Brasile: la necessità del fronte unico nella fase che viene
L’avventurismo mette a rischio la reazione della classe lavoratrice
Valerio Torre [*]
Lenin era solito dire che i fatti hanno la testa dura. Ci permettiamo di aggiungere che i fatti della lotta di classe ce l’hanno ancor più dura: sicuramente più di quella degli inguaribili settari che pensano di piegarli alla loro visione frantumandoli a testate. Ma la testa di quei settari è di burro rispetto alla lotta di classe: sicché, a pensare di affrontarla in quel modo c’è il serio rischio di rompersela, la testa.
È il caso del Pstu brasiliano e della tendenza internazionale di cui esso fa parte, la Lit.
Quando, dopo l’impeachment che nel 2016 ha estromesso Dilma Rousseff dalla presidenza del Brasile, vennero convocate manifestazioni di massa nelle più grandi città del Paese per protestare contro l’elezione di Michel Temer (il presidente che l’aveva illegittimamente sostituita), il Pstu per giorni e giorni si è rifiutato di prendervi parte sostenendo – anche contro l’evidenza – che le mobilitazioni non erano per il “Fora Temer!” (“Cacciamo Temer!”), ma per il “Volta Dilma!” (“Reintegriamo Dilma!”): per cui, con l’argomento che i rivoluzionari non potevano sostenere – sia pure indirettamente – un governo borghese di collaborazione di classe come quello di Rousseff, i militanti del Pstu sono rimasti a casa proprio mentre il 4 settembre scorso 100.000 manifestanti invadevano l’Avenida Paulista (la più grande arteria di San Paolo) per protestare contro un governo illegittimo. Sicuramente un bel modo per stare nelle masse e disputarne la direzione!
Tuttavia, dopo alcuni giorni di assenza dalle manifestazioni, avendo compreso di essere rimasto alla coda del movimento di protesta – anzi, di essersene volontariamente tenuto fuori! – improvvisamente e senza alcuna autocritica, sotto la spinta della sua base giovanile il Pstu decideva di partecipare alle mobilitazioni che ancora invadevano le strade.
Il possibile arresto di Lula: palcoscenico per un’altra giravolta
“Meglio tardi che mai!”, potrebbe dire qualcuno. Certo: ma dal momento che dire la verità è sempre rivoluzionario, ancor meglio sarebbe stato che il Pstu avesse chiesto scusa alle masse (e ai propri militanti), ammettendo apertamente il proprio grossolano errore. Ma tant’è: sarà pure rivoluzionario dire la verità, però è anche tanto doloroso per l’amor proprio ferito di chi si crede un infallibile dirigente rivoluzionario. Dimostrare umiltà non è da tutti.
E infatti, poche settimane dopo il Pstu ci è ricascato. Eduardo Almeida, principale dirigente del partito e membro del Segretariato internazionale della Lit firmava un articolo, pubblicato con grande risalto sulle pagine web del Pstu e della Lit stessa, in cui, facendo incredibilmente fronte unico con gli apparati repressivi dello Stato, rivendicava apertamente e con forza l’arresto di Lula, che frattanto era stato indagato dalla magistratura borghese nell’ambito di un’inchiesta per un colossale fenomeno di corruzione che ancora mentre scriviamo sta coinvolgendo trasversalmente decine e decine di personaggi politici brasiliani di primo piano. Il testo non lasciava dubbi all’interpretazione: «Noi difendiamo la prigione e l’esproprio dei beni di tutti i corrotti. E questo significa pretendere la prigione per Lula […] Avere una politica differente ci renderebbe complici di Lula, e indebolirebbe completamente anche la lotta contro la corruzione» (il grassetto è nostro).
Più che il programma di un partito rivoluzionario, sembra quello del nostrano Movimento 5 Stelle; anzi qui sembra davvero di ascoltare le qualunquistiche dichiarazioni giustizialiste di un Di Maio o un Di Battista. E infatti, il testo di Eduardo Almeida – oggettivamente non riconducibile ai principi del trotskismo, cui pure egli si richiama – suscitò tanto scandalo nella sinistra rivoluzionaria brasiliana da indurre il Pstu e la Lit a ritirarlo precipitosamente dai rispettivi siti sostituendolo con un altro, molto più “morbido”, di Mariucha Fontana, in cui la rivendicazione dell’arresto di Lula misteriosamente spariva[1]. Misteriosamente ma, come nel caso della mancata partecipazione alle azioni di protesta contro Temer, senza nessuna giustificazione, né alcuna onesta autocritica.
