Con la seconda parte del saggio di John Riddell, ne completiamo lo studio sulla nascita della Terza Internazionale, la cui prima parte è già stata pubblicata in italiano su questo sito.
Come sempre accade quando presentiamo ai nostri lettori un saggio storico, il nostro intendimento non è già quello di fare una commemorazione fine a se stessa di un dato evento, ma invece di stimolare la riflessione collettiva perché dalla ricostruzione dei fatti possano trarsi gli insegnamenti utili per affrontare la realtà odierna della lotta di classe. E crediamo che proprio l’argomento della costruzione di uno strumento internazionale di organizzazione e di lotta dei lavoratori, come fu l’Internazionale comunista, debba – soprattutto in questo frangente storico – essere affrontato con i necessari strumenti dell’analisi marxista.
Buona lettura.
La redazione
Una scommessa eroica: la decisione di costituire l’Internazionale comunista
Cento anni fa: il 4 marzo 1919
John Riddell [*]
Ognuna delle prime riunioni del Comintern si è svolta in modo sorprendente, ma il congresso fondativo fu unico nella sua imprevedibilità. Dopo l’iniziale decisione di rinviare la nascita del nuovo movimento, i delegati cambiarono bruscamente rotta durante il terzo giorno dei dibattiti e lanciarono l’Internazionale comunista.
Questa decisione fu l’evento eccezionale del congresso del 1919 i cui atti e relativi documenti sono disponibili in un’edizione interamente commentata, pubblicata da Pathfinder[1].
Fino alla prevista data di apertura del congresso a Mosca, il 1° marzo, soltanto due delegati erano riusciti a rompere l’assedio imperialista contro la repubblica sovietica e a raggiungere il luogo della riunione. Entrambi ritenevano che fosse troppo presto per lanciare la nuova Internazionale, e uno di essi in particolare – Hugo Eberlein, della Germania – era categorico nella sua opposizione.
Una riunione preliminare tenutasi in quel giorno raccolse queste obiezioni e venne deciso che «la conferenza non sarà formalmente il congresso fondativo della Terza Internazionale» (Founding the Communist International, p. 63 [2012]; p. 39 [1987])[2]. Il cambio di programma prevedeva che ci si limitasse all’adozione di una piattaforma, all’elezione di un ufficio amministrativo e alla proclamazione di un appello per l’affiliazione.
Ma la sessione di apertura del 2 marzo non mise in pratica nulla di tutto ciò. Dopo delle brevi osservazioni di Lenin e l’adozione delle norme procedurali, si passò all’esposizione delle relazioni nazionali. Lenin era alla presidenza, come fece per tutto l’evento. Erano presenti solo poche decine di delegati.
Relazioni nazionali
In nessun altro dei congressi del Comintern possiamo trovare un tempo così esteso espressamente dedicato a relazioni informative di questo genere. Certamente, a volte i delegati hanno usato il tempo a loro disposizione per questo scopo, ma di solito simili interventi hanno in minima misura fatto avanzare il dibattito. Tuttavia, alla conferenza del marzo 1919 la terza sessione fu dedicata proprio a tali relazioni nazionali.
Forse ciò serviva ai delegati, che non si erano mai incontrati prima, per conoscersi reciprocamente e per delineare una comune visione della situazione mondiale. Forse quelle relazioni servivano a far trascorrere il tempo in attesa dell’arrivo degli altri delegati.
Davvero il congresso aveva bisogno di ascoltare due informative sul movimento operaio in Svizzera, ben più arretrato dell’avanguardia delle lotte in Europa? Forse sì, visto che Fritz Platten e Leonie Kascher rappresentarono visioni strategiche diverse, le cui differenze sarebbero ripetutamente emerse negli anni successivi. Le relazioni sulla Francia e gli Stati Uniti erano basate su esperienze risalenti ai due anni precedenti, prima della partenza dei delegati alla volta della Russia, ma erano comunque convincenti e acute.
Molti delegati presentarono relazioni scritte, che occupano 51 pagine di Founding the Communist International.
