Riprendiamo la presentazione in italiano dei saggi sulla Rivoluzione russa del 1917 pubblicati in collaborazione con la rivista Jacobin Magazine.
È la volta, oggi, della particolareggiata analisi che il grande storico Alexander Rabinowitch, considerato in assoluto uno dei più autorevoli studiosi della Rivoluzione russa, ha dedicato al partito bolscevico e al suo ruolo nel periodo che va dalle giornate di luglio alla presa del potere: demistificando e smentendo la vulgata – propagandata da ricostruzioni sia reazionarie che di piccole sette che scimmiottano il bolscevismo – di un’organizzazione piccola, compatta, cospirativa, tenuta insieme da una ferrea disciplina e rigidamente governata da Lenin.
Lo studio di Rabinowitch fa emergere invece l’immagine di un partito vivo, in cui lo scontro tra idee diverse e posizioni contrapposte si svolge senza diplomatismi persino nel vivo del processo rivoluzionario.
Consigliamo perciò l’attenta lettura di questo saggio, che costituisce una stringata sintesi del ben più ampio studio dell’Autore – 1917. I bolscevichi al potere – recentemente ripubblicato in italiano in una nuova edizione e con una introduzione aggiornata.
La redazione
Come hanno vinto i bolscevichi
L’ascesa dei bolscevichi al potere, cent’anni fa, rivisitata
Alexander Rabinowitch [*]
Nel mio contributo vorrei rivisitare le principali conclusioni dei miei scritti sul 1917, soprattutto per ciò che riguarda la spinosa, e tuttora profondamente politicizzata questione, su come i bolscevichi hanno prevalso nella lotta per il potere a Pietrogrado nel 1917. Tuttavia, lasciatemi iniziare con poche parole sulle opinioni degli storici che in precedenza si sono occupati di quest’argomento.
Per gli studiosi sovietici, la Rivoluzione d’ottobre del 1917 fu la legittima espressione della volontà delle masse rivoluzionarie di Pietrogrado: un’insurrezione popolare armata a sostegno del potere bolscevico, guidata da un partito d’avanguardia fortemente disciplinato e brillantemente diretto da V.I. Lenin. Gli storici occidentali, d’altro canto, tendevano a vedere il successo dei bolscevichi come conseguenza della debolezza del governo provvisorio verso la sinistra radicale; un incidente storico o, più spesso, il risultato di un golpe militare ben riuscito, privo di un significativo sostegno popolare, realizzato da una piccola, compatta, profondamente autoritaria e cospirativa organizzazione controllata da Lenin e sovvenzionata dalla nemica Germania. Per gli storici che esprimono quest’ultima opinione – tra cui, attualmente, molti studiosi russi – la struttura e le pratiche del partito bolscevico nel 1917 rappresentano l’ineludibile antecedente dell’autoritarismo sovietico.
Le conclusioni del mio lavoro di ricerca sul 1917 divergono in maniera significativa da queste comuni interpretazioni. Per illustrare questo punto, consentitemi di sottolineare alcuni importanti, ma spesso trascurati momenti succedutisi durante la cruciale estate e l’autunno del 1917, che mi sono sembrati particolarmente importanti per comprendere il carattere e il corso della “Rivoluzione d’ottobre” a Pietrogrado. Ricapitolerò, dunque, come “l’Ottobre rosso” mi appare oggi.
L’insurrezione di luglio
Il primo dei momenti a cui mi voglio riferire è la fallita “insurrezione di luglio”, che apparve a molti dell’epoca, e successivamente alla maggior parte degli storici occidentali, come un tentativo fallito da parte di Lenin di prendere il potere e come la prova generale per “l’Ottobre rosso”.
