Dopo una breve pausa, prosegue la collaborazione con la rivista Jacobin Magazine per la pubblicazione in italiano del piano editoriale sulla Rivoluzione russa del 1917.
Presentiamo questa volta, sempre nell’ambito della partnership con il sito PalermoGrad, il saggio di Megan Trudell sul ruolo delle donne nel processo rivoluzionario che si sviluppò in Russia a partire dal Febbraio.
Buona lettura.
La redazione
Le donne del 1917
Megan Trudell [*]
Le donne non furono solo la scintilla della rivoluzione russa, ma il motore che l’ha fatta avanzare.
Nella Giornata Internazionale della Donna nel 1917, le lavoratrici tessili nel distretto di Vyborg di Pietrogrado scesero in sciopero, abbandonarono gli stabilimenti e, a centinaia, si mossero di fabbrica in fabbrica chiamando altri lavoratori allo sciopero e ingaggiando violenti scontri con la polizia e l’esercito.
Non qualificate, pagate con bassi salari, al lavoro per dodici o tredici ore al giorno in condizioni malsane, le donne chiedevano solidarietà ed esigevano l’intervento degli uomini, specialmente di quelli che lavoravano nella meccanica specializzata e nell’industria metallurgica, che erano considerati i più politicamente consapevoli e dal rilevante peso sociale all’interno della forza lavoro cittadina. Le donne lanciarono bastoni, pietre e palle di neve contro le finestre delle fabbriche e irruppero a forza nei luoghi di lavoro, chiedendo la fine della guerra e il ritorno dei loro uomini dal fronte.
Secondo molti testimoni contemporanei e parecchi storici, queste donne che insorsero per il pane – adoperando metodi di protesta antichissimi e “primitivi” nel perseguire richieste puramente economiche, agendo a partire dalle emozioni piuttosto che dalla preparazione teorica – avrebbero messo inconsapevolmente in moto la tempesta che avrebbe in seguito spazzato via il regime zarista, per poi tuttavia scomparire dietro i grandi battaglioni di lavoratori maschi e dietro i partiti politici dominati da maschi.
In realtà, fin dall’inizio degli scioperi di febbraio i proclami politici contro la guerra erano intrecciati alle proteste. L’audacia, la determinazione e i metodi di lotta delle donne misero in chiaro che esse avevano afferrato la radice dei loro problemi, la necessità dell’unità dei lavoratori e la necessità di convincere i soldati ad abbandonare la difesa dello stato zarista per sostenere la rivolta. Trotsky ricorderà in seguito:
«In questi incontri tra soldati e operai, le operaie hanno una parte importante. Più audacemente degli uomini, avanzano verso le schiere dei soldati, si aggrappano ai fucili, supplicano e quasi ordinano: “Togliete le baionette! Unitevi a noi!”. I soldati si commuovono, provano un senso di vergogna, si scambiano occhiate ansiose, esitano ancora: alla fine uno si decide prima degli altri e le baionette si alzano con moto di ravvedimento sopra le spalle della folla che preme».
Sul finire del 23 febbraio, i soldati a guardia dei depositi dei tram furono convinti dalle donne dell’azienda tramviaria a unirsi a loro e le carrozze furono rovesciate per essere utilizzate come barricate contro la polizia. Portare dalla propria parte i soldati non fu semplicemente il risultato del crescente peso della guerra sulle truppe o della contagiosa “spontaneità” delle proteste. Già dal 1914, le operaie tessili a Pietrogrado si erano legate alla gran massa di soldati, contadini in larga misura. Gli uomini nelle caserme e le donne nelle fabbriche, che dalle stesse regioni erano venuti in città, si erano confrontati e avevano costruito rapporti, facendo venir meno il confine tra lavoratore e soldato e dando alle operaie una chiara comprensione della necessità di un sostegno armato.
Le operaie erano fermamente alla testa della Rivoluzione di febbraio che culminò nella distruzione dello zarismo. Non furono solo la sua “scintilla”, ma il motore che la fece avanzare, nonostante le perplessità iniziali di molti lavoratori e rivoluzionari maschi.
