Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Cuba e Rivoluzione cubana, Politica internazionale: America Latina

Cuba non è … “un’isola”

La figu­ra di Fidel Castro è indu­bi­ta­bil­men­te lega­ta alla rivo­lu­zio­ne cuba­na. Per­tan­to, più che acco­dar­ci alle com­me­mo­ra­zio­ni – o, al con­tra­rio, alle demo­niz­za­zio­ni – che la sua mor­te sta susci­tan­do in que­ste ore, ci pare uti­le ripub­bli­ca­re un arti­co­lo che il com­pa­gno Vale­rio Tor­re ave­va scrit­to nel lon­ta­no gen­na­io del 2011, quan­do la real­tà del­la com­ple­ta restau­ra­zio­ne del capi­ta­li­smo sul­la Isla non appa­ri­va, agli occhi di super­fi­cia­li ana­li­sti o di nostal­gi­ci del­la Revo­lu­ción, così evi­den­te come oggi.
E inve­ce, la real­tà dei fat­ti – con il corol­la­rio del­le visi­te dei papi (Woj­tyła, Ratzin­ger e Ber­go­glio), fino alla ripre­sa for­ma­le del­le rela­zio­ni tra Sta­ti Uni­ti e Cuba, san­ci­ta dal­la recen­te visi­ta del pre­si­den­te Usa, Oba­ma – si è impo­sta, dis­si­pan­do le neb­bie dei sogni di un socia­li­smo che a Cuba non c’è più e mostran­do inve­ce ciò che resta del­la rivo­lu­zio­ne: su cui, natu­ral­men­te, ci ripro­met­tia­mo di tor­na­re nei pros­si­mi gior­ni pub­bli­can­do qual­che altro arti­co­lo di approfondimento.

Cuba non è … “un’isola”

Il regime castrista e la restaurazione del capitalismo a Cuba


Vale­rio Torre

 (20 gen­na­io 2011)

 

Nel pros­si­mo mese di apri­le, si cele­bre­rà il 6° Con­gres­so del Par­ti­to comu­ni­sta cuba­no. La gran par­te del­la sini­stra, non solo ita­lia­na, ben­sì mon­dia­le, quel­la che difen­de Cuba come “l’ultimo bastio­ne del socia­li­smo”, quel­la inna­mo­ra­ta del­la “Revo­lu­ción” e che esi­bi­sce magliet­te con l’effigie di Che Gue­va­ra, si appre­sta a salu­ta­re que­sto even­to come la riaf­fer­ma­zio­ne – in un mon­do domi­na­to dal capi­ta­li­smo – di un’identità perduta.
Nes­su­na rifles­sio­ne sul per­ché sia­no tra­scor­si ben quat­tor­di­ci anni (!) dall’ultimo Con­gres­so, né sul­le recen­ti misu­re eco­no­mi­che adot­ta­te da Raúl Castro e sul loro signi­fi­ca­to (su cui ci sof­fer­me­re­mo nel cor­so di que­sto testo). Nien­te di tut­to que­sto: per la mag­gio­ran­za del­la sini­stra inter­na­zio­na­le, in mez­zo all’“oceano” del capi­ta­li­smo con­ti­nua ad esi­ste­re (e a resi­ste­re) un’isola che, come Davi­de, si bat­te con­tro il Golia rap­pre­sen­ta­to dall’imperialismo nor­da­me­ri­ca­no e dal suo fero­ce embar­go com­mer­cia­le. Ma è dav­ve­ro così?

