Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Politica nazionale

Marchionne è morto, Fca è viva e lotta contro di noi!

Pre­sen­tia­mo ai nostri let­to­ri que­sto inte­res­san­te e docu­men­ta­to arti­co­lo ripre­so dal sito dei com­pa­gni del­la Fra­zio­ne Inter­na­zio­na­li­sta Rivo­lu­zio­na­ria, La voce del­le lotte.it, che offre una let­tu­ra di clas­se del­la gestio­ne Mar­chion­ne del grup­po Fca e si inter­ro­ga, dopo la mor­te dell’Ad, sul­le pro­spet­ti­ve futu­re, soprat­tut­to per quel che riguar­da le sor­ti degli ope­rai, in vista del­la pro­ba­bi­le onda­ta repres­si­va e peg­gio­ra­ti­va dei dirit­ti lavorativi.
Buo­na lettura.
La redazione

Marchionne è morto, Fca è viva e lotta contro di noi!

Mar­chion­ne ci lascia: la bor­ghe­sia e i poli­ti­ci pian­go­no il loro paladino

Gia­co­mo Danielevic

 

La mor­te di Ser­gio Mar­chion­ne, ammi­ni­stra­to­re dele­ga­to del grup­po Fca, è sta­ta un vero e pro­prio even­to nel­la sce­na eco­no­mi­ca e poli­ti­ca, ita­lia­na e non solo: la stam­pa, le più alte cari­che del­lo Sta­to, il gior­na­li­smo bor­ghe­se, sva­ria­ti per­so­nag­gi in vista del­la socie­tà civi­le han­no espres­so, più o meno spu­do­ra­ta­men­te, la loro gran­de ammi­ra­zio­ne per la figu­ra del mana­ger che ave­va fat­to da arie­te di sfon­da­men­to di tut­ta una sta­gio­ne di attac­chi dei capi­ta­li­sti al sala­rio e alle con­di­zio­ni socia­li e poli­ti­che del­la clas­se lavo­ra­tri­ce, cul­mi­na­ta con l’uscita da Con­fin­du­stria di Fca, la fir­ma di un con­trat­to azien­da­le che inau­gu­ra­va le “nuo­ve” fab­bri­che-lager, e la pre­pa­ra­zio­ne del ter­re­no per l’approvazione del Jobs Act del Pd di Mat­teo Ren­zi. Non a caso, pro­prio quest’ultimo ha volu­to espri­me­re il suo sde­gno ver­so la gran mas­sa di lavo­ra­to­ri e di mili­tan­ti del­la sini­stra ope­ra­ia che non ave­va­no alcu­na lacri­ma da ver­sa­re per un bor­ghe­se sfrut­ta­to­re che se n’era andato.

Non meno sto­ma­che­vo­le l’ex pre­mier Gen­ti­lo­ni, pri­mo mini­stro di un gover­no Pd cen­tra­to su ordine&patria, basa­to sul­la “dot­tri­na Min­ni­ti” di lager in Libia per gli emi­gran­ti e repres­sio­ne bru­ta­le in casa: Mar­chion­ne ha por­ta­to “l’orgoglio ita­lia­no” nel mon­do – pro­prio quel Mar­chion­ne che paga­va le (poche) tas­se in Sviz­ze­ra e ave­va resto Fiat-Chry­sler una vera e pro­pria coraz­za­ta trans­na­zio­na­le la cui “ita­lia­ni­tà” con­si­ste più che altro nei mil­le lega­mi eco­no­mi­ci e poli­ti­ci di supre­ma­zia che gli Agnel­li-Elkann man­ten­go­no in Ita­lia gra­zie ai mol­te­pli­ci mar­chi “d’eccellenza” asso­cia­ti a Fca e alla mag­gio­ran­za del­le azio­ni del­la Juven­tus, quan­do però la sede lega­le del grup­po è nei Pae­si Bassi.

Lo stes­so Sil­vio Ber­lu­sco­ni, riva­le diret­to in cam­po cal­ci­sti­co degli Agnel­li, ha riser­va­to un ricor­do “ina­spet­ta­ta­men­te” gene­ro­so per Mar­chion­ne, che d’altronde ha rap­pre­sen­ta­to per lui il capi­ta­no d’industria idea­le, spie­ta­to ver­so i lavo­ra­to­ri e abi­le nel trat­ta­re – e fot­te­re! visti i miliar­di rice­vu­ti a fon­do per­du­to nel caso degli Usa di Oba­ma per far “risor­ge­re” Chry­sler – con lo Sta­to e attrar­re capi­ta­li altrui, così come lo era sta­to il Ber­lu­sco­ni impren­di­to­re pre-For­za Ita­lia. E come Sil­vio, Ser­gio avreb­be potu­to esse­re anche capi­ta­no del­la repub­bli­ca.

