Prosegue, sulle pagine di questo sito, la presentazione in italiano dei saggi pubblicati dalla rivista Jacobin Magazine sulla Rivoluzione russa del 1917.
È la volta di un articolo, scritto da Sarah Badcock, sulle rivoluzioni contadine che furono parte del complesso e ricco processo rivoluzionario del 1917.
Ricordiamo che la nostra iniziativa è il frutto della collaborazione con Jacobin per la divulgazione del piano editoriale previsto per commemorare il centenario dell’Ottobre sovietico, ed è realizzata in partnership con il sito PalermoGrad.
Tutto il materiale, tradotto in numerose lingue, viene pubblicato in un’apposita sezione del sito Marxists Internet Archive: per l’italiano, a quest’indirizzo.
Buona lettura.
La redazione
Le rivoluzioni contadine del 1917
Nella Russia del 1917, la gente comune delle campagne entrò in scena direttamente per cambiare il proprio mondo
Sarah Badcock [*]
Nel 1917, i contadini cambiarono le regole del gioco politico. Definirono le risposte dei politici alle sfide nazionali; produssero, controllarono e stabilirono la distribuzione delle derrate alimentari; armati e in uniforme, i contadini servirono come soldati, facendo e disfacendo il potere politico; e, come la maggioranza della popolazione urbana della Russia, svolsero un ruolo chiave nelle insurrezioni nelle città.
Tuttavia, quando si parla di rivoluzioni contadine, generalmente ci si riferisce a combattimenti nelle campagne per l’utilizzo e il possesso della terra. E, benché nel 1917 più dell’80% della popolazione russa vivesse in aree non urbane, spesso gli studiosi sottovalutano l’esperienza e la partecipazione dei contadini nella Rivoluzione russa, soffermandosi invece sui lavoratori delle città e sugli intellettuali.
La diversità e la complessità delle insurrezioni nelle campagne sfatano qualsiasi convinzione che possiamo nutrire sulla natura delle azioni contadine. Rivelano anche la straordinaria creatività e la natura trasformativa della rivoluzione.
Le insurrezioni contadine rifuggono da facili definizioni. Man mano che si propagavano lungo il corso del 1917 e nel Paese, assumevano forme tanto diverse quanto il vasto territorio dell’Impero russo.
Spesso, la qualità della terra e la cultura locale determinavano la forma di queste rivolte. Benché in tanti immaginino violenti assalti ai proprietari terrieri e l’occupazione con la forza delle tenute, in realtà molte lotte contadine si svolsero pacificamente. Scontri violenti attiravano più attenzione, ma comportavano grandi rischi per chi vi partecipava. La maggior parte dei contadini russi intraprese azioni pacifiche e misurate, anche se coloro le cui proprietà venivano redistribuite non la pensavano allo stesso modo.
Alcuni contadini si lanciarono in rivolte surrettizie per aprire semplicemente i recinti e permettere al bestiame del villaggio di pascolare sulle terre del latifondista. Certe comunità produssero documenti apparentemente ufficiali con cui veniva concesso l’usufrutto perpetuo delle risorse locali. Molte audaci sommosse videro contadini lavorare insieme per tagliare la legna dai boschi circostanti.
Purtroppo, non abbiamo un resoconto dettagliato sui tanti modi in cui i lavoratori rurali diedero il loro contributo a quell’anno rivoluzionario. Ciò che sappiamo però basta a dimostrare quali varietà di tattiche, di attori e di obiettivi vi siano state, e quanto decisivo sia stato il loro ruolo nello Stato post‑rivoluzionario russo.
Arriva la modernità
Si definisce in genere con la parola “contadino” colui che vive e lavora in aree rurali, ma in Russia lo stesso termine indica anche una categoria giuridica – “solvei” – che appariva persino nel passaporto di una persona. I contadini russi potevano vivere in aree urbane, guadagnarsi da vivere come operai o commercianti e servire nelle forze armate.