La “Revo­lu­ción” del 1959
La rivo­lu­zio­ne cuba­na del 1959 è sta­ta par­te di una serie di pro­ces­si del secon­do dopo­guer­ra da cui sor­se­ro nuo­vi Sta­ti ope­rai con eco­no­mie di tran­si­zio­ne al socia­li­smo (Jugo­sla­via, Cina e Cuba), che costi­tui­ro­no gran­di con­qui­ste dei lavo­ra­to­ri, tan­to da abbrac­cia­re un ter­zo dell’umanità.
A Cuba, la dire­zio­ne di Fidel e Raúl Castro e di Che Gue­va­ra non ave­va la sua ori­gi­ne nei par­ti­ti comu­ni­sti, ben­sì nel­la pic­co­la bor­ghe­sia che lot­ta­va con­tro la dit­ta­tu­ra di Bati­sta e per la demo­cra­zia bor­ghe­se. Una vol­ta al pote­re, spin­ta dal­la pres­sio­ne del­le cir­co­stan­ze, que­sta dire­zio­ne deci­se di anda­re al di là del suo pro­gram­ma ini­zia­le, rom­pe­re con l’imperialismo e la bor­ghe­sia cuba­na espro­prian­do­li e ini­zia­re la costru­zio­ne del pri­mo Sta­to ope­ra­io dell’America Latina.
Ciò pro­vo­cò un muta­men­to qua­li­ta­ti­vo: non esi­sté più un’economia capi­ta­li­sta, ma un’economia pia­ni­fi­ca­ta; cosic­ché Cuba, pur facen­do par­te dell’economia mon­dia­le, era – come la Cina e l’insieme degli Sta­ti dell’Est euro­peo – una par­te con­trad­dit­to­ria di essa.
Il popo­lo cuba­no otten­ne pro­gres­si immen­si nell’istruzione e nel­la sani­tà pub­bli­che, con livel­li com­pa­ra­bi­li ai pae­si impe­ria­li­sti, supe­ran­do sot­to que­sti aspet­ti il Bra­si­le, il Mes­si­co o l’Argentina. Ven­ne­ro eli­mi­na­te la pover­tà estre­ma e la mise­ria, come rico­nob­be­ro gli stes­si stu­di degli orga­ni­smi inter­na­zio­na­li impe­ria­li­sti. Cuba si con­ver­tì nel sim­bo­lo di ciò che una rivo­lu­zio­ne socia­li­sta era capa­ce di otte­ne­re sot­to gli stes­si occhi dell’imperialismo. I suoi diri­gen­ti, Fidel e Che Gue­va­ra, diven­ne­ro il rife­ri­men­to poli­ti­co di milio­ni di com­bat­ten­ti e rivoluzionari.
Natu­ral­men­te, un’economia non capi­ta­li­sta si fon­da non sul­le chiac­chie­re, ben­sì su tre pila­stri eco­no­mi­ci: 1) la mag­gior par­te dei mez­zi di pro­du­zio­ne deve esse­re di pro­prie­tà sta­ta­le; 2) la quan­ti­tà e qua­li­tà di ciò che vie­ne pro­dot­to non devo­no esse­re deter­mi­na­te dal­le leg­gi di mer­ca­to, ma inve­ce da un pia­no eco­no­mi­co cen­tra­le a cui tut­te le impre­se sono subor­di­na­te; 3) tut­to il com­mer­cio este­ro deve esse­re mono­po­lio del­lo Stato.
A Cuba è sta­to così, per cui le gran­di con­qui­ste eco­no­mi­che e socia­li si sono fon­da­te su que­sti tre gran­di pila­stri eco­no­mi­ci. Ma oggi essi non esi­sto­no più, per cui pos­sia­mo fon­da­ta­men­te soste­ne­re che nell’Isola non esi­ste più un’economia non capi­ta­li­sta; a cau­sa di ciò si stan­no per­den­do una ad una tut­te le con­qui­ste del­la rivo­lu­zio­ne. Il capi­ta­li­smo a Cuba è sta­to com­ple­ta­men­te restaurato.

