Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Brasile, Politica internazionale: America Latina, Storia del movimento operaio

La succursale dell’inferno

Il pre­si­den­te del Bra­si­le, Jair Bol­so­na­ro, ha dispo­sto che ven­ga com­me­mo­ra­to il gol­pe mili­ta­re che il 1° apri­le 1964 fece spro­fon­da­re il Bra­si­le in una fero­ce dit­ta­tu­ra che durò vent’anni.
Bol­so­na­ro – che duran­te la sua vit­to­rio­sa cam­pa­gna elet­to­ra­le si è ripe­tu­ta­men­te espres­so in favo­re di quel regi­me mili­ta­re, dichia­ran­do il pro­prio appog­gio ai meto­di di tor­tu­ra ed esal­tan­do i tor­tu­ra­to­ri, ma soste­nen­do addi­rit­tu­ra che l’errore del­la dit­ta­tu­ra fu di ave­re trop­po tor­tu­ra­to e poco ucci­so gli oppo­si­to­ri – vuo­le in tut­ta evi­den­za “riscri­ve­re” la sto­ria di una demo­cra­zia trop­po fra­gi­le, ancor più rin­sal­dan­do il pro­prio lega­me con la poten­te cor­po­ra­zio­ne dei mili­ta­ri, vero e pro­prio pun­tel­lo del gover­no in carica.
Il popo­lo bra­si­lia­no sa però che non c’è nul­la da com­me­mo­ra­re. Al con­tra­rio, va recu­pe­ra­ta – e dif­fu­sa – la veri­tà su quel perio­do che spa­lan­cò le por­te del­la “suc­cur­sa­le dell’inferno” (come uno dei tor­tu­ra­to­ri dis­se al mona­co dome­ni­ca­no, fra­te Tito, intro­du­cen­do­lo nel­le sale dove sareb­be sta­to sot­to­po­sto a una fero­cis­si­ma tor­tu­ra, che si tra­sfor­mò in un auten­ti­co mar­ti­rio cul­mi­na­to poi nel suicidio).
Per que­sta ragio­ne, pub­bli­chia­mo que­sto dram­ma­ti­co arti­co­lo, con l’avvertimento che alcu­ne del­le foto­gra­fie che lo cor­re­da­no pos­so­no col­pi­re la sen­si­bi­li­tà dei let­to­ri per la loro crudezza.
La redazione

La succursale dell’inferno

Ucci­se­ro dei ragaz­zi: il 56% degli assas­si­na­ti duran­te la dit­ta­tu­ra ave­va meno di 30 anni. Sono i ragaz­zi accu­sa­ti dai difen­so­ri del colon­nel­lo Bri­lhan­te Ustra di voler inse­dia­re la “dit­ta­tu­ra del pro­le­ta­ria­to” nel Paese


Cyna­ra Menezes

 

Nel pome­rig­gio del 28 mar­zo 1968, quat­tro anni dopo il gol­pe mili­ta­re, un grup­po di poli­ziot­ti arma­ti fece irru­zio­ne nel­la men­sa Cala­bouço, nel cen­tro di Rio de Janei­ro. L’intenzione era di repri­me­re la pro­te­sta del movi­men­to stu­den­te­sco con­tro i prez­zi del­la men­sa, che costi­tui­va un cen­tro di incon­tro e di discus­sio­ne poli­ti­ca dell’opposizione gio­va­ni­le alla dit­ta­tu­ra. All’ingresso, men­tre ave­va in mano un vas­so­io, lo stu­den­te licea­le Edson Luís de Lima Sou­to, diciot­ten­ne, fu col­pi­to a bru­cia­pe­lo in pet­to, moren­do all’istante.

