Lo sciopero generale del 28 aprile scorso in Brasile è stato un avvenimento importante, che può avere rilevanti conseguenze sul futuro della lotta di classe, in quel Paese e a livello continentale.
Avevamo preannunciato che saremmo tornati a interessarci della situazione che si sta sviluppando in Brasile e lo facciamo per ora pubblicando questa lucida e realistica analisi, di Marcelo Badaró Mattos, sullo sciopero appena svoltosi e le grandi manifestazioni che l’hanno accompagnato.
Sciopero generale!
Marcelo Badaró Mattos
(28 aprile 2017)
Questa mattina, attraverso i social network, ho potuto constatare che ancora c’è l’eco delle parole di Georges Sorel quando si riferiva allo sciopero generale come il “mito”, o l’idea forte, capace di mobilitare i sentimenti e la disposizione alla lotta dei proletari più coscienti e dei socialisti rivoluzionari (che contrapponeva ai “socialisti parlamentari”). Come diceva Sorel nelle sue Riflessioni sulla violenza, pubblicate nel 1908:
«Lo sciopero generale è […] il mito in cui il socialismo si condensa interamente, cioè un’organizzazione di immagini capaci di evocare istintivamente tutti i sentimenti che corrispondono alle diverse manifestazioni della guerra condotta dal socialismo contro la società moderna»[1].
Sorel scriveva quando non era possibile avere accesso quasi istantaneamente a immagini come quelle che ho visto oggi, di pneumatici incendiati in decine di grandi strade, interrotte in tutto il Paese prima che facesse giorno da gruppi di lavoratori organizzati; delle stazioni di autobus urbani, di trasporti fluviali, degli accessi agli aeroporti chiusi dall’azioni di altrettanti gruppi che sventolavano sempre bandiere rosse, striscioni e cartelloni di protesta, affermando un potere di fatto di chi vive vendendo la propria forza lavoro: SCIOPERO GENERALE! Immagini che venivano accompagnate da notizie di fabbriche e negozi chiusi, servizi interrotti. Con la completa paralisi dei trasporti urbani nella maggior parte delle capitali e in molte città dell’interno in quasi tutti gli Stati del Nord e del Nordest, così come nelle tre capitali del Sud e, soprattutto, il blocco completo di San Paolo, la più grande metropoli brasiliana, combinata con le paralisi parziali di Rio de Janeiro e di altre capitali, si può dire senza alcun dubbio che tutto il Brasile è stato attraversato da questo sciopero del 28 aprile 2017. Le massicce manifestazioni che hanno chiuso la giornata hanno solo rafforzato questa constatazione.
Specialmente per le nuove generazioni di militanti – in maggioranza tra coloro che con me condividono post nei social network – che non hanno assistito all’ultimo sciopero generale realmente verificatosi, nel 1989 (e neanche ai due tentativi molto limitati degli anni 90), l’esultanza di condividere quelle fotografie e notizie evoca effettivamente i migliori sentimenti corrispondenti alla lotta per il socialismo a cui si riferisce Sorel.
Sorel, tuttavia, dava tanto valore alla forza del mito che metteva in secondo piano l’effettiva realtà dell’atto in sé e delle concrete conseguenze della sua realizzazione, benché potesse comprendere lo sciopero generale come una «imitazione in piccola scala, saggio o preparazione del cataclisma finale». Poco meno di un decennio dopo la pubblicazione delle riflessioni di Sorel, però, la guerra condotta dal socialismo contro la società capitalista avrebbe ottenuto la sua prima vittoria, non grazie a un “cataclisma”, ma in virtù dell’azione in qualche misura cosciente e organizzata della classe lavoratrice nella rivoluzione russa, che compie oggi cento anni.
Lì lo sciopero generale ebbe un ruolo. Il 23 febbraio 1917 (del calendario giuliano), le lavoratrici tessili, contro l’orientamento delle direzioni socialiste, iniziarono uno sciopero che nei giorni seguenti si generalizzò a Pietrogrado e si diffuse in altre città industrializzate, con centinaia di migliaia di lavoratori che abbandonavano i loro posti di lavoro. Gli aperti scontri tra scioperanti e le forze della repressione zarista furono il primo momento della rivoluzione[2].