Il pro­ces­so di restau­ra­zio­ne del capitalismo
Nel 1990, la cadu­ta dell’URSS e la restau­ra­zio­ne capi­ta­li­sta nell’Est euro­peo signi­fi­ca­ro­no un duro col­po per l’economia cuba­na che si fon­da­va sull’esportazione di zuc­che­ro in cam­bio di petro­lio e tec­no­lo­gia con quei pae­si. In que­sto con­te­sto, la dire­zio­ne castri­sta comin­ciò a svi­lup­pa­re una poli­ti­ca di restau­ra­zio­ne capi­ta­li­sta smon­tan­do una ad una le basi essen­zia­li del­lo Sta­to operaio.
Nel 1995 ven­ne appro­va­ta la Leg­ge sugli Inve­sti­men­ti Stra­nie­ri che creò le “impre­se miste”, gover­na­te dal capi­ta­le stra­nie­ro: ciò signi­fi­cò lega­liz­za­re la pro­prie­tà pri­va­ta dei mez­zi di pro­du­zio­ne. La leg­ge con­sen­ti­va alle impre­se stra­nie­re di rim­pa­tria­re il 100% dei pro­fit­ti rea­liz­za­ti. Gli inve­sti­men­ti si con­cen­tra­ro­no spe­cial­men­te sul turi­smo e set­to­ri affi­ni, ma in segui­to si amplia­ro­no ver­so altri set­to­ri: pro­dot­ti far­ma­ceu­ti­ci e, di recen­te, al petrolio.
Ven­ne eli­mi­na­to il mono­po­lio del com­mer­cio este­ro da par­te del­lo Sta­to, eser­ci­ta­to, fino ad allo­ra, dal Mini­ste­ro del Com­mer­cio Este­ro: sia le impre­se sta­ta­li che quel­le miste pos­so­no nego­zia­re libe­ra­men­te le pro­prie espor­ta­zio­ni ed importazioni.
Il dol­la­ro fu tra­sfor­ma­to, in real­tà, nel­la mone­ta effet­ti­va di Cuba, coe­si­sten­do con due mone­te nazio­na­li: una “con­ver­ti­bi­le” in dol­la­ri e un’altra “non convertibile”.
Ven­ne pri­va­tiz­za­ta, di fat­to, la pro­du­zio­ne e com­mer­cia­liz­za­zio­ne di can­na da zuc­che­ro, attra­ver­so le “uni­tà basi­che di pro­du­zio­ne coo­pe­ra­ti­va” (che già nel 1994, con 1.555 coo­pe­ra­ti­ve, copri­va­no il 100% dell’antica pro­prie­tà sta­ta­le; sem­pre nel 1994, esse si espan­se­ro in altri ambi­ti di col­ti­va­zio­ne, occu­pan­do il 76% del­la super­fi­cie sta­ta­le dedi­ca­ta alla col­ti­va­zio­ne del caf­fè, il 48% di quel­la di riso e il 42% del­la super­fi­cie sta­ta­le per l’allevamento). Gli appar­te­nen­ti a que­ste coo­pe­ra­ti­ve non han­no la pro­prie­tà giu­ri­di­ca del­la ter­ra, ma si ripar­ti­sco­no i pro­fit­ti otte­nu­ti appro­prian­do­se­ne. Nel 1994, comin­cia­ro­no inol­tre a fun­zio­na­re i “mer­ca­ti agro­zoo­tec­ni­ci libe­ri”, i cui prez­zi ven­go­no fis­sa­ti nel mercato.
Infi­ne, ven­ne sciol­ta la Giun­ta Cen­tra­le di Pia­ni­fi­ca­zio­ne. Da quel momen­to, ciò che vie­ne pro­dot­to e com­mer­cia­to a Cuba non rispon­de più ad un pia­no cen­tra­liz­za­to, ma, mol­to più sem­pli­ce­men­te, alle leg­gi di mercato.
Tut­te que­ste “rifor­me” non han­no fat­to altro che apri­re la por­ta all’imperialismo: tut­ti i set­to­ri pro­dut­ti­vi del pae­se sono sta­ti posti a dispo­si­zio­ne del capi­ta­le stra­nie­ro (Spa­gna, Cana­da, Ita­lia, Fran­cia, Regno Uni­to e, come vedre­mo a dispet­to dell’embargo, gli Usa).