Il cor­po di Edson Luís veglia­to dagli amici

Edson, il pri­mo stu­den­te assas­si­na­to dal regi­me, è una del­la 434 vit­ti­me uffi­cial­men­te rico­no­sciu­te dal­la dit­ta­tu­ra mili­ta­re in Bra­si­le. Que­sto blog ha rea­liz­za­to un’analisi sta­ti­sti­ca per età fra i mor­ti e gli scom­par­si e ha sco­per­to che il 56% di essi era­no gio­va­ni come lui, ave­va­no meno di 25 anni. Sono que­sti i ragaz­zi che ven­go­no accu­sa­ti dai difen­so­ri del colon­nel­lo Bri­lhan­te Ustra[1] di voler inse­dia­re la “dit­ta­tu­ra del pro­le­ta­ria­to” nel Pae­se, e che per que­sto furo­no bar­ba­ra­men­te tor­tu­ra­ti e giustiziati.
Que­sta logi­ca è, oltre che cini­ca, ingan­ne­vo­le. Non si può para­go­na­re il pote­re mili­ta­re del­lo Sta­to, con i suoi blin­da­ti, fuci­li, mitra­glia­tri­ci, bom­be e sol­da­ti arma­ti fino ai den­ti, ad alcu­ne deci­ne di gio­va­ni che abbrac­cia­ro­no la guer­ri­glia col sogno di scon­fig­ge­re un regi­me vio­len­to. Solo qual­che stu­pi­do (o in cat­ti­va fede) può ber­si la fan­do­nia dei mili­ta­ri che avreb­be­ro uti­liz­za­to la tor­tu­ra per “evi­ta­re che il Bra­si­le fos­se tra­sfor­ma­to in Cuba”. Per accet­ta­re que­sta con­clu­sio­ne si dovreb­be ammet­te­re che un gover­no mili­ta­re soste­nu­to dagli Sta­ti Uni­ti era “fra­gi­le”, piut­to­sto che costi­tui­to da bru­ti fero­ci rispet­to ai qua­li i mili­zia­ni del­la lot­ta arma­ta asso­mi­glia­va­no più a un’armata Brancaleone.

Il colon­nel­lo Bri­lhan­te Ustra

Ora, la pri­ma inten­zio­ne dei guer­ri­glie­ri era far­la fini­ta con la dit­ta­tu­ra mili­ta­re; ciò che avreb­be­ro fat­to in segui­to poco impor­ta, ancor più quan­do sap­pia­mo che que­sta vit­to­ria non si sareb­be mai con­cre­tiz­za­ta data la spro­por­zio­ne fra le due par­ti con­ten­den­ti. Ciò che gli adep­ti del­la lot­ta arma­ta fece­ro può tutt’al più esse­re con­si­de­ra­to un sabo­tag­gio del regi­me. Cosa del tut­to legit­ti­ma, trat­tan­do­si di lot­ta­re con­tro la tiran­nia. Era­no, per­tan­to, degli eroi. Chi li defi­ni­sce “ter­ro­ri­sti” è con­ni­ven­te col ter­ro­ri­smo di Sta­to per­pe­tra­to per ven­tun anni nel nostro Paese.
Ma la cosa più gra­ve è che que­sta men­zo­gna nascon­de un fat­to facil­men­te dimo­stra­bi­le se si stu­dia­no le bio­gra­fie di quel­li che furo­no assas­si­na­ti dal regi­me. I difen­so­ri del Dops[2] e del Doi‑Codi[3] con­si­de­ra­no i tor­tu­ra­ti e gli assas­si­na­ti come se fos­se­ro tut­ti dei Lamar­ca[4] o dei Mari­ghel­la[5]. E inve­ce, mol­ti di loro ave­va­no tra­iet­to­rie simi­li a quel­la di Edson Luís: par­te­ci­pa­zio­ne embrio­na­le o nul­la alla mili­tan­za poli­ti­ca. «Nel pri­mo perio­do, la repres­sio­ne era rivol­ta con­tro la lot­ta arma­ta. Dopo l’AI‑5[6] si dires­se con­tro chiun­que fos­se con­tro la dit­ta­tu­ra», dis­se l’ex depu­ta­to Adria­no Dio­go, che ave­va pre­sie­du­to la Com­mis­sio­ne per la Veri­tà a San Pao­lo. «Io stes­so non ho mai maneg­gia­to un’arma e sono sta­to per novan­ta gior­ni in iso­la­men­to nel­la Oban»[7].

