Tra il 26 e il 27 ottobre di settantacinque anni fa, Pietro Tresso, fondatore insieme a Gramsci e Bordiga del Partito comunista d’Italia, da cui fu poi espulso ad opera della frazione togliattiana perché in disaccordo con la politica imposta da Mosca (e, in particolare, con la svolta del “Terzo periodo”), veniva trucidato in Francia da una banda di stalinisti dopo essere evaso dal carcere. Tresso aveva una “colpa”: quella di avere aderito alle idee di León Trotsky, fondando, insieme ad Alfonso Leonetti e a Paolo Ravazzoli, la NOI (Nuova Opposizione Italiana) che proseguì in Italia il lavoro politico dell’Opposizione di sinistra internazionale.
In occasione della ricorrenza dell’assassinio di Tresso, presentiamo – tradotto in italiano – l’articolo di Alvaro Bianchi pubblicato sulla rivista brasiliana Movimento, con cui l’autore introduce il necrologio scritto daTresso in occasione della morte di Antonio Gramsci, cui era stato politicamente molto vicino.
In questo modo, intendiamo ricordare e rendere omaggio a un grande rivoluzionario, caduto come tanti altri per mano della repressione stalinista.
Buona lettura.
La redazione
Pietro Tresso (1893–1943) e “l’opposizione dei tre”
Presentazione al testo di Pietro Tresso, “Un grande militante è morto … Antonio Gramsci”
Alvaro Bianchi [*]
In questo numero della rivista Movimento appare per la prima volta in portoghese l’articolo “Un grande militante è morto … Gramsci”, di Pietro Tresso, nome di battaglia Blasco, originariamente pubblicato nel 1937 sulla rivista dei trotskisti francesi La Lutte Ouvrière. La traduzione del testo è accompagnata da un apparato critico preparato per il pubblico brasiliano al fine di consentire una migliore comprensione e contestualizzazione storica[1]. Sono necessarie alcune parole sull’autore.
Pietro Tresso nacque nel 1893 a Magrè di Schio, in Veneto. Figlio di un operaio tessile, iniziò a lavorare all’età di nove anni, prima come apprendista sarto e subito dopo in un lanificio[2]. Giovanissimo, si unì alla Gioventù socialista e a 16 anni divenne l’organizzatore del Circolo Giovanile Socialista “Avvenire”. Nel 1914, iniziò la sua attività nel movimento sindacale degli operai rurali della Puglia, un’attività che si interruppe nel 1915, quando fu chiamato alle armi. Nella primavera del 1917 fu arrestato con l’accusa di diffondere le idee socialiste contro la guerra fra i soldati. A differenza di molti dei suoi compagni, venne assolto per insufficienza di prove, ma per punizione fu trasferito in altro reggimento.
Nel 1918, Tresso contrasse la tubercolosi e fu ricoverato in diversi ospedali, finché, nel mese di settembre del 1919, venne congedato. Tornò così all’attività sindacale nella sua città natale, diventando responsabile della Federazione tessile a Schio. È questa l’epoca del suo scontro con l’ala riformista del Partito socialista e il progressivo allontanamento dal gruppo massimalista, guidato da Giacinto Menotti Serrati. Si avvicinò all’ala sinistra del partito, allineandosi alle posizioni di Amadeo Bordiga, pur se non ne condivideva la posizione astensionista. L’allontanamento dalla tendenza Serrati trovò il suo coronamento nel 1921, in occasione del Congresso di Livorno del Partito socialista, quando la sinistra del partito decise di rompere e fondare il Partito Comunista d’Italia (PCd’I). Tresso fu delegato al Congresso e partecipò alla fondazione del nuovo partito comunista.
Divenne segretario della sezione provinciale di Vicenza e direttore del giornale La Lotta Comunista, mentre continuava la sua attività sindacale nella Confederazione Generale del Lavoro (CGL), al cui interno cercava di costruire una frazione comunista. Dopo aver subito un’aggressione da parte di una banda fascista a causa della sua attività nei sindacati, nella primavera del 1921 Tresso si trasferì a Milano, dove fu ancora una volta aggredito, e poi a Berlino, dove collaborò con la rivista Rote Gewerkschaftsund Internationale, pubblicata dall’Internazionale sindacale rossa. Nel 1922, partecipò come delegato al II Congresso dell’Internazionale sindacale e, in rappresentanza del giovane partito italiano, al IV Congresso dell’Internazionale comunista. In quell’occasione, iniziò ad allacciare un rapporto più stretto con Antonio Gramsci.
