La crisi in cui si dibatte la sinistra rivoluzionaria a livello internazionale, tanto più in un momento in cui un’onda conservatrice (se non addirittura reazionaria) è particolarmente palpabile, rappresenta indubbiamente un tema ineludibile di discussione. I settori più avveduti fra quelli che si richiamano al marxismo rivoluzionario – eccezion fatta per le sette, che infatti disconoscono questa realtà teorizzando invece che saremmo calati addirittura in una “situazione rivoluzionaria” – hanno iniziato ad affrontare un dibattito su come guadagnare influenza sulla classe lavoratrice per organizzarla come classe “per sé” strappandola al nefasto influsso delle idee dominanti della borghesia e dei suoi agenti istituzionali. E questo dibattito involge inevitabilmente la questione del “soggetto” rivoluzionario, il partito e la sua “forma”.
Il collettivo che anima questo sito intende partecipare al confronto di idee proponendo d’ora in avanti una serie di testi che abbiamo ritenuto utili per approfondire lo studio teorico del tema. Iniziamo perciò proponendo un breve saggio dello studioso marxista Rolando Astarita, il quale, prendendo spunto dalle vicende che in queste settimane vedono protagonista una delle organizzazioni rivoluzionarie argentine, il Partido Obrero, affronta la questione del “partito di lotta”.
Torneremo in argomento con altri contributi. Intanto, buona lettura.
La redazione
Partito marxista o partito “di lotta”?
Rolando Astarita [*]
In questi giorni ho letto dei documenti, che sono pubblici, relativi alla discussione che si sta sviluppando all’interno del Partido Obrero tra la maggioranza della direzione e la tendenza (o frazione) diretta da Jorge Altamira e Marcelo Ramal. Senza entrare nel merito delle questioni più generali involte nel dibattito – che sono relazionate alle analisi, la politica e la strategia del trotskismo – in questa nota voglio spiegare la mia differenza con l’idea, espressa nel documento della maggioranza della direzione del PO, che il partito marxista debba essere un partito “di lotta”. Per essere più precisi rispetto a ciò che si vuole sostenere, questo partito “di lotta” viene contrapposto a “un gruppo di propaganda”. Si tratta di una concezione molto diffusa fra i militanti.
Ebbene, sono contrario a quest’idea. Allo scopo di evitare false polemiche, chiarisco subito che, naturalmente, il partito deve partecipare, stando in prima fila, alle lotte della classe operaia. Ma deve portarle avanti nella misura in cui esse sono parte della lotta della classe operaia contro la borghesia e il suo Stato; e con la consapevolezza che finché non avrà influenza nel movimento di massa, l’asse della sua attività è dato dall’agitazione e dalla propaganda, oltre che dall’organizzazione dei lavoratori che decidono di aderire al partito. Per andare al nocciolo: se c’è uno sciopero, i militanti del partito vi parteciperanno con tutte le loro forze, e il partito cercherà di estendere l’appoggio e la solidarietà tra le classi popolari. Ma non è suo compito quello di rimpiazzare gli operai in lotta, ad esempio, costituendo i picchetti di sciopero con i propri militanti, in sostituzione dell’azione della classe. E così pure, non è suo compito sostituire la classe operaia nei suoi scontri con l’apparato dello Stato, o col governo di turno o qualcuna delle sue istituzioni.
Perciò, quel che distingue il partito marxista non è l’essere “il più combattivo”. Anche altri settori possono stare in prima fila nella lotta, ad esempio in una lotta per rivendicazioni sindacali. Perciò, i lavoratori potranno verificare, sulla base della propria esperienza, che diversi gruppi – e cioè, non solo i partiti marxisti – sono disposti a lottare e rischiare in scontri che possono sembrare “decisivi”. La questione è importante perché, dopo tutto, sono esistite, e ancora esistono, molte organizzazioni che sono state “di lotta” (contro dittature militari, per esempio; o in difesa del nazionalismo), ma che non per questo hanno agitato un programma socialista. In America Latina molte organizzazioni armate – indubbiamente “di lotta” – hanno finito per appoggiare, o perfino partecipare o dirigere (ce n’è per tutti i gusti) governi borghesi. Va dunque sottolineato che il partito marxista si differenzia da questo tipo di organizzazioni perché ha un programma, una strategia e una politica radicalmente diversi, basati su un’impostazione teorica anch’essa radicalmente diversa.
