Dieci giorni che sconvolsero il mondo
John Reed
[…] Il Congresso (panrusso dei Soviet) doveva riunirsi all’una e la grande sala riunioni già da un bel pezzo era piena, ma alle sette il presidium non si era ancora fatto vedere … I gruppi bolscevico e socialista rivoluzionario di sinistra erano in riunione nelle rispettive sale. Per tutto il pomeriggio Lenin e Trotsky avevano lottato contro le tendenze al compromesso. Una parte considerevole dei bolscevichi era dell’opinione di far concessioni e ricreare un governo di coalizione tutto formato da socialisti […] Lenin invece, e Trotsky a fianco a lui, rimaneva fermo come una roccia […]
Erano le otto e quaranta quando una tempesta di applausi annunciò l’ingresso del presidium, con Lenin, il grande Lenin. Piccolo e tarchiato, con una grossa testa calva direttamente attaccata alle spalle, gli occhi piccoli, il naso camuso, la bocca larga e generosa e il mento pesante. Era completamente rasato ma la sua famosa barba stava ricominciando a crescere. Indossava degli abiti consunti, i calzoni erano troppo lunghi. Nient’affatto adatto per essere l’idolo della folla, fu amato e venerato come pochi capi nella storia lo sono stati. Uno strano capo popolare, capo per le sue sole doti intellettuali. Incolore, privo di umorismo, intransigente e distaccato, senza idiosincrasie pittoresche – ma dotato della capacità di spiegare idee profonde in termini semplici, di analizzare le situazioni concrete. Il tutto combinato con l’acutezza e con una grandissima audacia intellettuale.
Kamenev stava leggendo il rapporto sull’attività del Comitato militare rivoluzionario […] Seguirono altri oratori […]
Infine fu il turno di Lenin, che si afferrava al parapetto della tribuna, muovendo sugli astanti i piccoli occhi socchiusi, fermo, in attesa, apparentemente insensibile alla lunga ovazione, che si prolungò per diversi minuti. Quando fu finita disse semplicemente: «Adesso passiamo all’edificazione dell’ordine socialista!».