«Con Ser­gio Mar­chion­ne l’Italia per­de non sol­tan­to il più bril­lan­te dei suoi mana­ger, ma una del­le figu­re sim­bo­lo del nostro Pae­se. Ha rap­pre­sen­ta­to l’Italia miglio­re: quel­la ope­ro­sa e con­cre­ta, seria e pre­pa­ra­ta, dota­ta di visio­ne e capa­ce di guar­da­re al futu­ro. Dis­si una vol­ta, sen­za avver­tir­lo pri­ma – e non me ne sono mai pen­ti­to – che mi sareb­be pia­ciu­to veder­lo alla gui­da del nostro Pae­se. Lo pen­so anco­ra: le carat­te­ri­sti­che di una per­so­na straor­di­na­ria come Mar­chion­ne, la com­pe­ten­za, la pre­pa­ra­zio­ne, la capa­ci­tà dimo­stra­ta di otte­ne­re risul­ta­ti impor­tan­ti, sareb­be­ro sta­te pre­zio­se – se fos­se sta­to dispo­ni­bi­le – per rida­re digni­tà alla poli­ti­ca».

John Elkann, da par suo, non ha aspet­ta­to nem­me­no che il buon Ser­gio finis­se di respi­ra­re per ver­ga­re un suo Requiem da man­da­re a tut­ti i dipen­den­ti del gruppo.
A Pomi­glia­no, Nola e Mel­fi l’azienda ha con­ces­so die­ci minu­ti di pau­sa per com­me­mo­ra­re Mar­chion­ne, a mo’ di bef­fa postu­ma del “caro Ser­gio” che tan­to si era spe­so per taglia­re quan­to più pos­si­bi­le le pau­se duran­te la gior­na­ta lavo­ra­ti­va degli ope­rai: sce­ne di silen­zio dif­fu­so e sur­rea­le, dopo il pas­sa­pa­ro­la all’arrivo del­la noti­zia, si sono avu­te in tut­te gli stabilimenti.

Fca accu­sa il col­po ma non “muo­re” di certo
La cri­si fina­le del­la sua salu­te ha impe­di­to a Mar­chion­ne di segui­re il pia­no, annun­cia­to lo scor­so anno, di dimet­ter­si da Ad il pros­si­mo anno, per far spa­zio ad altri nell’attuazione del pia­no indu­stria­le 2018–2022.
Rico­ve­ra­to da fine giu­gno in una cli­ni­ca sviz­ze­ra per un inter­ven­to a un sar­co­ma alla spal­la che gli cau­sa­va da tem­po for­ti dolo­ri che si aggiun­ge­va­no a un pro­ble­ma cro­ni­co alla tiroi­de, una soprav­ve­nu­ta embo­lia cere­bra­le l’ha por­ta­to velo­ce­men­te al coma e al deces­so all’età di 66 anni. La fami­glia Agnel­li-Elkann, che ave­va già prov­ve­du­to a rimuo­ver­lo da ogni cari­ca ese­cu­ti­va non appe­na con­fer­ma­ta l’irreversibilità del­le sue con­di­zio­ni, si è sol­le­va­ta da ogni respon­sa­bi­li­tà dichia­ran­do di esse­re all’oscuro del­la gra­vi­tà del­le con­di­zio­ni di salu­te del mana­ger – situa­zio­ne non par­ti­co­lar­men­te vero­si­mi­le, dato che Mar­chion­ne, per sua stes­sa ammis­sio­ne, tra­scor­re­va pres­so­ché tut­to il suo tem­po in azien­da, sen­za ferie, aven­do tro­va­to anche una com­pa­gna di vita tra i ran­ghi dei suoi dipendenti.
La riu­nio­ne degli azio­ni­sti Fca con la pre­sen­ta­zio­ne dei risul­ta­ti tri­me­stra­li che dove­va cele­bra­re il trion­fo di Mar­chion­ne, dopo 14 anni come Ad, e l’estinzione dei vec­chi debi­ti di Fiat sul­la scia di diver­se anna­te di uti­li impor­tan­ti, ha inve­ce visto la rapi­da rior­ga­niz­za­zio­ne dei ver­ti­ci del grup­po nel wee­kend pre­ce­den­te la dipar­ti­ta del vec­chio mana­ger, appro­fit­tan­do del­la chiu­su­ra dei mer­ca­ti per attu­ti­re i vero­si­mi­li cali in bor­sa: cali che pun­tual­men­te ci sono sta­ti dopo l’annuncio del­la mor­te del mana­ger, con il tito­lo Fca pas­sa­to da 16,57 dol­la­ri per azio­ne a 13,99 in poche ore; una dimi­nu­zio­ne di qua­si il 16%, men­tre anche Exor (-3,49%), Fer­ra­ri (-2,19%) e Cnh (-0,27%) sono cala­te nel­le stes­se ore. Cer­to, i valo­ri del­la Bor­sa non sono tut­to e, come ama­va ripe­te­re Mar­chion­ne stes­so in azienda,

