mia vita, Mondadori, 1961, pp. 410 e ss.
[11] L. Trotsky, “Tareas y métodos de la Oposición de Izquierda Internacional”, Ceip León Trotsky, all’indirizzo http://tiny.cc/jfs5bz.
[12] Si veda la serie di scritti raggruppati sotto il titolo “La crisi della Germania e l’avvento di Hitler (1930–1933)”, raccolti in L. Trotsky, I problemi della rivoluzione cinese e altri scritti su questioni internazionali, 1924‑1940, Einaudi, 1970, pp. 301 e ss. Si veda anche l’altra serie di testi della sezione Il proletariato tedesco e la lotta contro il nazismo (1931‑1933), in L. Trotsky, Scritti 1929–1936, Mondadori, 1970, pp. 291 e ss.
[13] La politica del socialfascismo fu il frutto di una teorizzazione che prendeva le mosse da un testo di Stalin in cui la socialdemocrazia veniva definita «l’ala moderata del fascismo», con la conseguenza che «queste organizzazioni non si escludono tra di loro, ma si completano a vicenda. Non sono antagoniste, ma gemelle» (J. Stalin, “La situazione internazionale”, 20/9/1924, in Opere complete, vol. 6, Edizioni Rinascita, 1952, pp. 339‑340). Sulla base di questo assunto, nel 1928 l’analisi del Comintern si fondò su una lettura completamente errata della realtà internazionale, secondo cui, dopo un primo periodo (1917‑1924) di crisi del capitalismo e ascesa rivoluzionaria e un secondo (1925‑1928) di sua stabilizzazione, si apriva una nuova e più imponente fase di ascesa rivoluzionaria (il c.d. “terzo periodo”) in cui i partiti riformisti e socialisti rappresentavano un nemico del proletariato, in quanto freno delle lotte. Dalla stolta equiparazione staliniana tra fascismo e socialdemocrazia alla definizione di “socialfascisti” dei socialisti il passo fu breve e avrebbe poi avuto conseguenze tragiche, come vedremo nel prosieguo del testo. La suicida tattica del “terzo periodo” – che solo Trotsky denunciò e vanamente tentò di contrastare – portò alla disfatta senza alcuna resistenza del pur gigantesco e organizzato proletariato tedesco. Per un’analisi approfondita della tattica del “terzo periodo”, L. Trotsky, “El ‘Tercer período’ de los errores de la Internacional Comunista”, Ceip León Trotsky, all’indirizzo http://tiny.cc/ovx4bz. Per un approfondimento più generale sulle tragiche conseguenze dell’applicazione di questa tattica ultrasinistra, L. Trotsky, I problemi della rivoluzione cinese e altri scritti su questioni internazionali, 1924‑1940, cit., pp. 301 e ss.; L. Trotsky, La Terza Internazionale dopo Lenin, Schwarz editore, 1957, pp. 241 e ss.; L. Trotsky, Revolucão e contrarrevolucão na Alemanha, Editora Instituto José Luís e Rosa Sundermann, 2011.
[14] Riportato in P. Broué, La rivoluzione perduta. Vita di Trotsky, 1879–1940, cit., p. 704.
[15] L. Trotsky, “Il faut un nouveau parti en Allemagne”, in Œuvres, cit., vol. 1, p. 55.
[16] Concetto, questo, ripreso e ampliato in L. Trotsky, “La tragedia del proletariato tedesco”, da I problemi della rivoluzione cinese e altri scritti su questioni internazionali 1924‑1940, cit., p. 413.
[17] L. Trotsky, “Il faut un nouveau parti en Allemagne”, cit., p. 57.
[18] Jane Degras, Storia dell’Internazionale Comunista, t. III (1929/1943), Feltrinelli, 1975, pp. 278 e ss.
[19] Michel Dreyfus, “Trotsky dall’opposizione di sinistra ai fondamenti di una nuova Internazionale (1930‑1935)”, in Trotsky nel movimento operaio del XX secolo, Il Ponte – La Nuova Italia, 1980, p. 1324.
[20] L. Trotsky, “Les organisations socialistes de gauche et nos tâches”, in Œuvres, cit., vol. 1, pp. 209 e ss.
[21] Jean Van Heijenoort, Con Trotsky, de Prinkipo a Coyoacán (Testimonio de siete años de exilio), Editorial Nueva Imagen, 1979, pp. 53 e ss.
[22] L. Trotsky, “Il faut construir de nouveau des partis communistes et un nouvelle Internationale”, in Œuvres, cit., pp. 251 e ss.
[23] «Nei partiti socialisti si sta formando una tendenza verso la sinistra. Dobbiamo orientarci verso queste correnti»: L. Trotsky, “Por nuevos partidos comunistas y una nueva Internacional”, Ceip León Trotsky, all’indirizzo http://tiny.cc/32b5bz.
[24] P. Broué, “Trotsky et la IVe Internationale”, in Pensiero e azione politica in Lev Trotsky, Olschki, 1982, vol. II, p. 501.
[25] L. Trotsky, “La Ligue devant un tournant décisif”, in Œuvres, cit., vol. 4, pp.105 e ss.
[26] Ibidem.
[27] L. Trotsky, “Pour la IVe Internationale. Lettre ouverte aux organisations et groupes revolutionnaires prolétariens”, in op. ult. cit., pp. 346 e ss.
[28] P. Broué, “Trotsky et la IVe Internationale”, cit., pag. 520.
[29] L. Trotsky, “La nouvelle montée et les tâches de la IVe Internationale”, in Œuvres, cit., vol. 10, p. 157.
[30] L. Trotsky, “«Pour» la IVe Internationale? Non! La IVe Internationale!”, in Œuvres, cit., vol. 17, p. 157.
