La tattica, la strategia e la prova della realtà
Luis Leiria
(dal sito Correio da Cidadania, http://tinyurl.com/zqh6qjr)
23 settembre 2016
La replica al mio articolo “La Lit, l’impeachment e la lotta contro Temer”, pubblicata sul sito della Lit il 18 settembre, ha corrisposto alla sfida di mantenere elevato il dibattito di idee, centrandolo nelle analisi, caratterizzazioni e politiche più adeguate per l’intervento della sinistra socialista nel Brasile di oggi. Non mi attendevo altro dal mio amico Alejandro Iturbe, che ancora una volta firma l’articolo “In realtà, discutiamo sulla strategia”.
Se il tono è di discussione di idee, la metafora usata da Iturbe per descrivere la polemica mi sembra infelice: «le polemiche politiche hanno una dinamica propria», scrive, «simile a un combattimento di pugilato […]: si cerca di schivare i colpi o i punti forti dell’avversario e, al contempo, di attaccarne le debolezze».
In tutta evidenza, se Iturbe ed io avessimo affrontato un match di boxe, il suo obiettivo – così come il mio – sarebbe stato quello della vittoria, preferibilmente per k.o. Ma non è questa, almeno da parte mia, l’intenzione. Ciò che mi ha indotto a scrivere il primo articolo non era “vincere” una qualsivoglia polemica, ma, al contrario, contribuire a ricondurre alla ragione un’organizzazione alla quale ho dedicato diciassette anni della mia vita e che vedo sull’orlo del precipizio.
Il Pstu ha cambiato posizione senza volerlo ammettere
Più specificamente, ciò che mi ha portato a rompere il silenzio che ho custodito da tredici anni rispetto alla Lit è stato il fatto di vedere per la prima volta, che io mi ricordi, il Pstu rifiutarsi di appoggiare e partecipare alle mobilitazioni contro il governo di turno, argomentando che queste erano per il ritorno del governo precedente. «Non siamo d’accordo e non parteciperemo alle manifestazioni che difendono un ex governo che altro non è stato che l’anticamera dell’attuale governo del Pmdb, che ha attaccato i lavoratori e preparato tutti gli attacchi che l’attuale esecutivo sta lanciando», scriveva il Pstu in una nota ufficiale a proposito dei cortei che, con lo slogan “Fora Temer” (“Cacciamo Temer”), venivano svolgendosi quotidianamente nelle principali capitali del Paese, con centro a San Paolo.
Col pretesto di condannare la repressione che si abbatteva su queste manifestazioni, la nota non lasciava dubbi circa il rifiuto del Pstu a parteciparvi, accusandole di essere «manifestazioni in difesa dell’ex presidente e contro un presunto golpe», e chiariva, senza lasciare spazio a dubbi: «non appoggiamo queste manifestazioni, né crediamo vi sia stato un golpe nel Paese».
È stato questo uno dei centri della mia polemica e, perciò, sono stato contento di vedere che il Pstu ha cambiato opinione passando a partecipare alle manifestazioni. Iturbe conferma questa circostanza, ma non riconosce il cambiamento di posizione: «Partecipiamo e sosteniamo tutte queste lotte concrete e lo facciamo pure in relazione a quelle manifestazioni che consideriamo realmente all’insegna del “Fora Temer”», scrive. Aggiungendo: «Il “Fora Temer” comincia ad acquisire peso di massa: il 90% della popolazione brasiliana rifiuta il suo governo e si cominciano a vedere le prime espressioni chiare di questa realtà. È un compito concreto e possibile nel corso della realtà del Paese».
Tra le righe si legge la scusa: tutte le manifestazioni a cui il Pstu si era rifiutato di partecipare non erano realmente per il “Fora Temer”, ma per il “Torni Dilma”. Non si comprende tuttavia il criterio. Si vuol forse dire che la manifestazione dei 100.000 di domenica 4 settembre a San Paolo non era “realmente” per il “Fora Temer”, ma che quella del successivo giovedì 8 lo era diventata e perciò la gioventù del Pstu aveva deciso di partecipare «alla convocazione del Dce dell’Usp»[1]? E quella di domenica 11, la prima in cui si è vista la partecipazione del Pstu al completo, era decisamente per il “Fora Temer”?
Se il criterio si fondava su quanto era scritto nel volantino di convocazione di giorno 4 a San Paolo, va detto che, in realtà, il titolo era “Contro il golpe”; ma nello stesso giorno c’era stata una manifestazione a Rio de Janeiro il cui volantino di convocazione portava il titolo “Fora Temer” ma non per questo il Pstu vi ha partecipato. Così come non ha partecipato alla manifestazione di Fortaleza convocata per il “Fora Temer” il 7 settembre, né alle manifestazioni del Grido degli Esclusi pure convocate con lo stesso slogan il 7 settembre, né a quelle di Belo Horizonte del 31 agosto, e neppure alla manifestazione del 29 agosto. Questi sono solo alcuni esempi.