Nel mio libro, Preludio alla Rivoluzione, traevo la conclusione che la caotica, sanguinosa e alla fine infruttuosa insurrezione di luglio fu un fedele riflesso della riluttanza, da parte dei soldati della guarnigione di Pietrogrado, ad accettare di essere inviati al fronte per sostenere l’offensiva russa del luglio 1917, e dell’autentico, generalizzato impennarsi dell’impazienza e del malcontento da parte di larghe masse di operai di Pietrogrado, soldati e marinai della flotta del Baltico, nei confronti della continuazione dello sforzo bellico e a causa della scarsità di risultati sociali ed economici che si aspettavano dalla Rivoluzione del febbraio 1917. Per quanto riguarda il ruolo dei bolscevichi nella preparazione e nell’organizzazione dell’insurrezione di luglio, concludevo che lo scoppio fu in parte la conseguenza di quattro mesi di costante propaganda e azione dei bolscevichi; che essi, militanti di base, operai di fabbrica e a livello di unità, giocarono un ruolo dirigente nel dare il via alla rivolta; e che i dirigenti estremisti dei due eserciti ausiliari del partito – l’Organizzazione militare bolscevica e il Comitato bolscevico di Pietroburgo – sensibili alla loro nuova e impaziente base, li incoraggiarono contro i desideri di Lenin e della maggioranza del Comitato centrale bolscevico.
Mi sono anche avventurato in diverse generalizzazioni più ampie con importanti implicazioni su eventi successivi, a partire dal mio studio sull’insurrezione di luglio. Una serie di queste generalizzazioni riguarda l’atteggiamento delle masse a Pietrogrado verso il governo provvisorio, i soviet e i bolscevichi in quel periodo. Studiando l’evoluzione dell’opinione popolare tra febbraio e luglio, concludevo che tra gli operai di Pietrogrado, i soldati e i marinai che avevano in qualche modo agito politicamente, il governo provvisorio era già allora – cioè, nella metà dell’estate del 1917 – comunemente percepito come un organo delle classi dominanti, contrario a radicali mutamenti politico‑sociali, e indifferente alle necessità della popolazione. D’altro canto, benché gli strati inferiori della popolazione di Pietrogrado muovessero ai socialisti moderati sempre maggiori critiche per il loro sostegno al governo provvisorio e alla prosecuzione dello sforzo bellico, nondimeno ritenevano i soviet, a tutti i livelli, come istituzioni autenticamente democratiche di autogoverno popolare. Di qui, l’enorme e sempre maggiore attrazione popolare per due delle principali parole d’ordine dei bolscevichi: “Tutto il potere ai soviet!” e “Pace immediata!”.
Per quanto riguarda la situazione dei bolscevichi, l’insurrezione di luglio terminò per loro in una penosa e apparentemente decisiva sconfitta. Tuttavia, ciò che mi è apparso più significativo è stata la grande popolarità del radicale programma bolscevico, emersa prima e durante le giornate di luglio. In un momento in cui le aspettative popolari per un significativo cambiamento erano altissime, mentre altri importanti gruppi politici chiedevano pazienza e sacrificio nell’interesse dello sforzo bellico, il programma politico radicale dei bolscevichi e la chiara capacità del partito di rendersi interprete delle aspirazioni e dei bisogni dei cittadini comuni contribuirono in maniera significativa alla notevole influenza e forza che esso acquisì in soli pochi mesi.
Ciò mi ha condotto a una seconda serie di generalizzazioni, riflesse nell’esperienza di luglio e che si riferiscono alla tradizionale immagine del partito bolscevico nel 1917 come un’organizzazione essenzialmente compatta, autoritaria, cospirativa, saldamente controllata da Lenin. Sulla base di un’approfondita ricerca empirica, ho concluso che quest’immagine era molto poco aderente alla realtà. Non fu solo a partire dal marzo 1917 che l’organizzazione bolscevica, a tutti i suoi livelli, espresse fazioni di destra, di sinistra e centriste, ognuna delle quali contribuì a plasmare la politica del partito. Non meno importante, mi è sembrato, era il fatto che tra le condizioni esistenti nella Pietrogrado rivoluzionaria del 1917 (per non parlare della Russia nel suo complesso), instabili, localmente variabili e costantemente in evoluzione, il Comitato centrale dei bolscevichi non era proprio in grado di controllare gli organismi formalmente subordinati. Le organizzazioni di base erano relativamente libere di adattare i loro appelli e le tattiche alla loro percezione dello sviluppo della situazione sul territorio. L’importanza di questo fattore nell’interpretazione dell’atteggiamento del partito bolscevico durante la rivoluzione del 1917 era – ho concluso – innegabile.