Rivoluzione subito!
Evidentemente, alla povera Mariucha Fontana deve essere stato attribuito un particolare compito nel suo ruolo di membro della direzione del Pstu: quello di tappabuchi di tutte le sciocchezze che ciclicamente il suo partito produce.
È infatti dallo scorso mese di settembre che il Pstu sta agitando la parola d’ordine “Fora Temer! Fora todos eles!” (“Cacciamo Temer! Cacciamoli tutti!”, pallida eco del “Que se vayan todos!” che risuonava durante la crisi rivoluzionaria nell’Argentina del 2001), contrastando con veemenza verbale tutte quelle organizzazioni della sinistra brasiliana che, per il solo fatto di rivendicare nuove elezioni, o elezioni per un’Assemblea costituente, vengono spregiativamente qualificate come “vagone di coda del lulismo”. Il Pstu, invece, ha dal primo momento respinto queste parole d’ordine prospettando l’attualità e l’immediatezza di una rivoluzione socialista in Brasile. Infatti, se le parole hanno un senso, “Cacciamoli tutti!” è uno slogan che non può avere altro significato se non quello del rovesciamento dell’intero sistema borghese per sostituirne le classi governanti oggi al potere con un governo dei lavoratori nel quadro di un regime diverso, cioè socialista.
Sui siti del Pstu e della Lit possiamo trovare innumerevoli esempi di questa politica:
«La lotta contro il governo Temer e i suoi provvedimenti deve ubicarsi nella prospettiva di una strategia molto più offensiva: la presa del potere da parte dei lavoratori e delle masse. Cioè, non solo la sconfitta del governo Temer, bensì quella dell’insieme di questo regime corrotto e putrido al servizio del capitalismo, per installare un nuovo regime (sulla base di istituzioni completamente diverse) e iniziare la costruzione di un nuovo tipo di Stato, al servizio dei lavoratori e delle masse»[2];
oppure, ancora:
«Il PT sostiene che cambieremo il Paese con le elezioni, riformando il capitalismo […]. Il PSOL dice di collocarsi alla sinistra del PT, ma non propone un progetto socialista. Propone, con le elezioni, di garantire più democrazia nel capitalismo […]. Ci sono altri settori che dicono che il socialismo oggi è impossibile, perché la coscienza della classe lavoratrice è molto arretrata e non ci sarebbero le condizioni per superare questo ritardo […]. A 100 anni dalla Rivoluzione russa, il compito di ogni attivista e della classe operaia è preparare, discutere e lottare per un progetto rivoluzionario e socialista: per una rivoluzione socialista in Brasile»[3];
o, infine:
«Basta capitalismo, sfruttamento, miseria e disoccupazione. Basta governi di alleanze con la borghesia per gestire il capitalismo. Vogliamo gli operai e il popolo povero al potere, con governi basati su consigli popolari, e non questa falsa democrazia dei ricchi e dei suoi parlamenti corrotti forgiati in elezioni controllate dal potere economico»[4].
Potrebbe sembrare solo la declinazione di una propaganda rivoluzionaria, e sarebbe buona cosa. Invece, a leggere più attentamente, la politica del Pstu/Lit non è improntata alla propaganda, bensì all’azione: “rivoluzione subito!”. E guai a coloro che parlano di elezioni o di Assemblea costituente: vengono subito bollati come la peggior specie di riformisti.
Eloquente, in tal senso, l’articolo di Alejandro Iturbe, “Qual è la politica corretta per l’attuale situazione in Brasile?”. Nella sua foga polemica contro le organizzazioni che avanzano questa proposta, il teorico della Lit tuona: «La parola d’ordine dell’Assemblea costituente … chiude di nuovo questo processo di lotta nel “recinto” e nella trappola della democrazia borghese (il voto universale). Rovesciamo il governo Temer con la lotta, e pure il corrotto parlamento, e poi […] diciamo ai lavoratori che non debbono prendere il potere attraverso i loro organismi […] ma che si tratta di convocare un’Assemblea costituente per … votare un organismo borghese. […] Perciò, la proposta di Assemblea costituente […] finisce per costituire […] un’altra capitolazione di queste correnti alla democrazia borghese».
