In occasione della morte di Shimon Peres e del grande rilievo internazionale che hanno avuto i suoi funerali, pubblichiamo contemporaneamente in questa stessa pagina due articoli: uno del compagno Waldo Mermelstein, che destruttura la sua immagine di presunto pacifista, descrivendone sinteticamente la traiettoria politica che lo vide tra i principali responsabili della criminale politica dello Stato sionista d’Israele nei confronti della popolazione palestinese; l’altro del compagno Valerio Torre, che ricostruisce da un punto di vista teorico la vicenda che si sviluppa da settant’anni circa in quella regione del Medio Oriente, attraverso una lettura marxista che prende le mosse dalla “questione ebraica” per approdare alla “questione palestinese” di oggi.
La morte di Shimon Peres e il suo ruolo nella storia
Waldo Mermelstein (San Paolo del Brasile)
30 settembre 2016
(Dal sito esquerdaonline.com.br)
Poche volte l’ipocrisia che circonda le cerimonie ufficiali in occasione della morte di dirigenti pubblici ha superato ciò che è accaduto al funerale di Shimon Peres. Decine di capi di Stato hanno presenziato per commemorare un presunto pacifista. Barack Obama aveva dichiarato che era stato «un padre fondatore di Israele e un uomo di Stato il cui impegno con la sicurezza e la ricerca della pace era fondato nella sua ferma volontà morale e nel suo instancabile ottimismo». Nell’orazione funebre ha aggiunto che «Shimon Peres ci ha mostrato che la giustizia e la speranza sono nelle corde delle concezioni del sionismo, una vita nella libertà in una casa nazionale riconquistata».
L’unica parte autentica di questo discorso è che egli fu uno dei fondatori dello Stato sionista, ma si sarebbe dovuto spiegare che la “riconquista” significò l’espulsione degli abitanti originari e la “conquista” della terra negli ultimi settant’anni circa.
Un bilancio più onesto è stato fatto da Yossi Cohen, capo del Mossad, il servizio segreto israeliano, noto per i sui crimini all’estero: «Per molti anni, Shimon Peres ha lavorato col Mossad in operazioni tese a garantire la sicurezza di Israele e ne è stato uno dei leader più importanti. È stato un simbolo di pace e fratellanza e ha dato un enorme contributo per il rafforzamento della sicurezza dello Stato d’Israele».
Ma chi è stato Shimon Peres?
Nato in Bielorussia nel 1923, Szymon Perski – Shimon Peres in ebraico – emigrò in Palestina nel 1934 e divenne attivo nel movimento sionista. Fu militante della corrente laburista del sionismo per molti anni. Nel 1947, assunse dei compiti nell’Haganah, milizia ebrea in Palestina, antesignana dell’esercito israeliano.
Inviato all’estero da David Ben Gurion, allora dirigente della cosiddetta sinistra sionista e successivamente del futuro Stato, negoziò l’acquisto delle armi che furono in seguito utilizzate per la pulizia etnica perpetrata a partire da quell’anno, che portò all’espulsione di 700.000 palestinesi dalle loro terre e proprietà.
In quell’epoca, come dopo, i palestinesi, gli abitanti locali, erano visti come un fastidio e sarebbero stati eliminati o espulsi, in maniera fulminea nel 1947, oppure lenta – ma inesorabile – come nei successivi settant’anni circa.
Le sue credenziali in favore dell’imperialismo occidentale nella regione divennero sempre più chiare nel 1956, quando era direttore generale del ministero della Difesa di Israele nella preparazione e nell’esecuzione dell’invasione dell’Egitto insieme a Inghilterra e Francia, dopo la nazionalizzazione del canale di Suez da parte di Nasser.
Il padre dell’arsenale nucleare di Israele
A partire dal 1956, Peres è stato uno dei principali incaricati della gestione del progetto nucleare israeliano, centrato sul reattore atomico di Dimona nel deserto del Negev, primo passo perché lo Stato sionista diventasse la grande potenza atomica della regione, con un arsenale calcolato di 200 testate nucleari.
