Oltre il “facciamoci avanti”: per un femminismo del 99% e uno sciopero internazionale militante l’8 marzo
Linda Martín Alcoff, Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya, Nancy Fraser, Keeanga-Yamahtta Taylor, Rasmea Yousef Odeh e Angela Davis
(Pubblicato nella pagina web BlogJunho nella traduzione dall’inglese di Daniela Mussi)
Le grandi manifestazioni delle donne negli Usa del 21 gennaio possono segnare l’inizio di una nuova onda di lotta femminista militante. Ma quale sarà il suo centro? A nostro parere, non è sufficiente opporsi a Trump e alle sue politiche aggressivamente misogine, omofobiche, transfobiche e razziste. Dobbiamo anche fronteggiare l’attacco neoliberale in corso ai diritti sociali e del lavoro. Mentre la sfacciata misoginia di Trump ha rappresentato la ragione immediata per la massiccia risposta del 21 gennaio, l’attacco alle donne (e a tutti i lavoratori) è di gran lunga precedente alla sua amministrazione. Le condizioni di vita delle donne, specialmente delle donne di colore e delle lavoratrici, disoccupate e migranti, si sono costantemente deteriorate negli ultimi trent’anni, grazie alla finanziarizzazione e alla globalizzazione delle imprese. Il femminismo del “facciamoci avanti”[1] e altre varianti del femminismo delle donne in carriera non hanno alcun senso per la stragrande maggioranza di noi, che non ha accesso all’autopromozione e all’avanzamento individuale, e le cui condizioni di vita possono essere migliorate solo attraverso politiche di difesa della riproduzione sociale, della giustizia riproduttiva sicura e che garantiscano i diritti del lavoro. È evidente che la nuova ondata delle mobilitazioni delle donne deve affrontare tutte queste preoccupazioni in modo diretto. Deve essere un femminismo del 99% degli individui.
Il tipo di femminismo che cerchiamo sta già emergendo internazionalmente, attraverso le lotte in tutto il mondo: dallo sciopero delle donne in Polonia contro la proibizione dell’aborto fino agli scioperi e alle manifestazioni delle donne in America Latina contro la violenza maschile; dalla grande manifestazione delle donne lo scorso novembre in Italia alle proteste e gli scioperi in difesa dei diritti riproduttivi in Corea del Sud e Irlanda. Ciò che colpisce in queste mobilitazioni è che molte di esse combinano lotte contro la violenza maschile con l’opposizione alla precarizzazione del lavoro e alla diseguaglianza salariale, mentre si oppongono alle politiche omofobiche, transfobiche e xenofobe. Così combinate, annunciano la nascita di un nuovo movimento femminista internazionale, con un’agenda allargata, al tempo stesso antirazzista, antimperialista, antieterosessista e antineoliberista.
Vogliamo contribuire allo sviluppo di questo nuovo movimento femminista più espansivo.
Come primo passo, proponiamo di dare sostegno alla costruzione di uno sciopero internazionale contro la violenza maschile e per la difesa dei diritti riproduttivi per il prossimo 8 marzo. A questo riguardo ci uniamo ai gruppi femministi di circa trenta Paesi che hanno convocato questo sciopero. L’idea è di mobilitare le donne, comprese le donne transgender, e tutti coloro che le appoggiano in un giorno internazionale di lotta, un giorno di scioperi, manifestazioni, blocchi stradali, di ponti e piazze; astensione dal lavoro domestico, di assistenza e sessuale; boicottaggio e denuncia di politici e imprese misogini, scioperi nelle istituzioni educative. Queste azioni hanno lo scopo di evidenziare le necessità e le aspirazioni che il femminismo del “facciamoci avanti” ignora: le donne nel mercato del lavoro formale, quelle che lavorano nella sfera della riproduzione sociale e dell’assistenza e le disoccupate e precarie.
Abbracciando un femminismo del 99%, ci ispiriamo alla coalizione argentina Ni Una Menos (Non una di meno). La violenza contro le donne, come loro la definiscono, ha molte sfaccettature: è la violenza domestica, ma anche la volenza del mercato, del debito dei rapporti capitalisti di proprietà e dello Stato; la violenza delle politiche discriminatorie contro le lesbiche, trans e queer, la violenza della criminalizzazione statale de movimenti migratori, la violenza delle carcerazioni di massa e la violenza istituzionale contro i corpi delle donne attraverso la proibizione dell’aborto e la mancanza di accesso alle cure sanitarie e all’aborto gratuiti. La sua prospettiva informa la nostra determinazione di opporci agli attacchi istituzionali, politici, culturali ed economici contro le donne musulmane e migranti, contro le donne di colore e le lavoratrici e disoccupate, contro le lesbiche, queer e trans.
Le manifestazioni delle donne del 21 gennaio hanno mostrato che anche negli Stati Uniti un nuovo movimento femminista può essere costruito. È importante non perdere la spinta. Uniamoci l’8 di marzo per scioperare, realizzare mobilitazioni, manifestazioni, e per protestare. Approfittiamo dell’occasione di questa giornata internazionale d’azione per saldare i conti col femminismo del “facciamoci avanti” e costruire al suo posto un femminismo del 99%, un femminismo di base, anticapitalista; un femminismo solidale con le lavoratrici, le loro famiglie e i loro alleati in tutto il mondo.
(Pubblicato in origine in Viewpoint Magazine)
Note
[1] “Facciamoci avanti” è un riferimento al movimento ispirato dal libro di Sheryl Sandberg, Lean in: Women, work, and the will to lead, New York: Random House, 2013, (versione in italiano: Facciamoci avanti. Le donne, il lavoro e la voglia di riuscire, Mondadori, 2013). La principale caratteristica del movimento è l’enfasi sull’imprenditoria femminile (n.d.t. portoghese).