Il ruo­lo dell’imperialismo a Cuba
Nel set­to­re del turi­smo, quel­lo che appor­ta sem­pre più entra­te in dol­la­ri nel pae­se, qua­si la metà del­le abi­ta­zio­ni dispo­ni­bi­li sono ammi­ni­stra­te da impre­se stra­nie­re, in par­ti­co­la­re spa­gno­le, attra­ver­so i grup­pi Sol-Meliá e Barceló.
Nel set­to­re del­le minie­re di nichel e cobal­to (Cuba occu­pa, rispet­ti­va­men­te, il pri­mo e il secon­do posto al mon­do per quan­to riguar­da le riser­ve), l’impresa cuba­no-cana­de­se Meta­lúr­gi­ca de Moa, par­te­ci­pa­ta dal­la mul­ti­na­zio­na­le Sher­ritt, con­trol­la il 40% del­le espor­ta­zio­ni tota­li del nichel.
Nel set­to­re petro­li­fe­ro si è aper­to lo sfrut­ta­men­to di aeree nel gol­fo del Mes­si­co in favo­re del­la Rep­sol-Ypf, del­la Petro­bras, del­la Ocean Rig (Nor­ve­gia) e del­la Sher­ritt Gor­don (Cana­da). Nel­la costru­zio­ne comin­cia­no ad ave­re peso i capi­ta­li israe­lia­ni, che, attra­ver­so l’impresa Wak­ni­ne e Bere­sou­sky, con­trol­la­no anche il 68% del­la com­mer­cia­liz­za­zio­ne di agru­mi e suc­chi. Lo stes­so acca­de nel­le tra­di­zio­na­li pro­du­zio­ni di tabac­co e rum. Il prin­ci­pa­le pro­dut­to­re di siga­ri ava­na di Cuba ne ha ven­du­to il 50% a Alta­dis, che oggi fa par­te del grup­po ingle­se Impe­rial Tobac­co, e l’impresa pro­dut­tri­ce del famo­so rum Hava­na Club è pas­sa­ta sot­to il con­trol­lo del grup­po fran­ce­se Pernod-Ricard.
Per­tan­to, oggi Cuba non è com­mer­cial­men­te iso­la­ta e, al con­tra­rio, rice­ve inve­sti­men­ti da tut­to il resto del mondo.
L’imperialismo nor­da­me­ri­ca­no man­tie­ne un embar­go com­mer­cia­le, fun­zio­na­le alla bor­ghe­sia “gusa­na” che è for­te negli Usa e ne esi­ge il man­te­ni­men­to come garan­zia per il recu­pe­ro dei suoi beni espro­pria­ti dopo la rivo­lu­zio­ne. Ma, nono­stan­te le leg­gi che lo impe­di­sco­no in for­ma com­ple­ta, il com­mer­cio con Cuba è in cre­sci­ta, in par­ti­co­la­re nel set­to­re degli ali­men­ta­ri e dei far­ma­ci. Ciò acca­de per­ché un nume­ro sem­pre mag­gio­re di set­to­ri del­la bor­ghe­sia yan­kee vuo­le liber­tà per poter inve­sti­re e com­mer­cia­re con Cuba e non per­de­re que­ste oppor­tu­ni­tà rispet­to ai suoi con­cor­ren­ti. Per que­sto, gli Usa già oggi sono fra i cin­que più gran­di part­ner com­mer­cia­li di Cuba.

