Torniamo ancora sul tema delle elezioni presidenziali in Brasile. Lo facciamo, stavolta, pubblicando un brillante articolo di Felipe Demier che, con uno stile brioso, descrive il processo che ha portato un candidato impresentabile e pericoloso come Jair Bolsonaro alle soglie della presidenza.
Soffermandosi su un argomento centrale dei suoi studi – quello della “democrazia blindata” brasiliana – l’autore spiega inoltre le ragioni che debbono indurre invece a votare Haddad: scelta, questa, che ha costituito, come abbiamo già segnalato nell’articolo precedente, il nucleo intorno a cui tutta la sinistra brasiliana ha inteso convergere, in una sorta di fronte unico difensivo.
Buona lettura.
La redazione
Le elezioni del Golpe (o il Golpe delle elezioni): dalla democrazia blindata alla democrazia dei blindati
Felipe Demier [*]
“Avrei voluto credere
Che non succede nulla
A giocare tanto col fuoco
Che il fuoco venga, allora”
(Renato Russo, Fábrica)
Giunta al suo apice, cancellando progressivamente diritti, la democrazia blindata brasiliana[1], sempre più lontana dalle masse popolari, ha minato la sua stessa legittimità sociale e, dunque, ha perso la sua utilità per il capitale in quanto forma di dominazione politica. Così, al suo apogeo, il regime vigente ha creato le condizioni per la sua stessa caduta, che ora si avvicina o che, per lo meno, si pone come concreta possibilità.
Da un lato, a partire dal golpe del 2016, portando al parossismo il suo contenuto controriformista – e cioè, gettandosi spietatamente sulle conquiste sociali della Costituzione del 1988 – la democrazia blindata è stata spinta a bloccare una serie di diritti civili e democratici, a sospendere un ventaglio di libertà che erano parte della base del consenso del regime. L’arbitrario attivismo di procuratori e giudici, a braccetto con la grande stampa e sotto la crescente tutela militare, è stato fondamentale perché gli interessi del capitale fossero rapidamente soddisfatti in un contesto di crisi economica e politica.
Nella misura in cui le libertà venivano limitate, si è consolidato un altro sostegno del regime, quello della forza. Dopo che il voto del 2014 è stato cancellato[2], le manifestazioni contro Temer sono state di fatto proibite dai gas lacrimogeni e dai proiettili di gomma, la libertà di opinione dei professori (e persino dei rettori universitari) è diventata una libertà vigilata, Marielle è stata assassinata[3], Lula incarcerato, mentre le toghe e le uniformi hanno preso a decidere – sondaggi alla mano – chi avrebbe potuto partecipare alle elezioni e chi no. Parafrasando Dostoevskij, è come se, con la morte di Dio, tutto fosse possibile, persino che un giudice di primo grado potesse indurre la polizia federale a disattendere, come è avvenuto, un ordine di liberazione dell’allora candidato del Pt da parte di un giudice superiore. Sicché, facendo ciò che doveva fare, cioè andando verso l’insediamento di quello che a un primo esame sarebbe stato “soltanto” uno Stato liberale senza diritti sociali, la democrazia blindata brasiliana è stata obbligata a sviluppare le sue componenti bonapartiste, a rafforzare il potere dei togati e dei blindati a scapito del potere dei politici eletti, a tonificare la sua muscolatura autocratica con anabolizzanti forensi e militari: la qual cosa fa sì che ora essa stessa si stia trasformando rapidamente in uno Stato autoritario senza diritti di nessuna specie. Dalle viscere della democrazia liberale blindata sembra nascere una democrazia dei togati. O, il che è lo stesso, una democrazia dei blindati.