Il 28 ottobre 1922 i fascisti marciarono su Roma e tre giorni dopo Benito Mussolini assunse la carica di capo del governo italiano. Tresso tornò in Italia pochi mesi dopo, a metà del 1923, stabilendosi a Milano dove assunse il ruolo di dirigente regionale del PCd’I. Negli anni seguenti concentrerà la sua attività nel movimento sindacale. Sorvegliato dalla polizia politica, Tresso fu arrestato nel maggio del 1924, rilasciato subito dopo e di nuovo arrestato nel giugno del 1925. Per sfuggire alla persecuzione emigrò a Parigi, dove partecipò alla nascita del Comitato Centrale Antifascista.
Il conflitto fra l’ala guidata da Amadeo Bordiga e quella diretta da Antonio Gramsci si era intensificato negli ultimi anni. Tresso si allineò alle posizioni di Gramsci, rompendo il rapporto politico che aveva con il leader degli astensionisti. L’ultima battaglia contro la frazione bordighista si verificò nel congresso del PCd’I celebrato a Lione, in Francia, nel mese di gennaio del 1926. Le tesi sulla situazione politica approvate nel congresso affermavano la necessità di collegare «le rivendicazioni parziali di carattere politico con quelle di carattere economico, [per] trasformare i movimenti “rivoluzionari democratici” in movimenti rivoluzionari operai e socialisti»[3]. La prospettiva delle tesi era molto prossima a quella adottata successivamente da León Trotsky nel Programma di transizione. Secondo i comunisti italiani:
«Mentre agita il suo programma di rivendicazioni classiste immediate e concentra la sua attività nell’ottenere la mobilitazione e unificazione delle forze operaie e lavoratrici, il partito può presentare, allo scopo di agevolare lo sviluppo della propria azione, soluzioni intermedie di problemi politici generali, e agitare queste soluzioni tra le masse che sono ancora aderenti ai partiti e formazioni controrivoluzionarie. Questa presentazione e agitazione di soluzioni intermedie – lontane tanto dalle parole d’ordine del partito quanto dal programma di inerzia e passività dei gruppi che si vogliono combattere – permette di raccogliere al seguito del partito forze più vaste, di porre in contraddizione le parole dei dirigenti i partiti di massa controrivoluzionari con le loro intenzioni reali, di spingere le masse verso soluzioni rivoluzionarie e di estendere la nostra influenza»[4].
Era a questo scopo che le tesi sottolineavano la necessità di insistere nella rivendicazione di una «Assemblea Repubblicana sulla base dei Comitati di operai e contadini; controllo operaio sull’industria; terra ai contadini». Le tesi proponevano anche la creazione di un «“fronte unico” di lotta antifascista e anticapitalista», che favorisse l’unificazione di tutte le forze in lotta contro il regime di Mussolini[5]. Redatte da Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, queste tesi costituiscono uno dei documenti più importanti della storia del comunismo italiano.
Blasco
Subito dopo il Congresso di Lione, Tresso fu arrestato dalla polizia francese e trascorse due mesi in carcere. Dopo essere stato rilasciato, tornò clandestinamente in Italia, assumendo il nome di battaglia “Blasco”, in onore dello scrittore e repubblicano spagnolo Blasco Vicente Ibañez. Nell’autunno del 1926 si stabilì a Roma e iniziò a dirigere l’Ufficio Tecnico Organizzativo del partito, come responsabile del lavoro clandestino e della corrispondenza con l’Italia e l’estero. In seguito partecipò alla riorganizzazione della CGL e del lavoro sindacale. La repressione fascista divenne più acuta dopo l’attentato a Mussolini il 31 ottobre di quell’anno, e nuove misure di eccezione furono adottate dal governo, tra cui la creazione di un nuovo Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato e di una Divisione di Polizia Politica, la chiusura di tutti i giornali di opposizione e lo scioglimento di tutti i partiti, associazioni e organizzazioni contrarie al regime.
L’8 novembre iniziò l’offensiva contro i comunisti. Solo tre deputati riuscirono a scampare al carcere, gli altri undici, tra cui Antonio Gramsci, furono arrestati. Una lettera della dirigente comunista Camilla Ravera a Palmiro Togliatti dà conto dell’estensione della repressione: negli otto giorni successivi ci furono 1.690 arresti a Milano, 151 attivisti vennero aggrediti e picchiati, tra cui Alfonso Leonetti che dovette essere ricoverato in ospedale, e 40 case e sedi di partito furono distrutte. Lo storico Paolo Spriano stima che alla fine di quello stesso anno, un terzo dei militanti del PCd’I era in prigione[6].