In ogni caso, come ho già scritto, deve essere salutato con favore il cambiamento di posizione del Pstu, e la sua partecipazione alle manifestazioni costituisce già un’autocritica di fatto.
È mia opinione che questo mutamento si è verificato perché lo scontro con la realtà era troppo insopportabile e indubbiamente molti quadri dell’organizzazione hanno reagito rispetto al rifiuto a partecipare alle mobilitazioni contro il governo, fatto inedito nella storia del Pstu. Il cambiamento dimostra che ci sono ancora riserve di buon senso nel partito. Bene. Se questo dibattito dovesse aver contribuito, sia pure in minima parte, a questo mutamento, ne sarebbe valsa la pena e non mi interessa di aver abbassato la guardia e di aver fatto sì che Iturbe mi abbia messo alle corde, visto che è così entusiasta del pugilato.
Discussione sul golpe: soffermiamoci su di essa!
Fedele alla sua visione della polemica come un incontro di boxe, Iturbe mi accusa di “schivare” la questione, per lui cruciale, di definire se ci sia stato o meno un “golpe”, accusandomi di mancanza di serietà per non prendere posizione rispetto a questa “definizione essenziale”. Di fatto, nel mio articolo ho detto che «la polemica “golpe‑non golpe, golpe di palazzo‑manovra parlamentare” può essere stata importante ma già non ha più senso». Ma non ho scritto ciò per timore della discussione o per una manovra tattica. In tutta onestà, ritengo che la discussione sia superata, e siccome è stata affrontata in maniera velenosa, preferivo realmente non riprenderla.
In verità, la considero persino imbarazzante. Perché chi più ritiene che non ci sia stato un golpe è … lo stesso Temer, che ha scelto questo tema per il suo primo intervento nella prima riunione del suo governo subito dopo l’impeachment. Il Pstu è sulla stessa lunghezza d’onda non accorgendosi o non interessandosi di essere in tale compagnia.
Ma visto che la Lit ritiene essenziale questa definizione, affrontiamola.
Per iniziare, sgombriamo il campo. È corretto segnalare che il Pt e il PcdB hanno usato il tema del golpe per tentare di canalizzare un appoggio popolare al governo Dilma. Perciò queste organizzazioni hanno calcato la mano, definendo fascisti i difensori dell’impeachment e dissotterrando a sproposito lo slogan “No pasarán” della guerra civile spagnola. In realtà non c’è stato nessun golpe fascista, né ciò che è accaduto con l’impeachment di Dilma può essere paragonato al golpe del 1964, perché non c’è stato alcun cambiamento di regime e non viviamo oggi in una dittatura militare.
Ciò detto, intendo affermare che certamente c’è stato un golpe, un golpe con altre caratteristiche, ma sicuramente un golpe. In un articolo pubblicato sul sito Esquerda.net nello scorso mese di marzo, già avevo chiarito la mia posizione: «La maggioranza dei partiti di destra, il padronato rappresentato dalla potente Fiesp[2], il settore finanziario, i padroni dell’agrobusiness vogliono di fatto allontanare Dilma dalla presidenza e il Pt dal governo, ma ciò che stanno preparando è un “golpe costituzionale” basato sull’impeachment della presidente votato dai deputati e dai senatori, quantunque privo di base giuridica, cioè senza che vi sia un reato di cui Dilma Rousseff possa essere ritenuta responsabile». E spiegavo: «Questo tipo di golpe, che rovescia il governo ma mantiene intatto il regime, è conosciuto come “golpe paraguayano” in ricordo della destituzione del presidente di quel Paese, Fernando Lugo, avvenuta il 22 giugno 2012 attraverso una votazione del Senato, in un processo‑lampo, durato poco più di 24 ore».
Nello stesso articolo, affermavo che «non si può restare neutri dinanzi all’impeachment. Bisogna denunciarlo e opporsi alla farsa», ma chiarivo che «una cosa è denunciare e opporsi all’impeachment e un’altra, ben diversa, è appoggiare questo governo», perché «da quando si è insediata, Dilma Rousseff ha applicato una politica opposta a quella che aveva difeso in campagna elettorale», per cui il suo governo era indifendibile.
Mi rendo conto che Iturbe ha ben altro da fare che leggere quanto scrivo in Esquerda.net, sito di notizie del Bloco de Esquerda del Portogallo di cui mi onoro essere stato uno dei fondatori e di avervi lavorato per quasi dieci anni. Ma non può accusarmi di sfuggire a questa discussione. Come ho detto, la mia posizione è del 20 marzo di quest’anno.
Ciò che ho sostenuto all’epoca è lo stesso che sostengo oggi: c’è stato sicuramente un golpe reazionario che va denunciato. Un golpe parlamentare, costituzionale, di palazzo, un golpe bianco, o come vogliamo chiamarlo, ma certamente un golpe. Denunciarlo e essere contro l’impeachment non significa tuttavia appoggiare il governo di Dilma, che ha aperto la strada a questo stesso golpe mettendo in pratica una frode elettorale per aver applicato, sin dal primo giorno del suo secondo governo, un programma opposto a quello propagandato prima delle elezioni e sul quale aveva ottenuto 54 milioni di voti. Sia pure differenziandosi con evidenti sfumature, la maggioranza della sinistra socialista si era allineata a questa posizione, e ha fatto bene.
