Il 21 agosto 1940, León Trotsky, il più importante dirigente, insieme a Lenin, della Rivoluzione russa del 1917, moriva, dopo essere stato proditoriamente colpito alle spalle il giorno prima da un agente della Gpu staliniana. Stalin in persona aveva ordinato l’assassinio perché Trotsky era l’ultimo esponente di quella vecchia guardia bolscevica che custodiva gli autentici valori dell’Ottobre, il più illustre dirigente — insieme a Lenin — dell’Assalto al cielo, il più fiero e autorevole oppositore del tradimento della rivoluzione proletaria ad opera della casta burocratica di cui Stalin stesso era l’espressione: in altri termini, un autentico e concreto pericolo per gli interessi di quella casta.
Presentiamo ai nostri lettori l’intervista realizzata al nipote di Trotsky, Esteban Volkov, che visse insieme a suo nonno l’ultimo periodo della vita del dirigente rivoluzionario nell’esilio in Messico, e fu perciò un testimone privilegiato degli eventi.
Buona lettura.
La redazione
“Bisogna ristabilire la verità storica”
Parla Esteban Volkov, il nipote di Trotsky
Lev Davidovich Bronstein (Trotsky) fu presidente del Soviet di Pietrogrado nel 1905 e nel 1917, diresse la presa del Palazzo d’Inverno durante la Rivoluzione d’ottobre. Nel nuovo governo fu Commissario agli Affari Esteri e poi Commissario di Guerra. Fondò l’Armata rossa che vinse la guerra civile successiva alla rivoluzione.
Oratore e teorico, fu alla testa dell’opposizione a Stalin negli anni 20. Fu espulso dal partito e poi dall’Urss nel 1929. Dopo un lungo periplo che lo portò in Turchia, Francia e Norvegia, il Messico fu l’unico Paese che – sotto la presidenza di Lázaro Cárdenas e grazie all’intercessione del pittore Diego Rivera – gli concesse il diritto d’asilo. Nel 1937 il rivoluzionario russo giunse in Messico, ma non si salvò. Tre anni dopo, un comunista catalano, Ramón Mercader, con lo pseudonimo di Jacques Mornard, gli piantò una piccozza da alpinista sulla nuca assassinandolo per ordine di Iosif Stalin.
Esteban Volkov è figlio di Zinaida, nata dal primo matrimonio di Trotsky, e fu testimone di questi eventi tragici. Da allora ritiene che la sua missione sia quella di “ristabilire la verità storica”.
Dirige inoltre l’Istituto del Diritto d’Asilo – Museo Casa León Trotsky, lo stesso luogo dove suo nonno fu assassinato e dove ne giacciono i resti insieme a quelli della moglie, Natalia.
Che ricordi ha di suo nonno?
Giunsi in Messico un anno prima del suo assassinio. Ci furono due attentati, uno il 24 maggio del 1940, quando un gruppo di stalinisti diretto dal pittore David Alfaro Siqueiros fece irruzione in casa all’alba con l’appoggio di una giovane guardia, Sheldon Hart, che si rivelò essere un agente infiltrato. Uno degli assalitori aprì il fuoco verso la camera dei segretari e dei collaboratori in modo da creare uno sbarramento, mentre altri si diressero verso la camera da letto dei nonni e da tre diversi lati spararono con mitragliatrici. Il nonno si salvò miracolosamente grazie al rapido riflesso di Natalia che, ai primi colpi, lo buttò giù dal letto in un angolo scuro.
Io mi trovavo nella stanza a fianco e spararono verso il letto dove mi trovavo, scaricando un intero caricatore di una pistola automatica. Ma l’istinto di conservazione mi aiutò: mi buttai a terra, e solo grazie a questo fui appena sfiorato da una pallottola a un dito del piede.
Trotsky sapeva perfettamente che Stalin gli aveva concesso solo una breve tregua ed era certo che di lì a poco ci sarebbe stato un altro attentato. Infatti, fu la volta di un catalano, agente della Gpu, Ramón Mercader, che utilizzava lo pseudonimo di Jacques Mornard, il quale conquistò il cuore di una giovane trotskista statunitense, stabilendo una certa amicizia con le guardie del corpo. Fu abbastanza abile, non mostrò mai interesse per la politica.