Moshe Freylikh scrisse una storia incredibilmente dettagliata del movimento operaio nella Galizia orientale, una regione a maggioranza ucraina con popolazioni ebraiche e polacche consistenti, in precedenza austriache e in quel momento rivendicate dalla Polonia. Negli anni 20, la regione divenne un punto centrale della politica estera dell’Ucraina sovietica (pp. 377–86; 273–79).
Gaziz Yamylov fornì una panoramica generale della rapida crescita del movimento comunista tra i popoli colonizzati e di tradizione musulmana della Russia zarista. Poco tempo prima – disse – in soli due mesi l’Ufficio Centrale delle Organizzazioni Comuniste dei Popoli dell’Est aveva distribuito non meno di due milioni di esemplari di opuscoli in nove lingue asiatiche. A prescindere dalla tiratura della stampa, furono chiaramente gettate le basi per l’imponente Congresso di Baku dei Popoli dell’Est che si sarebbe tenuto l’anno seguente (pp. 395–7; 286–88).
I molti riferimenti poco conosciuti forniti da queste informative hanno richiesto lunghe note esplicative, che rappresentano 130 pagine dell’intero libro. Durante la loro compilazione, i miei colleghi redattori hanno scherzato sul fatto che stessi tentando di scrivere un’enciclopedia.
Convinto del carattere storico dell’evento, il Partito comunista russo aveva inviato molti dei suoi più autorevoli dirigenti: Lenin, León Trotsky, Grigorii Zinoviev, Nikolai Bukharin e il principale organizzatore del Congresso, Georgii Chicherin, Commissario degli Affari Esteri.
Tutti intervennero nelle prime due sessioni: Trotsky e Zinoviev offrirono penetranti rappresentazioni delle sfide che i comunisti avevano affrontato nell’Armata Rossa e nella vita civile sovietica.
Una premessa fondamentale
Il breve discorso di apertura di Lenin indicò il tema principale dell’incontro:
«[…] la rivoluzione mondiale comincia e si rafforza in tutti i Paesi. […] Basta solo trovare la forma pratica, che assicuri al proletariato la possibilità di realizzare il suo dominio [“dittatura del proletariato”]. Questa forma è il sistema dei soviet […] Ed è diventata comprensibile alle grandi masse degli operai per l’affermarsi del potere sovietico in Russia, per l’azione degli spartachisti in Germania e delle organizzazioni analoghe in altri Paesi, quali ad esempio gli Shop stewards committees in Inghilterra» (pp. 71‑2; 47‑8).
Zinoviev si sarebbe spinto addirittura, due mesi più tardi, a predire che entro un anno tutta l’Europa sarebbe stata comunista (39; 23).
Un quadro più cupo, tuttavia, venne disegnato dal delegato tedesco Hugo Eberlein, che appare come “Albert” nel resoconto del congresso. Riferì che i consigli dei lavoratori e dei soldati istituiti durante la rivoluzione tedesca di novembre avevano creato un governo a guida socialdemocratica, che si era rapidamente attivato per ripristinare l’autorità borghese e schiacciare i consigli.
Eberlein continuò:
«L’intero paese era diviso in due campi: da una parte c’erano i rappresentanti del capitale, che combattevano per l’assemblea nazionale [dominata dalla borghesia], e dall’altra parte la Lega di Spartaco rivendicava il sistema dei consigli [operai] e la dittatura del proletariato. Tutte le lotte sono sorte attorno a questo asse e voi tutti sapete come sono andate a finire» (79‑80; 53).
In Founding the Communist International a questo punto appare una lunga nota editoriale che fornisce dettagli poco noti ai lettori di oggi. Poco dopo essere entrato in carica, il governo a guida Spd istituì milizie armate di destra, i Freikorps, che per due mesi infuriarono in tutta la Germania, schiacciando in successione le roccaforti dei consigli dei lavoratori. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht furono tra i primi di innumerevoli vittime. Rafforzati da questo terrore fascista, la Spd e i partiti borghesi ottennero una maggioranza decisiva nel nuovo parlamento e formarono un governo filocapitalista (451‑2, 326‑7).
Eberlein vedeva il crollo economico della Germania come la migliore garanzia che i lavoratori potessero riguadagnare l’iniziativa, «lottando per la rivoluzione mondiale spalla a spalla con i lavoratori di tutto il mondo» (88; 59).