D’altro lato, proprio per il fatto di avere bruscamente accelerato negli ultimi due anni l’offensiva contro i diritti sociali, e aver imposto un’austerità senza precedenti aumentando la disoccupazione, la violenza, la disgregazione sociale e portando le condizioni di vita dei lavoratori a un punto prossimo alla miseria, la democrazia blindata ha praticamente tagliato ogni legame, ogni intermediazione minimamente rappresentativa, con le masse popolari. Per queste ultime, il regime politico democratico‑blindato è diventato né più e né meno che il monopolio di una banda di rapaci e corrotti, dediti solo ad accrescere le loro fortune, a libagioni e orge finanziarie. Così, la sua efficacia come forma di gestione politica dello sfruttamento sociale è declinata in maniera pressoché irreversibile, dato che non solo il Re è nudo, quanto tutti i sudditi ne vedono la nudità. Tuttavia, com’è d’abitudine in tempi conservatori, quando le idee socialiste non pervadono il tessuto sociale e la coscienza delle classi subalterne è troppo arretrata, l’apparenza della faccenda è stata assunta come l’essenza della stessa; ciò che di essa è solo epidermico e superficiale è stato erroneamente visto come centrale e determinante, e la visione del corpo nudo non può andare oltre la stessa nudità, così come la mera visione degli alberi impedisce l’osservazione della foresta. Attraverso l’ideologia anticorruzione, il contenuto di classe, borghese, della stessa corruzione è stato – ed è – obnubilato, e coloro che vi sono coinvolti, invece di essere visti dalle masse come politici corrotti che, al servizio della borghesia, tagliano diritti, sono stati (e sono) visti come semplici e autonomi corrotti: i cui atti illegali – e non quelli legali, come la soppressione dei diritti o le politiche di austerità – sarebbero i principali responsabili dell’atroce degradazione delle condizioni di vita del popolo.
Tutto ciò ha creato le condizioni affinché il fascismo – che si andava sviluppando dal secondo governo Dilma come espressione del “timore della proletarizzazione” nutrito dai settori medi conservatori ostili alle politiche sociali mirate e positive – superasse le frontiere piccolo‑borghesi e raggiungesse elettoralmente una dimensione di massa. Difeso, finanziato e, infine, invocato da una borghesia disposta a tutto pur di rimuovere dal potere il Partito dei lavoratori (Pt), il fascismo, nelle condizioni di crisi della democrazia blindata, ha assunto vita propria e vuole continuare ad essere al servizio del capitale; ma stavolta alla sua maniera, che è cruenta e religiosa, benché non abbia nulla di cristiano. Se Temer, screditato di fronte alle masse e ripudiato da grandi manifestazioni dei lavoratori nel primo semestre del 2017, non è riuscito, pur facendo ricorso a ogni tipo di voto di scambio, ad approvare la totalità della piattaforma controriformista (compresa la controriforma previdenziale), il fascismo ammicca al capitale sulla possibilità di farlo liberandosi, benché non formalmente, di ogni pastoia democratico‑parlamentare. Avida di smisurati e facili profitti, politicamente divisa, sprovvista di autorevoli quadri e irrazionalmente antipetista, ora la nostra imprudente borghesia assomiglia tanto a chi è stato messo al guinzaglio dagli stessi cani che ha lasciato liberi, inginocchiandosi davanti alla canna del fucile dei generali torturatori, sottomettendosi alle decisioni dei suoi stessi cavillosi magistrati. E, infine, sommessamente inchinandosi al pusillanime führer delle classi medie impoverite, semianalfabete, antipopolari e isteriche.