È per questo che Lenin sosteneva che ciò che distingue un socialista da un buon sindacalista è che il primo non si limita ad essere un bravo combattente sociale, ma presenta alcune idee più generali e di più ampia prospettiva (si veda il celebre saggio Che fare?). Un’idea, questa, già presente nel Manifesto del partito comunista, in cui Marx ed Engels scrivevano: «I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solamente per il fatto che da un lato, nelle varie lotte nazionali dei proletari, essi mettono in rilievo e fanno valere quegli interessi comuni dell’intiero proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità; d’altro lato per il fatto che, nei vari stadi di sviluppo che la lotta tra proletariato e borghesia va attraversando, rappresentano sempre l’interesse del movimento complessivo». Precisiamo che per «altri partiti proletari» Marx ed Engels si riferivano a partiti (come il cartismo inglese) che perseguivano lo scopo della «formazione del proletariato in classe, rovesciamento del dominio borghese, conquista del potere politico da parte del proletariato»[1]. Va anche osservato che questo criterio esclude l’idea che il partito educa le masse mettendo in campo azioni esemplari avanguardiste.
Agitazione e propaganda dallo stesso movimento di massa
Quanto segnalato qui si combina con una concezione di intervento “dall’interno” del movimento di massa. Marx espresse questo criterio in una lettera a Ruge del settembre 1843:
«… non affronteremo il mondo in modo dottrinario, con un nuovo principio “qui è la verità, inginocchiati davanti ad essa!”. Svilupperemo invece nuovi principi per il mondo partendo dai principi del mondo stesso. Anziché dirgli: “Cessa le tue lotte, sono sciocchezze; ti forniremo noi la vera parola d’ordine della lotta”, gli mostreremo semplicemente per cosa sta effettivamente combattendo, poiché è la coscienza ciò che esso deve acquisire, anche se non vuole»[2].
Considerati gli “usi e costumi” nella sinistra argentina, voglio evidenziare il rifiuto di Marx a “gridare al mondo la vera parola d’ordine della lotta”, e invece la sua enfasi nello spiegare “perché effettivamente combatte”. Un’idea che si lega con ciò che si intende per “agitazione”. In generale, oggi per agitazione si intende ripetere come una litania alcune parole d’ordine (come ad esempio, “Via Macri e il Fmi”, “Sciopero generale”, “Non paghiamo il debito”, e così via). Ma l’agitazione, come la si intendeva nella tradizione socialista non era questo, bensì era lo spiegare alle masse, in modo semplice e comprensibile, una o due idee (mentre la propaganda consiste nello spiegare un insieme di idee a pochi). È per questo che Lenin diceva che l’agitazione era un’arte. Un caso da manuale di quest’arte fu il compito, intrapreso da migliaia di militanti nei mesi successivi al trionfo della Rivoluzione di febbraio del 1917, di spiegare alle masse che tutto il potere doveva passare ai soviet. È estremamente indicativo, d’altra parte che in quell’occasione furono rivolte a Lenin critiche perché l’asse dell’attività rivoluzionaria era diventata un “puro compito di propaganda”: spiegare a molti che il potere sarebbe dovuto passare ai soviet.
Segnalo inoltre che in tutto questo tema c’è un aspetto abbastanza curioso: benché si parli con disprezzo della propaganda – l’accusa frequente per cui “il tuo è propagandismo!” – nella pratica l’attività principale dei partiti di sinistra è fare una sorta di “agitazione‑propaganda” attraverso le parole d’ordine. Ciò appare in tutta evidenza anche nel documento della direzione del PO a cui mi sono riferito. In esso viene contrapposta l’attività del “gruppo di propaganda” – in cui un dirigente “tiene conferenze” – a quella di reclutare operai “per una combinazione di agitazione, propaganda e organizzazione rivoluzionaria”. Ma se l’agitazione è spiegare poche cose a molti, e propaganda è spiegare molte cose a pochi, si può comprendere che l’asse dell’attività continua ad essere fondamentalmente lo stesso. E si suppone che, sia il militante che si concentra nella propaganda, sia quello che si dedica all’agitazione, cercheranno di guadagnare operai alla propria organizzazione.