Le impressioni dei delegati
Il luogo della riunione dei delegati, la Sala Mitrofan’evsky al Cremlino, metteva in luce sia l’antica grandezza zarista che l’austerità della guerra civile. «Meravigliosi tappeti imperiali coprivano il pavimento», ricorda il delegato francese Jacques Sadoul. «Faceva freddo, faceva molto freddo, nella sala. La funzione di quei tappeti era quella di bilanciare le terribili raffiche di aria gelida che i riscaldatori soffiavano sui delegati, ma inutilmente …».
«A Mosca manca il carburante. I delegati al congresso battono i denti dal freddo. A Mosca le razioni sono state scarse negli ultimi due anni. I compagni esteri non sempre mangiano a sazietà». I delegati notano, aggiunge Sadoul, che «il pasto dei commissari del popolo non è diverso da quello – così deplorevolmente frugale – servito in altre mense sovietiche».
Il delegato russo Vatslav Vorovsky paragonava la modesta riunione con i solenni congressi passati della Seconda Internazionale: «Invece degli anziani teorici, … qui, con poche eccezioni, erano riunite persone nuove, i cui nomi erano ancora poco conosciuti e i cui visi giovanili non portavano ancora i segni di una leadership riconosciuta».
Quanto all’atmosfera dell’avvenimento, Sadoul evidenziava «l’infinita e risonante risata di Lenin, che gli fa fremere le spalle e l’addome … l’ironia penetrante di Trotsky; la divertentissima allegria di Bukharin; l’umorismo beffardo di Chicherin … la chiassosa gaiezza dei bevitori di birra – Platten, Eberlein, Gruber – e l’astuzia sottile di Rakovsky, più parigina che rumena».
Il giornalista britannico Arthur Ransome osservò che «i lavori sono stati condotti parlando in tutte le lingue, anche se il tedesco è stato usato dove possibile … Questa è stata una sfortuna per me … Fineberg parlava in inglese, Rakovsky in francese, anche Sadoul. [Mikola] Skrypnik … si è rifiutato di parlare in tedesco e ha detto che avrebbe parlato in ucraino o in russo, e per il sollievo della maggior parte dei presenti ha scelto il secondo. Lenin si è seduto in silenzio ascoltando, parlando quando necessario in quasi tutte le lingue europee con sorprendente facilità» (35–36; 20–21).
Una piattaforma per la nuova Internazionale
Il documento di base proposto come base per l’adesione alla nuova Internazionale, una “Piattaforma” di otto pagine redatta da Bukharin, venne presentato verso la fine della seconda giornata di lavori. Sebbene la reputazione di Bukharin tra i marxisti sia cresciuta nel tempo, grazie in gran parte alla biografia di Stephen Cohen[3], pochi dei suoi scritti sono disponibili in inglese; il discorso di Bukharin sulla piattaforma rappresenta un’utile eccezione. La stessa risoluzione sulla piattaforma e altre decisioni del Congresso sono disponibili nel Marxists Internet Archive.
Cercando di trarre conclusioni generali dalla Rivoluzione russa del 1917, la piattaforma definisce le basi del potere operaio:
«La conquista del potere politico non può significare soltanto un avvicendarsi di persone nei ministeri, ma deve voler dire l’annientamento di un apparato statale nemico, la conquista delle leve effettive, il disarmo della borghesia, degli ufficiali controrivoluzionari, delle guardie bianche».
La “dittatura del proletariato” che ne deriva è “un’istituzione provvisoria”:
«Nella misura in cui la sua resistenza sarà spezzata, la borghesia sarà espropriata e diventerà gradualmente massa lavoratrice, la dittatura del proletariato scomparirà, lo Stato si estinguerà e con esso anche le classi sociali».