«il vero valo­re di un lea­der non si misu­ra da quel­lo che ha otte­nu­to duran­te la car­rie­ra ma da quel­lo che ha dato. Non si misu­ra dai risul­ta­ti che rag­giun­ge, ma da ciò che è in gra­do di lascia­re dopo di sé».

E sull’eredità del Ser­gio nazio­na­le, su ciò che “lascia dopo di sé”, effet­ti­va­men­te, il clan Agnel­li non ha nul­la da ridi­re: nel 2003–4 si tro­va­va in una situa­zio­ne finan­zia­ria­men­te disa­stro­sa, for­te­men­te inde­bi­ta­ta, e a bre­ve distan­za da quel­la che sareb­be sta­ta la spa­ven­to­sa cri­si mon­dia­le del 2007–8; la gestio­ne Mar­chion­ne ha por­ta­to alla pie­na inter­na­zio­na­liz­za­zio­ne del mar­chio, all’aggiustamento dei brand pos­se­du­ti col rilan­cio di mar­chi di lus­so come Fer­ra­ri e Mase­ra­ti, all’acquisizione nel 2009 pres­so­ché gra­tis e con inve­sti­men­ti sta­ta­li Usa di Chry­sler-Jeep-Dod­ge, grup­po che ai tem­pi ver­sa­va in una cri­si peg­gio­re del­la Fiat nel 2003; il rilan­cio dei mar­chi ame­ri­ca­ni e il rias­set­to indu­stria­le con aper­tu­ra e poten­zia­men­to di fab­bri­che in pae­si con sala­ri più bas­si di quel­li ita­lia­ni e con­di­zio­ni fisca­li e lega­li favo­re­vo­li (spe­cial­men­te in Bra­si­le ma anche, rima­nen­do nel­la Ue, in Ser­bia alla ex Zasta­va) han­no per­mes­so a Fca di con­so­li­dar­si come uno dei pochi gran­di grup­pi inter­na­zio­na­li che si spar­ti­sco­no il mer­ca­to dell’automobile nel mon­do. La pre­sen­ta­zio­ne del­le pre­sta­zio­ni nel pri­mo seme­stre 2018, ini­zial­men­te pre­vi­sta pro­prio il 25 luglio, nono­stan­te alcu­ni mesi dove si è in buo­na par­te per­du­to lo slan­cio del 2017, ha san­ci­to il rag­giun­gi­men­to di un gran­de obiet­ti­vo posto nell’era Mar­chion­ne: quel­lo dell’azzeramento del debi­to azien­da­le, uni­to al rag­giun­gi­men­to di una liqui­di­tà net­ta indu­stria­le di 456 milio­ni di euro, a un uti­le net­to di 1,774 miliar­di di euro (qua­si iden­ti­co al pri­mo seme­stre 2017) e a un nume­ro com­ples­si­vo di con­se­gne glo­ba­li di 1.301.000 vei­co­li (+6%) trai­na­te dal mer­ca­to americano.
Quel­lo che man­ca, nell’eredità di Mar­chion­ne, è un avan­za­men­to nel­la ricer­ca e nel­la tec­no­lo­gia para­go­na­bi­le ai com­pe­ti­tor diret­ti per quan­to riguar­da l’auto elet­tri­ca. Su que­sto ter­re­no, Fca van­ta un’offerta pra­ti­ca­men­te ine­si­sten­te e piut­to­sto arre­tra­ta sul pia­no del­la ricer­ca e del­la pro­get­ta­zio­ne di nuo­vi model­li da immet­te­re a bre­ve ter­mi­ne, quan­do altre impor­tan­ti case auto­mo­bi­li­sti­che si sono già fat­te stra­da in quel­lo che vero­si­mil­men­te rap­pre­sen­ta il futu­ro dell’automobile o, per­lo­me­no, un’alternativa sem­pre più sostan­zio­sa al qua­si-mono­po­lio del petro­lio per quan­to riguar­da i car­bu­ran­ti per vei­co­li a motore.