La Rivoluzione di febbraio è comunemente descritta come “spontanea”, e in un certo senso questo è vero: non fu progettata e messa in atto da rivoluzionari. Ma spontaneità non significava mancanza di coscienza politica. Le esperienze delle donne che presero d’assalto le fabbriche di Pietrogrado come lavoratrici alla testa delle proprie famiglie, costrette a fare la coda per ore per provvedere all’alimentazione dei loro cari, fecero crollare la distinzione tra la rivendicazione “economica” del pane e quella politica della fine della guerra. Le circostanze materiali fecero sì che le colpe per la fame e la miseria fossero attribuite ai veri responsabili: la guerra e i politici che la conducevano. Tali rivendicazioni non avrebbero potuto essere soddisfatte senza un cambiamento politico di natura sismica.
Oltretutto, le donne bolsceviche furono centrali nella conduzione dello sciopero, avendo lavorato duramente per anni per organizzare le operaie non qualificate, nonostante tra gli uomini del partito si pensasse che organizzare donne fosse, nella migliore delle ipotesi, una distrazione dalla lotta contro il regime zarista e, nella peggiore, significasse fare il gioco delle femministe delle classi alte, che avrebbero portato le donne lontano dalla lotta di classe.
Parecchi uomini del movimento rivoluzionario ritenevano che le proteste della Giornata Internazionale della Donna fossero premature e che le lavoratrici andassero tenute a bada fino al momento in cui gli operai qualificati non fossero stati pronti a intraprendere azioni decisive. Furono delle donne, una minoranza nel partito, a proporre un incontro nel distretto di Vyborg con le operaie per discutere di guerra e di inflazione, e furono ancora le militanti bolsceviche a indire una manifestazione contro la guerra per la Giornata Internazionale della Donna. Una di queste era Anastasia Deviatkina, una bolscevica e operaia di fabbrica che fondò un’organizzazione per le mogli dei soldati dopo la Rivoluzione di febbraio.
Nella gran parte delle ricostruzioni storiche, dopo il Febbraio le donne tendono a scomparire come parte attiva dello sviluppo della rivoluzione nel corso del 1917, a parte qualche figura eccezionale come Alexandra Kollontai, Nadezhda Krupskaia e Inessa Armand, di cui peraltro si discute spesso più per la loro vita privata come mogli o amanti che per quanto riguarda la loro attività pratica e i loro contributi teorici.
Le donne erano sostanzialmente assenti dagli organi amministrativi emersi dalle ceneri dello zarismo. Poche erano rappresentate nei consigli di villaggio, come delegate per l’Assemblea Costituente o come deputate sovietiche. Le elezioni ai comitati di fabbrica erano dominate dagli uomini, che addirittura esprimevano deputati nei settori industriali in cui le donne erano la maggioranza della forza lavoro. Le ragioni di ciò erano duplici e correlate: le donne avevano ancora l’incarico di provvedere alle loro famiglie in condizioni disagiate e mancava loro la sicurezza e l’istruzione, nonché il tempo, per farsi avanti o comunque per reggere livelli intensi di attività politica. Le modalità in cui le donne lavoratrici avevano vissuto per secoli in Russia, la realtà materiale della loro oppressione, condizionavano la loro capacità di abbinare l’indiscutibile aumento della coscienza politica con l’impegno in prima persona.
La Russia prima del 1917 era una società prevalentemente contadina; l’autorità totale dello zar era sancita e rafforzata dalla chiesa e si rifletteva nell’istituzione della famiglia. Il matrimonio e il divorzio erano sotto controllo religioso; le donne erano legalmente subordinate, considerate come proprietà del maschio e poco meno che umane. I proverbi russi comuni esprimevano sentimenti come: “Pensavo di aver visto due persone ma erano solo un uomo e sua moglie”.