All’inizio del XX secolo, la modernità arrivò nella Russia rurale coesistendo – e trasformandoli – con gli elementi tradizionali della vita contadina, definita dal patriarcato, dalla religione ortodossa e dalla comunanza.
Le strutture del potere patriarcale garantivano che i maschi anziani dominassero sia la famiglia che la comunità. La fede ortodossa russa svolgeva un ruolo importante nella vita sociale, culturale e spirituale di molti residenti. Sistemi comunitari di gestione della terra sopravvivevano in tante aree, agevolando l’uso collettivo delle risorse e rafforzando le strutture sociali patriarcali. Tutti questi fattori diedero alla Russia rurale un certo livello di provincialismo, e la politica privilegiava gli interessi locali a discapito di quelli nazionali.
La modernità sfidò questi modelli tradizionali in diversi modi. Dopo l’emancipazione dei servi della gleba del 1861, l’istruzione primaria nelle campagne ebbe un’accelerazione, portando l’alfabetizzazione alle generazioni più giovani. Frattanto, l’emigrazione stagionale di milioni di persone verso i centri urbani determinava, al loro rientro, l’introduzione nella società d’origine di idee e costumi metropolitani, tra cui il secolarismo e la cultura consumistica.
Governi locali eletti e tribunali regionali offrirono alla popolazione rurale nuovi modi di comunicare con lo Stato, che essa mostrò di gradire. Dopo la rivoluzione del 1905, i contadini parteciparono alle elezioni nazionali reclamando a gran voce i propri rappresentanti regionali.
Infine, la mobilitazione del 1914 segnò un significativo cambio tra gli abitanti delle campagne, che presero le armi – alcuni con fervore patriottico, altri con grande riluttanza – e attraversarono il grande Impero.
Questi legami col mondo al di fuori dei loro villaggi significarono che, nel 1917, i contadini non vivevano più nell’isolamento di una premodernità. Si relazionavano con lo Stato e la nazione in diversi modi. La crescita dell’alfabetizzazione permise loro di impegnarsi in programmi politici nazionali e regionali, mentre le esperienze nei centri urbani ispirarono i giovani a sfidare il dominio patriarcale degli anziani.
Forme rivoluzionarie
«L’acqua è vostra, la luce è vostra, la terra è vostra, il legno è vostro».
Queste parole, pronunciate da un marinaio agitatore durante un’assemblea nel giugno del 1917 a Kazan, colgono l’elemento più importante delle aspirazioni rivoluzionarie contadine. L’esplicita dichiarazione secondo cui la terra e il legno, così come l’aria e l’acqua, appartenevano a chi ne aveva bisogno fu spesso ripetuta durante l’anno rivoluzionario e oltre.
In regioni un tempo caratterizzate dalla servitù della gleba, gli antichi servi nutrivano un profondo risentimento per l’iniquità del regolamento dell’emancipazione. Le occupazioni delle terre si fecero più violente in aree in cui i contadini avevano relazioni ostili con i proprietari terrieri locali.
Ciò che sappiamo della forma e dell’intensità delle rivoluzioni contadine ci proviene in gran parte dai cosiddetti rapporti sui disordini redatti soprattutto sulla base delle denunce dei latifondisti privati. Questi rapporti ci rivelano che le zone della Russia dalle terre più fertili furono quelle che vissero i disordini più intensi. Ci indicano anche che le aree con la più alta concentrazione di servi della gleba videro anche più sommosse, più attacchi verso singoli proprietari terrieri e più violente occupazioni di terre. Queste statistiche, tuttavia, non ci forniscono un quadro completo delle rivolte contadine, perché hanno registrato soltanto un tipo particolare di azione.
Anche se l’assalto violento e la redistribuzione forzata spesso esemplificano la rivoluzione contadina, non erano così comuni. Nel 1917, infatti, solo una piccola parte delle terre coltivabili apparteneva ancora all’élite. In alcune regioni, come Viatka, i latifondisti della nobiltà e la fame di terre erano per lo più assenti.