Lo sciopero generale ebbe, pertanto, un ruolo ben più che simbolico nel processo rivoluzionario. Non rappresentò, tuttavia, l’intero processo, che avrebbe vissuto ancora altri momenti di lotta aperta per il potere nella disputa tra il governo provvisorio e i consigli diretti dalla classe lavoratrice (i Soviet, la cui creazione originale risaliva alla rivoluzione del 1905). Non tutti gli scioperi generali, dunque, aprono processi rivoluzionari, benché abbiano sempre un impatto concreto nella correlazione di forze sociali di una determinata epoca, al di là della dimensione mitologica soreliana. Gli esempi nella storia del Brasile sono significativi.
Nell’agosto del 1903, i lavoratori di una fabbrica tessile di Rio de Janeiro incrociarono le braccia rivendicando la giornata lavorativa di otto ore e un aumento salariale del 40%. Durante i ventisei giorni che durò, lo sciopero si diffuse nelle fabbriche tessili della città e contaminò altre categorie professionali. In totale si fermarono 40.000 lavoratori, 25.000 dei quali operai tessili. Le loro richieste vennero accolte solo parzialmente e la repressione che fece seguito allo sciopero fu brutale, con centinaia di licenziamenti e la chiusura della federazione dei tessili nelle fabbriche. Ciononostante, dal punto di vista dell’organizzazione dei lavoratori il saldo fu positivo, con la creazione di diversi sindacati immediatamente dopo lo sciopero. Sarebbe sorta in seguito una federazione intersindacale che più tardi si sarebbe trasformata nella Federazione operaia di Rio de Janeiro (nel 1905), entità promotrice del Congresso operaio brasiliano del 1906, che avrebbe fondato la Confederazione operaia brasiliana (Cob), primo embrione di centrale sindacale nel Paese[3].
Nel 1906, un altro sciopero generale avrebbe paralizzato Porto Alegre, a quell’epoca già relativamente industrializzata. Nel 1917 si sarebbe verificato il più grande degli scioperi di quel periodo, anch’esso cominciato nelle fabbriche tessili e diffusosi agli altri settori della classe, col blocco di circa 70.000 lavoratori a San Paolo, già allora la più grande città industriale del Paese, per diversi giorni. Autorità e padronato furono costretti a negoziare un accordo con la commissione dei rappresentanti dei lavoratori (un Comitato di difesa proletaria, sorto durante lo sciopero), recependo alcune rivendicazioni per ottenere la sospensione del blocco. Un’ondata di scioperi si verificò negli anni successivi e, da un lato, lo Stato ampliò l’utilizzo della repressione sul movimento sindacale; dall’altro, iniziò la discussione sulla necessità di una legislazione che riconoscesse delle rivendicazioni avanzate dai lavoratori[4].
Quasi cinquant’anni dopo, si verificò il primo sciopero generale con caratteristiche realmente nazionali in Brasile. Nel 1962: con la principale rivendicazione della garanzia legislativa della tredicesima mensilità e interferendo col regime parlamentarista allora vigente attraverso la rivendicazione della formazione di un governo nazionalista (dopo le dimissioni di Jânio Quadros, il vicepresidente João Goulart aveva assunto la presidenza nel quadro di pressioni golpiste vinte dalla resistenza della sinistra e della classe lavoratrice, ma lo fece sulla base di un accordo che ne limitava i poteri con l’adozione del parlamentarismo[5]). La direzione dello sciopero avrebbe poi finito per generare il Comando generale dei lavoratori, un nuovo embrione di centrale sindacale che diresse altri scioperi generali per periodo che precedette il golpe del 1964[6].
Così, gli scioperi generali, benché non abbiano scatenato rivoluzioni, hanno alterato importanti aspetti della correlazione di forze e hanno perciò stesso avuto peso nella lotta di classe. Oltre a garantire eventualmente conquiste di diritti (come la tredicesima nel 1962), possono ripercuotersi con forza sul piano dell’organizzazione di classe (come indirettamente accadde con lo sciopero de 1903 a Rio, e direttamente con lo sciopero nazionale del 1962) e hanno un forte impatto sullo Stato, dato che, alla fin fine, se tutti gli scioperi portano in sé un contenuto più propriamente “politico” nel senso dello scontro col capitale, negli scioperi generali esso è molte volte esplicitato – come nella rivendicazione politica del 1962 – e forzano modifiche nell’atteggiamento dei governanti, come accadde a partire dallo sciopero del 1917.