L’eredità di Mar­chion­ne in Italia
E in Ita­lia, cosa rima­ne del vec­chio grup­po Fiat? Nel nostro Pae­se riman­go­no Fiat, Alfa Romeo e Lan­cia, dove quest’ultima è sta­ta pra­ti­ca­men­te sop­pres­sa a favo­re di Chry­sler, con la sola Ypsi­lon ven­du­ta in Ita­lia – e pro­dot­ta a Tychy, in Polo­nia! –, una rot­ta­ma­zio­ne giu­sti­fi­ca­ta, secon­do il fu Mar­chion­ne, dal­la con­cen­tra­zio­ne di risor­se nel rilan­cio a livel­lo inter­na­zio­na­le di Alfa Romeo, brand che effet­ti­va­men­te solo l’anno scor­so ha ven­du­to poco più di 12.000 vei­co­li nei soli Usa (anche se non ha ini­zia­to diver­se pro­du­zio­ni di model­li annun­cia­ti in Ita­lia): mol­to, rispet­to al nul­la di pri­ma; pochis­si­mo, se com­pa­ra­to con il ven­to in pop­pa di Ram (pic­kup e vei­co­li com­mer­cia­li), Jeep (in for­te rial­zo anche in Euro­pa) e Chry­sler, le qua­li con­giun­ta­men­te ven­do­no milio­ni di esem­pla­ri.
Pro­prio dal Ram-Jeep vie­ne il nuo­vo Ad Fca, Mike Man­ley, che si ritro­va un colos­sa­le grup­po con 14 mar­chi, 111 miliar­di di rica­vi net­ti, cir­ca 236.000 dipen­den­ti spar­si in 149 sta­bi­li­men­ti in deci­ne di pae­si, di cui poco più di un deci­mo in Italia.

Mike Man­ley, nuo­vo Ad del­la Fca

A pro­po­si­to: e l’Italia? A livel­lo occu­pa­zio­na­le va smen­ti­ta la voce sen­sa­zio­na­le ripor­ta­ta da Mar­co Revel­li sul Mani­fe­sto e ripor­ta­ta da Fau­sto Ber­ti­not­ti nel­la sua recen­te inter­vi­sta con­ces­sa ad Ansa, per cui i dipen­den­ti Fca in Ita­lia oggi sareb­be­ro 29.000, a fron­te di 120.000 nel 2000. Il dato è pro­ba­bil­men­te rica­va­to da quel­lo Fim-Cisl del 2016 dove però, in manie­ra chia­ra e net­ta, si indi­ca il nume­ro degli ope­rai del­le fab­bri­che, nean­che tut­te, del grup­po. Ora, va tenu­to con­to che, da una par­te, il grup­po Fca, come abbia­mo accen­na­to sopra, è frut­to di una cen­tra­liz­za­zio­ne di capi­ta­le con un pro­ces­so di fusio­ne e scor­po­ra­zio­ne di sin­go­li brand che ha alte­ra­to la strut­tu­ra azien­da­le del vec­chio grup­po Fiat (che nel 2000, ad ogni modo, con­ta­va 112.000 dipen­den­ti e non 120.000), e che dun­que in Ita­lia alcu­ni mar­chi ora sono sepa­ra­ti da Fiat anche se con­trol­la­ti sem­pre da Exor (Fer­ra­ri e tut­to il grup­po Cnh, ad esem­pio) e per­tan­to non sono da con­ta­re nell’organico Fca; dall’altra, i dipen­den­ti Fca a fine 2017 risul­ta­no secon­do l’Annual Report dell’azienda cir­ca 60.000 (sem­pre tenen­do con­to che, evi­den­te­men­te, non sono tut­ti ope­rai metal­mec­ca­ni­ci). Cer­to, fra que­sti abbia­mo parec­chie miglia­ia di ope­rai con con­trat­ti a bre­ve o bre­vis­si­ma sca­den­za, o in cas­sa inte­gra­zio­ne pro­lun­ga­ta nel tem­po, con tur­ni scien­ti­fi­ca­men­te pro­get­ta­ti e che non sono in alcun modo real­men­te ricon­du­ci­bi­li a con­giun­tu­re o pro­ble­mi eco­no­mi­ci strut­tu­ra­li dell’azienda: tut­to “meri­to” del­la lot­ta di clas­se vit­to­rio­sa dei ver­ti­ci Fca con­tro i pro­pri ope­rai e con­tro tut­ta la clas­se lavo­ra­tri­ce ita­lia­na, visto il sim­bo­li­co valo­re di Fca di ban­die­ra e avan­guar­dia del capi­ta­li­smo ita­lia­no negli ulti­mi anni, dal­la rot­tu­ra con la Con­fin­du­stria, alla fir­ma del con­trat­to azien­da­le sen­za la Fiom, alla pre­pa­ra­zio­ne del ter­re­no poli­ti­co nazio­na­le per l’approvazione del Jobs Act.