La Rivoluzione di febbraio diede inizio a un progressivo dispiegamento delle aspirazioni e delle azioni dei contadini, ma il modo in cui i rivoluzionari delle campagne lottavano per l’eguaglianza dipendeva dall’uso che localmente facevano della terra e dai modelli di proprietà. La maggior parte di queste azioni non comportò violenze od occupazioni con la forza. Al contrario, le comunità contadine sperimentarono le leggi sulla proprietà privata – trasgredendole – quando tentavano di proteggersi da una potenziale repressione.
Ad esempio, i contadini del villaggio di Aryshkadza annunciarono semplicemente che avrebbero seminato col grano d’inverno i campi dei proprietari locali, i cui impiegati avrebbero avuto un giorno di tempo per abbandonare le terre. Questi se ne andarono e i contadini iniziarono la semina.
Peraltro, non dobbiamo considerare queste rivolte contadine come un fenomeno di classe, perché i contadini non formavano una classe coerente. Ciò detto, generalmente i contadini si ritenevano lavoratori agricoli, il che definiva la loro visone del mondo e le loro azioni. Alcune rivolte contadine videro comunità agire collettivamente contro i latifondisti tanto da apparire come sollevazioni classiste, come oppressi contro i loro oppressori. Molte altre, invece, furono contese sull’utilizzo della terra tra comunità vicine o tra individui.
Ad esempio, spesso gli abitanti dei villaggi prendevano di mira i contadini che avevano scelto di lavorare individualmente piccoli terreni invece di terre comunali, forzandoli a ritornare all’agricoltura comunitaria. Solitamente, era l’intero villaggio che si scontrava con questi contadini individualisti, cercando di reintegrare loro e le loro terre. Gli abitanti dei villaggi avevano differenti livelli di ricchezza e influenza, ma queste posizioni sociali non erano stabili, né durature: gli individui salivano e scendevano nelle gerarchie sociali.
Intanto, il governo centrale dava sostegno alle denunce dei proprietari terrieri e ordinava alle comunità contadine di rispettare la proprietà privata. Tuttavia, non riusciva a far rispettare quegli ordini, sicché il 1917 vide una recrudescenza delle violazioni della proprietà privata.
Chi diresse le rivoluzioni contadine?
Abbiamo soltanto elementi frammentari a proposito degli individui e dei gruppi che diressero le rivolte contadine. Comitati, soviet e sindacati assunsero la leadership in molti villaggi, emanando ordini sull’uso e la gestione delle terre. Queste organizzazioni rappresentavano una base istituzionale per le azioni dei contadini.
Alcune di esse, come i soviet dei deputati contadini, erano parte di reti regionali e nazionali, e il governo provvisorio creò comitati delle terre e degli approvvigionamenti. Ma queste istituzioni locali mantenevano il controllo solo nella misura in cui rispondevano direttamente alle rivendicazioni dei loro elettori. Come il comitato del villaggio di Sotnursk ebbe a ricordare alle sue autorità regionali, «noi vi abbiamo eletto e voi dovete ascoltarci!».
Un insieme di prove indica che solo chi era integrato nella comunità contadina assunse il potere. La cosiddetta intellighenzia del villaggio – maestri, medici, agronomi ed ecclesiastici – furono sistematicamente esclusi da incarichi elettivi e generalmente non appaiono nei resoconti delle rivoluzioni contadine. I risultati elettorali evidenziano che gli abitanti dei villaggi preferivano candidati istruiti, seri, sensibili e affidabili, che appartenessero anche alla classe contadina. Le diverse facce assunte dalle rivoluzioni contadine, ad ogni modo, significano che non possiamo stereotipare le loro direzioni, dal momento che alcune di esse coinvolsero l’intera comunità del villaggio, alcune furono dirette da donne, e un pugno di borghi più ricchi guidarono le altre.