Lo sciopero generale del 1989 – ricordato all’inizio di questo testo, e il più grande della storia del Paese, col blocco per due giorni di più del 70% della popolazione attiva – combinò questi tre elementi. Gli scioperi sono tornati a essere possibili negli anni 80 – quattro si sono svolti in quel decennio, con diverse intensità – grazie a un’ondata di lotte sociali (specialmente scioperi) che finì per generare una riorganizzazione della classe lavoratrice. La nascita della Cut nel 1983 fu il frutto principale di questo processo. La piattaforma dello sciopero del 1989 comprendeva, come nella maggioranza degli scioperi di quel decennio, il recupero della diminuzione del potere d’acquisto dei salari e la garanzia di aumenti automatici ancorati all’inflazione.
Il suo contenuto politico, tuttavia, era evidente. Le lotte sindacali dalla fine degli anni 70 sono state la principale sfida alla transizione politica verso l’alto che avrebbe posto fine alla dittatura. La resistenza dei lavoratori si materializzò organizzativamente anche sul piano organizzativo, e con la creazione del Partito dei Lavoratori (Pt) nel 1980 sarebbe sorta una forza capace di attrarre e dirigere un insieme ampio di movimenti intorno a un programma vagamente socialista e di una disputa istituzionale che sarebbe culminata proprio nel 1989 con l’accesso del candidato a presidente del Pt, Luís Inácio Lula da Silva, al secondo turno.
Mentre quest’articolo viene scritto, ancora sotto l’impatto delle belle immagini di lotta condivise durante tutto il giorno e della sequenza di notizie della brutale repressione poliziesca, le centrali sindacali riferivano del più grande sciopero generale, in numeri assoluti, nella storia del Paese, dato che lo sciopero di oggi ha certamente superato i circa 35 milioni che incrociarono le braccia nel 1989. Non è possibile prevedere su quali piani si materializzeranno le conseguenze di questo sciopero. Comunque ce ne saranno, dal momento che un movimento di tali dimensioni necessariamente produce conseguenze. In tutti e tre i piani sopra citati c’è una necessità reale di mutamenti e l’impatto di uno sciopero generale come questo, benché dipenda dai suoi sviluppi, tende a essere positivo per la classe lavoratrice.
Sul piano delle sue rivendicazioni immediate, lo sciopero generale è riuscito a mobilitare tanti lavoratori perché la maggioranza ha preso coscienza del grado di devastazione sociale dei provvedimenti in via d’approvazione o che si trovano in fase di discussione nel Congresso nazionale (cioè, il parlamento: ndt), in particolare la riforma del diritto del lavoro – approvata dalla Camera poco più di ventiquattr’ore prima dello sciopero – che integra la funzione della legge sulle esternalizzazioni, sopprimendo decine di diritti lavorativi in un colpo solo e colpendo profondamente gli strumenti negoziali in grado di limitare lo sfruttamento del lavoro da parte del capitale. Oltre alla riforma della previdenza, che ha l’obiettivo generale di trasformare la pensione, attraverso un fondo pubblico (costituito dai contributi dei lavoratori), da diritto di tutti in privilegio di alcuni pochi che riescono a sopravvivere dopo perlomeno quarant’anni di sfruttamento intensivo. La neutralizzazione di questo processo di profonda e accelerata dilapidazione dei diritti della classe lavoratrice da parte dei rappresentanti del capitale è questione di vita o di morte per questa e per le prossime generazioni di lavoratori.
Per questo stesso motivo, lo sciopero generale era necessario già da molto tempo. Le difficoltà per costruirlo sono state diverse, ma la più importante è stata dovuta alle direzioni delle più grandi centrali sindacali brasiliane. Dopo la graduale trasformazione in sindacalismo di concertazione sociale negli anni 90, la Cut – per limitarci alla più importante di esse – è diventata nel decennio successivo nel semplice braccio sindacale dei governi del Pt, fungendo molto più da ammortizzatore di conflitti che da dirigente di mobilitazioni. Anche ora, con il Pt fuori dal governo, la Cut esita a chiamare le sue basi alla lotta poiché subordina sempre tali mobilitazioni agli obiettivi elettorali di Lula e del Pt. Se lo sciopero generale avrà incoraggiato le opposizioni dei sindacati legati alle grandi centrali e avrà dato nuovo impulso ai poli più combattivi del movimento sindacale (come la Csp‑Conlutas, Intersindicais e altri piccoli gruppi), potrà venire a prodursi un nuovo quadro nel processo di riorganizzazione della classe lavoratrice.