Oggi l’asse è spiegare
Che l’asse dei partiti di sinistra consista nell’agitazione e nella propaganda, diventa ancor più chiaro durante le campagne elettorali. Quando i candidati del FIT (Frente de Izquierda y de los Trabajadores) vanno in televisione e spiegano che il debito non può essere pagato, o che sospendendo il pagamento per tre mesi si può mettere fine alla fame in Argentina, oppure che è necessario un governo dei lavoratori, stanno facendo propaganda (o magari agitazione nel senso indicato da Lenin: non ci sono divisioni nette fra propaganda e agitazione). La stessa cosa fa il militante che vende il giornale di partito e cerca di guadagnare elettori, o rappresentanti di lista, o militanti per la sua organizzazione. Il centro della sua attività è spiegare. Se vogliamo definire “di lotta” quest’attività, va bene; ma bisogna tener presente la differenza con “la lotta” di qualsiasi altra organizzazione “combattiva” di avanguardia, di tipo nazionalista, o piccolo‑borghese radicale, ecc. La lotta del marxista è quella in cui entrano in gioco le sue riserve teoriche per affrontare le obiezioni che contro di lui muovono gli ideologi e i politici dei partiti borghesi o piccolo‑borghesi (a questo proposito, bisognerebbe evitare di mandare in Tv rappresentanti che possono pure risultare simpatici, ma che non padroneggiano la teoria marxista). D’altra parte, l’idea che le masse avanzano verso la coscienza socialista perché un gruppo scandisce continuamente al loro indirizzo uno slogan non ha alcun fondamento. Le cose non sono mai andate così; almeno, mai sotto il dominio del capitale (come è oggi in Argentina). Inoltre, gli stessi che concepiscono l’agitazione come una monotona ripetizione di una o due parole d’ordine, si vedono obbligati a spiegare e sviluppare argomenti quando sono interpellati dai critici. Perciò, insisto: l’agitazione, nel senso della tradizione socialista, è sempre consistita nello spiegare idee. Anche le manifestazioni di piazza realizzate con militanti della sinistra svolgono, oggettivamente, la funzione di richiamare l’attenzione su ciò che non va, o diffondere qualche rivendicazione che, si spera, sia fatta propria dalle masse. E anche questo dovrà essere sempre accompagnato da spiegazioni.
Per concludere, un ricordo personale su ciò che ho pensato molte volte da quando ho rotto con l’idea che basta ripetere insistentemente parole d’ordine “che mobilitano” per far progredire il programma e la politica socialista. Il ricordo riguarda mio nonno paterno. Educato alle vecchie tradizioni del socialismo, ruppe col Partito socialista argentino quando questo non volle aderire alla Terza Internazionale; tuttavia, neanche aderì al Partito comunista, poiché non ne condivideva i metodi, che considerava troppo burocratici e personalisti. Ebbene, mio nonno insisteva nella necessità di spiegare ai lavoratori, in maniera semplice, cos’era lo sfruttamento capitalista. Secondo lui, era la chiave perché i lavoratori (o almeno quelli di avanguardia) rompessero ideologicamente col sistema. E aggiungeva che “il compito è studiare, propagandare, organizzare”. Il fatto è che molti anni dopo scoprii che questa formula la proponeva Lenin quando sintetizzava il compito dei militanti in periodi di dominio più o meno normale della borghesia. E Lenin, a sua volta, l’aveva ripresa da Liebknecht, il rivoluzionario tedesco. E così mi resi conto che era un’idea che attraversava la Seconda Internazionale, orientata da Engels. Era la vera “lotta” del militante marxista: studiare, propagandare, organizzare.
[*] Rolando Astarita è uno studioso marxista di economia. Insegna all’Università di Quilmes e di Buenos Aires, in Argentina.
(Traduzione di Ernesto Russo)
Note
[1] K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista, Editori riuniti, 1996, pp. 23‑24.
[2] K. Marx a A. Ruge, Un carteggio del 1843, Kreuznach, settembre 1843, in Marxists Internet Archive. [La lettera è inserita in A. Ruge‑K. Marx, Annali franco-tedeschi, Massari editore, 2001, pp. 71 e ss. Curiosamente, però, la traduzione italiana omette l’espressione finale del passaggio citato – “anche se non vuole” – secondo noi mutilandolo e privandolo dell’energia impressagli da Marx: Ndt].