Ciò che la Lit ha sostenuto all’epoca del golpe del Paraguay
Oggi, di fronte all’impeachment, la Lit non ammette che sia possibile denunciare un golpe senza che ciò comporti la difesa del governo Dilma. Ci sono due possibilità nella sinistra: il Pstu è in una e il resto della sinistra sta nell’ultimo vagone del convoglio trainato dalla locomotiva della borghesia, i cui primi vagoni sono del Pt. O, per citare un’espressione molto usata dal Pstu, coloro che ritengono che ci sia stato un golpe – di qualsiasi tipo – altro non sono che “vedove di Dilma”.
Tuttavia, non sempre la Lit ha espresso un ragionamento così manicheo.
L’11 luglio 2012, il sito del Pstu pubblicò una dichiarazione della Lit intitolata “Colpo di stato in Paraguay: sconfiggiamo il golpe parlamentare e il governo di Franco nelle piazze!”, che così definiva la sua posizione di fronte alla deposizione del presidente Fernando Lugo attraverso un “giudizio politico lampo messo in atto in parlamento”: «la nostra posizione è chiara e categorica. Siamo assolutamente contro il golpe e facciamo appello al movimento di massa del Paraguay e di tutta l’America Latina per affrontarlo e sconfiggerlo nelle piazze, con la sua organizzazione e mobilitazione indipendenti».
La dichiarazione sosteneva che si trattava di «un golpe contro il movimento sindacale, contadino, popolare e studentesco» e di un «attacco diretto alle libertà democratiche conquistate durante decenni di lotta popolare». E aggiungeva con enfasi: «Siamo contro il golpe perché, per noi, è il popolo, e solo il popolo, che decide se un presidente deve restare o essere deposto». Quindi, insisteva: «Questo golpe attacca il diritto democratico basilare del popolo sfruttato: eleggere i suoi governanti».
La dichiarazione, tuttavia, segnalava: «La nostra opposizione frontale al golpe, però, non significa in nessun modo appoggio politico a tutto ciò che ha significato il governo di Lugo. Egli ha preparato, con la sua politica di conciliazione di classe, il terreno per il golpe».
Più oltre, rispondendo a coloro che ritenevano che Lugo era stato deposto per essersi scontrato con i privilegi dei ricchi e dell’imperialismo, la Lit affermava: «I socialisti rivoluzionari devono essere i migliori oppositori del golpe. Dobbiamo essere i campioni della resistenza contro il governo golpista di Federico Franco. Ma, al contempo, è necessario spiegare pazientemente che è stato lo stesso Lugo a preparare il terreno, agevolare e capitolare vergognosamente al golpe della destra reazionaria».
In totale, la dichiarazione usa 43 volte la parola “golpe” e lo definisce indifferentemente come “golpe reazionario”, “golpe della destra”, “golpe parlamentare”.
Un altro testo precedente, firmato dalla redazione del sito del Pstu, parlava di “golpe bianco” e esagerava: «la deposizione di Fernando Lugo configura un classico colpo di stato, simile a quello accaduto in Honduras nel 2009» (il grassetto è mio). In quest’articolo, il Pstu esigeva dal governo Dilma «che non riconoscesse e rompesse le relazioni col governo golpista».
Infine, una nota del Pt del Paraguay, sezione della Lit, affermava: «Riaffermiamo che il parlamento nazionale, un autentico covo di briganti, non rappresenta il popolo lavoratore e non ha la minima autorità politica o morale per destituire una persona designata dalla maggioranza del popolo tramite elezioni generali per esercitare l’incarico di presidente della repubblica». E più avanti: «Il Pt non riconosce il governo di Federico Franco, illegale e illegittimo perché imposto da un golpe parlamentare. È un governo nato da una violazione dei basilari principi democratici».
Mi sembra che queste citazioni siano più che sufficienti per dimostrare che la Lit del 2012, di fronte a un impeachment dalle enormi somiglianze con quello di Dilma Rousseff, aveva una posizione radicalmente diversa da quella assunta ora in Brasile. Di fatto, se nelle citazioni riprodotte sostituissimo “Fernando Lugo” con “Dilma Rousseff” e “Federico Franco” con “Michel Temer”, avremmo una posizione molto simile a quella che settori della sinistra socialista e io stesso difendiamo.
Non c’è alcun male nel cambiare di opinione. Ma la Lit deve una spiegazione a tutti coloro che sono stati accusati di essere “vedove di Dilma”: nel 2012 la Lit è stata “vedova di Lugo”?
Le manifestazioni della destra sono state “secondarie e ausiliarie”?