E allora, la politica corretta è soltanto “rivoluzione subito!”, perché dietro quegli “incalliti riformisti” «c’è una strategia elettorale», che va combattuta «perché le elezioni sono controllate dalla borghesia»[5]. Del resto, come aveva solennemente annunciato Iturbe nel già richiamato articolo, non è il momento di pensare alle urne, perché «i lavoratori e le masse stanno rapidamente rompendo col regime democratico‑borghese».
Contrordine, compagni: al voto!
Perciò, a leggere queste tonitruanti dichiarazioni, ci si aspetterebbe di assistere alla scena del Pstu/Lit lanciato alla presa del Palacio do Planálto[6].
E invece accade che alla “tappabuchi” Mariucha Fontana venga affidato un articolo per coprire un’altra giravolta del suo partito. Dall’oggi, la rivoluzione viene rinviata a un domani migliore. Ora non è più il momento di fare la rivoluzione, ma delle elezioni generali! «L’unica soluzione per il Brasile non verrà dalle elezioni controllate dai padroni. […] Tuttavia, di fronte al tentativo del parlamento di eleggere in maniera indiretta un nuovo presidente […] e della mancanza di un’alternativa di potere organizzata, proponiamo le elezioni generali. Il popolo ha diritto di scegliere […] l’85% preferisce le elezioni anticipate» (il grassetto è nostro).
Ma come? Il povero Iturbe ha dovuto dare fondo a tutta la sua capacità dialettica per mettere all’indice quei riformisti e opportunisti che chiedevano di tornare al voto; fiumi di inchiostro sono stati versati per dire che la rivoluzione era alle porte[7], tanto da indurre qualche ingenuo a sostenere l’attualità di una «possibilità concreta di sviluppi radicali, che mettano in discussione non solo Temer ma il dominio capitalista del Paese» (il grassetto è nostro)[8], e qualche impressionista ad affermare che il pur grande e partecipato sciopero generale del 28 aprile scorso avrebbe subito aperto «la strada a un governo operaio basato sui comitati popolari»[9] (cioè, i soviet); e poi, come se nulla fosse, ecco che l’attualità della rivoluzione non è più così concreta, la “alternativa di potere” è tutt’altro che pronta e organizzata, i soviet non sono più ad ogni angolo di strada! E anche in questo caso, senza il minimo di autocritica[10].
Le condizioni di una crisi rivoluzionaria
Il fatto è che col volontarismo non si costruiscono le condizioni soggettive che debbono ricorrere in un processo rivoluzionario. “Sognare” l’esistenza dei soviet non significa affatto che essi esistano davvero – neanche in forma embrionale – e si contrappongano al potere della borghesia come doppio potere. Ipotizzare l’attualità e la concretezza di una crisi rivoluzionaria senza aver dapprima guadagnato la stragrande maggioranza della classe lavoratrice alla consapevolezza della necessità di rovesciare il sistema esistente conduce solo all’illusione (e poi alla delusione) dell’avanguardia che è finora scesa in piazza a inscenare sì grandi manifestazioni, ma non certo dal carattere insurrezionale. Non spezzare, con un capillare lavoro all’interno delle forze armate, la loro catena di comando, guadagnando alla causa della rivoluzione una parte rilevante delle truppe di basso rango, significa essere velleitari. Così come non porre sotto la direzione del movimento operaio importanti settori di piccola e piccolissima borghesia strappandoli all’influenza di quella media e grande significa non dotare il movimento di massa della forza d’urto necessaria per lo scontro di classe.