Il potere maschile nella famiglia era totale e le donne dovevano essere passive e sopportare condizioni brutali, passate dal padre al marito e spesso bersaglio di una violenza autorizzata. Le donne contadine e le operaie affrontavano un punitivo, arduo lavoro nei campi e nelle fabbriche con il notevole peso aggiunto della cura infantile e delle responsabilità domestiche in un’epoca in cui il parto era difficile e pericoloso, la contraccezione inesistente e la mortalità infantile elevata.
Tuttavia, il coinvolgimento politico delle donne nel 1917 non venne fuori dal nulla. La Russia viveva una contraddizione: accanto alla profonda povertà, all’oppressione e alla tirannia sopportate dalla maggior parte dei suoi abitanti, l’economia russa conobbe un boom nei decenni prima del 1905. Enormi fabbriche moderne producevano armi e stoffa, le ferrovie collegavano città in rapida crescita e gli investimenti e le tecniche provenienti dall’Europa portavano a enormi aumenti di produzione di ferro e petrolio.
Questi drammatici cambiamenti economici generarono un’immensa trasformazione sociale negli anni precedenti la Prima guerra mondiale: un numero crescente di contadine era impegnato nelle fabbriche urbane, spinte dalla povertà e incoraggiate da datori di lavoro che, ricorrendo alla meccanizzazione, creavano posti di lavoro poco qualificati, e la cui preferenza per i lavoratori “compatibili” condusse a una crescita enorme delle donne che lavoravano nei settori della biancheria, della seta, del cotone, della lana, della ceramica e della produzione di carta.
Le donne erano state coinvolte negli scioperi del settore tessile nel 1896, nelle proteste contro l’arruolamento prima della guerra russo-giapponese e, in modo cruciale, nella rivoluzione del 1905, durante la quale le operaie non specializzate nei settori del tessile, del tabacco e delle fabbriche di dolci, insieme alle lavoratrici domestiche e alle lavandaie scioperarono e cercarono di formare i propri sindacati nel vivo di quella massiccia rivolta.
L’impatto della Prima guerra mondiale fu decisivo nell’aumentare il peso economico e politico delle donne. La guerra distrusse famiglie e sconvolse le vite delle donne. Milioni di uomini erano assenti perché al fronte, feriti o uccisi, il che costringeva le donne a lavorare la terra da sole, a ricoprire il ruolo di capo famiglia e a entrare a far parte della forza lavoro urbana. Le donne erano il 26,6% della forza lavoro nel 1914, ma quasi la metà (43,4%) nel 1917. Anche nelle aree specializzate, la partecipazione femminile aumentò enormemente. Nel 1914 le donne costituivano solo il 3% dei lavoratori del settore metalmeccanico; nel 1917 il numero era salito al 18%.
Nella situazione di potere duale successivo alla Rivoluzione di febbraio, le proteste delle donne non scomparvero, ma diventarono parte del processo che vide il sostegno dei lavoratori passare dal governo ai Soviet e, all’interno dei Soviet, dalla direzione moderata menscevico‑socialrivoluzionaria a quella dei bolscevichi nel settembre del 1917.
Le aspettative delle lavoratrici e dei lavoratori, per un miglioramento delle condizioni di vita con la caduta dello zar, vennero frustrate dalla continuazione della guerra per mano del governo e della prima direzione del soviet. A maggio, le proteste contro la guerra costrinsero alla dissoluzione del primo governo provvisorio e i leader del soviet diretto dai menscevichi e dai socialisti rivoluzionari formarono un governo di coalizione con i liberali – ancora deciso a continuare la guerra. La disillusione dei lavoratori condusse a ulteriori scioperi, sempre guidati da donne. Circa quarantamila lavandaie, appartenenti a un sindacato guidato dalla bolscevica Sofia Goncharskaia, scioperarono per salari più alti, una giornata lavorativa di otto ore e migliori condizioni di lavoro: migliore igiene sul lavoro, prestazioni di maternità (era comune per le donne lavoratrici nascondere le gravidanze fino al momento del parto, che avveniva sul pavimento della fabbrica) e fine delle molestie sessuali. Le storiche Jane McDermid e Anna Hillyer raccontano:
«Con altre attiviste del sindacato, Goncharskaia era andata da una lavanderia all’altra per convincere le donne a aderire allo sciopero. Avrebbero riempito secchi di acqua fredda per spegnere i forni. In una lavanderia, il proprietario attaccò Goncharskaia con una spranga; fu salvata dalle lavandaie che lo afferrarono da dietro».