Praticamente tutta la dirigenza del partito fu arrestata. Immediatamente i pochi ancora in libertà tennero una riunione i cui verbali non sono stati conservati. Si sa, tuttavia, che Angelo Tasca aveva proposto di sciogliere il PCd’I trasformandolo in un gruppo di studio, e che la maggior parte dei presenti aveva appoggiato la decisione, che però non venne messa in atto. Nel mese di dicembre fu installato a Parigi un centro dirigente, mentre alcuni importanti quadri del partito, tra cui Camilla Ravera, Alfonso Leonetti, Paolo Ravazzoli, Teresa Recchia e Blasco, continuavano ad operare in Italia. Nel gennaio del 1927, il Comitato Centrale fu ricostituito e Tresso ne fece parte; in estate si trasferì a Genova, dove venne insediato il centro sindacale del partito di cui sarà responsabile.
Gli arresti continuarono per tutto l’anno e il centro estero decise di spostare dall’Italia la maggior parte dei dirigenti, fra cui Tresso, per riunirli a Basilea, in Svizzera. Più tardi egli si sarebbe recato a Zurigo e poi a Parigi. Tra luglio e settembre del 1928, Tresso partecipò al VI Congresso dell’Internazionale Comunista, a Mosca. Leon Trotsky era già stato espulso dal partito ed era in esilio. Ora l’obiettivo di Stalin era Nicolai Bukharin, le cui idee erano fortemente condannate dai delegati. Le tesi approvate al Congresso annunciavano l’avvento di un “terzo periodo” nella situazione mondiale, segnato dalla «più severa intensificazione della crisi generale del capitalismo» e caratterizzarono i dirigenti della socialdemocrazia come «i rappresentanti più coerenti degli interessi dello Stato borghese»[7].
Già a partire dal febbraio 1929 i documenti dell’Internazionale Comunista cominciarono a riferirsi alla socialdemocrazia come socialfascismo. È il caso, ad esempio, di una lettera che il Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista (CEIC) inviò al Partito comunista cinese l’8 febbraio 1929, così come di una dichiarazione dell’Ufficio per l’Europa occidentale del CEIC del 18 maggio 1929[8]. Il X Plenum del CEIC, che si tenne dal 3 al 19 luglio 1929, diede il passo decisivo caratterizzando in questi termini la socialdemocrazia: «Nei Paesi in cui vi sono forti partiti socialdemocratici, il fascismo assume l’aspetto particolare del socialfascismo, che in misura sempre crescente serve alla borghesia come strumento per paralizzare l’attività delle masse nella lotta contro il regime della dittatura fascista»[9]. Le conseguenze politiche della risoluzione adottata erano drastiche:
«Il Plenum del CEIC impone a tutte le sezioni dell’Internazionale Comunista l’obbligo d’intensificare la lotta contro la socialdemocrazia internazionale, che è il massimo sostegno del capitalismo. Il Plenum del CEIC dà istruzioni a tutte le sezioni dell’IC perché si dedichino in modo speciale a un’energica lotta contro l’ala “sinistra” della socialdemocrazia, che ritarda il processo di disintegrazione della socialdemocrazia stessa, creando l’illusione che essa – l’ala “sinistra”, appunto – rappresenti l’opposizione ai gruppi dirigenti socialdemocratici, mentre invece, di fatto, essa appoggia in pieno la politica del socialfascismo»[10].
Il Plenum dispose anche l’allontanamento dalla direzione di Nicolai Bucharin e Humbert-Droz, accusati di «fornire una base politico‑ideologica per la politica degli elementi di destra in tutta quanta l’Internazionale Comunista» e di essere «in particolar modo contrario alle deliberazioni del sesto Congresso»[11]. Anche Angelo Tasca, che era allineato con Bucharin, ne soffrì le conseguenze, dato che poco dopo fu rimosso dalle sue funzioni nell’Internazionale e pesanti denunce furono rivolte alla direzione del PCd’I, accusata di non aver combattuto le “aberrazioni” dell’ala destra del partito. Si pretese da Tasca l’abbandono delle sue posizioni politiche e una completa autocritica, ma siccome egli non accettò di ritrattare le sue idee, poiché non aveva cambiato opinione, venne espulso dal PCd’I nel settembre del 1929.