Dopo aver predicato per mesi che la rivoluzione era prossima senza che in realtà fossero mature tutte le condizioni soggettive che abbiamo sinora sommariamente elencato (ma anche quelle oggettive sono tutt’altro che presenti), il Pstu/Lit si è magicamente accorto che «l’85% preferisce le elezioni anticipate»[11]: in altri termini, che la stragrande maggioranza della classe operaia subisce ancora l’influsso della democrazia borghese e ripone fiducia nelle sue istituzioni. Ecco perché ha dovuto precipitosamente correggere il tiro, vanificando tutti gli sforzi fatti dai suoi teorici per mostrare l’esistenza di una realtà che, invece, non esiste ancora e che va piuttosto aiutata ad emergere: certamente, declinando a livello di propaganda il programma dei rivoluzionari, ma trovando le giuste parole d’ordine che servano a far fare alle masse la propria esperienza con le istituzioni borghesi e, contemporaneamente, a far maturare in loro, con una paziente opera di spiegazione, la coscienza dell’insufficienza di quelle istituzioni per un reale cambiamento.
Pensiamo, con tutta l’approssimazione che deriva dal non essere coinvolti direttamente nel processo in atto, ma sulla base delle esperienze che ci vengono dalle analisi dei compagni che sono profondamente immersi nell’attuale realtà brasiliana, che la parola d’ordine dell’Assemblea costituente – nel quadro del più generale programma socialista – sia la più adatta allo scopo in questo momento.
La parola d’ordine dell’Assemblea costituente
Pare del tutto superfluo ricordare che per tutto il 1917, in una situazione veramente rivoluzionaria (e non certo come quella che vive oggi il Brasile: ma su questo torneremo in seguito) i bolscevichi agitarono costantemente la parola d’ordine dell’Assemblea costituente (mai isolandola, però, dal contesto del potere sovietico) e che questa fu una delle ragioni per cui ottennero l’appoggio delle masse e presero il potere.
Ma la rivendicazione dell’Assemblea costituente costituisce una colonna portante di tutto il processo rivoluzionario russo, a partire dal Manifesto che il pope Gapon lanciò all’indomani della tragica “domenica di sangue” del 1905, passando per l’appello firmato dal soviet di Pietrogrado il 27 febbraio 1917[12]; per l’ordine del giorno approvato dal Congresso panrusso dei Soviet del 3 giugno 1917; per un analogo ordine del giorno approvato dal più grande gruppo bolscevico allora esistente, nel quartiere operaio di Vyborg; fino al discorso tenuto il 20 ottobre 1917 da Trotsky dinanzi al preparlamento[13] e persino dopo la presa del potere, col Decreto sulla formazione del governo operaio e contadino[14]. Lenin, nelle sue famose Tesi di aprile, rivendicava «la più sollecita convocazione dell’Assemblea costituente»[15].
Ma ci piace anche far ricorso a una, seppur lunga, citazione di uno scritto non molto noto di Trotsky:
«Il proletariato … non deve soltanto chiamare alla rivoluzione, ma deve andare egli stesso verso la rivoluzione.
Andare verso la rivoluzione non significa prepararsi alla rivolta armata in un giorno stabilito.
Per la rivoluzione non si può stabilire il giorno e l’ora, come per una manifestazione. Il popolo non ha ancora mai fatto la rivoluzione a comando.
Ciò che si può fare in vista di un avvenimento inevitabile è scegliere le posizioni più idonee, armare le masse di parole d’ordine rivoluzionarie […].
Allora questa è soltanto un’esercitazione delle proprie forze, e non lo scontro decisivo con le forze del nemico, soltanto manovre e non la rivoluzione?
Sì, soltanto manovre. Ma differenti dalle manovre di guerra, in quanto in ogni momento e indipendentemente dalla nostra volontà possono trasformarsi in un vero e proprio combattimento […].
In quale momento avverrà la trasformazione da manovre in combattimento, dipenderà dalla quantità e dall’unità rivoluzionaria delle masse che scenderanno in strada, dalla condensazione di quell’atmosfera di simpatia e consenso generale che la massa ispira, e dall’atteggiamento dei militari mandati dal governo contro il popolo. […]
[…] le fabbriche devono essere il nostro punto di partenza, data la composizione dei nostri principali corpi rivoluzionari. Ciò significa che ogni seria manifestazione […] deve prendere le mosse da uno sciopero politico di massa. […]
È chiaro che uno sciopero politico di massa a carattere nazionale deve avere una comune parola d’ordine. Questo non vuol dire che non si possano affacciare rivendicazioni locali e particolari […]. Ma tutte le richieste settoriali, andando a coincidere nello sciopero generale, debbono armarsi di una parola d’ordine unitaria: la cessazione della guerra e la convocazione dell’Assemblea costituente nazionale. Tutti i pretesti devono essere buoni per istillare nelle masse l’idea dell’Assemblea costituente nazionale. […] In città non deve restare nessuno che non sappia che la sua richiesta è l’Assemblea costituente nazionale […]».