In questo clima di favori e di piccoli aiuti, un bel giorno all’improvviso chiese al nonno che gli rivedesse un breve testo che aveva scritto. Trotsky non si poté rifiutare e acconsentì, così Jacques riuscì a entrare nello studio. La prima volta non accadde nulla, gli servì per visionare il terreno; la seconda volta portò quel breve testo e, quando il nonno si curvò per leggerlo, l’assassino tirò fuori una piccozza dal corto manico e da dietro glielo piantò in testa con tutte le sue forze.
Il nonno non morì sul colpo, riuscì ad alzarsi e a lottare con lui, lanciando un grido che si sentì per tutta la casa. Subito giunsero i collaboratori e immobilizzarono l’assassino. A poca distanza, intanto, lo stava aspettando sua madre, Caridad Mercader, insieme a un agente della Gpu, Eitington, conosciuto in Spagna come generale Kótov.
Io tornavo da scuola. Vidi da lontano che qualcosa di strano stava accadendo, perché i pomeriggi nella casa di Via Vienna erano molto tranquilli. Tutto si svolgeva di mattina e i pomeriggi erano un’oasi di pace. Quel giorno vidi qualcosa di strano, la porta aperta, poliziotti, un’auto parcheggiata male, e mi prese l’angoscia, pensai che stesse accadendo qualcosa di brutto. Entrai e vidi le guardie che erano molto nervose, continuai a camminare per il viale in pietra del giardino e in un angolo vidi un individuo che gridava e piangeva, tenuto fermo da due poliziotti. Entrando nella biblioteca riuscii a vedere il nonno a terra con la testa insanguinata e con Natalia che gli metteva del ghiaccio.
Sentendo i miei passi, il nonno disse ai segretari di farmi allontanare perché io non vedessi la scena. Mi emozionò molto questo gesto, indice della sua umanità, di un moribondo che si preoccupava di non traumatizzare il suo nipotino. Riuscì anche a dare ordini affinché non si uccidesse Jacques, cosa che fu giusta perché così si poté scoprire tutta la trama.
A cento anni dalla Rivoluzione, come giudica il ruolo di suo nonno in essa?
I due personaggi chiave di questa rivoluzione furono Lenin e Trotsky. Lenin svolse un ruolo insostituibile, creando e organizzando il partito bolscevico, perché senza questa direzione non ci sarebbe stata la possibilità della rivoluzione.
Trotsky definì la dinamica della rivoluzione con la teoria della rivoluzione permanente, contro quella della rivoluzione a tappe patrocinata da Bucharin e Stalin, secondo cui prima si sarebbe dovuto fare una rivoluzione borghese e solo dopo si sarebbe posta la rivoluzione socialista. Trotsky, invece, suggerì che bisognasse andare direttamente alla tappa proletaria e che la borghesia non avrebbe svolto alcun ruolo progressivo. Questo fu sancito nella Rivoluzione russa dal soviet degli operai, contadini e soldati, e fu un successo.
Dopo alcuni anni, si insediò un governo più o meno democratico, ma come in ogni rivoluzione dopo l’avanzamento viene l’arretramento: questo accadde nella Rivoluzione francese e si chiamò Termidoro. Fu a quel punto che Stalin svolse un ruolo importante, dirigere la seconda tappa, che era la controrivoluzione. Per portarla a termine dovette giustiziare ed eliminare i compagni d’arme di Lenin, fucilandoli e accusandoli nei processi di Mosca, deportandoli nei gulag, per consolidare questo nuovo potere.
Trotsky partecipò con Lenin nella preparazione e realizzazione della rivoluzione. Durante la guerra civile ebbe un ruolo vitale, cruciale. Organizzò e diresse l’Armata rossa e vennero respinti ventidue eserciti stranieri. Molti esperti militari avversi al comunismo riconoscono il ruolo chiave di Trotsky in questa guerra, perché altrimenti l’Unione sovietica sarebbe stata distrutta, sarebbe stata balcanizzata in molti Stati, ma grazie all’Armata rossa l’Urss fu salva.
Un fatto molto importante è che durante la rivoluzione si stabilì una fiducia assoluta tra Lenin e Trotsky. Tanto è vero che negli archivi di Harvard, dove sono conservati gli archivi di Trotsky, ci sono fogli in bianco firmati da Lenin, nel caso che bisognasse dare un ordine e lui non fosse stato raggiungibile. Che testimonianza della fiducia tra i due!