Car­los Lamar­ca (a sini­stra) e Car­los Marighella

In que­gli anni, par­te­ci­pa­re a un cor­teo con­tro il gover­no basta­va per bec­car­si un col­po in pie­no viso. Ad esem­pio, uno di quei rea­zio­na­ri che [nel 2015 e nel 2016] scen­de­va in piaz­za per impre­ca­re con­tro il gover­no di Dil­ma Rous­seff, [se fos­se sta­to a quei tem­pi] avreb­be potu­to esse­re assas­si­na­to sen­za alcu­na giu­sti­fi­ca­zio­ne, come accad­de a Edson Luís e al goia­nien­se Orna­li­no Cân­di­do da Silva.
Orna­li­no era uno degli stu­den­ti che, nel 1968, si ribel­la­ro­no con­tro la dit­ta­tu­ra ispi­ran­do­si a Edson Luís. Il suo “erro­re” fu di par­te­ci­pa­re a una mani­fe­sta­zio­ne con­tro il gover­no nel­la cit­tà di Goiâ­nia, dove abi­ta­va, il 1° apri­le, esat­ta­men­te quat­tro anni dopo il gol­pe. Quan­do il cor­teo già si sta­va scio­glien­do cad­de in un’imboscata: arma­ti di fuci­li, mitra­glia­tri­ci, bom­be, pisto­le e man­ga­nel­li, la poli­zia mili­ta­re si abbat­té vio­len­te­men­te sugli stu­den­ti. Un ser­gen­te pun­tò l’arma alla tem­pia sini­stra di Orna­li­no e spa­rò. Ave­va 19 anni.
In alcu­ni casi era suf­fi­cien­te esse­re un gio­va­ne: anche sen­za nes­su­na pro­va di appar­te­ne­re a un movi­men­to o un’organizzazione clan­de­sti­na, i mili­ta­ri si rite­ne­va­no in dirit­to di fare irru­zio­ne nel­la sua casa e sem­pli­ce­men­te scom­pa­ri­re con lui. Pau­lo Tor­res Gonçal­ves, anch’egli dician­no­ven­ne, era uno stu­den­te licea­le e dipen­den­te del­la Ibo­pe a Rio, e del­la sua mili­tan­za non è sta­ta mai sino­ra for­ni­ta alcu­na pro­va. Il 26 mar­zo 1969, i suoi geni­to­ri ebbe­ro noti­zia che era sta­to arre­sta­to dal Dops, chis­sà per cosa, e che sareb­be sta­to in bre­ve rila­scia­to. Non è mai sta­to ritrovato.
La mat­ti­na del 21 giu­gno 1968, che pas­sò alla sto­ria come il “vener­dì di san­gue”, gli stu­den­ti sta­va­no rea­liz­zan­do una mani­fe­sta­zio­ne di fron­te al palaz­zo del vec­chio Mini­ste­ro dell’Istruzione e del­la Cul­tu­ra (Mec), nel cen­tro di Rio de Janei­ro, quan­do all’incrocio fra le vie Méxi­co e San­ta Luzia agen­ti del Dops, del­la Poli­zia fede­ra­le e sol­da­ti del­la Poli­zia mili­ta­re gri­da­ro­no che avreb­be­ro spa­ra­to per ucci­de­re. E lo fece­ro. Tre ragaz­ze che par­te­ci­pa­va­no alla pro­te­sta cad­de­ro feri­te. Col­pi­ta al vol­to, la com­mer­cian­te Maria Ânge­la Ribei­ro, di 22 anni, morì in segui­to alle feri­te riportate.

Arre­sto di stu­den­ti e deten­zio­ne nel­lo sta­dio del Bota­fo­go (Rio de Janeiro)