In agosto, di fronte ai tentativi del generale Kornilov di schiacciare la rivoluzione, le donne si riunirono per la difesa di Pietrogrado, costruendo barricate e organizzando l’assistenza medica; nel mese di ottobre, le donne del partito bolscevico erano coinvolte nella fornitura di assistenza medica e nelle importanti comunicazioni tra le località, alcune avevano la responsabilità di coordinare la rivolta in diverse aree di Pietrogrado e c’erano donne nelle Guardie rosse. McDermid e Hillyer raccontano di un’altra donna bolscevica nell’Ottobre:
«La conducente di tram, A.E. Rodionova, aveva nascosto 42 fucili e altre armi nel suo deposito quando il governo provvisorio aveva tentato di disarmare i lavoratori dopo le giornate di luglio. In ottobre, era incaricata di accertarsi che due tram con mitragliatrici lasciassero il deposito per l’assalto del Palazzo d’Inverno. Doveva assicurarsi che il servizio di tram operasse durante la notte dal 25 al 26 ottobre, per aiutare la presa del potere e controllare i posti della Guardia rossa in tutta la città».
La traiettoria della rivoluzione allargò il divario tra le lavoratrici per le quali la guerra era la causa delle loro sofferenze, e le cui rivendicazioni per la pace aumentarono nel corso dell’anno, e le femministe che continuavano a sostenere il bagno di sangue della guerra. Per la maggior parte delle femministe liberali, appartenenti alle classi superiori, che sostenevano l’uguaglianza di fronte alla legge, nell’istruzione e nelle riforme sociali, questi obiettivi sarebbero stati raggiunti dimostrandosi fedeli al nuovo governo e allo sforzo bellico. Dimostrare patriottismo serviva a conquistarsi il posto a tavola.
La Rivoluzione di febbraio aveva portato alla rinnovata campagna elettorale delle femministe per il suffragio universale, un notevole passo avanti allorché fu concesso nel mese di luglio. Ma per la maggior parte delle donne, il diritto di voto faceva ben poca differenza nella loro vita, ancora dominata dalla penuria, dalle lunghe ore di lavoro e dalla lotta per tenere insieme le loro famiglie. Come aveva scritto Kollontai nel 1908:
«Per quanto apparentemente siano radicali le rivendicazioni che esse avanzano, non possiamo perdere di vista il fatto che le femministe non possono, per la loro posizione di classe, combattere per quella fondamentale trasformazione della struttura economica e sociale contemporanea della società senza la quale la liberazione delle donne non può essere completa».
Per la maggior parte delle donne della classe lavoratrice e contadina, le questioni dell’oppressione e dell’uguaglianza non si ponevano in astratto, ma emergevano concretamente dal processo di lotta per migliorare la loro vita e quella dei loro uomini e dei loro figli. Coloro che diventarono apertamente politicizzate e maggiormente fiduciose, spesso come appartenenti al partito bolscevico, lo fecero in conseguenza della propria azione collettiva contro la guerra e la classe politica: azione che si concentrò sulla lotta contro la fame e la guerra e in favore della proprietà della terra. Robert Service sostiene:
«Il programma politico bolscevico andò dimostrandosi sempre più attraente per la massa dei lavoratori, dei soldati e dei contadini, quando le turbolenze sociali e la rovina economica raggiunsero l’acme nel tardo autunno. Senza questo, non vi sarebbe stata alcuna rivoluzione d’ottobre».