Le risoluzioni del X Plenum erano in contrasto con le Tesi approvate a Lione. Tuttavia gli italiani non offrirono resistenza. Togliatti si adattò rapidamente ai nuovi ordini di Mosca e si occupò di dirigere la campagna interna contro Tasca, suo antico compagno. In breve tempo il partito abbandonò la parola d’ordine dell’Assemblea repubblicana e ruppe ogni possibilità di collaborazione con la cosiddetta Concentrazione d’Azione Antifascista, formata in esilio da liberali e socialdemocratici, che secondo Togliatti era «diventata filofascista»[12]. Mentre dirigeva l’epurazione interna, Togliatti dichiarò pubblicamente l’accettazione delle tesi della frazione stalinista e, in particolare, della tesi sul socialfascismo. In un discorso pronunciato nel febbraio del 1930, Togliatti, nel Presidium del Comitato esecutivo dell’IC, definì la «linea generale di sviluppo del processo» come «un’accentuazione della fascistizzazione della socialdemocrazia»[13]. E nella sua relazione in quella stessa riunione insisté su tale questione: «La socialdemocrazia italiana si fascistizza con estrema facilità. […] Dietro ogni azione che gli elementi della sinistra socialdemocratica cercano di realizzare, si può dimostrare che essa è stata realizzata ispirata da Mussolini»[14].
Opposizione
Nella storiografia del PCd’I questa nuova fase del partito divenne nota come “la svolta”. Provocò un intenso dibattito in seno all’organizzazione, sebbene gli argomenti non fossero sempre chiari. Nel giugno del 1928 – e, quindi, prima della svolta – Tresso aveva già protestato contro una risoluzione del Comitato Centrale del PCd’I che definiva la lotta alla Concentrazione come uno dei compiti principali dei comunisti. Secondo Tresso era necessario distinguere i fascisti dai loro oppositori, ma anche la Concentrazione dall’opposizione costituzionale[15]. Ma nella riunione dell’Ufficio politico nell’ottobre del 1929, Tresso non si espresse al riguardo. Utilizzò invece le risoluzioni del X Plenum per mettere in discussione la politica precedente del partito. Leonetti fece lo stesso[16]. Secondo Spriano, solo Paolo Ravazzoli espresse immediatamente dubbi sulla svolta del partito, affermando: «Le basi della socialdemocrazia sono diverse dalle basi propriamente fasciste»[17]. Per gli altri, Togliatti avrebbe dovuto riconoscere che la precedente linea politica era sbagliata. Era la confessione che le due cose non erano compatibili. Ma Togliatti si rifiutò di farlo alla riunione della Commissione politica tenutasi nel settembre del 1929 e mantenne la sua posizione di fronte al partito.
Le divergenze erano ancor più accentuate sul terreno organizzativo. La prospettiva che una nuova situazione rivoluzionaria potesse presentarsi in Italia con la crisi del fascismo implicava uno sforzo per ricostruire il partito all’interno del Paese. Alla fine di dicembre del 1929 Luigi Longo sottopose alla segreteria la proposta che «tutto l’apparato del partito» tornasse in Italia[18]. Leonetti, Tresso e Ravazzoli furono fortemente contrari. Non era la prima volta che non erano d’accordo su questioni organizzative. Subito dopo quel primo scontro di Tresso con la linea politica del Comitato centrale, nel giugno 1928, lui e Leonetti avevano rivolto dure critiche a Togliatti e Ruggero Grieco rispetto agli errori organizzativi che avevano fatto sì che la repressione si abbattesse facilmente sui comunisti portando all’arresto della maggioranza dei suoi dirigenti. In quell’occasione, Leonetti propose una ritirata: «Non possiamo avere in Italia nessun apparato», sostenne. E Tresso si sommò con enfasi alle critiche: «Constatavamo che si richiedeva al partito più di quanto poteva dare. Allora ci si rispose che eravamo pessimisti e che avevamo delle preoccupazioni personali»[19].
Nel contesto della svolta, i problemi organizzativi assumevano una nuova dimensione. Togliatti sostenne la risoluzione di Longo e sollecitò un riorientamento del partito in conformità con le direttive dell’Internazionale comunista. Nel corso della riunione dell’Ufficio politico del giorno 10 gennaio 1929 la divisione cominciò ad assumere contorni definiti: Pietro Secchia, Camilla Ravera, Luigi Longo e Palmiro Togliatti votarono a favore della risoluzione; Ravazzoli, Leonetti e Tresso furono contrari. Ignazio Silone, che era malato in Svizzera, annunciò subito dopo di essere anch’egli contrario alla risoluzione[20]. Ravazzoli venne quindi invitato a partecipare a una riunione a Mosca, insieme a Togliatti e altri, nella quale la nuova linea politica del PCd’I fu varata senza che si manifestasse una forte opposizione. Ma in Italia il dissenso continuò.