Poi­ché vive­va­mo in uno sta­to d’eccezione, i mili­ta­ri, inclu­si quel­li di bas­so ran­go, si com­por­ta­va­no come i padro­ni del Bra­si­le, facen­do irru­zio­ne nel­le pro­prie­tà pri­va­te quan­do aves­se­ro volu­to. Nel giu­gno del 1968, due civi­li e due mili­ta­ri in bor­ghe­se entra­ro­no nel bar e pen­sio­ne Estre­la Dal­va, nel­la cit­tà di Fran­ci­sco Bel­trão, Sta­to del Para­ná, e ten­ta­ro­no di intro­dur­si nel­le stan­ze sen­za auto­riz­za­zio­ne. Furo­no bloc­ca­ti dal dipen­den­te Igua­te­mi Zuchi Tei­xei­ra, di 24 anni, e ne deri­vò una col­lut­ta­zio­ne. Il gior­no suc­ces­si­vo, Igua­te­mi fu pre­le­va­to e por­ta­to nel­la caser­ma dell’esercito e non è più tornato.
«Avvo­ca­to, veda di tirar­mi fuo­ri di qui oggi stes­so. Mi stan­no mas­sa­cran­do di bot­te. Non riu­sci­rei a reg­ge­re un’altra not­te», dis­se al suo difen­so­re alcu­ni gior­ni pri­ma di esse­re ucci­so da uno dei sol­da­ti con cui ave­va avu­to quell’alterco. Nel­la peri­zia cada­ve­ri­ca era scrit­to che Igua­te­mi era mor­to «a cau­sa di vele­no, fuo­co, esplo­si­vo, asfis­sia o tor­tu­ra, o di altro mez­zo insi­dio­so o bru­ta­le, dato il nume­ro e il tipo di lesio­ni riscon­tra­te». La cau­sa del­la mor­te era «ane­mia acu­ta per emor­ra­gia inter­na ed ester­na pro­vo­ca­ta da feri­te pene­tran­ti all’addome e al tora­ce» pro­vo­ca­te da «stru­men­to perforante‑contundente».
Si par­la mol­to di mili­ta­ri inno­cen­ti ucci­si duran­te atten­ta­ti dei guer­ri­glie­ri, come nel caso di Mário Kozel Filho. E i mili­ta­ri inno­cen­ti tor­tu­ra­ti e ucci­si dagli stes­si mili­ta­ri? Il ser­gen­te mag­gio­re dell’esercito, Manoel Alves de Oli­vei­ra, di 29 anni, fu por­ta­to via da casa sua nell’aprile del 1964, sot­to gli occhi del­la moglie e dei suoi cin­que figli pic­co­li, da un uomo in bor­ghe­se accom­pa­gna­to da altri anch’essi in abi­ti civi­li, che lo cari­ca­ro­no a bor­do di un fur­go­ne. Fu tor­tu­ra­to con fer­ri roven­ti e sot­to­po­sto a sca­ri­che elet­tri­che, con l’unica accu­sa di esser­si can­di­da­to alla pre­si­den­za del Club dei Sot­to­te­nen­ti e Ser­gen­ti dell’esercito e di sim­pa­tiz­za­re per l’ex pre­si­den­te João Goulart.
«Una del­le poche vol­te che sono riu­sci­ta a visi­tar­lo ho con­sta­ta­to che il suo cor­po era rico­per­to di segni che più tar­di ho sapu­to esse­re dovu­ti a fer­ri incan­de­scen­ti. Era diven­ta­to un vero fla­gel­la­to, con bar­ba e capel­li lun­ghi», dichia­rò sua moglie, Nor­ma Con­ceição, al non più edi­to gior­na­le Cor­reio da Man­hã, nel set­tem­bre del 1964. Quan­do Nor­ma poté rive­der­lo, era morto.
La far­sa dei “sui­ci­di” non ven­ne reci­ta­ta solo col gior­na­li­sta Vla­di­mir Her­zog. Era una cosa del tut­to nor­ma­le per il regi­me assas­si­na­re qual­cu­no e poi insce­na­re “il sui­ci­dio” del­la vit­ti­ma. Il fer­ro­vie­re José Nobre Paren­te ave­va 38 anni quan­do fu arre­sta­to, nel Cea­rá, con l’accusa di far par­te del movi­men­to dei lavo­ra­to­ri del­la Rete Fer­ro­via­ria Fede­ra­le (Rff­sa). Due gior­ni dopo, il 19 mag­gio 1966, la moglie di Paren­te andò a tro­var­lo e sen­tì il poli­ziot­to dare ordi­ni alla guar­dia car­ce­ra­ria di veri­fi­ca­re se il dete­nu­to fos­se «in con­di­zio­ne di rice­ve­re visi­te», ma Paren­te era già mor­to in cel­la. Si sareb­be “impic­ca­to” con una cin­ghia, quan­do inve­ce pro­prio il gior­no pri­ma la stes­sa Fran­ci­sca ave­va riti­ra­to gli effet­ti per­so­na­li del mari­to: un anel­lo, la fede nuzia­le, l’orologio … e la cinghia.
Ai lavo­ra­to­ri del­le fer­ro­vie fu proi­bi­to di par­te­ci­pa­re alla veglia fune­bre e ai fune­ra­li, ma mol­ti non rispet­ta­ro­no l’ordine e sca­val­ca­ro­no i muri dell’azienda per recar­vi­si. Duran­te la ceri­mo­nia, il fra­tel­lo del­la vit­ti­ma, Val­fre­do, rice­vé il cer­ti­fi­ca­to di mor­te, in cui la cau­sa del deces­so era attri­bui­ta a “frat­tu­ra cra­ni­ca”. Per aver denun­cia­to l’incredibile modi­fi­ca, Val­fre­do finì per esse­re arre­sta­to. La far­sa del sui­ci­dio si sareb­be com­ple­ta­ta quat­tro anni dopo, nel 1970, con un nuo­vo cer­ti­fi­ca­to in cui veni­va ripor­ta­ta la “asfis­sia mec­ca­ni­ca per com­pres­sio­ne del col­lo, impic­ca­gio­ne” come cau­sa del­la mor­te di José Nobre Parente.
Stu­den­te licea­le, Ismael Sil­va de Jesus era mili­tan­te del Pcb (Par­ti­do Comu­ni­sta Bra­si­lei­ro) e fu arre­sta­to a Goiâ­nia tre gior­ni pri­ma che com­pis­se i 19 anni, nell’agosto del 1972. Fu bru­tal­men­te pesta­to e fu sot­to­po­sto a tor­tu­ra con sca­ri­che elet­tri­che, ma il suo cor­po fu con­se­gna­to alla fami­glia come se si fos­se ucci­so con una cor­da di per­sia­na per la “ver­go­gna di esse­re sta­to arre­sta­to”. La veri­tà sareb­be sal­ta­ta fuo­ri solo nel 1991.