È in questo contesto che si svolgerà il ballottaggio delle elezioni più farsesche della storia della Nuova Repubblica. Solo il Pt è stato identificato con la corruzione dalla grande stampa. Solo il Pt si è visto arrestare dalla magistratura bonapartista i suoi dirigenti e strateghi. Solo a Lula è stato impedito di concorrere perché non vincesse, e solo lui è stato arrestato perché non fosse ancora un candidato di successo. Il Tribunale Superiore Elettorale (Tse) non ha fatto e non fa nulla contro le fake news del candidato fascista, così come il preteso Stato laico non ha fatto e non fa nulla contro i prestigiatori religiosi che, come bravi mercanti, comprano e vendono voti nei loro templi del diavolo. Il Tse non ha fatto e non fa nulla contro le interviste concesse dal candidato fascista a certe emittenti che hanno violato la legge sulla par condicio ai danni degli altri candidati, e probabilmente non farà nulla affinché la legge venga applicata ai dichiarati nemici della legge, affinché la liturgia democratica venga rispettata da coloro che ululano contro la democrazia. Vari illeciti civili ed elettorali del candidato fascista sono stati e sono ignorati dai giudici, la cui opportuna ignoranza è, a sua volta, ignorata dalla grande stampa capitalista, responsabile anche per nascondere o minimizzare quotidianamente le aggressioni e minacce compiute da bande fasciste. Valendosi di certificati medici falsi, forniti da sanitari la cui considerazione per la scienza e la vita è pari a quella di un guaritore, il candidato fascista si rifiuta di partecipare ai dibattiti[4]; e le televisioni, compiacenti, si rifiutano di dare voce al candidato che invece accetta di comparire. Riassumendo: realizzata sotto il controllo dei golpisti vittoriosi del 2016, le elezioni del 2018 non avrebbero potuto essere diverse da ciò che oggi appaiono: cioè, una totale farsa.
Dipendendo dai poteri forti, ciò che ci attende il 28 di questo mese è la consumazione di una truffa che, una volta legittimata, promuoverà una barbarie istituzionalizzata, quando, ricordando Goethe, la ragione sarà sostituita dalla follia e la maledizione sarà vista come una benedizione, quando verrà formalizzata una caccia alle streghe in cui saranno gli stregoni e gli altri irrazionali profeti i cacciatori di persone e libri, e quando infine la farsa sarà proclamata verità. Alla grande stampa – è chiaro – spetterà di presentare il fango come acqua limpida, e le tenebre come brillanti raggi di sole. Nei pochi giorni che restano prima del caos annunciato, è compito di tutti coloro che difendono la vita e la libertà convincere quanta più gente è possibile a votare per Haddad e, al contempo, denunciare il processo farsesco che stiamo vivendo, in cui l’autentica libertà è stata già da molto tempo soppressa. Non c’è alcuna contraddizione tra queste due posizioni. Sconfiggere Bolsonaro nelle urne significa sconfiggere il Golpe nel suo cortile, i golpisti nella loro nuova casa, il mostro dittatore nel suo “democratico” antro; significa sconfiggere il demonio che usa il fuoco delle profondità dell’inferno. Dobbiamo votare Haddad, non già per salvare la democrazia blindata, non già in difesa di questo fallito e decrepito regime falsamente democratico che ha asfaltato un’autostrada per il fascismo, ma invece per mantenere le poche libertà democratiche che esso ancora offre: e questo ci darà qualche possibilità di continuare a lottare per una democrazia con più diritti, che l’osceno capitalismo periferico brasiliano non può e mai potrà sopportare.
[*] Felipe Demier, storico, insegna all’Università Federale Fluminense (Uff) e all’Università Statale di Rio de Janeiro (Uerj). Ha scritto diversi libri, tra cui: O Longo Bonapartismo Brasileiro: um ensaio de interpretação histórica (1930–1964), Mauad, 2013; e Depois do Golpe: a dialética da democracia blindada no Brasil, Mauad, 2017.
Note
[1] Per una sintetica nozione del concetto di “democrazia blindata”, v. su questo stesso sito l’articolo “Il Brasile, il golpe e l’arresto di Lula spiegati a mio nonno”, e in particolare la nota 63 (Ndt).
[2] Qui il riferimento è alla sostanziale vanificazione dell’elezione di Dilma Rousseff grazie all’impeachment del 2016 (Ndt).
[3] V., al riguardo, su questo stesso sito, l’articolo “Marielle Franco: un delitto politico in piena regola” (Ndt).
[4] Qui il riferimento è all’attentato subito a colpi di coltello durante la campagna elettorale da Jair Bolsonaro, che però è stato ferito lievemente. Accampando scuse per la sua salute, Bolsonaro evita accuratamente i confronti televisivi, temendo di essere messo in difficoltà vista la sua pochezza argomentativa (Ndt).
(Traduzione di Ernesto Russo e Valerio Torre)