Confidiamo nella pazienza dei nostri lettori nell’aver dovuto affrontare la lunghezza della citazione, ma intendiamo ricompensarli rivelandone la fonte. Si tratta del testo intitolato “Proletariato e rivoluzione”, e fu scritto nel novembre del 1904 come parte dell’opuscolo Prima del nove gennaio[16]. Ciò che di esso appare stupefacente è l’acutezza dell’analisi che Trotsky fa di una situazione che non era ancora sfociata in un processo rivoluzionario (che, com’è noto, prenderà corpo poco più di un mese dopo, con la già richiamata “domenica di sangue” del 9 gennaio 1905), ma che era gravida delle sue premesse. Come ebbe a scrivere il curatore di questi saggi, Moissaye J. Olgin – che li raccolse e li pubblicò in inglese nel 1918 in un opuscolo dal titolo Our revolution – questo saggio in particolare sembra essere stato scritto dopo la rivoluzione del 1905, e invece apparve prima[17].
Sta di fatto che già allora Trotsky lanciò la sola parola d’ordine che davvero potesse fungere da fulcro unificante delle aspettative del proletariato industriale e di quello urbano, dei contadini, delle classi piccolo‑borghesi e dell’esercito, per un reale cambiamento della società in cui vivevano: quella dell’Assemblea costituente. Contrastarla oggi in Brasile facendo ricorso a un argomento che costituisce un’ovvietà – e cioè che si tratta di un meccanismo delle istituzioni borghesi – significa essere dei veri settari: come in precedenza segnalato, in mancanza di un’attuale e concreta alternativa di potere e di organismi popolari che possano riscuotere la fiducia delle masse, che maggioritariamente la ripongono invece negli organismi dello Stato borghese, non ci si può sottrarre al compito di far fare loro quell’esperienza che ancora le illude con la forza dell’ideologia dominante, al contempo spiegando pazientemente dove condurranno quelle illusioni.
Per una corretta analisi della realtà: golpe istituzionale e democrazia blindata
Ma da dove nasce l’erroneità delle posizioni del Pstu/Lit con la conseguente necessità di correggerle “in corso d’opera” attraverso continue giravolte, in una spirale di coazione a ripetere che sembra avere del patologico?
Certamente, da un’equivocata analisi della situazione politica che ha portato alla defenestrazione di Dilma Rousseff e delle sue conseguenze.
Nella smania di non apparire come un difensore del governo borghese del PT a guida Rousseff, il Pstu ha strombazzato ai quattro venti che la sua sostituzione con il suo vice, Temer, significava “trocar seis por meia duzia”[18], cioè mettere un governo borghese al posto di un altro[19]. Radicava la sua convinzione nel fatto che, appunto, Temer era il vicepresidente del governo Dilma e che l’esecutivo si basava sulla coalizione fra i rispettivi partiti. Perciò, l’impeachment con cui la presidente era stata deposta non era affatto un golpe, come invece riteneva la stragrande maggioranza delle organizzazioni della sinistra brasiliana; e protestare contro l’impeachment gridando al golpe significava – lo abbiamo detto all’inizio di questo articolo – sostenere un governo borghese agendo come “vagone di coda del lulismo”. Questa era la ragione per cui il Pstu non partecipava alle manifestazioni di protesta contro l’appena insediato Temer.