Ismael Sil­va de Jesus

E così pure, pre­sun­ti diser­to­ri del­la guer­ri­glia furo­no vit­ti­me di “sui­ci­di” sospet­ti. Cele­bra­to dai media gol­pi­sti dell’epoca come un “ter­ro­ri­sta pen­ti­to” ed esi­bi­to dal­la dit­ta­tu­ra come pro­pa­gan­di­sta con­tro i ribel­li, Mas­sa­fu­mi Yoshi­na­ga era sta­to vice­pre­si­den­te dell’Unione degli stu­den­ti di San Pao­lo e ave­va mili­ta­to nel­la Vpr (Avan­guar­dia popo­la­re rivo­lu­zio­na­ria), ben­ché non aves­se par­te­ci­pa­to a nes­su­na azio­ne arma­ta. A metà degli anni 70, ven­tu­nen­ne, si sareb­be volon­ta­ria­men­te con­se­gna­to agli orga­ni­smi del­la sicurezza.
Da quel momen­to, comin­ciò ad appa­ri­re in radio e in tele­vi­sio­ne come “ex ter­ro­ri­sta”, ma ben pre­sto ini­ziò a sof­fri­re di pro­ble­mi psi­co­lo­gi­ci: oggi si sa che alcu­ni di que­sti “pen­ti­men­ti” era­no anche il risul­ta­to del­la tor­tu­ra. Yoshi­na­ga pre­se a sof­fri­re di allu­ci­na­zio­ni ripe­ten­do che l’Oban lo avreb­be ucci­so. Si sot­to­po­se a cure psi­chia­tri­che e fu anche inter­na­to, ma per tre vol­te ten­tò il sui­ci­dio: la pri­ma vol­ta si get­tò da un auto­bus in cor­sa, la secon­da da una fine­stra e al ter­zo ten­ta­ti­vo morì. Si impic­cò in casa con un tubo di pla­sti­ca del­la doccia.

Mas­sa­fu­mi Yoshinaga

Un altro sui­ci­dio sospet­to fu quel­lo in cui tro­vò la mor­te Esme­ral­di­na Car­va­lho Cun­ha, qua­ran­ta­no­ven­ne di Bahia, tro­va­ta mor­ta in casa con un filo elet­tri­co avvol­to intor­no al col­lo nell’ottobre del 1972. Da un anno Esme­ral­di­na rivol­ge­va peti­zio­ni ai mili­ta­ri, non ras­se­gnan­do­si alla mor­te del­la sua figlia mino­re Nil­da, di soli 17 anni, dopo due mesi di tor­tu­re a Sal­va­dor. Nil­da era sta­ta arre­sta­ta nell’agosto del 1971 men­tre si tro­va­va nell’appartamento in cui fu ucci­sa Iara Iavel­berg, com­pa­gna di Car­los Lamar­ca. Tra le tor­tu­re a cui fu sot­to­po­sta, Nil­da fu obbli­ga­ta a toc­ca­re il cor­po fred­do del­la guer­ri­glie­ra ucci­sa. Quan­do la stu­den­tes­sa fu rila­scia­ta ave­va sin­to­mi di improv­vi­sa ceci­tà, depres­sio­ne e allucinazioni.
Rico­ve­ra­ta in un ospe­da­le del­la capi­ta­le baia­na, la ragaz­za rice­vé la “visi­ta” del mag­gio­re Nil­ton de Albu­quer­que Cer­quei­ra, che minac­ciò di arre­star­la di nuo­vo se non “l’avesse fat­ta fini­ta con le sue manie”, come rife­ri­sco­no i gior­na­li­sti Oldack Miran­da e Emi­lia­no Neto nel libro Lamar­ca, o Capi­tão da Guer­ri­lha. La salu­te di Nil­da peg­gio­rò fino alla mor­te, avve­nu­ta nel novem­bre del 1971. Dal­la sua car­tel­la cli­ni­ca si appren­de che non man­gia­va, vede­va sol­da­ti nel­la stan­za e ripe­te­va che sareb­be mor­ta. Non si cono­sce l’esatta cau­sa del deces­so. Nel cer­ti­fi­ca­to di mor­te si leg­ge “ede­ma cere­bra­le da con­fer­ma­re”. Poco pri­ma di “sui­ci­dar­si”, sua madre Esme­ral­di­na rice­vé la visi­ta di uno sco­no­sciu­to che le por­tò un mes­sag­gio: «Il mag­gio­re la avvi­sa che se non chiu­de­rà la boc­ca, sare­mo costret­ti a far­lo noi».