La Rivoluzione di febbraio trasformò lo status e il potere dei soldati della truppa, che diventarono i protettori armati del movimento. Disertori, riservisti e soldati di stanza in guarnigioni della retroguardia, tutti parteciparono attivamente alla politica dei villaggi. Tra i forestieri, se vogliamo considerarli tali, essi furono i più prossimi a guidare le rivoluzioni contadine.
Dal momento che i soldati erano esposti, addestrati ed equipaggiati per la violenza, era molto facile che l’azione rivoluzionaria nelle campagne diventasse violenta quando essi vi prendevano parte. A volte, l’intera comunità partecipava agli assalti. Ad esempio, un gruppo di soldati, accompagnati dalle donne del villaggio coi loro figli, espulse dalle sue terre Natalia Neratova nel maggio del 1917.
All’inizio della rivoluzione, la politica di partito svolgeva ancora un ruolo marginale nelle attività dei contadini. Il partito socialista rivoluzionario di Viktor Chernov aveva sviluppato una forte base di sostegno nelle campagne, specialmente nel cuore della Russia, come dimostrarono le elezioni per l’Assemblea costituente in novembre. A livello nazionale, rispetto al 23% dei bolscevichi i socialisti rivoluzionari ebbero il 37% dei consensi, ma questi numeri non rendono giustizia al loro enorme peso in alcuni territori, avendo ottenuto il 76% dei voti nelle regioni settentrionali e il 75% nelle regioni centrali delle Terre nere.
Il partito aveva capitalizzato la sua immagine di partito dei contadini e i suoi stretti vincoli locali per garantirsi il sostegno elettorale, ma non diresse la rivoluzione contadina. I suoi militanti assunsero ruoli di direzione nei villaggi solo quando interpretarono le aspirazioni e le motivazioni di quelle comunità.
La divisione fra città e campagne
Le rivoluzioni contadine misero a nudo l’impotenza delle autorità nazionali e regionali. Né il governo provvisorio, né il soviet di Pietrogrado si occupavano delle inquietudini e delle rivendicazioni dei contadini, ma chiedevano alle popolazioni delle campagne di attendere pazientemente che l’Assemblea costituente decretasse la redistribuzione delle terre.
Questi appelli furono perlopiù ignorati dai contadini, le cui azioni il governo centrale non poté evitare. Le autorità regionali affrontarono l’inizio del 1917 con la convinzione che le rivoluzioni contadine fossero frutto di malintesi e pensavano che la conciliazione e la sensibilizzazione avrebbero fermato i disordini. Ma già in estate, la consapevole risolutezza delle comunità contadine, che cercavano di porre in essere le loro rivoluzioni senza ricorrere a piani centrali, avrebbe intaccato quella convinzione.
Sempre più frequentemente, le autorità regionali facevano affidamento sulle forze armate per controllare le aree rurali. Un pugno di dirigenti più avveduti cercò di ottenere il controllo sui contadini autorizzando preventivamente il trasferimento delle terre ai comitati locali. Ma le rivolte proseguivano senza tregua poiché nessun potere centrale o regionale era in grado di attuare nessuna politica.
Dopo che, nell’ottobre del 1917, i bolscevichi presero il potere, immediatamente Lenin emanò il Decreto sulla Terra, che trasferiva tutte le terre private in favore dei contadini. Ironicamente, questo provvedimento fornì la dimostrazione dell’impotenza del governo centrale, dato che i contadini si erano già impadroniti della maggior parte delle terre private prima di ottobre. Il decreto di Lenin annunciò la battaglia per il controllo dell’economia contadina che sarebbe poi diventato un elemento chiave nella guerra civile russa.
La storia della rivoluzione contadina deve ancora essere scritta, ma ciò che di essa conosciamo ci consente una visione ancor più ricca della Russia del 1917.
[*] Sarah Badcock è un professore associato all’Università di Nottingham, specialista in studi sulla Russia imperiale e rivoluzionaria e sulla storia della repressione.
(Traduzione di Valerio Torre)
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