Eppure, quando nel 2012 il presidente del Paraguay, Fernando Lugo, fu destituito in favore del suo vice, Federico Franco, con una manovra di impeachment basata su un voto parlamentare (assolutamente simile a ciò che è accaduto in Brasile, gli stessi Pstu e Lit denunciarono «il golpe bianco … dissimulato dietro una facciata di legalità attraverso un “processo politico” realizzato dal parlamento»[20], definendolo un «colpo di Stato reazionario, sostenuto dalla destra tradizionale paraguaiana, … con un processo politico lampo consumato nel parlamento»[21], e anche «un golpe contro il movimento sindacale, contadino, popolare e studentesco. È un attacco diretto alle libertà democratiche conquistate durante decenni di lotte popolari», sicché «il compito principale ora è sconfiggere il golpe reazionario nelle strade, attraverso l’organizzazione e le mobilitazioni popolari. La principale parola d’ordine di tutto il movimento di massa e della sinistra deve essere: Abbasso il golpe parlamentare! Abbasso il governo golpista di Franco!»[22]. Come si vede, a quell’epoca il Pstu/Lit non si faceva scrupolo di difendere il presidente a capo di un governo di fronte popolare destituito da una manovra di palazzo, definita apertamente “golpe reazionario” ma assolutamente identica a quella brasiliana di oggi.
Infatti, se si raffrontano gli articoli e le dichiarazioni sul Paraguay del 2012 e sul Brasile del 2016 invertendo nei testi i nomi di Lugo e Franco con quelli di Dilma e Temer, non c’è nessuna differenza, e gli articoli sul Paraguay di allora potrebbero tranquillamente essere posti nel sito del Pstu/Lit rispetto al Brasile di oggi e viceversa.
A distanza di quattro anni, invece, un’altra giravolta: non si può parlare di golpe, neanche parlamentare, perché – si legge in decine di testi pubblicati dai teorici della Lit – non c’è stato alcun mutamento nel regime democratico‑borghese, che è rimasto intatto. Saremmo in presenza di un golpe – essi aggiungono – solo se vedessimo i soldati per strada e il regime fosse transitato verso una dittatura militare.
Tuttavia, come ha acutamente dimostrato Alvaro Bianchi[23], benché il golpe militare sia stata la forma “tipica” cui abbiamo assistito durante il XX secolo, per la comprensione della realtà odierna devono invece risultare chiari:
«[…] il protagonista di ciò che viene definito “coup d’état”, i mezzi che caratterizzano l’azione e i fini perseguiti. Il soggetto del colpo di stato moderno è […] una frazione della burocrazia statale. Il colpo di stato non è un golpe nello Stato o contro lo Stato. Il suo protagonista si trova all’interno dello stesso Stato, potendo essere, perfino, lo stesso governante[24]. I mezzi sono eccezionali, cioè, non sono caratteristici del funzionamento regolare delle istituzioni politiche. Tali mezzi si caratterizzano per l’eccezionalità dei procedimenti e delle risorse messe in atto. Il fine è il mutamento istituzionale, una alterazione radicale nella distribuzione di potere fra le istituzioni politiche, con la sostituzione o meno dei governanti. Sinteticamente, colpo di stato è un cambiamento istituzionale promosso sotto la direzione di una frazione dell’apparato dello Stato che utilizza a tale scopo misure e risorse eccezionali che non appartengono alle regole usuali del gioco politico».
Tra l’altro, non è neppure vero quanto sostiene il Pstu/Lit, e cioè che il regime sarebbe rimasto identico a se stesso. È utile qui riprendere la feconda ricostruzione analitica di Felipe Demier[25], ricorrendo al concetto di “democrazia blindata”: vale a dire, quel processo che si verifica nel quadro della controffensiva del capitale sul lavoro, che, allo scopo di invertire il segno negativo dell’economia e contrastare la caduta del saggio di profitto, tende a rendere i regimi democratico‑borghesi immuni dalle rivendicazioni popolari – o meno recettivi rispetto ad esse – sgombrando le istituzioni dagli “eccessi” di democrazia in grado di paralizzare la “vitalità” dei mercati: si ha quindi un mutamento “qualitativo” dall’interno dei regimi liberali, benché formalmente conservino la stessa “pelle”, attraverso una stretta sempre più autoritaria della democrazia parlamentare borghese.
