Nominare il socialismo senza vergogna.
Comunisti contro Stalin, di Pierre Broué
Diego Giachetti
Pubblicato nella pagina web Popoffquotidiano.it
La rivoluzione russa, di cui ricorre quest’anno il centenario, va compresa inserendola in un continuum tra quella che esplose a febbraio e quella di ottobre. Solo in questo modo è possibile uscire da quella rappresentazione disinvolta e leggera che ha come scopo evidente quello di dividere un processo storico in una rivoluzione “buona” e una “cattiva”, quest’ultima operata da un manipolo di bolscevichi che con un colpo di stato presero il potere.
D’altronde, coi tempi che corrono, non dobbiamo stupirci se questa è oggi la predica ufficiale prodotta dalle chiese ideologiche del sistema mass mediatico, avvalorata, e qui spiace constatarlo, anche da autorevoli ricercatori storici di vecchia e nuova conversione.
La distinzione tra rivoluzionari “buoni” e “cattivi”, sbagliata sul piano storiografico, produce un altro errore, oggi accettato come verità consolidata, che consiste nel proporre una linea di continuità evolutiva e pacifica tra rivoluzione d’ottobre e affermazione dello stalinismo alla guida dello Stato sovietico. In questo caso gli elementi di continuità si dissolvono man mano che il processo di affermazione del sistema staliniano si delinea. Stalin e lo stalinismo non furono la prosecuzione pacifica e obbligata dell’esperienza rivoluzionaria bolscevica, se mai rappresentarono un’involuzione, una ricaduta non voluta e non prevista, una controrivoluzione che trovò forte e numerosa opposizione nei ranghi stessi delle fila bolsceviche e tra i militanti rivoluzionari russi.
Stalin, per consolidare il suo regime dovette contrastare prima e poi eliminare, nel senso tragico del termine, tutti gli oppositori in seno al partito stesso e alle organizzazioni statali: altro che continuità. E qui s’inserisce il prezioso lavoro di Broué che ricostruisce con attenzione certosina e con la pazienza per i fatti, che ogni storico deve avere, tutte le vicende dell’opposizione al processo di degenerazione burocratica dal 1922 fino al 1941.
Pubblicato in Francia nel 2003, e ora tradotto in italiano, la ricerca si fonda su una documentazione tratta degli archivi ex sovietici, da lui reperita negli anni ’90, quando il crollo del regime burocratico ne consentì una parziale accessibilità. L’impianto storico-narrativo è costituito dalle biografie di circa 700 oppositori che sono citati con nome e cognome, uomini e donne, tutti oppositori all’avvento e al trionfo dello stalinismo, tutti comunisti contro Stalin, come dice fin dal titolo il libro. Così facendo ha voluto misurare l’ampiezza, il radicamento e la durata, anche nei gulag e nelle prigioni, dell’opposizione al regime staliniano, non limitandosi quindi solo alla storia dei “capi” dell’opposizione.
Ricostruendo le loro biografie politiche traccia la storia dell’opposizione di sinistra a Stalin e allo stalinismo, includendovi anche altre correnti politiche non riferibili a quella che passò alla storia come opposizione trotskista. I primi capitoli sono dedicati al sorgere dell’opposizione di sinistra a partire del 1923–24, durante la malattia di Lenin e subito dopo la sua morte. Prosegue con la ricostruzione della vicende legate alla costituzione dell’opposizione unificata, quella che incluse anche i gruppi facenti capo a due membri autorevoli del partito bolscevico, Zinov’ev e Kamenev, dopo la fine della loro alleanza con Stalin. I capitoli successivi sono dedicati alla ricostruzione del lavoro dell’opposizione di sinistra sul piano internazionale, dopo la sconfitta subita nel 1927 a cui seguirono gli anni dell’esilio, della deportazione degli oppositori, dei ripiegamenti, delle capitolazioni, ma anche della perseveranza, della resistenza in anni che si facevano sempre più difficili: espulsioni, arresti, processi farsa, esecuzioni sommarie.
È una storia poco nota, volutamente ignorata da impianti storiografici che sono stati per anni supini all’interpretazione giustificazionista dello stalinismo, addolcita dal togliattismo in Italia, che affermava la continuità tra il leninismo e il regime sovietico, sgombrato dal culto della personalità dopo il 1956 e, paradossalmente, oggi unita, pur partendo da valutazioni diverse, alla corrente e dominante lettura liberal borghese, tesa a proporre la continuità tra stalinismo, Lenin, rivoluzione russa e comunismo tutto.
È del tutto evidente che in questi paradigmi storiografici (o forse decisamente propagandistici) non trovano posto le decine di migliaia di comunisti rivoluzionari che militarono nelle file dell’Opposizione allo scopo di difendere le conquiste della rivoluzione d’ottobre e di denunciare e combattere la degenerazione burocratica del regime.
Col testo di Broué, basato su una documentazione abbondante e nuova, si lacera questo impianto narrativo che purtroppo è stato ed è dominante. Ciò che ha mosso lo storico francese è una combinazione tra la passione per la ricerca storica, documentata e rigorosa, e la speranza che essa possa servire alla comprensione di quanto e accaduto, per orientare e rimotivare l’agire politico di chi oggi si oppone al liberal-capitalismo, per aiutare le generazioni future di rivoluzionari, ricordando l’esperienza di chi si oppose a Stalin fin dall’inizio, nel paese del “socialismo realizzato” stesso, in nome del comunismo autentico. Furono sconfitti.
Broué però era convinto, come lo era anche Trotsky, che quella battaglia non era stata inutile, lasciava alle generazioni future la possibilità di nominare la parola socialismo senza arrossire di vergogna. Vi è quindi anche una motivazione politica che l’autore non nasconde nella scelta del tema storico, anzi, nell’indirizzarlo la considera una delle più importanti proprio per quest’ aspetto della storia dell’ Unione Sovietica.
Militante comunista rivoluzionario non si cela dietro un “falso” distacco dall’oggetto raccontato, manifesta la propria indignazione per i fatti tragici che espone: il massacro di una generazione di militanti rivoluzionari, come recita il sottotitolo del libro. Vuole rendere “l’onore delle armi” della storia a quelle migliaia di persone dimenticate che decisero di portare avanti apertamente gli ideali e le pratiche della rivoluzione d’ottobre, al prezzo di dover affrontare le prigioni della polizia politica e i gulag.
Opere essenziali di Pierre Broué (1926–2005): La rivoluzione perduta. Vita e morte di Trotsky (Torino, 1991), Rivoluzione in Germania 1917–1923 (Milano, 1977), Storia del Partito comunista dell’Urss (Milano, 1966), con E. Témime, La rivoluzione e la guerra di Spagna (Milano, 1962), con Raymond Vacheron, Assassinii nel maquis. La tragica morte di Pietro Tresso, Roma 1996.