Inoltre, ho constatato che la concezione di Lenin di prima della rivoluzione, di un partito piccolo, professionale e cospirativo era diventata obsoleta dopo la Rivoluzione di febbraio, e che le porte del partito erano state rapidamente spalancate a decine di migliaia di nuovi membri che ne influenzarono anche la politica. In altri termini, l’organizzazione bolscevica a Pietrogrado era in larga misura aperta e, al contempo, sensibile ai problemi delle masse popolari. Indiscutibilmente, ciò provocò grandi difficoltà in luglio. Tuttavia, ho concluso che, sul lungo periodo, i legami estesi e alimentati con cura dai bolscevichi negli impianti e nelle fabbriche, in una miriade di organizzazioni operaie e unità militari, furono un’importante risorsa per il rafforzamento del partito e la sua capacità ultima di prendere il potere.
La reazione
Il secondo momento rivelatore nel 1917 su cui voglio soffermarmi è il breve periodo di reazione a Pietrogrado seguito al fallimento dell’insurrezione di luglio. Era l’epoca in cui l’offensiva della Russia sul fronte orientale, che sembrava inizialmente vittoriosa, si trasformò nella più terribile disfatta per l’esercito russo, e proprio mentre Alexander Kerensky diventava primo ministro. Kerensky era alla testa di una coalizione di governo socialista liberal‑moderata, perlopiù preoccupata di reprimere i bolscevichi, ristabilire l’autorità politica nazionale e l’ordine (con la forza, se necessario), e rinforzare il fronte al collasso.
Per un breve periodo sembrò che una pausa fosse sopraggiunta nel movimento rivoluzionario dei lavoratori. L’opinione pubblica di Pietrogrado pareva essersi bruscamente spostata a destra. Eppure, nonostante un costante fuoco di fila di ostentata retorica integralista da parte di Kerensky, incessantemente ripresa da gruppi civili e militari conservatori temporaneamente ricomparsi, apparve chiaro che nessuna delle misure repressive da lui solennemente proclamate era stata applicata, né aveva raggiunto i suoi obiettivi (che non significa che esse sarebbero state in grado con successo di ristabilire l’ordine). Ma soprattutto, il pericolo apparentemente crescente della controrivoluzione, sostanziato da eventi come la Conferenza di Mosca – la grande e tanto pubblicizzata assemblea delle forze conservatrici alla metà di agosto del 1917 – accrebbe la diffidenza popolare verso il governo provvisorio e incentivò il desiderio di lasciarsi il passato alle spalle e di unirsi più strettamente in difesa della rivoluzione. Ho scoperto che questa risposta di massa a ciò che era stato comunemente percepito come una pericolosa minaccia per la rivoluzione trovava riscontro in numerosi documenti dell’epoca che si rafforzavano reciprocamente.
Se l’ostilità verso i bolscevichi da parte di cittadini comuni svanì di fronte all’apparente minaccia della controrivoluzione nel giro di poche settimane dopo l’insurrezione di luglio, già dalla seconda metà di agosto – prima del fallito golpe reazionario del generale Lavr Kornilov – si registrarono crescenti segnali che il partito, col suo apparato sostanzialmente intatto, aveva intrapreso un nuovo periodo di sorprendente e rapida crescita. Ho scoperto che una chiara indicazione del grado di aumento delle sorti del partito trovò riscontro nei risultati delle elezioni di metà agosto alla Duma cittadina di Pietrogrado. In queste elezioni municipali, i bolscevichi ottennero un clamoroso risultato.