Il caso brasiliano, perciò, conferma le conclusioni di Alvaro Bianchi, se analizzate alla luce della ricostruzione di Felipe Demier, secondo il quale:
«grazie alla sua democrazia blindata, la classe dominante brasiliana si è vista dispensata dal compito di porre in essere un golpe nel regime propriamente detto, riuscendo a vanificare il suffragio universale di 54,5 milioni di brasiliani senza ricorrere a un golpe militare, bonapartista, violento. […] la democrazia blindata brasiliana […] sembra già contenere in sé espedienti di eccezionalità, i quali, una volta messi in pratica, non significano, come prima, la soppressione della stessa democrazia, ma invece la rivelazione della sua verità recondita, della sua natura essenzialmente antidemocratica […]. Prescindendo da un atto di forza, il golpe nel governo attuato grazie agli stessi dispositivi del regime ha espresso, da un certo punto di vista, la stessa forza della democrazia blindata».
La fase che viene richiede un vero fronte unico
E dunque, quella in cui il Brasile si trova non è affatto una situazione “rivoluzionaria” – come il Pstu e la Lit vogliono dipingere offrendo una lettura fideisticamente accettata dai suoi accoliti internazionali[26] – ma una congiuntura in cui un importante settore della borghesia ha “scaricato” il governo del PT, ritenuto incapace di far approvare e applicare le controriforme previdenziale e del lavoro e una manovra di tagli al bilancio, nel grado, nell’intensità e nella rapidità che la crisi economica in un Paese dal capitalismo periferico e dipendente richiedevano, ed è passato all’attacco per imporre alla classe lavoratrice brasiliana una sconfitta storica. In questa situazione, però, a fronte di quell’attacco si è determinata una polarizzazione, con una rilevante parte del proletariato che si sta rendendo protagonista di una notevole resistenza alle manovre del governo.
Dopo le grandi manifestazioni e scioperi dei mesi scorsi, per il 30 giugno prossimo è in programma uno sciopero generale che avrà come piattaforma la cacciata di Temer e il No alle controriforme. Ma i rapporti di forza non sono ancora favorevoli ai lavoratori, che si trovano contro la forza del governo e del settore di classe dominante che utilizzano la potenza dei loro apparati repressivi; e, dall’altro lato, sono rappresentati da sindacati e forze politiche che non hanno alcuna intenzione di giungere allo scontro con la borghesia, ma lo “mimano” soltanto sotto la spinta della propria base, e che tuttavia godono ancora di un ampio credito e della fiducia della maggioranza del proletariato.
In questa situazione, è assolutamente sterile agitare il “programma massimo” del socialismo, per le ragioni che in precedenza abbiamo esposto, ma è necessario invece unificare le rivendicazioni sociali ed economiche con quelle democratiche, come appunto l’Assemblea costituente; così come, mettendo da parte ogni settarismo, far nascere, seppure nell’autonomia di ogni organizzazione, un fronte unico delle forze socialiste e rivoluzionarie, per resistere agli attacchi della borghesia e per incarnare un organismo di lotta che sappia declinare quell’intreccio di parole d’ordine, non solo per sconfiggere il governo Temer e le sue controriforme, quanto per iniziare la lunga e difficile battaglia per determinare nella società brasiliana altri rapporti di forza da cui poi ripartire per lanciare l’attacco alle classi dominanti.
Note
[1] L’articolo era stato pubblicato sulla pagina in portoghese (https://tinyurl.com/yapvpogs) e quella in spagnolo (https://tinyurl.com/y9dousnw) del sito della Lit, oltre che sulla pagina Facebook dell’autore (https://tinyurl.com/ya8vwgyt), ma è stato ovunque rimosso. Tuttavia, lo si può ancora leggere in italiano a quest’indirizzo. Quello di Fontana, invece, è rinvenibile qui: https://tinyurl.com/y7chvdwf.
[2] “L’impeachment di Dilma: ‘Non piangere per me, Brasile’”, all’indirizzo https://tinyurl.com/zsnqdp6.
[3] “Il Brasile ha bisogno di una rivoluzione socialista”, all’indirizzo https://tinyurl.com/ycepjyyn.
[4] “Cacciamo Temer! Cacciamoli tutti! Operai e popolo povero al potere”, all’indirizzo https://tinyurl.com/ycubveaj.