Tutto ciò venne vissuto in pieno dalle lavoratrici, contadine e mogli dei soldati, così come dal loro corrispettivo maschile. Senza il sostegno della massa di lavoratori non qualificati a Pietrogrado, la maggior parte dei quali erano donne, l’insurrezione di ottobre non sarebbe riuscita.
Il sostegno ai bolscevichi non era cieco, bensì era il risultato, nelle parole di Trotsky, di «un cauto e doloroso sviluppo della coscienza» di milioni di lavoratori, uomini e donne. Nell’ottobre, tutto era stato tentato: il governo provvisorio e i menscevichi avevano tradito, le dimostrazioni avevano portato repressioni o risultati limitati che non soddisfacevano più le loro speranze di una vita migliore e, soprattutto, il tentativo di colpo di stato di Kornilov aveva reso chiaro quale fosse la posta in gioco: andare avanti o essere schiacciati. Un operaio pose la questione in questi termini: «I bolscevichi hanno sempre detto: “Noi non ti convinceremo, sarà la vita stessa a farlo”. E ora i bolscevichi hanno trionfato perché la vita ha dimostrato che la loro tattica era giusta».
Bisogna riconoscere ai bolscevichi d’aver preso la questione della donna sul serio. Sebbene le donne fossero, dal punto di vista odierno, fortemente sottorappresentate, uno sforzo serio venne fatto per organizzare e valorizzare le donne lavoratrici. Il fatto che i bolscevichi si fossero dedicati più di altri partiti socialisti a relazionarsi con le donne lavoratrici non era necessariamente dovuto a un maggiore impegno nei confronti dei diritti delle donne.
Sia i menscevichi che i bolscevichi compresero la necessità di impegnarsi con le donne come parte della classe operaia, ma i bolscevichi integrarono la lotta per la parità tra uomini e donne in una strategia basata sull’attività di classe contro il governo e la guerra, mentre i partiti che erano coinvolti nella continuazione della guerra e facevano riferimento ai privilegiati e ai padroni avrebbero potuto fare poco più che segnalare gli scioperi delle donne e parlare di diritti politici, senza una soluzione concreta per le difficoltà materiali della vita delle donne.
I bolscevichi presero sempre più in mano l’organizzazione e la politicizzazione delle donne: in parte avendo appreso la lezione degli esplosivi inizi di febbraio e in parte a causa della tenacia delle proprie donne.
Le dirigenti bolsceviche, tra cui Kollontai, Krupskaia, Armand, Konkordiia Samoilova e Vera Slutskaia, tra le altre, avevano già sostenuto che il partito avrebbe dovuto dedicare uno sforzo speciale nell’organizzare le operaie e sviluppare la loro educazione politica. Lottarono per convincere i compagni maschi che le lavoratrici non qualificate avevano un ruolo centrale, e non un passivo, conservatore, “retrogrado” ostacolo per la rivoluzione. Il giornale bolscevico Rabotnitsa (La Donna Lavoratrice), pubblicato dapprima nel 1914 e rilanciato nel maggio 1917, conteneva articoli sull’importanza degli asili nido, delle scuole materne, di una legislazione per la protezione delle donne sui luoghi di lavoro, e sottolineava ripetutamente la necessità che l’uguaglianza e la “questione femminile” fossero prese in carico da tutti i lavoratori.
Il ruolo delle lavoratrici nel Febbraio e la loro importanza strategica come parte della classe operaia di Pietrogrado contribuirono a modificare l’opinione dapprima condivisa da molti bolscevichi per cui, concentrandosi sulla questione femminile, si sarebbe fatto il gioco del femminismo liberale, e che la rivoluzione andava guidata dai lavoratori maschi, più esperti e politicamente consapevoli. Tuttavia, la battaglia era in salita; quando Kollontai propose nel mese di aprile un dipartimento di donne per il partito rimase in gran parte isolata, sebbene avesse il sostegno di Lenin, le cui Tesi di aprile peraltro non furono accolte con molto più entusiasmo dai dirigenti bolscevichi (mentre Kollontai fu l’unica sostenitrice di Lenin nel comitato centrale in cui questi espose le sue Tesi).