L’affare Kornilov
Forse inevitabilmente, con l’esistenza stessa dello Stato russo direttamente minacciata dalle forze armate dall’esterno, e, dall’interno, dalla disintegrazione politica, sociale ed economica, e col governo Kerensky così chiaramente non in grado di contrastare il progressivo degrado, i gruppi liberali e conservatori puntarono sull’alto comando dell’esercito per la salvezza. Gli sforzi di alcuni di questi elementi culminarono nel cosiddetto “affare Kornilov” di fine agosto. Nel riflettere sul fallito golpe di destra del generale Kornilov, la mia principale preoccupazione oggi non è rappresentata dalle ancor dibattute questioni circa gli obiettivi e le ambizioni personali di Kornilov, o relative all’eventuale complicità di Kerensky nello strappare l’autorità dalle mani del soviet ristabilendo l’ordine mediante una ferrea dittatura militare. Nell’attuale contesto, l’aspetto che più mi interessa di questo particolarmente significativo momento storico è ciò che la lotta contro Kornilov a Pietrogrado mise in luce a proposito dei comportamenti e della forza della gente comune, e poi circa l’impatto dell’esperienza con Kornilov sul prestigio dei bolscevichi.
Mi sia consentito ricordare in poche parole ciò che occorse a Pietrogrado dopo che Kerensky ebbe annunciato, il 27 agosto, che il generale Kornilov aveva rifiutato di riconoscere la sua autorità e che le truppe al suo seguito erano a bordo di treni, ormai prossime alla capitale. Il partito Cadetto, il principale partito liberale russo, solidale con gli obiettivi di Kornilov e diffidente e sprezzante nei confronti di Kerensky, si rifiutò di sostenerlo. Per un brevissimo momento, sembrò che non fosse possibile impedire alle truppe di Kornilov di occupare la capitale e che il governo provvisorio sarebbe certamente caduto. Ma tutti i gruppi politici alla sinistra dei cadetti – bolscevichi, menscevichi, socialisti rivoluzionari, anarchici, tutte le organizzazioni sindacali di una qualche importanza, comitati di marinai e soldati a tutti i livelli – immediatamente unirono le loro forze in difesa della rivoluzione.
Sotto la direzione del sindacato dei ferrovieri, le comunicazioni tra Kornilov nel sud della Russia e le sue forze che avanzavano verso Pietrogrado vennero tagliate, mentre i treni che trasportavano le truppe insorte vennero fatti deragliare. Dappertutto, le armate di Kornilov vennero bloccate, gli ufficiali furono costretti a restare in un’attesa impotente, mentre folle di delegati di organizzazioni di massa, alcuni dei quali inviati da Pietrogrado e altri da città e villaggi vicini, rapidamente convinsero le truppe di Kornilov, scelte per la loro affidabilità e disciplina, a non muoversi oltre e a giurare fedeltà alla rivoluzione. Inutile dire che la crisi si risolse in pochi giorni, senza che fosse sparato un sol colpo.
E all’apice di questo trionfo sulla controrivoluzione, la maggior parte delle organizzazioni di Pietrogrado che avevano partecipato al movimento contro Kornilov espresse la sua opinione circa la natura, la composizione e il programma del futuro governo in un fiume di risoluzioni politiche, che, ovviamente, non erano state elaborate da un unico organismo, visto che differivano notevolmente quanto ai dettagli. Eppure, comune alla maggior parte di esse erano l’avversione per qualsiasi tipo di collaborazione politica con le classi possidenti e la predilezione per l’immediata creazione di un qualche tipo di governo esclusivamente socialista che ponesse fine alla terribile guerra. Era evidente che per molti, compresi i bolscevichi, la rapida sconfitta del generale Kornilov era la conferma dell’immenso potenziale politico della collaborazione di tutti i socialisti.
Mi è sembrato che ci fossero altre notevoli implicazioni politiche della vicenda Kornilov. Nell’immediato, il movimento reazionario era stato spezzato, era chiaro. E a causa del loro comportamento prima e dopo la crisi, i cadetti erano fortemente sospettati di essere in combutta con il generale; ormai erano indeboliti e profondamente demoralizzati. Inoltre, a causa di aspre dispute interne sul carattere e la composizione del futuro governo, i menscevichi e i socialrivoluzionari erano a malapena messi meglio. Entrambi avevano ora al loro interno settori di sinistra in rapida crescita, i cui obiettivi politici immediati erano strettamente allineati a quelli dei bolscevichi moderati. E intanto, la disgregazione dell’economia russa continuava a ritmo sostenuto. A Pietrogrado, la scarsità di cibo e carburante si faceva sempre più acuta.
