Robert Service è uno storico anticomunista molto noto in Italia, soprattutto per la sua biografia di Lenin (Lenin. L’uomo, il leader, il mito). Non ci risulta, invece, che sia stata tradotta nel nostro Paese la sua biografia di Trotsky. Nondimeno, intendiamo presentare qui una recensione di Kevin Murphy alla versione inglese di questo libro (R. Service, Trotsky: a biography), perché, con l’approssimarsi del centenario della Rivoluzione d’ottobre, non sono solo le organizzazioni della sinistra mondiale che si richiamano alla tradizione del bolscevismo a commemorare “i dieci giorni che sconvolsero il mondo”. Anche la borghesia internazionale “celebra” – a modo suo, s’intende – questa ricorrenza, dato che, quantunque cerchi di imporre in ogni dove al movimento operaio una sconfitta storica, non può fare a meno di considerare che è inevitabilmente essa stessa a creare, come scriveva Marx, il proprio becchino. E dunque, o con la forza o col consenso, il capitalismo deve “disinnescare” questa potenziale bomba ad orologeria che è il proletariato.
Sull’uso della forza è inutile soffermarsi, essendo sotto gli occhi di tutti l’impiego spropositato a ogni latitudine del potere coercitivo dello Stato borghese. Per quanto riguarda invece l’uso del consenso, la borghesia assolda legioni di “intellettuali” che, per suo conto, cercano di convincere le masse – guadagnandoci pure dalle royalties dei loro libri – che il sistema capitalistico è “il migliore dei mondi possibili”; e che la rivoluzione è un tentativo andato a finire male e che mai più potrà ripetersi. Alcuni di questi intellettuali – e proprio Service è uno di loro – argomentano il proprio ragionamento tessendo un filo di continuità che va dal Marx rivoluzionario (quello “economista” in qualche modo viene riscattato) fino a Lenin, e da questi a Trotsky e poi a Stalin. Lo scopo è quello di far credere che l’intera teoria socialista non può che sfociare nel “male assoluto” rappresentato da Stalin, ma le cui colonne portanti sono proprio Lenin e Trotsky: sicché, non essendoci soluzione di continuità, il sistema capitalista non avrebbe alternative.
Service si presta molto bene a questo scopo, e lo ha sfacciatamente dichiarato proprio durante una presentazione del proprio libro su Trotsky nell’ottobre 2009 a Londra, quando disse: «C’è ancora vita nel vecchio Trotsky. Ma se il piccone non è riuscito a svolgere bene il suo lavoro ammazzandolo, spero di esserci riuscito io».
Più chiaro di così …!
Tuttavia, come i nostri lettori avranno modo di capire dalla bella recensione di Kevin Murphy che presentiamo qui, l’aspirante assassino non è riuscito nel suo intento, e León Trotsky e il suo pensiero continuano ad essere più vivi che mai.
Buona lettura.
La redazione
Recensione a Robert Service,
Trotsky: una biografia
Kevin Murphy [*]
Settant’anni dopo la sua morte, la capacità di León Trotsky di polarizzare il dibattito accademico resta senza eguali. Dipinto come uno degli incrollabili oppositori della nascente burocrazia o come un personaggio non certo migliore di Stalin, la sua vita fu costantemente occupata dai problemi cruciali che attraversarono l’epoca rivoluzionaria. L’ampia biografia di Trotsky scritta da Robert Service sicuramente rinfocolerà il dibattito.
La tesi di Service (pp. 2‑4) non è affatto originale: che «Stalin, Trotsky e Lenin avevano in comune molte più cose di quelle su cui erano in disaccordo». Ma il tentativo di ridimensionare la pretesa «profonda impronta [di Trotsky] sulla ricerca accademica in Occidente» costituisce una novità. Il suo pensiero prima del 1917 – afferma Service – era «tutt’altro che originale» come sosteneva Trotsky stesso, ed egli avrebbe enfatizzato il proprio ruolo nel 1917. Stalin non avrebbe tradito la rivoluzione internazionale, e un’Unione sovietica diretta da Trotsky non sarebbe stata diversa perché le sue idee e le sue pratiche «avevano posto diverse pietre miliari» del sistema stalinista. Anziché essere l’incarnazione della mediocrità burocratica, come Trotsky tratteggiava, alla fine Stalin lo “sconfisse”. Service ha svolto una vasta ricerca, ma il libro offre molto poco quanto a nuovi spunti di riflessione: si tratta di un polemico lavoro di reinterpretazione, piuttosto che una rielaborazione di Trotsky fondata su nuovi riscontri.