Nel 1976, secondo documenti desecretati, nella sua veste di ministro della Difesa, offrì in vendita testate nucleari al regime di apartheid sudafricano.
Nel settembre del 1986, come primo ministro di un governo di coalizione col partito di destra Likud, del quale era membro Itzhak Shamir (anch’egli vecchio criminale di guerra, affiliato al gruppo terrorista Lehi e corresponsabile del massacro di Deir Yasin nel 1948), ordinò il sequestro di Mordechai Vanunu, il tecnico nucleare che denunciò a Londra l’esistenza del programma nucleare israeliano. Condannato al carcere durante un processo a porte chiuse, è stato detenuto per 18 anni e oggi si trova in libertà vigilata, né può uscire dl Paese o tenere contatti con l stampa, nonostante l’intensa campagna interazionale.
Non a caso, in una dichiarazione estremamente rara, l’Agenzia israeliana per l’energia atomica (Aiea) ha affermato dopo la sua morte che «l’attività di Shimon Peres è stata parte dell’attività dell’Aiea dalla sua fondazione» e che «Peres ha dato un significativo contributo al Centro di ricerche nucleari nel [deserto del] Negev e per la fondazione della politica nucleare di Israele, come un pilastro fondamentale per salvaguardare la sua sicurezza nazionale». Impossibile essere più espliciti.
E Peres era chiaro sull’importanza del potenziale nucleare di Israele: «[Il reattore di] Dimona ci ha aiutati a ottenere [gli accordi di] Oslo. Poiché molti arabi, hanno iniziato a sospettare e sono poi giunti alla conclusione che a causa della sua esistenza che è molto difficile distruggere Israele. Bene, se il risultato è Dimona, penso di aver avuto ragione».
Ruolo chiave nella pulizia etnica dopo il 1948
Dopo l’espulsione di 700.000 palestinesi e la distruzione di centinaia dei loro villaggi, le leggi del nuovo Stato hanno regolamentato l’espropriazione delle proprietà e delle vite dei palestinesi superstiti. Uno degli articoli di queste leggi – l’articolo 125 della Legge di emergenza della requisizione delle terre – autorizzava l’imposizione del vincolo di zona militare chiusa sulle terre palestinesi. Ai loro proprietari ne era perciò impedito l’accesso, il che rendeva possibile la loro confisca per “mancata coltivazione” e l’assegnazione a nuovi coloni ebrei. Peres elogiò questa norma come un mezzo per «continuare direttamente la lotta per la colonizzazione e l’immigrazione ebraiche».
Oltre a ciò, fu un architetto chiave nel piano di “giudaizzazione” della Galilea, l’unica regione dello Stato d’Israele ad aver conservato una maggioranza araba: ciò significò l’espropriazione di terre palestinesi per creare diverse città.
Nel 1967, fu nominato ministro responsabile per i territori occupati e fu uno dei primi sostenitori del nascente movimento di colonizzazione della Cisgiordania, avendo appoggiato l’iniziativa dell’ala più radicale dei coloni, chiamata Gush Emunim.
Il Consiglio delle Comunità ebraiche della Giudea e della Samaria (nome attribuito dai coloni sionisti alla Cisgiordania) ha dichiarato dopo la sua morte: «In questo momento, vogliamo ricordare il grande contributo di Shimon Peres all’insediamento dell’infrastruttura di sicurezza di Israele sin dai suoi primi giorni, e il suo sostanziale apporto alla colonizzazione ebraica della Samaria».