Naturalmente, la vicenda Kornilov causò un notevole danno anche alla reputazione di Kerensky, stretto tra la destra e la sinistra sconfitte. Chiaramente, tra i concorrenti per il potere nel 1917 a Pietrogrado i bolscevichi erano i grandi beneficiari della fallita azione reazionaria. Eppure, appare dubbio sostenere, come molti storici hanno fatto e continuano a fare, che la sconfitta di Kornilov abbia reso praticamente inevitabile la vittoria di Lenin. Di sicuro, il fallimento di Kornilov evidenziò la grande forza potenziale della sinistra e dimostrò ancora una volta l’enorme attrattiva popolare del programma di radicale cambiamento dei bolscevichi. Tuttavia, lo stato d’animo delle masse non era specificamente bolscevico nel senso di riflettere l’aspirazione ad un governo bolscevico. Mi è sembrato che questo fosse il punto cruciale. Il fatto è che l’idea di un governo bolscevico non era mai stata pubblicamente sollevata prima. Agli occhi degli operai, soldati e marinai di Pietrogrado, i bolscevichi erano per il potere del soviet: per una democrazia popolare sovietica pluripartitica. Ciò rappresentava ora un ostacolo all’unilaterale presa del potere. Come dimostrò la valanga di risoluzioni politiche dopo la vicenda Kornilov, le classi subalterne della città erano più che mai attratte dalla possibilità della creazione di un governo sovietico composto da tutti i gruppi democratici socialisti.
In ogni caso, la fallita insurrezione di luglio e la successiva reazione evidenziarono i rischi insiti nell’eccessiva fiducia nell’umore popolare. Questa conclusione era del resto ineludibile. D’altro canto, la storia del partito dall’epoca della Rivoluzione di febbraio in poi ha evidenziato la possibilità di un disaccordo programmatico e di un’indisciplinata e disorganizzata attività tra le file bolsceviche. Sicché, all’indomani della vicenda Kornilov, era ancora aperta la questione se il partito, per prendere il potere, sarebbe stato in grado di trovare la necessaria forza di volontà, una disciplina organizzativa e la sensibilità per la complessità della fluida e potenzialmente esplosiva situazione esistente.
“Ottobre rosso”
Dunque, questa è stata la mia lettura dei significativi e spesso ignorati momenti storici durante l’estate del 1917, che mi sono apparsi di particolare importanza nella comprensione dell’“Ottobre rosso”. Perciò, lasciatemi dire ora come la vittoria dei bolscevichi nell’ottobre del 1917 è apparsa, inquadrata in questo contesto. Ricordiamo che, alla metà di settembre, Lenin, che ancora era nascosto in Finlandia, inviò alla direzione del partito a Pietrogrado due lettere storicamente importanti. In queste lettere, letteralmente cadute come un fulmine a ciel sereno, Lenin chiedeva ai bolscevichi di Pietrogrado di organizzare un’insurrezione armata e rovesciare il governo provvisori «senza perdere un istante». Ricordo anche che la direttiva di Lenin venne respinta con voto unanime dal Comitato centrale.