Service si prefigge di ridimensionare Trotsky, e ciò appare evidente in quasi tutte le pagine. Il suo tentativo di banalizzarne la teoria della rivoluzione permanente (p. 80) non coglie nel segno. Trotsky riconosce apertamente che Parvus lo convinse della necessità di un “governo dei lavoratori” in Russia. Ma la sua propria definizione del 1905 si spinse oltre: egli sostenne che un governo dei lavoratori avrebbe dovuto necessariamente assumere compiti socialisti, una posizione che mai Parvus aveva difeso. Non sono stati solo «alcuni menscevichi» (p. 94) ad essere stati attratti da «Parvus e Trotsky», come Service sostiene; e dal 1905, Trotsky non era più il socio di minoranza della coppia. Dan[1] ammetteva che Nachalo[2] era diventato più “trotskista”, trovando ascolto in significativi settori di lavoratori menscevichi, mentre Martynov si vantava del fatto che solo i socialdemocratici avevano «coraggiosamente sbandierato il vessillo della rivoluzione permanente». Service concede più avanti (p. 181) che «il bolscevismo aveva discretamente adottato gli elementi fondamentali della strategia rivoluzionaria sostenuti [da Trotsky] sin dal 1905».
L’autore non approfondisce mai la sua affermazione secondo cui il Presidente del Soviet di Pietrogrado, nonché capo del Comitato militare rivoluzionario, ingigantì il proprio ruolo nel 1917, forse a causa dell’assenza di ogni riferimento a Trotsky stesso nella maggior parte della sua Storia della rivoluzione russa, attribuita da Service (p. 401) all’espediente retorico dell’estraniamento. Tutt’al più, egli ci ammannisce una manciata di aneddoti denigratori. La successiva dichiarazione di Trotsky, che i bolscevichi e gli Interdistrettuali[3] stavano «sondando» la possibilità di prendere il potere in luglio non è certo la notizia bomba che Service pretende (p. 175), poiché nessun progetto in tal senso era mai stato elaborato. Fra le «tattiche demagogiche» di Trotsky (pp. 170‑172) vengono citati un discorso contro il tentativo di far pagare il tram ai soldati e l’affermazione che il governo provvisorio volesse ingannare «le masse». Il discorso davanti ai marinai di Kronstadt, in cui Trotsky affermò che «dovranno rotolare le teste», è tratto dalle memorie di Woytinskii, che però comprendono anche la richiesta fattagli da Lenin di diventare «ministro della Guerra e Comandante in capo».
Con centinaia di monografie e raccolte di documenti originali sugli anni della rivoluzione a disposizione degli studiosi, Service ritiene opportuno fondare la propria affermazione che Trotsky era «estremamente violento nella pratica» (p. 500) sulle memorie di un ciarlatano e su una fuorviante – perché decontestualizzata – citazione della guerra civile. Sostiene (p. 222) che un comandante dell’Armata rossa e i suoi uomini disertarono durante la battaglia di Sviayashsk, ma vennero catturati e «Trotsky ordinò la loro esecuzione sommaria». Nella sua biografia Stalin, Trotsky afferma che fu Stalin a mettere in giro la voce che il comandante e il commissario erano stati fucilati senza processo. E infatti, solo due pagine dopo (p. 234), Service ammette che un’indagine del Politburo aveva confermato la versione di Trotsky, che non c’era stata alcuna «esecuzione sommaria».