Spinto dal mio articolo a menzionare per la prima volta le grandi manifestazioni in favore dell’impeachment di Dilma, dirette dalla destra e fortemente partecipate dall’estrema destra, Iturbe si limita a dire che «in realtà, non ho parlato di queste mobilitazioni, non perché volessi nasconderle, ma perché le considero elementi secondari e ausiliari della situazione. Sono state sì mobilitazioni della classe media (come quelle del Pt). Ma non sono state l’elemento centrale che ha portato all’impeachment di Dilma».
Si noti che in nessun momento riconosce che erano mobilitazioni della destra, concedendo solo che erano di classe media, ma aggiungendo immediatamente che lo stesso accadeva con quelle del Pt.
Francamente, questa risposta è stupefacente. Confesso che non so che dire. Se le manifestazioni per il “Fora Dilma” (“Cacciamo Dilma”) del 15 marzo, 12 aprile, 16 agosto e 13 dicembre del 2015 e del 13 marzo di quest’anno, che hanno mobilitato in piazza centinaia di migliaia di persone, sono state “secondarie e ausiliarie” quali saranno mai da Iturbe considerate “principali e primarie”? Se la destra, che non ha mai fatto mobilitazioni di peso dalla fine della dittatura, è riuscita a portare in piazza un ampio settore della classe media, e persino frange di classe lavoratrice, e conquistare l’egemonia nelle strade, ciò è “secondario e ausiliario”? È possibile fare un’analisi dei rapporti di forza tra le classi senza tenere nel debito conto queste manifestazioni? Questo è marxismo o fantasia?
Iturbe si limita a riaffermare che «ciò che ha permesso che un parlamento corrotto e screditato allontanasse il Pt dal governo è stato che la base operaia ha rotto con esso, a causa dell’applicazione dei piani di ristrutturazione e delle controriforme che aveva promesso di non applicare. Perciò la sua base non ha mosso un dito per difenderlo, non perché sia stata guadagnata al programma della destra o da questa indotta alla passività, ma perché ha ritenuto – e giustamente – che non c’era nulla da difendere».
Ora, non ho mai affermato che la classe lavoratrice era stata guadagnata alla destra. Ho scritto invece che un importante settore di classe media lo era stato e che la classe lavoratrice era rimasta in attesa, il che vuol dire che non si è mossa per difendere il governo, ma anche che non ha fatto nulla per rovesciarlo.
“Cada cavadela, sua minhoca” (A ogni colpo di zappa, un lombrico)
Iturbe mi attribuisce una serie di opinioni politiche che non mi appartengono. Mi accusa di essere un sostenitore della teoria della “onda conservatrice” e di ritenere che il processo apertosi con le mobilitazioni del giugno 2013 si è chiuso trasformandosi nel suo opposto grazie alle mobilitazioni “verde‑oro” del 2015 e del marzo 2016.
Non riesce, tuttavia, a riportare, a fondamento della sua affermazione, alcuna citazione del mio scritto, per la semplice ragione che non ne esistono. Pertanto, andiamo a chiarire, telegraficamente, perché non rientra nell’ambito di quest’articolo fare un’analisi del giugno 2013. È mia opinione che il processo non si sia affatto chiuso. Prosegue, ad esempio, nelle mobilitazioni degli studenti medi e nelle occupazioni di scuole che, nel caso di San Paolo, sono riuscite a rovesciare il segretario dell’Istruzione di Alckmin. O nell’esplosione degli insegnanti del Paranà. Sarebbe forse potuta essere un’espressione politica nuova se la sinistra fosse riuscita a confrontarsi con un fenomeno con molti tratti in comune con quello degli Indignati della Spagna.
Dato che non ho vissuto in Brasile in questi anni dal 2013 al 2016, probabilmente molte altre mobilitazioni e fenomeni mi sono sfuggiti. Ma c’è una cosa che posso affermare: le mobilitazioni della destra contro Dilma non fanno parte di questo processo, ma del suo contrario. Per Iturbe è così o no? Non è chiaro. Ciò che di nuovo sembra è che la Lit vede un processo dall’unico sviluppo fra il 2013, le mobilitazioni del 2015 e 2016 e l’impeachment di Dilma.
Una notazione finale su questo tema: l’uso che Iturbe fa dei sondaggi elettorali per le presidenziali del 2018 è abbastanza bizzarro. Sostiene che i sondaggi indicano che «i candidati borghesi della destra ottengono cattivi risultati: Aécio Neves il 14% (non andrebbe al secondo turno) e Michel Temer il 5%». E aggiunge: «se sommiamo gli altri candidati minori e l’estrema destra (Jair Bolsonaro col 7%), tutti insieme non raggiungono il 30%, abbastanza al di sotto del voto tradizionale della destra in questo Paese».
Solo che ha omesso di citare i restanti risultati: Lula col 22%, Marina col 17%, Ciro Gomes con il 5%, Luciana Genro col 2%, Ronaldo Caiado e Eduardo Jorge entrambi con l’1%. I voti bianchi o nulli ammonterebbero al 18% e il 7% degli intervistati non hanno risposto.