Il “cammino verso la vittoria” richiede una rottura con il “centro”, cioè con quelle forze vacillanti che “civettano con i … nemici dichiarati”. D’altra parte, è necessario un blocco con forze che «benché non appartenessero in precedenza al partito socialista, stanno oggi in tutto e per tutto sul terreno della dittatura proletaria nella forma del potere dei soviet». Alcuni sindacalisti rivoluzionari sono citati come esempio, ma ciò che è più importante, la piattaforma si impegna a sostenere «i popoli sfruttati delle colonie nella loro lotta contro l’imperialismo» (335‑45; 241‑48).
Una strada accidentata verso la solidarietà globale
Subito dopo il rapporto di Bukharin, il delegato olandese Sebald Justinus Rutgers richiamò l’attenzione sulla formulazione nella bozza di piattaforma che minava seriamente il suo impegno a sostenere i popoli colonizzati. Il testo affermava che i governanti capitalisti «tentano di soffocare, servendosi delle loro macchine belliche e delle loro truppe coloniali barbare e istupidite, la rivoluzione del proletariato europeo».
Questa formulazione offensiva si basava su una preoccupazione condivisa da molti lavoratori. L’esercito francese minacciava di attaccare i lavoratori in lotta nella Russia sovietica, in Francia, e nella Germania occupata dai francesi, con truppe di colore prelevate in Africa, truppe con cui i lavoratori non condividevano né lingua, né cultura, né tradizioni politiche. Le denunce di questa tattica capitalista spesso poggiavano su stereotipi razzisti.
Rutgers dichiarò che nessuno che avesse avuto familiarità con la brutalità degli eserciti olandesi e colonialisti avrebbe accusato i soldati reclutati dalle popolazioni oppresse di “barbarie”. Propose una formulazione sostitutiva accusando i governanti capitalisti di punire i lavoratori russi e tedeschi «con la stessa spietatezza utilizzata contro i popoli coloniali» (186‑8; 131‑3) Tuttavia, nel testo finale non venne apportata alcuna correzione.
Un’ampia nota a piè di pagina in Founding the Communist International riassume le questioni in discussione (475‑7; 342‑44). I lavoratori riuscirono infatti a trovare un punto d’incontro con le truppe dell’esercito francese portate dall’Africa. Questi soldati dimostrarono infatti di essere abbastanza inclini alla resistenza e alla coesione, anche quando vennero dispiegati nella Russia sovietica. Il Comintern adottò una vigorosa dichiarazione nel 1921, invitando i suoi membri a raggruppare i soldati delle colonie attorno ai principi della lotta comune contro il colonialismo, e questo fu fatto con buoni risultati. I governi imperialisti presto abbandonarono i piani che prevedevano l’utilizzo di truppe coloniali contro i lavoratori europei.
Il Manifesto del Congresso fondativo conteneva un impegno per la libertà delle colonie: «Schiavi coloniali dell’Africa e dell’Asia! L’ora della dittatura proletaria in Europa segnerà anche l’ora della vostra liberazione». Il libro Founding the Communist International include un’altra lunga nota in cui si sottolinea che questa affermazione non è stata all’altezza delle successive dichiarazioni del Comintern di sostegno ai popoli delle colonie come protagonisti della loro stessa liberazione e compartecipi essenziali della lotta mondiale per il socialismo (500‑1; 358‑9).
Sotto quest’aspetto, il contesto è fondamentale: i delegati al Congresso ritenevano probabile che la vittoria dei lavoratori in Europa sarebbe stata completa in pochi mesi, prima che la rivolta nelle colonie avesse avuto il tempo di maturare. Nonostante l’errore di valutazione su questo punto, il Manifesto fu ampiamente inteso come l’impegno per un sostegno attivo ai combattenti per la libertà coloniale, come al congresso del Comintern del 1922 ebbe a riferire Claude McKay, un delegato degli African Blood Brothers[4]. Questa fiducia trovò conferma nelle azioni e nelle decisioni del Comintern nel suo secondo Congresso e nel Congresso dei Popoli d’Oriente di Baku nel 1920.
Infatti, in un periodo in cui la maggior parte dei critici del colonialismo parlava ancora solo della sua riforma, la repubblica sovietica e il Comintern furono le prime forze influenti su scala globale a impegnarsi in modo inequivocabile nella libertà delle colonie.