E ora? La gestio­ne Man­ley e le pro­spet­ti­ve di Fca
Inve­sti­to rapi­da­men­te del mas­si­mo ruo­lo diri­gen­zia­le in Fca, dopo una scia di rumors che vede­va­no tut­ti come scon­ta­ta l’elezione di un nuo­vo Ad pescan­do dal par­co mana­ger del grup­po, Mike Man­ley è uno dei sim­bo­li viven­ti del suc­ces­so indu­stria­le dell’era Mar­chion­ne e del­la sua capa­ci­tà di rilan­cio dei mar­chi ame­ri­ca­ni acqui­sta­ti – scor­ti­can­do i sala­ri e le con­di­zio­ni sin­da­ca­li di deci­ne di miglia­ia di ope­rai ame­ri­ca­ni, e facen­do­si inon­da­re di sov­ven­zio­ni sta­ta­li dall’amministrazione Obama.
Già all’inve­stor day a Baloc­co, lo scor­so giu­gno, Man­ley ave­va dichiarato:

«Con­so­li­de­re­mo il mar­chio per resi­ste­re alla con­cor­ren­za. Nei pros­si­mi cin­que anni entre­re­mo in tre nuo­vi seg­men­ti: quel­lo dei pic­co­li uv (uti­li­ty vehi­cles), dei pick up e dei gran­di suv. Anni di glo­ria ci aspet­ta­no».

Coe­ren­te­men­te con la sua espe­rien­za, Man­ley, nel suo discor­so di inse­dia­men­to come Ad con la dele­ga per l’area Naf­ta (Nord Ame­ri­ca), ha pro­mes­so di segui­re e com­ple­ta­re il pia­no 2018–2022 e di ricer­ca di un’ulteriore scia di tra­guar­di da taglia­re, pri­mo fra tut­ti la Cina: «La Cina è una prio­ri­tà. Le sfi­de mag­gio­ri con cui dob­bia­mo fare i con­ti e che fran­ca­men­te con­ti­nue­re­mo a dove­re affron­ta­re sono tut­te con­cen­tra­te sul­la Cina». Il Pae­se di Mez­zo è d’altronde il più gran­de mer­ca­to nazio­na­le dell’auto, con oltre 28 milio­ni di esem­pla­ri ven­du­ti nel solo 2016.

«Abbia­mo inve­sti­to nel mestie­re con una disci­pli­na qua­si cal­vi­ni­sta, abbia­mo resti­tui­to la digni­tà del lavo­ro alla gen­te degli sta­bi­li­men­ti che era­no sta­ti qua­si com­ple­ta­men­te abban­do­na­ti» e così «sia­mo riu­sci­ti a ricrea­re una cul­tu­ra del­la pro­du­zio­ne che la Fiat ave­va per­du­to»,