Le differenze di Ravazzoli, Leonetti e Tresso con la maggioranza cominciarono a manifestarsi sul terreno della politica nel corso della riunione del CC che ebbe luogo tra il 20 e il 23 marzo del 1930. Anche se inizialmente non misero in discussione le risoluzioni del X Plenum del CEIC, consideravano la “fascistizzazione” meno importante di quanto non pensasse la maggioranza, e non escludevano – fedeli alle Tesi di Lione – che la sconfitta del fascismo potesse lasciare il posto a un regime intermedio. Togliatti aveva già proposto di usare la forza bruta contro i dissidenti. Sconfitti nella riunione del CC, vennero tutti rimossi dai loro incarichi. Nella stessa riunione fu votata all’unanimità l’espulsione di Amadeo Bordiga dal partito, con l’accusa di simpatizzare per le idee di León Trotsky[21]. La campagna contro gli oppositori fu lanciata immediatamente. Sul giornale Lo Stato Operaio di aprile-maggio 1930 furono pubblicati due articoli contro le loro posizioni, senza alcun diritto di replica[22].
Già all’inizio di aprile, Ravazzoli e Leonetti si misero in contatto con Alfred Rosmer, uno dei leader dell’Opposizione di Sinistra Internazionale[23]. Poi incontrarono Pierre Naville, membro del Segretariato Internazionale dell’Opposizione. Rosmer scrisse immediatamente a Trotsky, riferendo dell’incontro con alcuni «compagni che dirigevano il partito italiano» e «si dichiaravano seguaci di Gramsci»[24]. Secondo Paolo Casciola, i dissidenti italiani avevano letto gli articoli che Trotsky aveva pubblicato sul quotidiano La Vérité contro l’avventurismo ultrasinistro del “terzo periodo” e ne erano rimasti fortemente colpiti[25]. La collaborazione con Leonetti iniziò subito, e a partire dal 25 aprile egli pubblicò su La Vérité articoli che Trotsky aveva pubblicato nel periodico sulla crisi del PCd’I, firmati con lo pseudonimo di A. Kros[26]. L’Ufficio Politico del PCd’I reagì con una dura campagna contro l’opposizione, definendola pubblicamente “opportunista”, e in una riunione del 28 aprile rimosse i tre delle loro funzioni nel partito. L’Ufficio Politico e Togliatti cominciarono a sospettare che gli articoli di La Vérité fossero di Leonetti e in una riunione ai primi di giugno pretesero che egli e Ravazzoli firmassero una condanna pubblica degli articoli pubblicati sul quotidiano francese. Di fronte al loro rifiuto, il 9 giugno furono espulsi dal partito. Nella risoluzione di espulsione, Togliatti, che non voleva di nuovo provare l’imbarazzo di essere accusato da Mosca di aver vacillato nella lotta contro l’opposizione, com’era accaduto nel caso Tasca, dichiarò guerra: «A questo punto è possibile solo una cosa, la lotta, la lotta aperta, senza quartiere, la mobilitazione di tutte le forze del partito e della classe operaia come contro dei traditori del partito e della classe operaia»[27]. Durante la riunione vennero anche fatte pressioni perché Tresso si allontanasse dagli altri due, ma egli replicò che le decisioni di marzo non erano altro che «una caduta nell’opportunismo mascherata di frasi di sinistra» e respinse la dichiarazione di capitolazione che volevano costringerlo firmare[28]. Si consumava così l’esclusione dei tre, ai quali si aggiunsero pure Teresa Recchia, l’unica donna operaia eletta alla guida del partito al Congresso di Lione, Mario Bavassano e Giovanni Boero.
Gramsci
Nella storiografia comunista l’opposizione dei “tre” è spesso rappresentata come di un gruppo senza divergenze politiche con la direzione del partito, ma animato da risentimenti personali contro Togliatti, contro cui muovevano dure accuse[29]. Ma la lettera inviata poco dopo a Trotsky sulla situazione italiana e la versione che Blasco ne fece per la pubblicazione sulla rivista La Lutte de classes mostrano non solo la portata delle differenze, ma anche la qualità politica degli oppositori italiani[30]. In questo testo, Blasco afferma che la «prima causa delle divergenze» tra gli oppositori e la maggioranza della dirigenza del PCd’I era «la diversa valutazione che facciamo della situazione italiana»[31]. L’articolo esprimeva i dubbi degli oppositori italiani sullo sviluppo della crisi del capitalismo nella penisola e affermava la possibilità che le classi dominanti potessero trovare il modo di «superarla provvisoriamente»[32].