Esme­ral­di­na (a sini­stra) e sua figlia Nilda

La vigliac­che­ria dei mili­ta­ri si mani­fe­stò anche nei con­fron­ti dei più anzia­ni. Leo­pol­do Chia­pe­ti ave­va 58 anni quan­do fu arre­sta­to in casa sua, nel­la cit­tà di Maria­no Moro (Rio Gran­de do Sul), il 30 apri­le 1964, con l’accusa di appar­te­ne­re al “Grup­po degli undi­ci” lega­to a Leo­nel Bri­zo­la[8]. Duran­te la sua deten­zio­ne fu tenu­to per un mese nudo e nell’impossibilità di comu­ni­ca­re con l’esterno: in quel perio­do fu sot­to­po­sto a tor­tu­ra con la cor­ren­te elet­tri­ca, anche ai geni­ta­li, e anne­ga­men­ti in acqua gela­ta. Non si ripre­se mai dal­le tor­tu­re subi­te e morì l’anno successivo.
Duran­te la cac­cia ai guer­ri­glie­ri nel­la zona del fiu­me Ara­gua­ia, i mili­ta­ri fece­ro ter­ra bru­cia­ta die­tro di sé, tor­tu­ran­do e ucci­den­do i con­ta­di­ni che tro­va­va­no sul­la loro stra­da. Seba­stião Viei­ra da Sil­va fu arre­sta­to e tor­tu­ra­to da trup­pe dell’esercito davan­ti agli occhi di fami­lia­ri e vici­ni di casa il 19 gen­na­io 1972 a Poço Azul, nel comu­ne di São Geral­do do Ara­gua­ia, dove vive­va con la moglie e i figli. I sol­da­ti cer­ca­va­no infor­ma­zio­ni su una guer­ri­glie­ra chia­ma­ta “Dina”. Pri­ma di lascia­re il posto, ucci­se­ro gli ani­ma­li e distrus­se­ro la fat­to­ria di fami­glia con la scu­sa che sareb­be­ro potu­ti ser­vi­re per rifor­ni­re i guer­ri­glie­ri. Seba­stião morì una set­ti­ma­na dopo, in con­se­guen­za del­le torture.
Se la dit­ta­tu­ra si com­por­ta­va così con cit­ta­di­ni comu­ni, quan­do inve­ce si trat­ta­va di qual­cu­no che di fat­to ave­va lega­mi con la lot­ta arma­ta la cosa diven­ta­va ben più ter­ri­fi­can­te, a nul­la impor­tan­do l’età del sog­get­to. Lo stu­den­te di San Pao­lo Ere­mias Deli­zoi­cov, mili­tan­te del­la Vpr, fu ucci­so a Rio de Janei­ro quan­do ave­va diciott’anni, nell’ottobre del 1969, cri­vel­la­to da 19 col­pi di fuci­le, dopo che il “nascon­di­glio” in cui si tro­va­va era sta­to accer­chia­to dall’esercito. I geni­to­ri non si vide­ro mai resti­tui­ti i resti mor­ta­li del ragazzo.