C’è un proverbio portoghese che recita “cada cavadela, sua minhoca” (A ogni colpo di zappa, un lombrico), che vuol dire che quanto più si rimesta in un tema, tante più cose appaiono. Per voler dimostrare che la destra tradizionale non ha un buon risultato, Iturbe “dimentica” di citare il 22% di Lula. Che fine fa allora la dimostrazione della rottura della classe lavoratrice col Pt? Da dove viene questo 22%?
Il governo Temer è molto debole?
L’articolo con cui sto polemizzando afferma, a dimostrazione finale della sua visione del processo di impeachment, che il governo Temer è molto debole. «Possiamo discutere se è ugualmente o più debole di quello di Dilma, ma è chiaro che non ha rappresentato un rafforzamento del regime borghese di fronte alle masse», dice Iturbe, che poi mi attribuisce la conclusione “logica” che il governo Temer è un governo forte, cosa che non ho mai sostenuto, né scritto.
A questo proposito posso solo dire: magari la Lit avesse ragione! Perché nella sua fase finale Dilma già non riusciva più a governare. Speriamo che con Temer realmente accada lo stesso. Iturbe ha ragione quando dice che non c’è un rafforzamento di fronte “alle masse”, se traduciamo la parola “masse” con “classe lavoratrice”. Ma c’è l’altra faccia della medaglia. C’è un’alleanza, per il momento molto solida, di tutta la borghesia intorno a Temer, nonostante i guai in cui egli si è trovato coinvolto all’inizio. I principali conglomerati dell’informazione lo proteggono in maniera unitaria. Per di più, Temer non ha aspirazioni elettorali per il 2018 (ciò fa parte dell’accordo con il Psdb che non si candiderà).
Perciò la borghesia incassa da Temer controriforme legislative che Dilma non avrebbe avuto la minima possibilità di imporre. Ma Temer fa oggi affidamento su una solida maggioranza parlamentare e sembra deciso a far approvare le controriforme del lavoro, delle pensioni e la privatizzazione della Petrobras spezzettata.
D’altro canto, a parti invertite, la destra è rimasta senza una bandiera per poter scendere in piazza. Non è in condizione di convocare una mobilitazione di sostegno a Temer e la parola d’ordine della lotta alla corruzione si scontra con l’intenzione del nuovo presidente di insabbiare e porre termine all’inchiesta giudiziaria “Lava Jato”[3] prima che coinvolga il Psdb e il Pmdb.
L’impeachment di Dilma ad opera della destra all’inizio ha determinato una relazione di forze più favorevole alla borghesia. Ma la classe lavoratrice e i giovani non sono stati sconfitti. E ancora è in piedi la Primavera femminista che ha messo radici e può tornare con forza in qualsiasi momento. Perciò, la situazione non si è stabilizzata. Ci sono ancora molte lotte a venire e il risultato non è definito. Il problema è che se la sinistra socialista non costruisce un’alternativa al lulismo tutto prima o poi precipiterà. Ed è qui che entra in gioco la questione della strategia, la più importante di tutte secondo quanto scrive Iturbe.
Volontarismo inconseguente
L’articolo mi rivolge le accuse che abitualmente tutti i rivoluzionari riservano ai riformisti dai tempi di Bernstein: che per me il socialismo è solo per i giorni di festa, perché non comprendo la dialettica fra la tattica e la strategia, e, peggio ancora, che non difendo più nemmeno l’indipendenza di classe, ecc. Rimane da sapere perché la Lit spenda il suo tempo per polemizzare con un rinnegato che farebbe arrossire di vergogna persino Kautsky. Lasciamo dunque da parte questo tentativo di squalificarmi e veniamo al contenuto della discussione.
Iturbe sa bene che la rivoluzione non si decreta, e che, per quanta volontà e “fede” un partito abbia nella rivoluzione socialista, essa non dipende dal nostro volontarismo: è la classe che deve essere disposta a fare la rivoluzione o questa non si verificherà. E anche nelle crisi rivoluzionarie ci sono limiti per la crescita dei partiti rivoluzionari, che dipendono dalla sua struttura di quadri. Iturbe sa che la rivoluzione socialista presuppone una tappa di crisi acuta, di grandi mobilitazioni di massa, di scioperi generali, occupazioni di fabbriche e terre. Ma, soprattutto, la rivoluzione non si fa senza organismi di doppio potere che prefigurino il nuovo Stato che verrà.
Ebbene: io ho vissuto quella che probabilmente è stata l’ultima rivoluzione di carattere socialista che ha prodotto organismi di doppio potere, la rivoluzione portoghese del 1974. Questi organismi, le commissioni dei lavoratori, dei cittadini, le assemblee, le commissioni di soldati nelle caserme, di gestione democratica o consigli direttivi nelle scuole non fecero la loro apparizione come prodotto di una politica di partito, di una volontà di un partito rivoluzionario; ma perché erano poste necessità che le masse lavoratrici, contadine, gli studenti e i soldati volevano risolvere con la loro propria iniziativa. L’assenza di direzione rivoluzionaria ingessò questo processo che cominciò ad essere sconfitto dal golpe del 25 novembre del 1975 e fu vinto definitivamente da ciò che all’epoca definimmo come “reazione democratica”.