“Internazionale dell’azione”
Dopo un’articolata analisi della lotta di classe a livello globale, il Manifesto concludeva con un appello all’azione, dichiarando al riguardo:
«Se la Prima Internazionale ha previsto il futuro sviluppo e ne ha indicato il cammino, se la Seconda Internazionale ha radunato e organizzato milioni di proletari, la Terza Internazionale è quella dell’aperta azione di massa, dell’attuazione rivoluzionaria, della realizzazione. La critica socialista ha sufficientemente bollato l’ordine borghese del mondo. Il compito del Partito comunista internazionale è quello di abbattere quest’ordine e di erigere al suo posto l’edificio dell’ordine socialista» (323; 231).
La democrazia borghese contro il governo dei lavoratori
La relazione di Lenin e la risoluzione sulla democrazia borghese e la dittatura del proletariato sarebbero diventati gli unici documenti del Congresso fondativo ampiamente conosciuti tra le successive generazioni comuniste. In parte, a causa del fatto che gli scritti di tutti gli altri primi dirigenti del Comintern, e in generale dei documenti del Comintern stesso, vennero oscurati una volta che Josip Stalin giunse al potere negli anni 30, lasciando Le opere di Lenin come l’unica fonte facilmente disponibile.
Il pensiero centrale di Lenin era che il sistema sovietico dovesse raggiungere un livello di democrazia per gli operai e i contadini molto più avanzato rispetto a quello che potesse riscontrarsi negli Stati capitalisti parlamentari. «L’essenza del potere sovietico – disse Lenin – sta nel fatto che l’intero potere statale, l’intero apparato statale ha come fondamento unico e permanente l’organizzazione di massa proprio di quelle classi che sono state finora oppresse dal capitalismo […]. Proprio queste masse […] vengono ora associate in modo permanente e necessario, ma soprattutto in modo decisivo alla gestione democratica dello Stato». (Tesi e relazione di Lenin).
La breve risoluzione che ne derivò, su impulso di Lenin, faceva appello a illustrare alle masse la superiorità del sistema sovietico, estendere la sfera dei soviet e a costruire una stabile maggioranza comunista al loro interno.
Un cambio di rotta
Verso la fine della terza giornata di dibattito, Fritz Platten, della Svizzera, prese la parola per leggere una mozione che riaprisse la questione del lancio immediato della nuova Internazionale. La risoluzione era stata firmata da Christian Rakovsky (Federazione balcanica), Karl Steinhardt (Austria), Otto Grimlund (Svezia) e Endre Rudniánszky (Ungheria).
Non sappiamo esattamente cosa fu a causare questo cambiamento, naturalmente. Certamente, un fattore stava nel fatto che, come dichiarato da Eberlein all’inizio della terza sessione, «i restanti delegati sono ora arrivati», compresi tutti i nove che erano attesi dall’estero. Inoltre, alcuni di questi ultimi si erano vigorosamente espressi contro il rinvio della fondazione dell’Internazionale.
Tra i ritardatari c’era Karl Steinhardt (Gruber), uno dei principali dirigenti del neonato Partito Comunista Austriaco. Alla fine della sessione precedente si era così rivolto ai delegati:
«Siamo arrivati qui un’ora fa dopo un viaggio di diciassette giorni fra incredibili difficoltà … Abbiamo percorso tutto il tragitto come barboni, su treni merci, locomotive, rimorchi, su carri bestiame, a piedi attraverso le linee di bande di rapinatori ucraini e polacchi … sempre guidati da un solo ardente desiderio: dobbiamo arrivare a Mosca e nulla ci fermerà!» (191‑9; 134‑9).
L’entusiasmo con cui fu accolto il discorso di Steinhardt andò crescendo quando i delegati appresero del messaggio che egli aveva portato: il suo partito era a favore della formazione immediata dell’Internazionale. Forse il suo arrivo fece pendere la bilancia in questa direzione.
A sorpresa, la risoluzione affermava che la fondazione immediata «diventa[va] anzi un dovere» alla luce del tentativo di una conferenza prevista per il 3‑10 febbraio a Berna, in Svizzera, per «ricostituire la vecchia Internazionale opportunista […] È perciò necessario procedere a una netta divisione fra gli elementi rivoluzionari‑proletari e gli elementi socialtraditori».