Ignorando la profonda regressione delle regole del partito a partire dal 1923, Service ignora i brogli delle risoluzioni delle cellule di Mosca[4] e critica Trotsky (p. 311) per aver dato alle stampe il suo Nuovo corso, poiché «aveva gettato al vento il vantaggio della circospezione». Ma la circospezione e la calunnia non facevano parte dell’agenda dell’Opposizione di sinistra. Service coglie più nel segno quando afferma (p. 4) che Trotsky pensava che «le sue opinioni, se espresse a chiare lettere, gli avrebbero dato la vittoria» e, ancora (p. 339), che a Trotsky «non piaceva giocare sporco». Isaac Deutscher e Duncan Hallas hanno allegato argomenti più convincenti a sostegno dell’incapacità di Trotsky di condurre una disputa frazionistica, ma Service ha combinato ciò con l’affermazione (p. 320) che «i metodi erano disonesti da entrambe le parti». Service plaude al testo di Bucharin, Sulla questione del trotskismo, perché esso rivela alcuni riferimenti ostili su Lenin da parte di Trotsky. Tuttavia, egli ignora la sequela di falsificazioni, compresa l’accusa per cui Trotsky fu sempre dalla parte sbagliata in tutte le principali discussioni nel partito. La questione centrale fu la rivoluzione permanente di Trotsky, improvvisamente divenuta un’eresia, che la Comintern aveva iniziato a pubblicare nel 1919. Non era solo Lenin (p. 325) a essere d’accordo sulla necessità di una rivoluzione in Europa per la realizzazione del socialismo: persino Stalin dovette cancellare i riferimenti a questo tema dal suo testo Principi del leninismo (maggio 1924) per adeguarsi alla riscrittura della storia del partito.
Service trascura l’importanza della subordinazione di Trotsky alla disciplina di partito, sostenendo (p. 357) che «i suoi silenzi e le sue mistificazioni verbali della metà degli anni 20 non erano accidentali». La sua affermazione senza fonte per cui Trotsky «non si scompose per la brutale repressione della sollevazione nazionale della Georgia nel 1924» (p. 353) distorce la realtà sull’abisso che c’era fra Trotsky e Stalin sulla questione delle nazionalità. Trotsky si oppose all’invasione della Georgia nel 1921 e nella sua biografia Stalin sostenne che «la prematura sovietizzazione» portò alla «vasta insurrezione di massa nel 1924».
Service afferma che dal 1924 (p. 325) «Trotsky e Stalin erano nemici mortali». Benché questo scontro fra titani renda avvincente la narrazione, egli sa benissimo (p. 350) che «Trotsky percepì che le idee di Bucharin costituivano la maggiore minaccia per i bolscevichi». L’analisi di Trotsky era focalizzata sulla proprietà nazionalizzata e il convincimento che le tendenze in disputa nel partito riflettevano gli interessi di classe nella società sovietica: la classe lavoratrice a sinistra, i kulaki a destra, con il centro di Stalin oscillante tra questi due settori. In definitiva, quest’analisi portò Trotsky a sottostimare il grado in cui Stalin abbracciò le aspirazioni di una nascente classe dominante. Trotsky caratterizzò il primo piano quinquennale come uno “zig‑zag a sinistra” e, nel 1933, mise in guardia contro un movimento centrista verso destra, sotto la pressione del “pericolo kulak”. Invece di cercare di dare un senso a ciò, Service afferma che il presunto «amore per l’Urss» di Trotsky gli impedì di adottare una posizione più critica. È talmente confusa questa sezione del libro che Service sostiene nella stessa pagina (p. 459) che «Trotsky non vedeva la necessità di una seconda [rivoluzione]» e che «continuò a credere nella possibilità di un’insurrezione popolare», mentre, nella pagina successiva, che «era necessaria una rivoluzione per garantire all’Unione sovietica un’adeguata difesa».
Sebbene Service evidenzi correttamente che Stalin si era appropriato di gran parte del programma dell’Opposizione unificata (p. 372), non c’era nulla in esso che neanche lontanamente preludesse ai successivi brutali attacchi ai quali la popolazione contadina e i lavoratori furono poi sottoposti per pagare il conto dell’industrializzazione. È vero, la promessa dell’Opposizione che tassando i kulaki e i nepmen sarebbe stato possibile aumentare i salari non teneva conto della situazione di stallo prodotta dall’isolamento della rivoluzione; ma è cinico ritenere che la soluzione cruenta rappresentava l’unica alternativa, soprattutto se i nazisti fossero stati bloccati.
Service è un pesce fuor d’acqua quando si accinge a discutere della Germania (pp. 310 e 354), sostenendo che non c’era differenza tra la situazione del 1921 e quella del 1923, e suggerendo che Trotsky era tanto colpevole come chiunque altro per la disfatta del 1923. Non menziona minimamente il movimento dei consigli di fabbrica, lo sciopero generale di Berlino, lo sciopero dei minatori, o le proteste per il pane in tante città della Germania. In luglio, quasi tutti i giornali, ad eccezione di quello del Kpd, rilevavano l’esistenza di un clima rivoluzionario che ricordava quello del novembre 1918, ma Service plaude a Stalin per aver sollevato ragionevoli obiezioni. Dopo aver dedicato ampia parte del libro ai presunti difetti caratteriali di Trotsky, compresa la sua incapacità ad avere «il senso delle proporzioni» (p. 356), Service ammette, in due paragrafi sull’ascesa dei nazisti in Germania (p. 395), che correttamente Trotsky aveva segnalato «a tutta la sinistra politica» i pericoli del nazismo. La strategia di Trotsky del fronte unico, neppure esplicitamente menzionata da Service, certamente avrebbe potuto cambiare la situazione politica in Europa.