Nei mesi successivi, tuttavia, divenne chiaro che, sia l’argomento di Lenin per sviluppare la rivoluzione attraverso il potere dei soviet, sia la consapevolezza di Kollontai sull’importanza delle donne lavoratrici, derivavano dalla dinamica della rivoluzione e potevano spingerla in avanti. I documenti bolscevichi, al di là del giornale Rabotnitsa, insistevano ora su quanto atteggiamenti sessisti radicati mettessero in pericolo l’unità di classe, e il partito lavorò per ottenere che le donne fossero rappresentate nei comitati di fabbrica, sfidando gli atteggiamenti maschili che consideravano le lavoratrici come una minaccia e discutendo con i lavoratori maschi dell’opportunità di votare le donne – specialmente nelle industrie in cui esse erano la maggioranza – e mostrando loro rispetto come colleghi, rappresentanti e compagni.
Sei settimane dopo la Rivoluzione d’ottobre, il matrimonio fu sostituito dalla registrazione civile e il divorzio divenne accessibile su richiesta di entrambi i partner. Queste misure vennero elaborate un anno dopo nel Codice della Famiglia, che rese le donne uguali agli uomini davanti alla legge. Il controllo religioso venne abolito, rimuovendo in un colpo solo secoli di oppressione istituzionalizzata; entrambi i partner avrebbero potuto ottenere il divorzio senza motivazione; le donne conquistarono il diritto a possedere proprio denaro e nessuno dei due partner aveva diritti sui beni dell’altro. Il concetto di illegittimità della filiazione fu abolito: se una donna non sapeva chi fosse il padre, tutti i suoi precedenti partner sessuali avevano la responsabilità collettiva per il bambino. Nel 1920, la Russia divenne il primo Paese a legalizzare l’aborto su richiesta.
La rivoluzione del 1917 fu iniziata e plasmata dalle donne, e nel corso dell’anno molte delle antiche idee sulle donne come esseri inferiori, come proprietà dell’uomo, passive, arretrate, conservatrici, insicure e deboli furono messe in discussione, se non addirittura spazzate via, dalle azioni e dall’impegno politico delle donne.
Ma la rivoluzione russa non abolì il dominio maschile, né liberò le donne: le privazioni catastrofiche della guerra civile e le successive distorsioni del governo sovietico resero tutto ciò impossibile. Le disuguaglianze rimasero. Poche donne occuparono posizioni di potere, poche furono elette in organi amministrativi e le idee sessiste non poterono semplicemente sparire nelle estreme avversità che seguirono all’Ottobre.
Durante la rivoluzione, le donne non parteciparono al pari degli uomini o contribuirono in maniera significativa ai livelli più alti del processo politico, ma entro i vincoli della loro esistenza sfidarono le aspettative e modellarono il corso della rivoluzione. Come affermano McDermid e Hillyer:
«È vero, la divisione del lavoro tra donne e uomini rimase, ma piuttosto che concludere che le donne non abbiano sfidato il dominio maschile, occorre considerare come esse operassero entro i margini di manovra consentiti, e ciò che questo significava per il processo rivoluzionario».
Le donne furono parte integrante della Rivoluzione del 1917, facendo la storia accanto agli uomini: non come spettatrici passive o nullità apolitiche, ma come coraggiose partecipanti il cui impegno fu ancor più significativo per il rifiuto della radicata oppressione che ha rappresentato. Guardare la rivoluzione attraverso gli occhi delle donne ci dà una lettura più ricca di ciò che resta il più importante momento di trasformazione storica per le vite delle donne.
[*] Megan Trudell si è occupata a lungo della Prima guerra mondiale e della Rivoluzione russa. Al momento sta completando le ricerche per un libro sul 1919 in Italia.
(Traduzione di Giovanni Di Benedetto)
3 Pingback