La discussione su questa proposta fu aperta da Eberlein, che ribadì l’opinione del partito tedesco, secondo cui era troppo presto per fondare l’Internazionale. Contestò l’argomento della celebrazione della conferenza dei socialdemocratici a Berna, considerandolo non pertinente. A suo avviso, c’erano tre ostacoli al lancio dell’Internazionale:
- l’invito a partecipare alla riunione di Mosca non aveva all’ordine del giorno l’opzione di fondarla;
- nella maggior parte dei casi i gruppi che avrebbero potuto esserne membri non l’avevano considerata come una proposta;
- il movimento comunista in tutta Europa si trovava in uno stato di formazione embrionale.
Nella sua replica, Zinoviev sottolineò che la risoluzione era stata sostenuta dai nuovi arrivati (Rakovsky, Grimlund e Steinhardt) e che l’esistenza del governo dei lavoratori in un grande Paese come la Russia forniva una base sufficiente per procedere. «Se esitiamo, perdiamo ogni credibilità», affermò Zinoviev.
Dopo altri nove interventi, i delegati votarono all’unanimità, con una sola astensione da parte della delegazione tedesca (Eberlein), a favore della fondazione della nuova Internazionale. Allora, Eberlein si assunse l’impegno di adoperarsi al suo ritorno per convincere il partito tedesco all’adesione, cosa che fece in breve tempo.
Ulteriori risoluzioni e dichiarazioni
Durante gli ultimi due giorni di dibattito, Trotsky presentò il Manifesto dell’Internazionale Comunista, indubbiamente il documento più importante del congresso[5].
Vennero presentate e approvate altre tre risoluzioni su questioni di carattere prevalentemente congiunturale:
- Risoluzione sull’atteggiamento verso le correnti socialiste e la conferenza di Berna, presentata da Platten e Zinoviev.
- Tesi sulla situazione internazionale e sulla politica dell’Intesa, presentata da Valerian Obolensky (N. Osinski).
- Risoluzione sul terrore bianco, presentata da Yrjó Sirola.
Inoltre, al Congresso furono presentate tre brevi dichiarazioni di particolare importanza politica:
- Una dichiarazione e una risoluzione sul gruppo di Zimmerwald, un movimento internazionale di socialisti pacifisti formatosi nel 1915. I numerosi dirigenti di Zimmerwald presenti a Mosca sciolsero il movimento e trasferirono i suoi documenti all’Internazionale comunista[6].
- Un messaggio dai gruppi socialisti in Giappone, l’unico contributo diretto al congresso proveniente da Paesi al di fuori dell’Europa e dell’Asia sovietica. In esso, i compagni giapponesi protestavano contro l’intervento armato del loro governo nella Russia sovietica.
- Una breve risoluzione “Sulla necessità di conquistare le donne lavoratrici alla lotta per il socialismo”. La dichiarazione, redatta e presentata da Alexandra Kollontai, venne adottata: fu l’unico riferimento specifico durante il congresso al ruolo delle donne durante la rivoluzione.
L’ultimo punto all’ordine del giorno fu un rapporto organizzativo di Platten, che propose Mosca come centro provvisorio della nuova Internazionale. La direzione venne affidata a un Comitato esecutivo composto da un rappresentante dei partiti di ciascuno dei “Paesi più importanti”, che avrebbe dovuto designare un Bureau di cinque membri. Per far fronte al ritardo con cui i componenti a tempo pieno sarebbero potuti arrivare a Mosca dall’estero, la risoluzione autorizzava il partito anfitrione – i comunisti russi – a svolgere funzioni esecutive ad interim.
Un momento di ottimismo
Il testo Founding the Communist International comprende quattro note analisi dell’evento di Lenin insieme a valutazioni meno conosciute di Trotsky, Zinoviev, Bukharin e Kollontai.