Dopo la morte di Lenin, Trotsky si dedicò al compito di difendere la Rivoluzione e iniziò una battaglia contro Stalin. Pochi personaggi storici sono stati tanto diffamati e calunniati come Trotsky. Egli difendeva le idee e i principi della Rivoluzione, non tanto per il potere. Disse che avrebbe potuto prendere il potere in un quarto d’ora con l’Armata rossa, ma non si trattava di questo, perché si sarebbe insediata una dittatura burocratico‑militare. Non erano questi i suoi ideali. Lui voleva conservare intatta la bandiera dell’Ottobre.
Quando si tennero i famosi processi di Mosca (1936‑1938), nei quali Stalin eliminò tutta l’avanguardia e i compagni di Lenin, Trotsky organizzò in Messico i controprocessi per dimostrare di fronte alla storia la totale falsità di quei giudizi.
Quale è stata la sorte della sua famiglia?
Tutta la famiglia è stata perseguitata e assassinata. Mio padre, Platón Volkov, fu deportato e giustiziato. I figli di Trotsky, León Sedov, il più grande, suo stretto collaboratore a Parigi, morì in circostanze molto misteriose dopo un’operazione di appendicite, sicuramente fu avvelenato; mentre l’altro, Serge, totalmente estraneo alla politica, restò in Russia, ma Stalin non gli perdonò la parentela e lo fece fucilare.
Ho saputo che mia nonna, la prima moglie di Trotsky, morì in un campo di concentramento. Mia madre fu indotta al suicidio perché le fu negata la nazionalità russa e non poteva così far ritorno al suo Paese, dove c’erano suo marito e un’altra figlia. Questo è stato il destino della mia famiglia, lo sterminio, l’assassinio.
Lei è tornato in Russia per conoscere una sua sorellastra …
Sì, c’era una sorellastra, Alessandra, che riuscì a sopravvivere. Uno storico mio amico mi disse che l’aveva incontrata, ma che aveva un tumore a uno stadio molto avanzato e sarei dovuto partire subito. Era l’epoca di Michail Gorbaciov, andai a Mosca dove riuscii a incontrarla. Morì un mese dopo.
Lei ha detto che suo nonno non voleva che lei entrasse in politica
Sì, chiedeva ai segretari della casa che non parlassero di politica con “Sieva”, l’abbreviazione del mio nome, quando si intrattenevano con me. Cercava di proteggermi. Scelsi volontariamente la carriera di chimico. Nel clima domestico, dove c’era una certa tensione e adrenalina, mi sono assuefatto all’adrenalina. Perciò ho scelto una carriera che ha i suoi momenti di tensione, di emozione, quando uno lavora con sostanze velenose o esplosive.
Lei ha creato l’Istituto del Diritto d’Asilo dove funziona anche il Museo. Trotsky diceva che c’era un “pianeta senza visto” e il Messico fu l’unico Paese che gli diede asilo, col presidente Lázaro Cárdenas. Come giudica questo ruolo?
Ammirevole. A livello internazionale è motivo di grandi elogi e riconoscimenti questo ruolo che ebbe il Messico. Non c’è Paese dell’America Latina che non abbia ricevuto esiliati, il Cile, l’Argentina, il Guatemala. E con Cárdenas, il grande asilo degli spagnoli (dopo la guerra civile alla fine degli anni 30), che fu molto positivo per il Messico, perché portò l’intellettualità e i migliori scienziati della Spagna.
Negli ultimi anni c’è stata una maggiore conoscenza dell’opera di suo nonno, i suoi libri tornano ad essere pubblicati in russo. Come giudica questo processo?
Trotsky è stato uno degli individui più calunniati e diffamati della storia. Uno dei crimini di Stalin è stato di distruggere la verità storica, falsificarla, dare all’umanità informazioni false. Questo è imperdonabile. Una delle missioni che io considero più importanti è ristabilire questa verità storica e io mi sono dedicato a portare avanti questo compito. Non entrando in politica, ma come testimone. Ho vissuto sulla mia pelle questo clima di calunnia e diffamazione fabbricato intorno a mio nonno e ritengo che sia molto importante ristabilire la verità storica.
(Traduzione di Ernesto Russo)