Dai documenti risulta che ci furono diverse ragioni per questa risposta rapida, totalmente negativa, in realtà terrorizzata. Innanzitutto, la scioccante direttiva di Lenin pervenne in coincidenza con l’apertura della Conferenza democratica statale, quando i dirigenti del partito nella capitale, convinti di avere l’approvazione di Lenin, erano orientati a convincere la maggioranza dei delegati alla conferenza che la conferenza stessa avrebbe dovuto procedere alla creazione di un nuovo governo, esclusivamente socialista. Questo sforzo venne frustrato. Il fatto che la direzione bolscevica abbia ignorato gli ordini di Lenin anche quando era divenuto chiaro che la Conferenza democratica statale non avrebbe abbandonato la politica di coalizione era in parte dovuta all’influenza dei bolscevichi moderati come Lev Kamenev. Tuttavia, la cosa più significativa fu che persino dirigenti come Trotsky, che in generale condivideva gli assunti teorici fondamentali di Lenin rispetto alla necessità e fattibilità di una precoce rivoluzione socialista in Russia, era scettico nei confronti di una mobilitazione degli operai, dei soldati e dei marinai dietro un “immediato assalto alla baionetta” su cui insisteva Lenin.
La situazione era simile a quella verificatasi all’apice della reazione scatenata all’indomani dell’insurrezione di luglio. A quell’epoca, la maggioranza dei dirigenti del partito a Pietrogrado aveva ignorato la richiesta di Lenin di abbandonare i soviet come organismi rivoluzionari. Ora, verso la fine di settembre, questi bolscevichi sembravano aver avuto una più realistica valutazione rispetto a Lenin dei limiti dell’influenza del partito e della sua autorevolezza tra i comuni cittadini, e del continuo attaccamento di questi ultimi ai soviet come legittimi organi democratici nei quali tutti i gruppi autenticamente rivoluzionari avrebbero collaborato per fare la rivoluzione. Di conseguenza, insieme ai socialrivoluzionari di sinistra, iniziarono ad associare apertamente la presa del potere con la creazione di un governo di coalizione di tutti i socialisti con l’anticipata convocazione di un altro congresso nazionale dei soviet come un modo per approfittare della legittimazione a livello popolare.
L’impatto delle prospettive degli operai, soldati e marinai sulle tattiche dei bolscevichi fu più pronunciato nelle due settimane prima della caduta del governo provvisorio. Di sicuro, nella storica sessione segreta del Comitato centrale tenutasi il 10 ottobre e alla quale partecipò Lenin, si decise di porre «all’ordine del giorno» un’insurrezione armata. Eppure, nonostante questo semaforo verde a una sollevazione armata, le masse di Pietrogrado non vennero chiamate alle armi.
Ancora una volta, ciò fu in parte dovuto ai frenetici sforzi dei bolscevichi moderati diretti da Kamenev per evitare un immediato atto violento contro il governo. Tuttavia, in seguito alla storica decisione del Comitato centrale del 10 ottobre, appare chiaro che i dirigenti di partito inclini alla militanza a stretto contatto con i lavoratori e le truppe di basso rango – i bolscevichi che si schierarono con Lenin in linea di principio – esplorarono seriamente la possibilità di organizzare un’insurrezione popolare armata. E, dopo aver girato per diversi giorni nei “distretti” (stabilimenti, fabbriche e caserme militari), un significativo numero di essi fu portato a concludere che il partito era tecnicamente impreparato a iniziare un’immediata azione contro il governo. Essi conclusero anche che la maggior parte dei cittadini comuni non avrebbe risposto a un appello del partito a un’insurrezione prima dell’imminente congresso dei soviet che, dopotutto, gli stessi bolscevichi avevano sbandierato come la più alta autorità politica rivoluzionaria della Russia in attesa di una rapida convocazione dell’assemblea costituente.
Alcuni dirigenti bolscevichi affrontarono questi problemi insistendo sul fatto che l’inizio di un’insurrezione doveva solo essere rinviata durante il completamento di ulteriori preparativi militari. Tuttavia, c’era un’altra impostazione generale: che i soviet, per il loro prestigio a livello popolare, piuttosto che come organi di partito, dovevano essere impiegati per il rovesciamento di Kerensky; quindi, che un attacco al governo avrebbe dovuto essere dissimulato da operazione difensiva in nome del soviet; che ogni possibilità avrebbe dovuto essere sfruttata per indebolire pacificamente il potere del governo provvisorio; e che la formale destituzione del governo avrebbe dovuto essere collegata con il secondo Congresso panrusso dei soviet e da questo legittimata. I dirigenti bolscevichi che condividevano questi punti di vista erano più fiduciosi di Lenin che la maggioranza dei delegati al congresso dei soviet avrebbe sostenuto la formazione di un governo di coalizione di tutti i partiti socialisti. Ho riscontrato che questa visione era condivisa dalla maggioranza dei dirigenti bolscevichi di Pietrogrado (in particolare, da Trotsky).