Ho vissuto questo fenomeno e sono stato parte attiva di questi organismi di potere. Purtroppo, nei processi rivoluzionari a cui ho partecipato successivamente non si è mai ripetuto questo fenomeno. Così, dire come fa Iturbe nell’articolo “Impeachment di Dilma: non piangere per me, Brasile” che «la strategia della lotta contro il governo Temer e i suoi provvedimenti si deve inquadrare nella prospettiva di una strategia molto più offensiva: la presa del potere da parte dei lavoratori e delle masse» si risolve in una dichiarazione di volontarismo senza pratiche conseguenze, perché la presa del potere non dipende dalla volontà, né dalla fede.
Iturbe, però, si propone di «sconfiggere non solo Temer, ma anche tutto il regime corrotto» al servizio del capitalismo, «per insediare un nuovo regime» e «iniziare la costruzione di un nuovo tipo di Stato» al «servizio dei lavoratori e delle masse». Cioè, la costruzione di uno Stato basato sugli organismi dei lavoratori è già fissata per quando Temer sarà rovesciato. Iturbe crede che quest’ipotesi sia sul punto di verificarsi? Temer ha solo due anni di mandato.
Anche se fosse possibile, occorrerebbe svolgere un compito indifferibile per quest’obiettivo: costruire lo strumento che possa condurre i lavoratori su questa strada. Il Pstu, unica organizzazione che afferma di avere una strategia, si prepara a farlo da solo. Ma, per questo, si trova a fare i conti con un ostacolo che, piaccia o no, persiste: l’influenza di Lula sui lavoratori.
Strategia socialista: quale posizione di fronte a un eventuale arresto di Lula?
Come già abbiamo visto, Iturbe mi accusa di non comprendere la relazione dialettica fra tattica e strategia, il che avrebbe come conseguenza che, nel mio caso, “ogni tattica viene ritenuta valida in sé”. Il Pstu/Lit, al contrario, si presenta come modello in questa sempre difficile articolazione fra la politica quotidiana e gli obiettivi rivoluzionari. La prova della realtà, tuttavia, non sembra dimostrare quest’abilità.
Si veda il caso più scottante dopo l’impeachment di Dilma, quello dell’accusa e della possibilità di arresto di Lula da parte del Procuratore federale. Al momento di chiudere quest’articolo, la posizione ufficiale del Pstu/Lit è l’articolo di Mariucha Fontana, “Lula, l’Autolavaggio e la classe lavoratrice”. E precisiamo bene la data (21 settembre), perché in una settimana il Pstu ha già significativamente cambiato posizione. Nell’articolo più recente, la dirigente del Pstu riconosce che quelli che accusano Lula di essere a capo di un’organizzazione criminosa non presentano prove, ma solo “convincimenti”. E aggiunge: «A luglio, non c’era base giuridica per l’arresto cautelare di Lula o l’aggressione ai suoi diritti individuali. Ciò merita il nostro ripudio. Continuiamo a ripudiare qualsiasi condotta arbitraria della procura federale». Subito dopo, attacca la tesi dell’imparzialità del potere giudiziario: «Questo serve gli interessi delle banche e delle grandi imprese. E ciò vale per il Supremo Tribunale federale, per il Supremo Tribunale di giustizia, per il Tribunale Supremo del Lavoro e per il Procuratore federale. Vale anche per il giudice Sérgio Moro e il procuratore Deltan Dellagnol. Basti vedere che le indagini di corruzione dei “tucani”[4] e dei membri del Pmdb procedono a passo di lumaca».
Così, il Pstu riconosce che l’operazione Autolavaggio serve gli interessi della borghesia. Non è chiaro, tuttavia, se, nell’eventualità dell’arresto di Lula in assenza di prove com’è adesso (e sono due anni che i procuratori cercano senza successo altre prove), il Pstu sarà a favore o contro la detenzione e la condanna di Lula, giacché le considera una “condotta arbitraria” del potere giudiziario.
Né è chiaro perché l’articolo di Mariucha Fontana salti dal terreno penale a quello politico, affermando che i lavoratori non hanno motivo di difendere Lula perché questi ha girato loro le spalle facendo alleanze con banchieri, imprenditori e padroni, ha governato per le banche e le grandi imprese, non già per i lavoratori. Perciò, Lula, il Pt e le loro campagne sono stati finanziati con denaro delle grandi imprese, abbandonando «l’indipendenza che ogni organizzazione dei lavoratori deve avere rispetto ai padroni».
E conclude affermando che «i lavoratori debbono continuare a esigere l’arresto e la confisca dei beni di tutti i corrotti e corruttori, siano essi del Pt, del Pmdb o del Psdb». L’ultima frase è: «I lavoratori non hanno motivo per difendere Lula».