Il modo come tratta della rivoluzione cinese (p. 355) è ancor più incredibile. La critica di Trotsky alla strategia elaborata da Mosca del “blocco delle quattro classi” difficilmente stava gettando «fango» sui suoi compagni. Apparentemente confutando «l’affermazione dell’Opposizione, che Stalin e Bucharin avevano abbandonato il sostegno alla rivoluzione mondiale», Service afferma, erroneamente, che Mosca aveva ordinato una «insurrezione contro Chiang Kai‑shek e il Kuomintang nell’aprile del 1927». Tuttavia, l’insurrezione di Shanghai nel marzo del 1927 non fu diretta contro Chiang, ma contro i signori della guerra e prima dell’arrivo delle forze di Chiang, che entrarono nella città salutati come eroi. Il leader comunista di Shanghai, Chen Tu‑hsiu, chiese alla Comintern l’autorizzazione a uscire dal Kuomintang, ma gli fu invece ordinato di consegnare il potere a Chiang. Quando questi in seguito, nell’aprile del 1927, uccise decine di migliaia di lavoratori e di comunisti a Shanghai, era ancora membro onorario del Comitato esecutivo della Comintern: una posizione che aveva visto il voto contrario di Trotsky.
Dopo il capitolo sulla rivoluzione cinese, Service afferma (p. 356) che «pochi osservatori hanno avuto difficoltà a sfidare Trotsky come memorialista o come storico». Trotsky «spese molto del suo tempo in dispute, e poco nel pensiero», un esercizio che «ha implicato una grande mancanza di serietà come intellettuale». Viene da chiedersi se Service si aspetti che i lettori che hanno familiarità con ciò che Trotsky realmente scrisse useranno lo stesso criterio di valutazione nel valutare questa biografia.
[*] Kevin Murphy insegna Storia Russa nell’University of Massachusetts di Boston. Il suo libro Revolution and Counterrevolution: Class Struggle in a Moscow Metal Factory ha vinto nel 2005 il Deutscher Memorial Prize.
La recensione al libro di Robert Service qui presentata in italiano nella traduzione dall’inglese di Valerio Torre è stata pubblicata in Revolutionary Russia, vol. 24, n. 1 (2011), e si riferisce all’edizione inglese di Macmillan, inclusa la numerazione delle pagine.
Tutte le note sono della redazione e non fanno parte del testo originale.
Note
[1] Fëdor Il’ič Dan era un importante dirigente menscevico, veterano della prima grande organizzazione socialdemocratica di San Pietroburgo.
[2] Nachalo (L’Inizio) era un quotidiano menscevico legale pubblicato a San Pietroburgo dal 26 novembre al 15 dicembre del 1905. Ad esso si riferisce Lenin nella “Relazione sul Congresso di unificazione del Posdr” del 1906 (in Opere, vol. X, pp. 303 e ss., Edizioni Lotta comunista), quando parla della corrente che si era delineata intorno a questo giornale «e che nel partito si era soliti legare ai nomi dei compagni Parvus e Trotsky».
[3] Quella degli Interdistrettuali (Mežrajonstsy) era l’organizzazione diretta da Trotsky e che poi si fuse con i bolscevichi: v., in proposito, V.I. Nevskij, Storia del partito bolscevico dalle origini al 1917, Edizioni Pantarei, p. 432.
[4] L’organizzazione del partito a Mosca, la capitale, aveva mostrato un significativo appoggio alle posizioni di Trotsky e dell’opposizione alla Troika formata da Stalin, Zinoviev e Kamenev. Per evitare che questo sostegno si traducesse in una maggioranza, l’apparato reagì facendo largo uso del potere di trasferimento in località lontane dei più autorevoli membri dell’opposizione in modo da falsare poi l’esito delle votazioni, che videro così prevalere la fazione di Stalin.