Secondo Blasco, l’opinione dei dirigenti del partito italiano sulla reale situazione del movimento di massa era «per il 90% pura fantasia»: «La verità è che le masse lavoratrici italiane stanno ancora facendo i primi tentativi di uscire dalla passività»[33]. A partire da questa caratterizzazione realistica dei rapporti di forze, gli oppositori italiani affermavano la possibilità che la caduta del fascismo lasciasse il posto a forme politiche democratiche, cioè che «la borghesia […], attraverso questo nuovo personale politico [liberali e socialdemocratici] e con un riadeguamento al metodo democratico, riconquisti il controllo politico e organizzativo su almeno una parte di quegli strati su cui oggi non ha presa»[34].
L’articolo di Blasco non menzionava la proposta di Assemblea repubblicana basata su consigli di lavoratori e contadini. Ma dalla risposta di Trotsky alla lettera che i tre avevano inviato, è possibile dedurre che essa figurasse nella versione originale. Uno dei motivi di questa soppressione può essere il fatto che Trotsky si era opposto a questa proposta, sostenendo che era sbagliato cercare di conciliare l’Assemblea repubblicana, organo dello Stato borghese, con i consigli di operai e contadini, organismi dello Stato proletario[35]. Trotsky, tuttavia, non escludeva le parole d’ordine democratiche dal programma e suggerì agli italiani la rivendicazione dell’Assemblea Costituente:
«Di fatto non neghiamo la fase di transizione con le sue rivendicazioni transitorie, comprese quelle democratiche. Ma è proprio con l’aiuto di queste parole d’ordine transitorie, le quali aprono la strada alla dittatura del proletariato, che l’avanguardia dei lavoratori dovrà conquistare l’insieme della classe operaia e che questa dovrà unire intorno a sé tutte le masse oppresse della nazione. E neppure escludo l’eventualità di un’Assemblea Costituente che in determinate circostanze potrebbe essere imposta dal corso degli eventi o, più precisamente, dal processo di risveglio rivoluzionario delle masse oppresse»[36].
Da quel momento iniziò la costruzione della Nuova Opposizione Italiana (NOI), che segnava le sue differenze rispetto alla vecchia opposizione bordighista e si allineava con l’Opposizione di Sinistra Internazionale. L’Opposizione pubblicò, tra il 10 aprile 1931 e il 15 giugno 1936, sedici numeri del Bollettino dell’Opposizione Comunista Italiana[37]. Per molti aspetti, l’analisi della situazione politica italiana portata avanti dagli oppositori nel Bollettino e l’orientamento politico proposto, riassunto nella rivendicazione dell’Assemblea Costituente, erano prossimi a ciò che Gramsci discuteva con i suoi compagni in carcere. È noto che in prigione egli aveva espresso la sua opposizione alla nuova politica del partito, che aveva proposto che i comunisti dovessero rivendicare la convocazione di un’Assemblea costituente, che aveva cercato di informarsi sul destino dei tre e sulle ragioni della loro espulsione, e che per questi motivi era stato duramente attaccato dai compagni di sventura allineati con la maggioranza della direzione. Il clima tra i prigionieri comunisti era diventato molto teso e non furono pochi ad aver accusato Gramsci di rompere con il partito. Secondo Giuseppe Vacca, «tutte le testimonianze concordano sul fatto che la maggior parte dei compagni riteneva che Gramsci si fosse posto fuori del partito»[38]. Angelo Scucchia, ad esempio, narrava che spesso compagni di sventura in linea con la maggioranza del partito accusassero Gramsci di “opportunismo” “posizioni anti‑partito” e “tradimento ideologico”[39].
L’assassinio
A partire dalla metà del 1930, Tresso militò nella Ligue Communiste e fu eletto nel suo Comitato Esecutivo. In seguito avrebbe partecipato attivamente alle discussioni per la fondazione della Quarta Internazionale e, nel 1938, fu delegato al suo congresso di fondazione, venendo eletto nel Comitato Esecutivo Internazionale. Lo scoppio della seconda Guerra Mondiale e l’occupazione della Francia da parte dei nazisti nel maggio del 1940 resero estremamente pericolosa l’attività politica di Tresso e nell’estate del 1941 egli lasciò Parigi trasferendosi a Marsiglia, che non era occupata dai tedeschi. Immediatamente riprese le sue attività, entrando nella direzione del Parti Ouvrier Internationaliste (Partito Operaio Internazionalista – POI), denominazione assunta dall’organizzazione trotskista nel 1936. È di questo periodo la redazione del necrologio di Gramsci che abbiamo pubblicato qui.
