Marielle Franco: un delitto politico in piena regola
Valerio Torre
Nella notte di giovedì, 14 marzo, a Rio de Janeiro, è stata brutalmente assassinata a colpi di pistola la consigliera municipale, Marielle Franco (Marielle Francisco da Silva).
Sociologa, femminista, attivista per i diritti umani e dirigente del Psol (Partito Socialismo e Libertà), era stata eletta in carica nel 2016 con oltre 46.000 voti, e la sua lunga militanza nel campo dei diritti umani e contro le azioni poliziesche violente nelle favelas l’ha portata ad essere nominata relatrice nella Commissione d’indagine incaricata di seguire l’intervento militare disposto dal governo federale nella città di Rio.
L’impopolare e screditato esecutivo diretto da Michel Temer, che regge il Brasile dal golpe di palazzo che ha destituito Dilma Rousseff, ha deciso l’intervento dell’esercito a Rio de Janeiro con la scusa di far cessare gli episodi di violenza che si stanno verificando nella capitale e nello Stato. Di fatto, ciò significa che l’intera sfera della pubblica sicurezza fluminense (polizia civile, militare, vigili del fuoco e amministrazione penitenziaria) passa dalle mani statali in quelle del governo federale, grazie a una sorta di governatorato militare che risponde direttamente al presidente della repubblica.
Benché prevista dalla Costituzione del 1988, mai in precedenza questa misura era stata adottata, neanche quando in altre occasioni Rio aveva visto l’intervento della Forza Nazionale e delle Forze Armate, poiché allora la gestione della pubblica sicurezza era comunque rimasta sotto il controllo dello Stato.
Un “laboratorio” per il Brasile
La giustificazione secondo cui Rio vive un aumento degli episodi di criminalità e omicidi in realtà non regge alla prova dei fatti, dal momento che negli Stati di Acre, Rio Grande do Norte, Ceará e Goiás il numero di omicidi è certamente superiore. Ecco perché, invece, la misura adottata da Temer risponde a un’altra logica e un’altra esigenza. Lo ha rivelato proprio il comandante nominato a capo delle operazioni militari, il generale Walter Braga Netto, nella prima conferenza stampa tenuta per spiegare il senso dell’intervento: «Rio de Janeiro è ora un laboratorio per il Brasile. Se ciò che faremo qui sarà allargato al resto del Paese non spetta a me dirlo».
In realtà, Temer ha necessità, con l’appoggio dei grandi mezzi di comunicazione e della borghesia, di rafforzare un governo estremamente debole, di lanciare un esperimento in una zona limitata del Paese per poi poter allargare l’influenza dei militari sullo scenario politico e sociale, e, nel quadro di una crisi sempre più acuta, di consolidare e ampliare gli elementi di bonapartismo del regime in direzione di una svolta sempre più reazionaria per paralizzare anticipatamente ogni possibile dinamica sociale di rottura.
In questo senso, le operazioni militari vengono dirette essenzialmente contro le popolazioni povere e di colore delle favelas, contro gli emarginati e gli oppressi, gratificando così la base sociale di destra ed estrema destra che sostiene il governo.
L’attività politica di Marielle
E proprio contro queste violente operazioni militari aveva levato la sua voce Marielle Franco, da pochi giorni nominata relatrice della Commissione d’inchiesta sull’intervento militare federale: una Commissione che non era affatto gradita ai vertici dell’Esercito, già oggetto delle indagini di un’altra Commissione d’inchiesta, quella nominata a suo tempo dall’ex presidente Dilma Rousseff per investigare sui crimini, le torture e gli assassini commessi dai militari nel periodo della dittatura. Lo aveva detto a chiare lettere il generale dell’esercito, Eduardo Villas Bôas, poco prima che venisse approvato il provvedimento che disponeva l’intervento militare.
Durante i lavori del Consiglio della Repubblica e della Difesa Nazionale, Villas Bôas aveva sottolineato che i militari vogliono «garanzie per agire senza il rischio che possa nascere una nuova Commissione d’inchiesta», riferendosi in tutta evidenza a quella nominata da Dilma Rousseff. Un’esigenza, questa, che dissimula chiaramente la richiesta di poter avere le mani libere durante le operazioni militari e vedere garantita la totale impunità per le truppe.
Marielle Franco aveva iniziato a denunciare le violente azioni repressive dell’esercito, soprattutto nella favela di Acari, nella zona nord di Rio, dove erano stati uccisi due ragazzi, i cui corpi erano poi stati gettati in un vallone, mentre la polizia militare invadeva le misere abitazioni dell’agglomerato terrorizzandone la popolazione e fotografando uno a uno i residenti con cellulari privati.