Le misu­re di auste­ri­tà e la per­di­ta del­le con­qui­ste del­la rivoluzione
Come con­se­guen­za del com­ple­to ritor­no al capi­ta­li­smo – che, come nel caso del­la Cina, vie­ne “gesti­to” da una buro­cra­zia che con­ti­nua a chia­mar­si “comu­ni­sta”, adot­ta le misu­re di cui tra bre­ve par­le­re­mo dicen­do di far­lo “in nome del socia­li­smo” e che, aven­do il con­trol­lo com­ple­to del­la mac­chi­na sta­ta­le attra­ver­so le for­ze arma­te, si è tra­sfor­ma­ta nel­la nuo­va bor­ghe­sia – si stan­no per­den­do una ad una tut­te le con­qui­ste del­la rivo­lu­zio­ne. A par­ti­re dal pie­no impie­go, visto che uno dei prov­ve­di­men­ti appro­va­ti è quel­lo del licen­zia­men­to di una pri­ma tran­che di 500.000 lavo­ra­to­ri pub­bli­ci (il 10% del­la for­za lavo­ro del pae­se), cui se ne aggiun­ge­ran­no altri 500.000 nei pros­si­mi cin­que anni.
Il gover­no cuba­no pre­sen­ta que­ste misu­re come una neces­si­tà per “difen­de­re” e “moder­niz­za­re il socia­li­smo”, ade­guan­do­lo alle attua­li con­di­zio­ni eco­no­mi­che e poli­ti­che inter­na­zio­na­li. Al con­tra­rio, l’unica spie­ga­zio­ne rea­le è che que­sti prov­ve­di­men­ti sono l’inevitabile con­se­guen­za del fat­to che il capi­ta­li­smo è già sta­to restau­ra­to a Cuba e pos­so­no esse­re com­pre­si in que­sto qua­dro sol­tan­to come la rispo­sta di un gover­no capi­ta­li­sta all’attuale cri­si eco­no­mi­ca inter­na­zio­na­le, e cuba­na in particolare.
La stes­sa cosa può dir­si per la casa (ana­li­si atten­di­bi­li sti­ma­no il fab­bi­so­gno in una cifra fra 500.000 e 1,5 milio­ni di abi­ta­zio­ni), l’alimentazione (il gover­no ha deci­so di abo­li­re la tes­se­ra anno­na­ria, che garan­ti­va alme­no una par­te dei pro­dot­ti per la soprav­vi­ven­za), l’istruzione (miglia­ia di inse­gnan­ti cuba­ni han­no lascia­to le aule per la mise­ria dei sala­ri per­ce­pi­ti: la diser­zio­ne è tale che il gover­no si è visto obbli­ga­to ad uti­liz­za­re stu­den­ti uni­ver­si­ta­ri e per­fi­no di scuo­la media per copri­re le clas­si), e la sani­tà pub­bli­ca (non poten­do soprav­vi­ve­re con i bas­si sala­ri per­ce­pi­ti, medi­ci e infer­mie­ri si dedi­ca­no al mer­ca­to nero dei far­ma­ci, oppu­re pre­fe­ri­sco­no anda­re in mis­sio­ne all’estero per gua­da­gna­re di più). Voci non con­fer­ma­te né smen­ti­te dal gover­no indi­ca­no che nei pros­si­mi tem­pi sul­la popo­la­zio­ne gra­ve­rà una for­ma di com­par­te­ci­pa­zio­ne alla spe­sa sani­ta­ria (vale a dire, ciò che acca­de nei pae­si capi­ta­li­sti col paga­men­to del ticket).