Il problema di questa posizione è che non distingue il “processo” politico di Lula, che deve essere condotto (e lo è) dalla classe lavoratrice e verrà misurato dal livello di appoggio che egli conserva, e il processo penale propriamente detto. Il processo politico è in corso ed è avanzato molto con l’esperienza dei governi Dilma, in particolare del secondo, eletto sulla base di una frode elettorale, dal momento che il programma della campagna elettorale è stato poi sostituito con quello del suo avversario politico. Al contempo, il processo penale ha subito un’accelerazione, poiché la procura federale ha formalmente incriminato Lula senza avere aggiunto altre prove che non fossero quelle portate a luglio scorso, quando, come bene ha scritto Mariucha Fontana, «non c’era base giuridica per l’arresto cautelare di Lula o l’aggressione ai suoi diritti individuali».
Ora, se i procuratori dell’inchiesta Autolavaggio, come sembra incontestabile, hanno un’agenda politica al servizio della classe dominante, avendo costruito un edificio gigante che giuridicamente ha i piedi d’argilla, non si comprende come il Pstu non difenderà Lula nel caso Sergio Moro ne ordinasse l’arresto.
Ciò non implica in alcun modo una difesa politica di Lula. Significa l’intransigente difesa dei diritti e delle garanzie democratiche che, se non salvaguardati oggi, potremmo perdere domani (e a ragione), se fosse la sinistra socialista ad essere seduta sul banco degli imputati con accuse infondate.
Quanto all’analisi secondo cui la borghesia riesce ad attaccare Lula solo perché la classe lavoratrice ha rotto con lui, mi sembra che stia accadendo proprio il contrario. La destra sta processando Lula nel tentativo di farlo fuori dalla campagna elettorale del 2018, dato che i sondaggi lo danno come favorito col 22% delle intenzioni di voto, certamente la maggioranza dei lavoratori. Se Lula avesse solo il 5% nei sondaggi, non ci sarebbe tanta preoccupazione nel bloccarne il cammino.
Esigere l’arresto di Lula è una strategia socialista?
Ma l’articolo di Mariucha Fontana è stato pubblicato solo il 21 settembre, due giorni dopo che un altro articolo è stato cancellato, sia dal sito portoghese che spagnolo della Lit, sia dalla pagina Facebook del suo autore. Si tratta di un testo firmato da un altro importante dirigente della Lit, Eduardo Almeida, che andava molto oltre la posizione attuale (quella di Fontana: Ndt) ed esigeva l’arresto di Lula per corruzione: «Noi sosteniamo che tutti i corrotti debbono essere arrestati e i loro beni confiscati. E questo significa esigere l’arresto di Lula, nonché di Aécio e Renan, per il coinvolgimento nell’inchiesta Autolavaggio, di Alckmin per il furto nelle forniture delle mense scolastiche, e così via», affermava in una violenta polemica contro quelli che definiva «i nuovi sostenitori del petismo».
L’articolo era stato pubblicato lo stesso giorno della disastrosa conferenza stampa – con tanto di slide di PowerPoint – del procuratore Deltan Dellagnol , e confermava la sua accusa: «Dirigendo grandi schemi di corruzione», affermava, «i dirigenti petisti hanno anche iniziato a trattenere per sé una parte dei fondi. Il famoso “triplex”[5] e la villa di Lula ne fanno parte e, diciamo, una parte minima. C’è molto di più dietro».
Così, la Lit ha lanciato l’accusa, ha emesso la sentenza e ha rivendicato l’esecuzione della pena senza preoccuparsi dell’esistenza o meno delle prove. La parola “prove” non figurava in tutto l’articolo. Anche perché credere che Lula non fosse a conoscenza dello schema corruttivo – scriveva l’autore – «è più o meno come credere a Babbo Natale e al coniglietto di Pasqua».
Questo giustizialismo può anche essere molto popolare, ma rinforza soltanto un senso comune negativo: “sono tutti uguali”, “tutti sanno” che “sono tutti corrotti”. Al di là della giurisdizionalizzazione della politica – una politica di rivendicazioni alla giustizia federale, in particolare a Sérgio Moro e alla polizia federale («esigiamo l’arresto di Lula», ecc.) – mi sembra un ricorso inedito in termini di tattica rivoluzionaria.
Condannare l’imputato a scontare la pena senza prove costituisce un attentato alla democrazia in qualsiasi regime, sia di democrazia borghese che di democrazia socialista. È praticato quotidianamente dalle dittature, e lo è stato ogni giorno nei regimi stalinisti, che hanno perfezionato la tecnica di estorcere “confessioni” in processi farsa; è praticato molte volte in regimi di democrazia borghese.
Si potrebbe argomentare che la condanna e le esecuzioni sommarie sono applicate tutti i giorni in Brasile a danno della popolazione di colore. È vero. Ma non è a causa di questa pratica che i diritti e le garanzie democratiche non debbono essere più difese. Al contrario.