affer­ma­va Mar­chion­ne nel 2007. «Voglio che la Fiat diven­ti la Apple dell’auto».
Se il fu Ser­gio per “Apple dell’auto” inten­de­va un mostro di sfrut­ta­men­to e una mac­chi­na maci­na-pro­fit­to, pos­sia­mo dar­gli ragio­ne: cosa può “fare di più” il buon Mike Manley?
Da una par­te, pro­ce­de­re con lo scor­po­ro del­la Magne­ti Marel­li (come avve­nu­to per Fer­ra­ri, anche rispet­to la moda­li­tà di con­fe­ri­men­to tota­le o qua­si del­le azio­ni agli azio­ni­sti Fca, con soli­to domi­nio di Exor) per pom­pa­re il suo svi­lup­po come pun­ta di lan­cia nell’ibrido e nell’elettrico per tut­to il grup­po Fca: dall’altra, deci­de­re se spin­ge­re per un ridi­men­sio­na­men­to, que­sta vol­ta sì, impor­tan­te e rapi­do dell’apparato indu­stria­le Fca in Ita­lia, pre­ve­den­do di insi­ste­re di più sugli sta­bi­li­men­ti ita­lia­ni per eli­mi­na­re quel­lo che sem­pre più sarà un peso mor­to, cioè la pro­du­zio­ne di moto­ri ter­mi­ci e di linee ad essi col­le­ga­te, che poi sono le (poche) linee di auto­mo­bi­li rima­ste in Ita­lia, in buo­na sostan­za. Oppu­re pre­ve­de­re solu­zio­ni inter­me­die, con un tas­so di chiusure/delocalizzazioni mino­re cen­tra­to su un enne­si­mo ciclo di favo­ri fisca­li da par­te del­lo Sta­to ita­lia­no e su un regi­me di sfrut­ta­men­to sel­vag­gio non iden­ti­co ma peg­gio­re rispet­to a quel­lo pre­sen­te, cosa pos­si­bi­lis­si­ma sen­za una nuo­va onda­ta di resi­sten­za e lot­ta ope­ra­ia nel gruppo.
E qui, in con­clu­sio­ne, venia­mo a noi: l’eredità di Ser­gio Mar­chion­ne lascia­ta a que­sta vivis­si­ma Fca che pia­ni­fi­ca la sua stra­te­gia, e dun­que le sue pros­si­me mos­se con­tro i suoi pro­pri ope­rai, poli­ti­ca­men­te è quel­la di uno sfon­da­men­to in gran­de sti­le del­la tra­di­zio­ne sin­da­ca­le, poli­ti­ca e in gene­ra­le di lot­ta del grup­po, con il “ritor­no all’ordine” del­la Fiom dopo la scon­fit­ta, non più di tan­to evi­ta­ta, al refe­ren­dum che san­cì l’entrata in vigo­re del nuo­vo con­trat­to azien­da­le post-Con­fin­du­stria; con l’espulsione, dopo una con­tro­ver­sia lega­le lun­ga ed este­nuan­te, di Mim­mo Migna­no e degli altri 4 ope­rai com­bat­ti­vi “sto­ri­ci” di Pomi­glia­no; con l’instaurazione di un regi­me di fab­bri­ca 4.0 che rece­pi­sce lo sta­to dell’arte dell’organizzazione del lavo­ro e dell’irreggimentazione più rigi­da degli ope­rai, che respi­ra­no un’aria da car­ce­re.
Alla pro­ba­bi­le onda­ta di ten­ta­ti­vi di peg­gio­ra­men­to del regi­me di fab­bri­ca, di esten­sio­ne di cas­sa inte­gra­zio­ne e altre misu­re fat­te a detri­men­to degli ope­rai e del­la fisca­li­tà gene­ra­le, di licenziamenti/ristrutturazioni/delocalizzazione, biso­gna arri­va­re ini­zian­do a pre­pa­ra­re da subi­to un pia­no, una stra­te­gia da con­trap­por­re a quel­la degli azio­ni­sti Fca e di Man­ley. Mai come in que­sto caso, nell’arco di tre anni può aprir­si una par­ti­ta fon­da­men­ta­le del­la lot­ta di clas­se in Ita­lia, in uno sce­na­rio di man­ca­ta lot­ta gene­ra­liz­za­ta e di pas­si­vi­tà sin­da­ca­le dif­fu­sa, di stra­zian­te debo­lez­za, qua­si ine­si­sten­za poli­ti­ca del movi­men­to ope­ra­io in quan­to tale.
Que­sta par­ti­ta sarà sicu­ra­men­te per­sa se gli ope­rai del grup­po Fca e del suo indot­to, i mili­tan­ti sin­da­ca­li, poli­ti­ci, di movi­men­to del­la sini­stra ope­ra­ia e degli stra­ti oppres­si non la gio­che­ran­no. Se inve­ce accet­te­ran­no di gio­car­la sino in fon­do, con gli stru­men­ti che la lot­ta richie­de, potran­no avan­za­re ver­so vit­to­rie e risul­ta­ti con­cre­ti, fos­se­ro anche solo in ter­mi­ni di orga­niz­za­zio­ne, di accu­mu­lo di espe­rien­za di lot­ta e di coscien­za poli­ti­ca in rot­tu­ra con la dit­ta­tu­ra dei capi­ta­li­sti e col loro tal­lo­ne di fer­ro nel­le fabbriche.