[5] “È il momento di azioni unitarie e di discutere le differenze strategiche”, all’indirizzo https://tinyurl.com/y72o4fgr.
[6] La sede della presidenza della repubblica, a Brasilia.
[7] V. precedente nota 2.
[8] “2007–2017. A dieci anni dall’inizio della crisi”, alla pagina https://tinyurl.com/yab4kbpe.
[9] “Il Brasile paralizzato dallo sciopero generale”, alla pagina https://tinyurl.com/y987mvjv.
[10] Giova precisare che, mentre stavamo ultimando quest’articolo, sul sito del Pstu è stato pubblicato un testo (“Polêmica: Os limites das Diretas já”, all’indirizzo https://tinyurl.com/y9l5v7rr), nel quale viene ulteriormente approfondita la “svolta” in favore delle elezioni generali «nel caso il movimento di massa non avanzi e non si radicalizzi», ma con un’apertura di credito persino per la parola d’ordine delle sole presidenziali, assecondando gli umori della maggioranza del movimento di massa!
[11] Il che smentisce clamorosamente l’affermazione di Iturbe richiamata nel testo, secondo cui «le masse stanno rapidamente rompendo col regime democratico‑borghese».
[12] «Tutti insieme, con le forze riunite, lotteremo per ottenere la completa distruzione del vecchio regime e convocare l’Assemblea costituente, che dovrà essere eletta sulla base del suffragio universale …». L’appello fu pubblicato sull’Izvestija del 28 febbraio.
[13] «La verità è che la borghesia […] si pone come obiettivo la distruzione dell’Assemblea costituente. […] Noi, della frazione socialdemocratica bolscevica, annunciamo di non aver nulla in comune con questo governo del tradimento del popolo. […] Noi ci appelliamo al popolo. […] Viva l’Assemblea costituente!» (J. Reed, Dieci giorni che sconvolsero il mondo, Bur, pp. 326‑327.
[14] «Il Congresso dei Soviet dei deputati operai, soldati e contadini di tutta la Russia decreta di: costituire per la direzione del Paese, fino alla convocazione della Assemblea costituente, un governo provvisorio operaio e contadino che si chiamerà Consiglio dei commissari del popolo» (V.I. Lenin, Opere, vol. XXVI, p. 244): il grassetto è nostro.
[15] V.I. Lenin, “Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale”, op. cit., vol. XXIV, p. 15.
[16] L.D. Trotsky, Prima del nove gennaio, Celuc Libri, pp. 70 e ss.
[17] M.J. Olgin, Introduction at “The Proletariat and the Revolution”, all’indirizzo web https://tinyurl.com/y8vch4k3.
[18] Letteralmente: cambiare sei con una mezza dozzina. L’italiano prevede, come espressione equivalente, “se non è zuppa, è pan bagnato”.
[19] È paradossale che un’organizzazione che si richiama al trotskismo abbia dimenticato che non tutti i governi borghesi sono uguali, che fra quelli di fronte popolare (come quello di Dilma e, prima, di Lula) e gli altri puramente borghesi (come quello di Temer) c’è un’importante differenza qualitativa!
[20] “Golpe da direita depõe presidente do Paraguai” (http://tinyurl.com/hgrujty).
[21] “Golpe de Estado no Paraguai: Derrotemos o golpe parlamentar e o governo de Franco nas ruas!” (http://tinyurl.com/hngsm6r).
[22] “Golpe de Estado no Paraguai” (http://tinyurl.com/h9wmly5).
[23] “O que é um golpe de estado?” (https://tinyurl.com/y7d434xx).
[24] Si registrano, infatti, molti casi di c.d. “autogolpe” (NdA).
[25] “Depois do golpe: a força e a fraqueza da democracia blindada brasileira” (https://tinyurl.com/y9cb6b59). È utile, dello stesso autore, leggere i testi “A democracia blindada” (https://tinyurl.com/y8ko264v) e “A formação da democracia blindada no Brasil” (https://tinyurl.com/yb8taprh).
[26] La sezione italiana della Lit, infatti, con scarso senso delle proporzioni parla apertamente di «scenari rivoluzionari» (https://tinyurl.com/ycrc6cwq).
[*] In collaborazione con Ernesto Russo
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