Per Eduardo Almeida, esigere l’arresto di Lula sarebbe la tattica migliore per stimolare la rottura della classe lavoratrice con l’ex presidente. A me sembra proprio il contrario. Da un lato, riconosce che la giustizia sta agendo in maniera distorta per l’urgenza di condannare Lula, mentre procede a passo di lumaca rispetto alle accuse ad Aécio o lo stesso Temer; ma, ciononostante, esige che Lula venga arrestato, condannato e spogliato dei beni. Fare questo renderebbe Lula un martire (cosa di cui lo stesso Lula ha piena coscienza) e farebbe sì, al contrario, che molti che già avevano rotto con lui tornino sui loro passi dinanzi a un caso di flagrante ingiustizia. È una tattica che isola soltanto il Pstu e rallenta o addirittura inverte il corso dell’esperienza della classe lavoratrice, permettendo che Lula assurga al ruolo di vittima. Al contempo, chi ha rivendicato l’arresto di Lula continuerà invano, se l’ottenesse, a esigere l’arresto di Aécio, di Alckmin e di Temer. O nutre qualche illusione nell’inchiesta Autolavaggio?
Ciò detto, resta una domanda: in che modo una esigenza alla giustizia borghese si articola con la strategia di creare quelle “istituzioni completamente differenti”, parte integrante di “un nuovo tipo di Stato”, al “servizio dei lavoratori e delle masse”, che dovranno sostituire Temer? Ecco una cosa che non riesco ad immaginare. Come si dice in Portogallo, “não bate a bota com a perdigota”[6]. Certamente sarà perché mi manca la perspicacia e ho poca familiarità con la dialettica.
Il mio “posto”
Ho lasciato per ultima una questione più personale che si trova all’inizio dell’articolo della Lit. Iturbe comincia chiarendo il “posto” dal quale faccio le mie critiche, segnalando che «Luis Leiria si presenta come un ex militante della Lit (il che è vero), ma non dice che ha rotto con essa da anni, diventandone avversario politico, e che per molto tempo ha occupato posti di grande responsabilità nel Bloco de Esquerda del Portogallo». In verità, avevo chiarito subito nella prima riga del secondo paragrafo del mio articolo che sono separato dalla Lit (in seguito, sì, ho detto che avevo rotto), avendo militato in quell’organizzazione per più di 25 anni.
Dal momento che Iturbe mi induce a parlarne, potrei aggiungere che il primo militante della corrente internazionale da cui poi è nata la Lit attuale, inviato per stabilire un contatto con un gruppo di giovani trotskisti portoghesi pochi mesi dopo l’inizio della Rivoluzione dei Garofani, venne a suonare alla mia porta, a Lisbona, quando avevo 17 anni (entrambi non militiamo più nella Lit).
D’altro lato, avendo affermato che sono diventato un avversario politico di questa corrente dato che milito nel Bloco de Esquerda, Iturbe dovrebbe chiarire che l’organizzazione portoghese della Lit, che all’epoca si chiamava Ruptura‑Fer, ha anch’essa militato all’interno del Bloco de Esquerda per 12 anni, dalla fondazione, nel 1999, fino al dicembre del 2011, quando ruppe per creare il Mas.
Infine, sostenere che sarei diventato avversario della Lit può dare l’idea sbagliata che io abbia passato i miei giorni, dacché ne sono uscito, a combatterla. Niente di più falso. Dalla rottura, verso la fine del 2003, non ho mai fatto una critica pubblica alla Lit, non ho mai iniziato una qualsiasi polemica con quest’organizzazione benché avessi numerose divergenze. Ho così osservato un periodo di silenzio di 13 anni finché ho deciso di cominciare questo dibattito.
Non mi considero avversario della Lit. Penso che si tratti di una corrente di militanti rivoluzionari sinceri, con i quali ho sempre più divergenze ritenendo abbiano imboccato un corso settario, autoproclamatorio e distruttivo. Ciò fa di me un avversario della Lit solo perché essa ritiene che tutta la sinistra mondiale sia stata colpita da un’alluvione opportunista, ad eccezione soltanto della stessa Lit. Non è la mia opinione.
Infine, un ultimo chiarimento: oggi sono un militante di base del Bloco de Esquerda e le opinioni che ho espresso sul Brasile non rappresentano necessariamente quelle del partito, che assume le sue decisioni negli appositi organi di direzione, ai quali non appartengo.
Note
[1] Direttivo centrale degli studenti dell’Università di San Paolo (Ndt).
[2] L’equivalente della nostra Confindustria (Ndt).
[3] Letteralmente “Autolavaggio”: è il nome dell’indagine giudiziaria che vede coinvolti numerosi uomini politici brasiliani in reati di corruzione per un importo complessivo di circa 10 miliardi di real. È stata quest’inchiesta che ha portato all’impeachment di Dilma Rousseff e ora al coinvolgimento di Lula (Ndt).
[4] Il riferimento qui è ai membri del Psdb, il cui simbolo è, appunto, il tucano (Ndt).
[5] Qui si intende un grande appartamento (Ndt).
[6] Espressione intraducibile letteralmente in italiano, ma è l’equivalente del nostro modo di dire “non si possono mischiare mele con pere”, cioè una cosa non si confà all’altra, l’una e l’altra non possono essere comparate tra loro (Ndt).