Quest’anno, ha riassunto la sua posizione rispetto alla convivenza con i palestinesi utilizzando la tesi (razzista) della cosiddetta “minaccia demografica”, argomento ricorrente in tutto l’establishment israeliano. Secondo questa tesi, gli ebrei non possono essere minoranza nello Stato (e, se possibile, in nessuna delle sue regioni). Intervistato sulla possibilità che Israele “diventi” (sic!) uno Stato in cui una minoranza domina sulla maggioranza, ha risposto: «Molti si preoccupano di questo, e a ragione dato che si tratta di una questione di demografia, ma penso che dobbiamo giungere alla soluzione dei due Stati prima che ciò si verifichi, proprio per impedirlo. Non è automatico. Se giungeremo a un accordo con i palestinesi e loro avranno il loro Stato, allora quest’ombra (sic!) demografica scomparirà».
Premio Nobel per la partecipazione negli Accordi di Oslo
Nel 1987, ha fatto parte del governo di Yitzhak Rabin, all’epoca della repressione della prima Intifada, detta “ribellione delle pietre”. Fu questo governo a ordinare di “spezzare le ossa” di coloro che lanciavano pietre, comprese quelle dei bambini. La forza della ribellione obbligò il governo ad abbandonare l’idea di condividere col re Hussein di Giordania l’amministrazione della Cisgiordania e dimostrò che Israele non avrebbe potuto più dominare i territori occupati senza negoziare coi palestinesi. Ciò culminò negli Accordi di Oslo del 2003, che vide Peres come uno degli architetti, che infatti fu insignito del Premio Nobel per la Pace nel 2004.
Gli Accordi suscitarono grandi speranze tra i palestinesi dell’epoca, ma furono totalmente favorevoli a Israele.
I palestinesi rinunciarono di fatto al ritorno dei milioni di rifugiati, riconobbero le frontiere di Israele del 1948, si accontentarono con l’amministrazione locale delle maggiori concentrazioni urbane della Cisgiordania, lasciando a Israele il controllo totale della loro economia, delle loro frontiere, col diritto di intervenire militarmente dove e quando volesse. In cambio, Israele riconobbe semplicemente l’Olp quale rappresentante dei palestinesi, ma nessun altro diritto, che vennero affidati a negoziati futuri, che di fatto non si sono mai verificati.
Intanto, la colonizzazione della Cisgiordania è continuata senza fermarsi, riducendo la popolazione palestinese in piccoli territori separati tra loro che ricordano i vecchi bantustan del regime di apartheid sudafricano. Gerusalemme venne annessa a Israele. I palestinesi all’interno delle frontiere del 1948, che rappresentavano il 20% della popolazione, sono stati anch’essi abbandonati e continuano ad essere cittadini di seconda categoria dello Stato sionista. Gaza è diventata una prigione a cielo aperto, circondata per terra, cielo e mare e soggetta al controllo totale e a spedizioni punitive periodiche.
Questo scenario è parte dell’opera di Shimon Peres.
Crimini di guerra
Dopo l’assassinio di Yitzhak Rabin ne 1995, Peres era il primo ministro e fu responsabile diretto del massacro nel villaggio. di Qana, in Libano, durante la cosiddetta Operazione Furore dell’aprile 1996. Più di cento rifugiati palestinesi che fuggivano dai bombardamenti morirono in un rifugio dell’Onu.
La sua carriera ha compreso anche la partecipazione a governi che hanno represso con maggiore violenza anche la seconda Intifada a partire dal 2001. E fu primo ministro aggiunto nel governo di unità nazionale diretto da Ariel Sharon, conosciuto per la sua truculenza.
I potenti del mondo si sono riuniti e hanno prestato omaggio a un presunto pacifista, continuando a sostenere lo status quo in cui i palestinesi perdono sempre di più. Non si sono preoccupati per questa messa in scena, ancor più drammatica perché si svolge in una regione in cui ci sono altre tragedie in pieno sviluppo, come la guerra civile in Siria, in cui l’assedio di Aleppo causa sempre più morti.
L’eterno dirigente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abas (noto anche come Abu Mazen: ndt), è stata una voce stonata tra i palestinesi, avendo chiesto all’esercito israeliano l’autorizzazione a presenziare ai funerali e alla commemorazione di Shimon Peres, senza ascoltare, come ha detto Ilan Pappé, la voce delle sue vittime.
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