Italia: il rebus “anti austerità” di Renzi e la verità sul deficit
Thomas Fazi
Pubblicato il 6/10/2016 sul sito SocialEurope.eu
L’ultimo progetto della legge di bilancio – approvato soltanto qualche giorno fa – conferma ciò che tanti critici del governo hanno sempre sostenuto: la retorica anti austerità di Matteo Renzi è solo retorica. Dalla sua nomina a primo ministro nel febbraio 2014, Renzi è stato un critico senza mezzi termini dell’austerità. Fra i titoli recenti – spesso accompagnati da romanzate ricostruzioni su scontri a porte chiuse tra Roma e Bruxelles (e/o Berlino) – figurano: “L’austerità va bene solo per la Germania, dice Renzi”, oppure “Renzi fa a pezzi l’austerità di Merkel”, o ancora “Renzi attacca ‘l’accanimento terapeutico’ dell’Ue con l’austerità”. Dopo il recente terremoto nel centro Italia, Renzi si è impegnato ad “assumere tutti i provvedimenti [di flessibilità di bilancio] necessari” per il suo piano di ricostruzione, tra le espressioni di sostegno di vari leader europei, tra cui Angela Merkel (che ha detto che a Renzi sarebbe stato concesso un “comprensivo ascolto” per il suo piano).
La solidarietà post‑terremoto è stata di breve durata. Dopo poche settimane, nel vertice di crisi dell’Ue a Bratislava, Renzi non ha partecipato alla conferenza stampa finale con i suoi omologhi di Germania e Francia, a causa dei disaccordi su economia e immigrazione. Nei giorni che hanno preceduto la pubblicazione della legge di bilancio è diventato evidente che alle ragioni di Renzi per una maggiore flessibilità erano state fatte orecchie da mercante. Il primo è stato Jens Weidmann, presidente dell’infame Bundesbank, che ha accusato l’Italia di “abusare” della clausola di flessibilità contenuta nel Patto di Stabilità e Crescita (Stability and Growth Pact, Sgp) e ha chiesto a Renzi di pensare alle riforme strutturali e alla riduzione del debito. Poi è stato il turno di Pierre Moscovici, commissario europeo agli Affari economici e finanziari, che ha detto che l’Sgp “funziona bene” e ha escluso la concessione di maggiore flessibilità all’Italia (benché avesse appena concesso a Spagna e Portogallo un rinvio dell’applicazione delle norme di bilancio europee a deficit molto più alti di quello italiano, il doppio per quel che riguarda la Spagna). Da ultimo, Mario Draghi ha bruscamente chiuso la discussione dichiarando che le norme dell’Ue già prevedono “molta flessibilità” e che “i Paesi … dovrebbero pensare più alla composizione che alla dimensione dei loro bilanci” (nonostante i suoi numerosi appelli negli ultimi mesi per un maggior appoggio fiscale del quantitative easing della Bce).
Di fronte alle posizioni ufficiali di entrambe le parti – da un lato, un primo ministro che ha ripetutamente denunciato le regole fiscali dell’eurozona e che si trova alla testa di un Paese che affronta la recessione più lunga e profonda della sua storia; dall’altro, un establishment europeo che insiste per una maggiore austerità – un osservatore non informato potrebbe essere perdonato se credesse che Renzi andrà a sfidare le norme Ue e unilateralmente aumentare il deficit. Del resto tutti gli altri in Europa sembrano non rispettare le regole: non solo Spagna, Portogallo, Francia e Grecia sono molto al di sopra del 3% di deficit del Pec, ma anche la Germania ha da anni violato in maniera aggressiva le norme sul surplus commerciale dell’Ue.
Tuttavia, il nostro immaginario osservatore resterebbe molto deluso: non solo il recente progetto di legge di bilancio non prevede un aumento del deficit fiscale italiano nel 2017, ma in realtà prevede una riduzione dall’attuale 2,6% al 2,4%. E non perché ci si attenda che l’economia comincerà a crescere magicamente – il tasso di crescita stimata per il 2017 è pari a un magro (e fin troppo ottimista) 1% — quanto perché il governo ha vergognosamente accettato di continuare con le misure di austerità sotto forma di tagli addizionali di bilancio (nonostante l’Italia abbia ridotto la spesa pubblica più di qualsiasi altro Stato membro dall’inizio della crisi).
Per comprendere le disastrose conseguenze di questa decisione è importante intendere la differenza tra il saldo primario di bilancio e il saldo globale di bilancio. È un errore molto comune pensare che quando parliamo di “deficit di bilancio” stiamo parlando solo delle entrate meno le spese del governo: cioè che i governi spendono più di quanto riscuotano in imposte. Invece, il saldo globale di bilancio comprende il pagamento degli interessi del debito esistente. Il saldo primario, al contrario, si riferisce alle entrate del governo, meno ciò che spende, senza includere il pagamento degli interessi del debito esistente: per cui, è questa logicamente la misura di cui dobbiamo tener conto nel valutare se un Paese sta portando a termine una politica fiscale espansiva o recessiva, e se stiamo trattando con una nazione “virtuosa” o “spendacciona”, come si dice oggi.