Nel libro I bolscevichi al potere, ho fatto del mio meglio per ricostruire la vincente realizzazione di queste tattiche dei bolscevichi piuttosto che di Lenin: in particolare, l’utilizzazione da parte loro di una minaccia controrivoluzionaria per favorire la nascita di un organismo apparentemente apartitico, il Comitato militare rivoluzionario del soviet di Pietrogrado. Con la scusa di proteggere la rivoluzione, quest’organismo prese il controllo di quasi tutta la guarnigione di Pietrogrado, disarmando il governo senza sparare un sol colpo. Fu solo dopo che Kerensky lanciò contro i bolscevichi la repressione militare, reagendo così all’usurpazione da parte del Comitato militare rivoluzionario dell’autorità del comando sulla guarnigione, che l’azione militare chiesta da Lenin da più di un mese ebbe inizio. Ciò avvenne a notte inoltrata fra il 24 e il 25 di ottobre, solo poche ore prima dell’apertura programmata del secondo Congresso panrusso dei soviet. In quel momento, solo pochi cosacchi, cadetti e truppe femminili, demoralizzati, scarsi e sempre meno numerosi, continuavano a difendere il governo di Kerensky, raccolto e isolato nel Palazzo d’Inverno.
Nel suo libro Red October, il compianto Robert V. Daniels, influente storico americano del comunismo russo, ha sostenuto che la tardiva “insurrezione” del 24‑25 ottobre è stata di importanza storica cruciale perché, inducendo i menscevichi e i socialisti rivoluzionari ad abbandonare il congresso nazionale dei soviet, fece venir meno la possibilità che si formasse una coalizione governativa rappresentativa di tutti i socialisti, in cui quelli moderati avrebbero probabilmente avuto una significativa voce in capitolo. In tal modo, ciò aprì la strada alla formazione di un governo sovietico esclusivamente bolscevico, il Sovnarkom. Questa, incidentalmente, fu anche la visione di Sukhanov. L’analisi dell’identità politica e della posizione dei delegati che si insediavano al congresso sulla questione del governo e delle dinamiche della decisiva sessione di apertura del congresso, ha evidenziato che era esattamente così. Comunque, un punto più importante che mi è apparso evidente è stato che solo dopo il comprensibile ma disperato attacco militare di Kerensky contro i bolscevichi l’azione armata sostenuta da Lenin divenne possibile.
Gli operai e i soldati di Pietrogrado che sostenevano i bolscevichi nella sovversione e nel rovesciamento del governo provvisorio agirono in tal senso perché persuasi che la rivoluzione e il congresso versassero in pericolo imminente. Solo la creazione di un governo di coalizione tra tutti i socialisti da parte del congresso dei soviet, in attesa di decisioni sul futuro politico definitivo della Russia ad opera di un’assemblea costituente rappresentativa – che, va ribadito, era ciò che i bolscevichi rappresentavano a livello popolare – sembrava offrire la speranza di evitare la morte al fronte e di ottenere una vita più libera, migliore e più giusta.
Oltre Pietrogrado
Mi sia consentito concludere suggerendo quelle che mi sembrano essere le implicazioni di tutto ciò oggi, a cent’anni dalla rivoluzione, nell’affrontare la domanda “come hanno vinto i bolscevichi?”. È abbastanza chiaro che la risposta a questa domanda è molto più complessa di quanto indichino le interpretazioni tradizionali sovietiche e occidentali. Indubbiamente, è stato e continua ad essere tanto difficile per me, così come praticamente per qualsiasi storico della Rivoluzione russa, immaginare il successo dei bolscevichi in assenza degli interventi sostanzialmente decisivi di Lenin (in particolare, il suo appello, una volta rientrato a Pietrogrado nell’aprile del 1917, a continuare la rivoluzione, e i suoi appelli per la presa immediata del potere a partire dalla metà di settembre 1917). Questi interventi di Lenin sono un vivido esempio del ruolo a volte decisivo dell’individuo nella storia.