Difen­de­re dav­ve­ro la Revo­lu­ción
Allo­ra – e qui spie­ghia­mo il sen­so del tito­lo di quest’articolo – dav­ve­ro Cuba non è “un’isola”. Sia per­ché, appun­to, il capi­ta­li­smo è già sta­to restau­ra­to da una buro­cra­zia che si è tra­sfor­ma­ta nel­la nuo­va clas­se bor­ghe­se can­cel­lan­do la con­trad­di­zio­ne dell’esistenza di un’economia non capi­ta­li­sta nel siste­ma capi­ta­li­sti­co mon­dia­le; sia per­ché il com­ples­si­vo pro­ces­so che ha con­dot­to a que­sto risul­ta­to è mol­to simi­le a quel­lo occor­so negli altri ex Sta­ti ope­rai e, in par­ti­co­la­re, a quel­lo cine­se, in cui pure la buro­cra­zia che con­ti­nua a defi­nir­si “comu­ni­sta” ha gesti­to la tra­sfor­ma­zio­ne del­lo Sta­to e ora gode dei rela­ti­vi bene­fi­ci[1]. Ma inten­dia­mo anche deli­nea­re un aspet­to pra­ti­co tutt’altro che secon­da­rio di que­sto dibattito.
In Cina, la buro­cra­zia restau­ra­zio­ni­sta stron­cò sul nasce­re ogni pos­si­bi­le oppo­si­zio­ne con un pesan­te inter­ven­to poli­zie­sco e mili­ta­re con­clu­so­si nel san­gue spar­so a Piaz­za Tie­nan­men il 4 giu­gno 1989. Non pos­sia­mo oggi pre­ve­de­re se a Cuba, a fron­te dei prov­ve­di­men­ti eco­no­mi­ci che peg­gio­re­ran­no ancor di più le con­di­zio­ni del­la popo­la­zio­ne, il movi­men­to di mas­sa irrom­pe­rà nel­la sce­na poli­ti­ca, come già acca­du­to in pas­sa­to[2]. Se ciò doves­se acca­de­re e il regi­me, come in Cina, rea­gis­se per schiac­cia­re la mobi­li­ta­zio­ne, da che lato si por­reb­be­ro colo­ro che più o meno one­sta­men­te con­ti­nua­no a vede­re in Cuba “l’ultimo bastio­ne socia­li­sta”? Appog­ge­ran­no que­sto movi­men­to e con­tri­bui­ran­no con tut­ti i set­to­ri rivo­lu­zio­na­ri cuba­ni a dispu­ta­re la dire­zio­ne del movi­men­to alle cor­ren­ti capi­ta­li­ste? Oppu­re faran­no come fece la mag­gior par­te del­la sini­stra rispet­to ai fat­ti di Tie­nan­men, cioè un fron­te uni­co col gover­no per mas­sa­cra­re i lavo­ra­to­ri e gli stu­den­ti “con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri”?
Non si trat­ta di una doman­da reto­ri­ca, poi­ché va ricor­da­to che i diri­gen­ti cuba­ni non han­no mai smes­so di guar­da­re alla Cina come loro riferimento.
I sedi­cen­ti “difen­so­ri del­la Revo­lu­ción” stan­no, in real­tà, difen­den­do una casta che ha già rein­tro­dot­to il capi­ta­li­smo nel­la Isla uti­liz­zan­do l’autorità che le deri­va dal­la rivo­lu­zio­ne del 1959; stan­no, in ulti­ma ana­li­si, difen­den­do un pae­se gover­na­to da una dit­ta­tu­ra capitalista.
Per difen­de­re real­men­te quel­la rivo­lu­zio­ne, è inve­ce neces­sa­rio rove­scia­re quel regi­me ripren­den­do nel con­tem­po le con­qui­ste strut­tu­ra­li del 1959: con una nuo­va espro­pria­zio­ne del­la bor­ghe­sia, nazio­na­le ed inter­na­zio­na­le; col recu­pe­ro del mono­po­lio del com­mer­cio este­ro; con la rico­stru­zio­ne dell’economia cen­tral­men­te pianificata.
Costrui­re una nuo­va rivo­lu­zio­ne, con­tro il gover­no e lo Sta­to cuba­ni che la stan­no tra­den­do, signi­fi­ca dav­ve­ro difen­de­re la Revo­lu­ción.


Note

[1] C’è un dato sul­la Cina, abba­stan­za cono­sciu­to, secon­do cui, dei 3.220 cine­si con una for­tu­na supe­rio­re a 10 milio­ni di dol­la­ri, 2.932 sono o era­no fun­zio­na­ri di alto ran­go del Par­ti­to comunista.
[2] Ad esem­pio, nel 1994, nel­la cri­si dei “bal­se­ros”, in cui solo l’autorità di Fidel Castro riu­scì a seda­re le nume­ro­se e par­te­ci­pa­te rivol­te che si svi­lup­pa­va­no spon­ta­nea­men­te nel cen­tro dell’Avana.