Naturalmente, il saldo primario e l’equilibrio globale non sempre puntano nella stessa direzione: se un Paese ha un’alta spesa per interessi in relazione al Pil, si può avere una situazione in cui il saldo primario è in surplus (cioè, il governo introita più di quanto spende), ma il bilancio è deficitario, dato che il saldo primario non è sufficiente per coprire tutti i pagamenti degli interessi: il che significa che quel Paese dovrà emettere nuovo debito semplicemente per pagare il suo debito.
Questo è il caso dell’Italia: nonostante la sua reputazione di spendaccione irresponsabile, è uno dei pochi Paesi in Europa (e nel mondo) che ha un importante avanzo primario; cioè, in media, ha sistematicamente incassato più di quanto abbia speso – al netto del pagamento degli interessi – dagli inizi del 1990.
Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla base di dati AMECO-Commissione europea
Tuttavia, ciò non è stato sufficiente per far fronte all’alto tasso di spesa per interessi del Paese, con una media di circa il 5% del Pil dall’anno 2000 (un’eredità degli altissimi saggi di interesse degli anni 80), per cui lo Stato ha dovuto contrarre nuovi debiti ogni anno solo per affrontare il pagamento del suo debito più vecchio: di qui il deficit globale. La stessa cosa si verifica per altri Paesi: secondo i dati della Commissione europea, tra il 1992 e il 2008, l’eurozona ha registrato un avanzo primario costante. Anche se ci limitiamo agli spendaccioni Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), vediamo che prima del 2008 tre di loro (Italia, Irlanda e Spagna) avevano un avanzo di bilancio primario e uno (Portogallo) aveva un bilancio primario praticamente in equilibrio. La Grecia è stato l’unico Paese con un deficit di bilancio primario grave.
Ciò non vuol dire che l’Italia e gli altri Stati membri debbano essere elogiati per queste politiche di bilancio. Al contrario, ci sono sufficienti prove che questo tipo di politiche di bilancio restrittive – applicate dagli inizi degli anni 90 da tutti i Paesi dell’Unione monetaria per rispettare i criteri di convergenza di Maastricht – rappresenta una delle principali cause del tasso di crescita stagnante di questo periodo. Questo è certamente il caso dell’Italia. Però smonta il vergognoso mantra post‑crisi recitato dall’Ue, secondo cui i Paesi europei hanno bisogno di “mettere in ordine i loro conti”. E mostra anche che il proposito (o, almeno, uno dei propositi) delle politiche di austerità dopo la crisi non è stato affatto aiutare i Paesi dell’eurozona in difficoltà, quanto invece ristabilire la loro capacità di pagare il debito. I tagli e gli aumenti delle imposte non hanno reso i governi europei più ricchi, o le loro finanze più sostenibili, ma hanno di fatto avuto l’effetto opposto, considerando gli effetti recessivi ben documentati di queste politiche; il denaro “salvato” mediante la riduzione dei servizi pubblici essenziali è andato direttamente nei portafogli dei creditori. E tutto ciò, infine, dimostra quanto sia surreale tutto il dibattito europeo sulla “flessibilità”: ciò che è in gioco non è se ai governi deve essere permesso di avere deficit primari più alti, ma la rapidità con cui debbono aumentare il loro avanzo primario.
Tornando all’ultimo progetto di legge di bilancio dell’Italia: il suo carattere recessivo è confermato dall’aumento stimato dell’avanzo primario dall’1,5% all’1,7% nel 2017. Ciò deprimerà ancor di più l’economia italiana, circostanza – questa – che è ben nota al governo. Persino il ministro delle Finanze, Pier Carlo Padoan, ha riconosciuto in una recente intervista al giornale Il Messaggero che «la riduzione della spesa pubblica in Italia ha portato a tassi di crescita più bassi che negli altri Paesi». Ciò che tuttavia è peggio è il fatto che quest’aggiustamento fiscale addizionale verrà portato a termine nonostante una riduzione stimata nel pagamento di interessi del Paese in questo periodo del 2% del Pil dal 2015 al 2017, grazie alle politiche di tassi di interesse ultra‑ribassati della Bce. Fin qui arriva lo “spazio di manovra fiscale” che si supponeva che il quantitative easing avrebbe concesso ai governi; nel migliore dei casi si potrebbe argomentare che senza di esso l’austerità sarebbe stata ancora maggiore.
Fonte: Ocse
Ma quest’ultima evoluzione non dovrebbe essere una sorpresa. Nonostante la retorica magniloquente contro l’austerità del premier Renzi, la verità è che da quando è salito al governo il saldo primario dell’Italia è costantemente aumentato e l’equilibrio globale costantemente diminuito: ciò che i disastrosi risultati economici del Paese negli ultimi anni mostrano fin troppo bene.
Fonte: Ministero italiano dell’Economia e delle Finanze sulla base dei dati ISTAT
Pertanto, si può solo concludere che:
- Renzi non ha mai avuto l’intenzione di sfidare seriamente l’austerità, il che ne fa il più grande ciarlatano da Berlusconi in qua; oppure:
- la sua idea di mettere in discussione l’austerità consiste nel denunciarne costantemente le regole mentre si vanta di essere l’unico governo in Europa a rispettarle, probabilmente con la perversa intenzione di dimostrarne l’inutilità facendosi un harakiri economico.
In ogni caso, l’Italia avanza certamente verso un secondo decennio perduto, come risultato delle incomprensibili politiche di Renzi.