Nei primi giorni del giugno 1942, un’ondata repressiva colpì i trotskisti francesi. Molti furono arrestati dalla polizia francese, tra cui Tresso che venne brutalmente torturato. Condannato dal Tribunale militare a dieci anni di lavori forzati, fu rinchiuso nel carcere di Lodève. In prigione, insieme ad altri quattro trotskisti, si scontrò con l’ostilità degli stalinisti. A novembre fu trasferito nel carcere di Mauzac e subito dopo a Puy‑en‑Velay. Dal settembre 1943 l’ostilità degli stalinisti si trasformò in esplicita minaccia di morte. Fu in questo contesto che la sera del 1° ottobre si verificò la fuga di 79 detenuti, tra cui Blasco e i suoi compagni trotskisti.
L’evasione venne sostenuta dai servizi segreti britannico e fu gestita da un gruppo di maquisards (partigiani: Ndt) guidati da Giovanni Sosso, noto come Capitano Jean, che si sospetta essere collegato ai servizi segreti sovietici[40]. I trotskisti furono separati dagli altri e portati nella macchia di Raffy. La minaccia su di loro era costante e lo storico Marc Bloch, dirigente di primo piano della resistenza, cercò invano di liberarli. Probabilmente, tra il 26 e il 27 ottobre Tresso e i suoi compagni furono condotti in un bosco e giustiziati da una banda stalinista. Così finì la vita di Blasco, fondatore della NOI, trotskista e gramsciano.
Note
[1] Il link nell’articolo originale in portoghese, in realtà, rimanda alla pagina web della rivista Movimento all’indirizzo https://tinyurl.com/yc3x28nr, che presenta il testo scritto da Tresso corredato da un apparato critico di note per favorire la comprensione della vicenda da parte dei lettori brasiliani. Tuttavia, in questa traduzione della presentazione di Alvaro Bianchi rimandiamo invece al testo di Tresso già tradotto in italiano dal sito Rivoluzione e che può essere letto all’indirizzo https://tinyurl.com/ydduuz8b (Ndt).
[2] Per la biografia di Pietro Tresso v. U. De Grandis, “‘È perché siamo rimasti giovani’. Vita e morte di Pietro Tresso ‘Blasco’, rivoluzionario scledense”, Quaderni di Storia e di Cultura Scledense (nuova serie), n. 21, 2012; P. Casciola, G. Sermasi, Vita di Blasco: Pietro Tresso dirigente del movimento operaio Internazionale (Magrè di Schio 1893–Haute-Loire 1944?), Vicenza, Odeonlibri-ISMOS, 1985; nonché il breve saggio “Les hommes qui ont forgé notre Internationale: Pietro Tresso (Blasco)”, Quatrième Internationale, v. 13, n. 11‑12, Dicembre 1955, pp. 12–13.
[3] “La situazione italiana e i compiti del PCI”. In A. Gramsci, La costruzione del Partito Comunista (1923–1926). Torino, Einaudi, 1971, p. 510.
[4] Idem, p. 512.
[5] Idem, pp. 510 e 511.
[6] Cfr. P. Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano: gli anni della clandestinità, Torino, Einaudi, 1969, p. 63.
[7] “Estratti dalle Tesi del VI Congresso del Comintern sulla situazione internazionale e i compiti dell’Internazionale Comunista”, in J. Degras, The Communist International (1919–1943): Documents, London, Frank Cass, 1971, v. II (1923‑1928), pp. 457 e 459.
[8] “Estratti da una lettera del CEIC al Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, 8 febbraio 1929”, in J. Degras, op. cit., v. III (1929‑1943), p. 1; e “Estratti da una dichiarazione dell’Ufficio per l’Europa Occidentale del CEIC sulla Conferenza dei partiti comunisti europei, indetta in preparazione della Giornata internazionale contro la guerra, 18 maggio 1929”, in J. Degras, op. cit., v. III (1929‑1943), p. 29.
[9] “Estratti dalle Tesi del X Plenum del CEIC sulla situazione internazionale e sugli obiettivi dell’Internazionale Comunista, 1° luglio 1929”, in J. Degras, op. cit., v. III (1929‑1943), p. 44.