Sul piano dello scontro con lo Stato, c’era da attendersi la violenza generalizzata nella repressione, poiché ci troviamo di fronte a un governo che è giunto al Palazzo del Planalto (la sede, a Brasilia, della presidenza della repubblica: ndt) attraverso un golpe parlamentar‑giudiziario, che preserva l’apparente istituzionalità della democrazia realmente esistente per accentuare la sua tetragona ostilità alle rivendicazioni che vengono dal basso[7]. A Rio de Janeiro, più di 100.000 persone sono scese in piazza a manifestare, pur sopportando l’intensa repressione di una Polizia militare che dal 2013 continua, nonostante la diminuzione dei suoi salari, a spendere milioni di real in lacrimogeni e proiettili di gomma in ogni manifestazione contro un governo statale così corrotto che l’ex governatore e metà dei suoi segretari sono stati arrestati e il suo vice – oggi al governo – è sempre più coinvolto negli atti criminali della precedente gestione.
L’ulteriore obiettivo di questa svolta autocratica e preventivamente controrivoluzionaria dello Stato brasiliano[8] è proprio assicurare l’approvazione delle (contro)riforme, ampliando le condizioni affinché lo sfruttamento intensificato sulla classe lavoratrice possa controbilanciare la caduta del saggio di profitto del capitale. Anche su questo piano lo sciopero generale ha il ruolo decisivo di ricollocare in gioco la classe lavoratrice organizzata, potenziando l’elevazione a un nuovo livello della lotta per cacciare il governo Temer.
Il ritorno sulla scena politica, attraverso lo sciopero generale, dei lavoratori in forma organizzata e combattiva lancia sfide rispetto alle quali la sinistra socialista deve essere preparata: da essa si attende un intervento diverso, nella direzione della permanenza e dell’ampliamento del livello di lotte, avanzando sul cammino dell’interruzione e del capovolgimento delle (contro)riforme, dell’accelerazione della riorganizzazione dei movimenti e delle forme organizzative della classe e della sconfitta del governo golpista. Non è poco, ma speriamo che le immagini e i fatti reali di oggi risveglino davvero i migliori istinti e sentimenti di lotta dei socialisti, affinché possiamo portare avanti le lotte concrete necessarie, di cui lo sciopero generale può aver rappresentato solo un punto di partenza.
Note
[1] Georges Sorel, Reflexiones sobre la violencia, Buenos Aires, La Pleyade, 1973, pp. 128–129.
[2] V. al riguardo l’articolo di Kevin Murphy, “La storia della rivoluzione di febbraio”, pubblicato in italiano su questo Blog , all’indirizzo https://tinyurl.com/mukzlfy.
[3] Sullo sciopero generale del 1903 v. Marcela Goldmacher, A greve geral de 1903 – o Rio de Janeiro nas décadas de 1890 a 1910, Niterói, UFF, 2009. (Tesi di laurea), all’indirizzo http://www.historia.uff.br/stricto/td/1152.pdf.
[4] Sullo sciopero del 1917 c’è una vasta bibliografia. Ci riferiamo qui a uno studio classico che a include nell’analisi, quello di Moniz Bandeira, Clóvis Melo & A.T. Andrade, O ano vermelho: a revolução russa e seus reflexos no Brasil, Rio de Janeiro, Civilização Brasileira, 1967.
[5] In pratica, dovette accettare una modifica costituzionale che affidava il potere esecutivo a un Consiglio dei ministri di nomina presidenziale ma responsabile davanti al Congresso (fonte Wikipedia. Ndt).
[6] Sullo sciopero del 1962 si può consultare Demian Melo, Crise orgânica e ação política da classe trabalhadora brasileira: a primeira greve geral nacional (5 de julho de 1962), Niterói, UFF, 2013.
[7] V. al riguardo Felipe Demier, Depois do golpe: a dialética da democracia blindada no Brasil, Rio de Janeiro, Mauad, 2017.
[8] I concetti di “autocrazia borghese” e “controrivoluzione preventiva” sono di Florestan Fernandes nel suo classico libro A revolução burguesa no Brasil, Rio de Janeiro, Zahar, 1974.
(Traduzione di Ernesto Russo)