Il 10 marzo, in un post sul suo account di Facebook Marielle scriveva:
«Dobbiamo alzare la voce, affinché tutti sappiano ciò che sta accadendo ad Acari in questo momento. Il 41° Battaglione della Polizia militare di Rio de Janeiro sta terrorizzando e usando violenza contro gli abitanti di Acari. Questa settimana due ragazzi sono stati uccisi e gettati in un vallone. Oggi la polizia era in strada a minacciare gli abitanti. Accade da sempre e con l’intervento militare la situazione è peggiorata».
Solo tre giorni dopo, il 13 marzo, faceva un’altra denuncia attraverso i social:
«Un altro omicidio di un ragazzo che può essere messo a carico della polizia militare. Matheus Melo stava uscendo dalla chiesa. Quanti altri dovranno morirne prima che questa guerra finisca?».
La sera del giorno dopo, il 14 marzo, Marielle stava rientrando in auto da un’iniziativa politica, accompagnata dalla sua collaboratrice, Fernanda Chaves. Alla guida c’era Anderson Pedro Gomes. La vettura è stata affiancata da un altro veicolo, dal quale sono stati sparati ben nove colpi di arma da fuoco. Marielle è stata colpita da cinque proiettili alla testa ed è morta all’istante insieme al conducente. Fernanda è rimasta ferita.
Si è trattato, in tutta evidenza, di un assalto preparato nei minimi dettagli: il veicolo degli assalitori ha seguito la vettura su cui viaggiava Marielle dalla sede in cui si era svolto l’evento e poi l’ha affiancata al momento opportuno esplodendo tutta la potenza di fuoco possibile e dileguandosi in un attimo.
Tutto fa pensare al coinvolgimento diretto di poliziotti militari nell’assassinio: lo sostengono anche gli inquirenti da una prima analisi dei fatti. D’altro canto, un episodio molto simile accadde nel 2011, quando Patrícia Acioli – un giudice che, indagando sui crimini commessi dalla Polizia militare nella città di São Gonçalo, sempre nello Stato di Rio de Janeiro, aveva portato in giudizio come imputati ben sessanta agenti legati a milizie e gruppi di sterminio – venne crivellata di colpi davanti casa sua. Di quest’assassinio sono stati ritenuti responsabili, e sono stati condannati, undici poliziotti militari.
Non bastano le lacrime
L’indignazione in tutto il Brasile è stata grande. Manifestazioni si sono svolte nelle principali capitali, coinvolgendo decine di migliaia di persone che hanno protestato esigendo un’inchiesta indipendente che porti alla rapida scoperta degli assassini.
Ma è necessaria una risposta di massa e di classe che non sia solo il giusto tributo all’azione politica che Marielle Franco ha svolto in favore degli ultimi. Occorre che Marielle continui a vivere nella mobilitazione indipendente delle classi subalterne brasiliane, che assumano su di sé, indipendentemente dal colore della pelle e dallo status sociale, il problema che le classi dominanti vogliono lasciare confinato nelle favelas.
Occorre additare il presidente della repubblica Michel Temer e tutte le istituzioni dello Stato, civili e militari, come responsabili diretti di questo crimine, che va a sommarsi a centinaia e migliaia di altri simili crimini ai danni dei tanti che non avevano la visibilità di Marielle e ai quali lei ha dedicato l’intera propria vita.
Lo scopo di questo terrificante assassinio era zittire la voce di Marielle per zittire quella di tutti coloro che protestano contro un sistema che, in Brasile, come nel resto del mondo, affama, semina miseria e morte. Ma l’obiettivo dei mandanti e degli esecutori non deve essere raggiunto. Va contrastato attraverso la più ampia unità d’azione e la solidarietà internazionale. Bisogna arrestare e invertire la tendenza che vuole restringere fino ad abolire, in Brasile e dappertutto, ogni minimo spazio democratico, in favore di regimi sempre più autoritari, funzionali alla fase storica che il capitalismo sta vivendo.
Attraverso la lotta in favore degli ultimi, Marielle lottava per una società più giusta e libera, una società socialista. Ha dato la sua vita per questo. Per tributarle l’omaggio che merita dobbiamo, tutti noi, raccogliere la sua bandiera e portarla verso quella vittoria che lei desiderava con tutte le sue forze.
Glielo dobbiamo.
Marielle, presente!