[10] Idem, p. 47.
[11] “Estratti dalla risoluzione del X Plenum del CEIC su Bucharin, luglio 1929”, in J. Degras, op. Cit., v. III (1929_1943), p. 69.
[12] Apud P. Spriano, op. cit., p. 216.
[13] P. Togliatti, Opere, a cura di Ernesto Ragionieri, Roma, Editori Riuniti, 1973, v. III/1, p. 154.
[14] Idem, p. 180. Confrontando le varie citazioni sul “socialfascismo”, Trotsky, nel vivo degli avvenimenti affermò: «I funzionari dell’Internazionale Comunista si riarmarono. Ercoli [Togliatti] si affrettò a dimostrare che la verità gli è cara, ma che Molotov gli è ancor più caro, e … preparò una relazione in difesa della teoria del socialfascismo. “La socialdemocrazia italiana – ha dichiarato nel febbraio 1930 – si fascistizza con estrema facilità”. Ahimè! Con una facilità ancora maggiore diventano servili i funzionari del comunismo ufficiale» (L. Trotsky, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, São Paulo, Ciências Humanas, 1979, pag. 152).
[15] V. quanto scritto da P. Spriano, op. cit., pp. 148‑149.
[16] V. a questo proposito A. Pian, “Le chemin de Tresso vers l’Opposition de gauche”. Cahiers Léon Trotsky, n. 29, Marzo 1987, pp. 7‑9. Secondo Pian, Tresso e Leonetti tardarono a comprendere gli effetti della politica dell’Internazionale Comunista (idem).
[17] Apud P. Spriano, op. cit., p. 219.
[18] V. A. Agosti, Palmiro Togliatti: a biography, London, I. B. Taurus, 2008, p. 68.
[19] Apud P. Spriano, op. cit., p.160.
[20] Cfr. A. Agosti, op. cit., p. 70.
[21] A. Agosti, op. cit., p. 71.
[22] Cfr. A. Pian, op. cit., p. 29.
[23] V. la testimonianza di Leonetti al riguardo in “Trockij e l’opposizione di sinistra in un carteggio fra Alfonso Leonetti e Isaac Deutscher”, Belfagor, v. 34, n. 1, 1979, p. 51.
[24] A. Rosmer, “Lettre a Leon Trotsky”, 10 avril 1930”, in A. Rosmer, M. Rosmer, L. Trotsky, Correspondance (1929–1939): lettres choisies, présentées et annotées par Pierre Broué, avec la collaboration de Gérard Roche, Paris, Gallimard, 1982, p. 135.
[25] P. Casciola, “Pietro Tresso (Blasco) and the Early Years of Italian Trotskyism”, Revolutionary History, v. 5, n. 4, s.d. Disponibile all’indirizzo http://bit.ly/2n0mZKP.
[26] Cfr., al riguardo, P. Spriano, op. cit., p. 258.
[27] Apud idem, p. 259.
[28] Apud idem, pp. 259 e 260.
[29] V., p. es., P. Spriano, op. cit. e A. Agosti, op. cit.
[30] Blasco, “Les problèmes de la révolution en Italie et nos divergences”, Lutte de Classes, n. 23, luglio 1930, pp. 478‑502.
[31] Idem, p. 479.
[32] Idem, p. 484.
[33] Idem, p. 485.
[34] Idem, p. 493.
[35] L. Trotsky. “Réponse du camarade Trotsky a la nouvelle opposition du Parti Communiste Italien”. Lutte de Classes, n. 23, luglio 1930, p. 521.
[36] Idem, pp. 523‑524.
[37] V. la collezione del Bollettino in R. Massari, All’opposizione nel PCI con Trotsky e Gramsci: Bollettino dell’Opposizione Comunista Italiana (1931–1933), Bolsena, Massari, 2004.
[38] G. Vacca, Vida e pensamento de Antonio Gramsci, Rio de Janeiro, Contraponto, 2012, p. 370.
[39] M.P. Quercioli, Gramsci vivo nelle testimonianze dei suoi contemporanei, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 222.
[40] Cfr. U. De Grandis, op cit., p. 54. Maquis era il nome con cui venivano definiti i gruppi della resistenza contro l’occupazione nazista soprattutto nella Bretagna e nel sud della Francia, i cui membri erano chiamati “maquisards”.
[*] Alvaro Bianchi insegna nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Statale di Campinas (UNICAMP), Brasile.
(Traduzione di Valerio Torre)