[31] V. Serge, Memorie di un rivoluzionario, Edizioni e/o, 1999, p. 263. Analogamente, P. Broué, El partido bolchevique, Editora Instituto José Luís e Rosa Sundermann, vol. 1, p. 362.
[32] P. Broué, op. ult. cit., p. 387. Si veda anche, dello stesso Autore, La rivoluzione perduta, cit., p. 557.
[33] P. Broué, “Les trotskystes en Union soviétique”, cit., p. 9.
[34] Così A. Ciliga, Nel Paese della grande menzogna, ripreso da P. Broué, op. ult. cit., p. 34.
[35] L. Trepper, Il grande gioco, Arnoldo Mondadori Editore, 1976, p. 63.
[36] J.J. Marie, “Les trotskystes à Vorkouta”, in Cahiers du mouvement ouvrier, n. 34, Cermtri, 2007, pp. 91 e ss. Sul campo di Vorkuta si veda pure M.B., “Les trotskystes à Vorkouta (1937‑1938)”, Marxists Internet Archive, all’indirizzo http://tiny.cc/d3m6bz. Può anche essere utile riferirsi alle memorie di D. Corneli, Il redivivo tiburtino. Un operaio italiano nei lager di Stalin, Libri Liberal, 2000.
[37] Una mezzanotte che trova riscontro in alcuni numeri. Dei 21 membri del Cc bolscevico del 1917, solo sette morirono per cause naturali; due furono uccisi dai russi bianchi; uno – Trotsky – assassinato da un agente della Gpu; dieci vennero fucilati nelle prigioni staliniste e l’ultimo scomparve senza lasciare traccia, probabilmente assassinato nel 1938. Fra il 1918 e il 1921, 31 bolscevichi furono membri del Cc: solo otto morirono per cause naturali; 18 furono assassinati dal terrore stalinista. Il primo Ufficio politico del Cc nell’ottobre del 1917 era composto di sette membri: solo due morirono per cause naturali; gli altri cinque vennero assassinati dal terrore stalinista. Cinque erano i membri sovietici del primo Comitato Esecutivo della Terza Internazionale: solo uno – Lenin – morì per cause naturali. Dei 139 membri effettivi e supplenti del Cc eletto nel XV Congresso del partito nel 1934, dieci erano già stati imprigionati nella primavera del 1937; 98 furono arrestati e uccisi nel 1937‑1938. Dei 1.956 delegati a questo congresso, 1.108 furono arrestati e accusati di attività controrivoluzionarie. Nel periodo fra il 1937 e il 1938 furono arrestate 1.548.366 persone accusate di attività antisovietiche: di esse 681.692 vennero fucilate. Lo stesso Trotsky, pochi giorni prima della sua morte, scrisse: «Non è casuale se il 90% dei rivoluzionari che costituirono il Partito Bolscevico, fecero la Rivoluzione d’ottobre, crearono lo Stato sovietico e l’Armata Rossa, diressero la guerra civile, è stato sterminato con l’accusa di “tradimento” negli ultimi dodici anni. In cambio, l’apparato stalinista ha portato nelle sue file, in questo stesso periodo, la grande maggioranza di quelli che, negli anni della rivoluzione, erano stati dall’altro lato della barricata» (L. Trotsky, “L’attentat du 24 Mai et le Parti communiste mexicain. Le Comintern e le Gpu”, in Œuvres, cit., vol. 24, pp. 312‑313). Per un panorama complessivo delle vicende che culminarono in quello che è stato definito “il massacro di una generazione”, non possiamo esimerci dal raccomandare la lettura del libro di P. Broué, Comunisti contro Stalin, AC Editoriale, 2016.
[38] Così, espressamente, P. Broué, “Les trotskystes en Union soviétique”, cit., pp. 62‑63. Si veda anche P. Merlet, L’Opposition Communiste en Urss. Les trotskystes, t. II, Les Bons Caractères, 2014, pp. 119 e ss.
[39] I. Deutscher, Il profeta esiliato, cit., pp. 43‑44.
[40] «Io odio Trotsky!», disse Churchill all’ambasciatore sovietico nel 1938, aggiungendo che era davvero un bene che Stalin volesse fare i conti con lui (The New Yorker, 30/11/2009). In realtà, come notava C.L.R. James (“Trotsky’s Place in History”, in The New International, settembre 1940, p. 166), «Winston Churchill lo odiava, animato da una malvagità personale che sembrava oltrepassare i limiti della ragione, [perché] consapevole della sua statura, del potere di ciò che egli rappresentava e mai illudendosi dell’esiguità delle sue forze».
[41] L’episodio è riportato dallo stesso Trotsky (“Encore une fois sur la nature de l’Urss”, in Œuvres, cit., vol. 22, pp. 109‑110; ed è ripreso anche da I. Deutscher, Il profeta esiliato, cit., pp. 647‑648, e da D. North, In defence of Leon Trotsky, Mehring Books, 2010, p. 5.
[42] «Beninteso, qui il nome di una persona non ha che un carattere convenzionale. Ma non è un caso se il diplomatico democratico e il dittatore totalitario attribuiscano entrambi allo spettro della rivoluzione il nome dell’uomo che il Cremlino considera come il suo nemico principale. I due interlocutori sono d’accordo, come se andasse da sé, che la rivoluzione si svilupperebbe sotto una bandiera ostile al Cremlino» (L. Trotsky, “Hitler et Staline, étoiles jumelles”, in Œuvres, cit., vol. 22, p. 185).
[43] J. Cannon, “To the Memory of the Old Man”, in Socialist Appeal, vol. IV, n. 36, 7/9/1940, pp. 2‑3.