Tuttavia, di importanza altrettanto cruciale per la rapida crescita dei bolscevichi e il loro successo finale fu la corrispondenza tra il programma pubblico che essi proponevano e le aspirazioni popolari nel momento in cui il governo provvisorio fu ritenuto responsabile del rapido deterioramento delle condizioni economiche, dello sforzo bellico e della connivenza – se non addirittura il sostegno diretto – con la controrivoluzione. E ciò nello stesso momento in cui gli altri tre principali partiti politici russi (Cadetti, menscevichi e socialisti rivoluzionari) erano fortemente screditati per il loro evidente appoggio a Kerensky e alle sue politiche, interne ed estere. La differenza più rilevante tra me e molti storici della “Rivoluzione d’ottobre” è che, a mio parere, la capacità del partito di conciliare opinioni teoriche divergenti con un significativo grado di iniziativa e indipendenza tattica da parte delle strutture formalmente subordinate, come pure una struttura decentrata del partito e la sua capacità di risposta al sentimento popolare predominante, hanno tanto a che fare con il successo del partito, se non addirittura di più rispetto alla disciplina rivoluzionaria, all’unità organizzativa e all’obbedienza a Lenin. Perché è evidente che le tattiche corrette dei bolscevichi di Pietrogrado nell’autunno del 1917 vennero elaborate sulla base di un intercambio continuo di idee sullo sviluppo della rivoluzione e una costante interazione tra i membri del partito a tutti i livelli con i lavoratori delle fabbriche, i soldati e i marinai.
Come si può notare, in diverse occasioni in luglio, settembre e ottobre del 1917, Lenin emise direttive, che, se fossero state seguite alla lettera, sarebbero probabilmente state disastrose. Ogni volta, le strutture di partito e i dirigenti bolscevichi, sensibili alle realtà politiche così velocemente mutevoli dell’opinione pubblica, rifiutarono gli ordini di Lenin o li adattarono alle circostanze esistenti. Diversamente, con ogni probabilità i bolscevichi non sarebbero riusciti a prendere il potere. A partire da questa prospettiva, l’“Ottobre rosso” a Pietrogrado fu, in larga misura, una genuina espressione delle forze popolari, tanto una complessa lotta politica quanto un conflitto militare, in cui il destino del governo provvisorio – sebbene non la composizione, né il carattere del nuovo regime rivoluzionario sovietico – fu segnato ben prima delle operazioni militari sottolineate in tanti resoconti.
La mia spiegazione sul successo dei bolscevichi è allora significativamente cambiata? La risposta è: no, fondamentalmente no. Se potessi, cambierei il titolo del mio primo libro Preludio alla rivoluzione. Guardandola alla luce di un intero secolo trascorso, l’insurrezione di luglio e perfino le rivoluzioni di febbraio e di ottobre appaiono come fasi chiave di un grande e fondamentale processo politico e sociale che può essere appropriatamente chiamato “la grande Rivoluzione russa”. L’accesso agli archivi russi e alla raccolte relativamente recenti di documenti pubblicati e monografie accademiche hanno gettato nuova luce su temi così a lungo trascurati, come pure sulla Rivoluzione del 1917 nelle province, aggiungendo nuovi e validi dettagli alla conoscenza dei singoli sviluppi nel centro della Russia. Tuttavia, ciò non ha minato la mia idea generale dell’importanza della struttura del partito bolscevico e dell’attrazione popolare del potere sovietico democratico nello spiegare “come hanno vinto i bolscevichi”.
[*] Alexander Rabinowitch è professore emerito di storia all’Indiana University a Bloomington. Di recente, ha scritto The Bolsheviks in Power: The First Year of Soviet Rule in Petrograd.
(Traduzione di Ernesto Russo e Raffaele Rocco)