Il più famoso dei commenti di Lenin fu scritto sei settimane dopo il congresso, in un momento in cui governi dei lavoratori basati sui soviet si erano insediati in Ungheria e in Baviera. Si era all’apice dell’ottimismo sulle prospettive della nuova Internazionale. Lenin scrisse, nel suo articolo “La Terza Internazionale e il suo posto nella storia”:
«La Terza Internazionale ha colto i frutti dell’attività della Seconda Internazionale, ne ha tolto via il sudiciume opportunista, socialsciovinista borghese e piccolo‑borghese e ha incominciato ad attuare la dittatura del proletariato […] il movimento del proletariato per l’abbattimento del giogo del capitale ha oggi un fondamento solido come nessun altro mai: un certo numero di repubbliche sovietiche che impersonano, su scala internazionale, la dittatura del proletariato, la sua vittoria sul capitalismo […] È incominciata una nuova epoca della storia mondiale».
Ma i regimi sovietici bavaresi e ungheresi non sopravvissero a lungo. Durante l’anno successivo al congresso, i governanti capitalisti europei recuperarono la loro sicurezza e ristabilirono il loro potere, almeno temporaneamente, a ovest della frontiera sovietica.
Nel frattempo, il Comintern concentrò i suoi sforzi su un compito che non era stato nemmeno menzionato nella sua conferenza fondativa: raggruppare i suoi sostenitori in ogni Paese in partiti comunisti di massa pronti a combattere. Durante i successivi diciotto mesi, alla nuova Internazionale aderirono un movimento giovanile comunista di massa e partiti operai di massa di diversi Paesi europei, e ciò mentre muoveva i primi passi per lanciare il movimento comunista nelle nazioni oppresse e colonizzate dell’Asia e dell’Africa.
Quando il capitalismo si ristabilizzò, il compito di costruire un partito rivoluzionario passò in primo piano, e in questo senso i progressi del Comintern soddisfecero l’ottimismo dei suoi fondatori.
[*] John Riddell è stato attivo nel movimento rivoluzionario socialista in Canada, negli Stati Uniti e in Europa dagli anni 60. È uno storico socialista e autore di una serie di libri sull’Internazionale comunista ai tempi di Lenin.
(Traduzione di Ernesto Russo e Andrea Di Benedetto)
Note
[1] Nei ringraziamenti in Founding the Communist International vengono citati settanta collaboratori in tutto il mondo che hanno collaborato alla traduzione o alla ricerca. A parte me stesso, i principali traduttori sono stati Bob Cantrick e Robert Dees (per il tedesco) e Sonja Franeta (per il russo). Dees ha anche fatto delle ricerche per il commento del libro. Bruce Marcus e Mike Taber si sono occupati del copy‑editing. Steve Clark ha fornito consulenza editoriale e, insieme a Mary‑Alice Waters e Jack Barnes, ha rivisto l’introduzione.
[2] Founding the Communist International, pubblicato per la prima volta nel 1987, è ora disponibile in una seconda versione aggiornata del 2012 con testo identico, ma con miglioramenti nell’impaginazione e una nuova numerazione delle pagine. In questo articolo, ci sono riferimenti a entrambe le edizioni, ma con i numeri di pagina di quella del 2012 per primi.
[3] Stephen F. Cohen, Bukharin and the Bolshevik Revolution: A Political Biography 1888–1938, New York: Oxford, 1973.
[4] Riddell, a cura di, Toward the United Front: Proceedings of the Fourth Congress, Chicago: Haymarket, 2012, pp 808–9.
[5] A proposito della paternità di Trotsky del Manifesto, rinviamo alla nota 16 dell’articolo “Cento anni fa: come fu fondata l’Internazionale comunista”.
[6] Il Comitato socialista internazionale di Zimmerwald era stato istituito da una conferenza dei socialisti contro la guerra a Zimmerwald, in Svizzera, nel settembre del 1915. In seguito realizzò altre conferenze internazionali. L’ala sinistra del movimento di Zimmerwald era un precursore diretto del Comintern. Per i documenti del movimento di Zimmerwald, v. Riddell, a cura di, Lenin’s Struggle for a Revolutionary International: Documents 1907–16; the Preparatory Years, New York: Pathfinder, 1984. [Sempre su Zimmerwald, rinviamo anche a V. Torre, “Il crollo della Seconda Internazionale”, pubblicato su questo stesso sito: Ndt].