Ere­mias Delizoicov

Ere­mias restò così defor­ma­to dal nugo­lo di pro­iet­ti­li che, nel­la sua testi­mo­nian­za dinan­zi alla Com­mis­sio­ne di Veri­tà, il gior­na­li­sta Ura­ria­no Mota affer­mò: «Nel­la foto non rico­no­sco Ere­mias. L’immagine è di un cada­ve­re di 18 anni tra­pas­sa­to da pal­lot­to­le, dal vol­to irri­co­no­sci­bi­le per­ché tut­to una feri­ta, dai capel­li così bagna­ti e spor­chi di coa­gu­li di san­gue che dan­no l’impressione che Ere­mias gal­leg­gi sul pavi­men­to asciut­to».

Il pove­ro cor­po mar­to­ria­to di Eremias

Tut­te que­ste tra­ge­die e altre anco­ra pos­so­no esse­re veri­fi­ca­te nel­la rela­zio­ne del­la Com­mis­sio­ne Spe­cia­le sugli Assas­si­na­ti e Scom­par­si Poli­ti­ci. Sol­tan­to cono­scen­do la veri­tà si è capa­ci di giu­di­ca­re, e non dan­do ascol­to a poli­ti­ci e gior­na­li­sti dell’estrema destra rea­zio­na­ria, inte­res­sa­ti solo a fal­si­fi­ca­re i fat­ti per ren­der­li com­pa­ti­bi­li con la pro­pria ideologia.
Chi cono­sce la sto­ria e con­ti­nua ad appog­gia­re l’azione di tor­tu­ra­to­ri e assas­si­ni che si nascon­do­no die­tro la men­zo­gna per cui essi sta­va­no “sal­van­do il Bra­si­le da una dit­ta­tu­ra comu­ni­sta” o è com­pli­ce, oppu­re è tan­to fol­le quan­to lo è sta­to Bri­lhan­te Ustra.

(Tra­du­zio­ne di Vale­rio Tor­re. Tut­te le note sono del­la redazione)


Note

[1] Il colon­nel­lo Car­los Alber­to Bri­lhan­te Ustra fu a capo del Doi‑Codi (v. nota 3) teo­riz­zan­do e attuan­do pra­ti­ca di tor­tu­ra estre­me. Nel 2008 ven­ne rico­no­sciu­to col­pe­vo­le di tortura.
[2] “Depar­ta­men­to de Ordem Polí­ti­ca e Social”. Si trat­ta­va di un orga­ni­smo che ave­va il com­pi­to di assi­cu­ra­re e disci­pli­na­re l’ordine mili­ta­re nel Paese.
[3] “Desta­ca­men­to de Ope­rações de Infor­mação – Cen­tro de Ope­rações de Defe­sa Inter­na”. Era un orga­ni­smo, subor­di­na­to all’esercito, con com­pi­ti di intel­li­gen­ce e di repressione.
[4] Car­los Lamar­ca era un capi­ta­no dell’esercito bra­si­lia­no che diser­tò per diven­ta­re un mem­bro del­la guer­ri­glia comunista.
[5] Car­los Mari­ghel­la è sta­to un guer­ri­glie­ro, rivo­lu­zio­na­rio, scrit­to­re e poli­ti­co brasiliano.
[6] “Ato Insti­tu­cio­nal Núme­ro Cin­co”. Fu il quin­to di dicias­set­te decre­ti di legi­sla­zio­ne ecce­zio­na­le ema­na­ti dal­la dit­ta­tu­ra mili­ta­re. Con l’AI‑5 ven­ne­ro revo­ca­ti i man­da­ti ai par­la­men­ta­ri cri­ti­ci ver­so il regi­me e sop­pres­se tut­te le garan­zie costi­tu­zio­na­li, di fat­to isti­tu­zio­na­liz­zan­do la tortura.
[7] “Ope­ração Ban­dei­ran­te”. L’Oban era sta­to costi­tui­to come cen­tro di intel­li­gen­ce e di inda­gi­ne. Ben­ché com­po­sto da mem­bri dell’Aeronautica, del­la Mari­na, dell’Esercito e del­la Poli­zia (ma anche del gover­no del­lo Sta­to di San Pao­lo), fun­zio­nò essen­zial­men­te come un orga­ni­smo para­mi­li­ta­re, finen­do per diven­ta­re un cen­tro di tor­tu­ra e morte.
[8] Orga­niz­za­zio­ne fon­da­ta dal poli­ti­co nazio­na­li­sta Leo­nel Brizola.