L’altro 11 settembre: la tragedia cilena
Waldo Mermelstein (*)
Il golpe militare che rovesciò Salvador Allende fece migliaia di morti, distrusse i partiti politici e le organizzazioni dei lavoratori e impose il modello precursore del neoliberalismo. Non a caso, gli studenti e le masse popolari che manifestano in questi giorni a centinaia di migliaia nelle strade di Santiago gridano lo slogan “Se va caer, se va caer, la educación de Pinochet”[1]. Così come l’istruzione, la sanità e la previdenza sociale sono, in grande maggioranza, privatizzate, al pari delle miniere di rame, principale ricchezza del Paese. Tanto profonda fu la sconfitta imposta nel 1973.
Il miglior tributo ai caduti, alle centinaia di migliaia di esiliati è questa dimostrazione di forza delle masse cilene. Ma come si giunse a un risultato così terribile? C’era un’altra possibilità? Come fu possibile che un così poderoso movimento sociale sia stato sconfitto praticamente senza combattere?
Il Cile nel 1970
Il Cile aveva circa 10 milioni di abitanti, un alto tasso di urbanizzazione (75%), un tragitto di quasi cento anni di organizzazione del movimento operaio, il più antico e potente partito comunista delle Americhe accanto ad un partito socialista altrettanto antico e forte, che aveva una forte ala sinistra. La democrazia borghese era abbastanza antica e stabile per gli standard latinoamericani: dal 1932 non c’erano stati golpe militari. Il movimento di massa contava su una potente centrale sindacale, la Cut, i cui iscritti rappresentavano circa il 25% dei salariati.
Negli anni 60, il Cile conobbe un profondo processo di mobilitazioni operaie, popolari e studentesche, causato dallo strangolamento del modello economico di sostituzione di importazioni, sotto l’influenza della rivoluzione cubana. Non a caso, nel 1964 la Democrazia cristiana (Dc) partecipò alle elezioni per contrastare la coalizione di sinistra declamando lo slogan “Rivoluzione nella libertà”. Il suo programma era centrato sulla riforma agraria, l’inclusione dei poveri delle città nell’economia e la “cilenizzazione” del rame. Questo partito contò sul forte sostegno dell’imperialismo americano che, a quell’epoca, metteva a punto il suo programma dell’Alleanza per il Progresso al fine di cercate di arrestare la forte influenza della rivoluzione cubana.
Dopo aver vinto le elezioni, il governo democristiano di Frei mostrò apertamente la sua faccia padronale, repressiva, filoimperialista. Inizialmente, la sua strategia sembrò avere successo, ma dopo due anni l’inflazione salì, la riforma agraria si arenò, la cilenizzazione del rame si mostrò un ottimo affare per le compagnie americane. Così, il movimento di massa cominciò ad aumentare significativamente le sue lotte e si produsse un aumento esponenziale degli scioperi, specialmente quelli illegali. Ci furono tre scioperi generali fino alle elezioni del 1970; i contadini, animati dalla promessa della riforma agraria, cominciarono ad occupare le terre e si avvalsero dell’appena approvato permesso di sindacalizzazione, prima negato.
L’Unidad Popular (Up)
Nel 1970 si tennero le elezioni e la coalizione dei partiti di sinistra, l’Unità Popolare (Up), ottenne la prima maggioranza (36%) con alla testa Salvador Allende. L’Up era composta dal Partito comunista (Pc), dal Partito socialista (Ps), oltre che da un piccolo partito fuoriuscito dalla Dc, il Movimento d’Azione popolare Unificato (Mapu) e da piccoli raggruppamenti borghesi, come il Partito radicale). Affinché il candidato vincente potesse vedersi confermata l’elezione sarebbe dovuto ancora passare attraverso l’approvazione parlamentare.
Intense pressioni e negoziati precedettero questa votazione. L’imperialismo americano cercò di istigare i settori che non volevano la presidenza di Allende. L’ex segretario di Stato Henry Kissinger sintetizzò con i suoi colleghi la considerazione che l’imperialismo americano aveva della volontà popolare con le parole: “Non vedo perché dovremmo restarcene tranquilli e vedere un Paese diventare comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo”.
L’estrema destra arrivò al punto di tentare il sequestro del comandante dell’esercito, René Schneider, propenso ad accettare il risultato delle urne, allo scopo di forzare un cambio di opinione delle forze armate e della borghesia, ma il generale resistette e venne ucciso, col risultato che il settore più golpista della borghesia perse terreno. Tuttavia, prima di votare la Dc obbligò l’Up ad accettare uno statuto di garanzie costituzionali che riaffermava l’impegno di mantenere le istituzioni centrali del regime capitalista.
Prima di iniziare a fare il bilancio del governo, due parole su Allende. Era un vecchio parlamentare socialista che si era candidato per la quarta volta alla presidenza. Era un convinto riformista e non lo nascose mai. Le reali concessioni fatte nella prima fase del suo governo, l’implacabile opposizione che il suo esecutivo subì da parte della borghesia e dell’imperialismo e la sua tragica morte ne hanno fatto un idolo delle masse. Ma non dobbiamo confonderci: il suo grande valore personale nell’ultima fase dello scontro che coraggiosamente affrontò con i “gorilla” cileni non ne redime gli errori nell’aver scelto – sbagliando – la cosiddetta via istituzionale al socialismo e non ne diminuisce la responsabilità nella sconfitta.
Il primo anno
L’Up aveva un programma di riforme di base che comprendeva l’accelerazione, nella stessa direzione della legge approvata dal governo Frei, della riforma agraria e, principalmente, la completa nazionalizzazione del rame, che rappresentava l’80% delle entrate delle esportazioni del Paese. In quanto all’industria, sarebbe stata divisa in tre settori, privato, misto e area di proprietà sociale (Aps). In quest’ultimo sarebbero state incorporate le imprese monopoliste. Nei settori non privati, l’unica partecipazione dei lavoratori sarebbe stata attraverso dei poco definiti comitati di vigilanza della produzione. Anche le banche sarebbero state nazionalizzate.
Il programma dell’Up faceva un vago riferimento a una transizione al socialismo nel rispetto delle leggi e delle istituzioni vigenti, senza specificare i suoi ritmi e metodi. In vari discorsi da presidente, Allende parlò di un secondo modo di transizione al socialismo, presuntamente difeso da Marx, cioè una transizione rispettando le regole stabilite dal regime borghese, pacifica, esaltando la supposta “flessibilità” delle istituzioni dello Stato cileno.
Un altro elemento del programma dell’Unidad Popular che spinse il movimento a lottare fu la dichiarazione che “le trasformazioni rivoluzionarie di cui il Paese ha bisogno potranno essere realizzate soltanto se il popolo cileno prende il potere nelle sue mani e lo esercita realmente ed effettivamente”. Era una dichiarazione generica, una concessione all’ala sinistra della coalizione, senza ulteriori precisazioni, ma anche così era un linguaggio diverso da quello degli altri governi e fu presa sul serio dai lavoratori e dai settori popolari e finì per oltrepassare di parecchio le azioni e le intenzioni del governo, scontrandovisi in vari momenti.
Il governo Allende fu un classico governo di collaborazione di classe in un Paese dipendente dall’imperialismo, segnato da una profonda instabilità, in modo particolare a partire dalla serrata padronale del 1972.
Per rendere più chiara questa definizione, cediamo alla tentazione di fare alcune analogie storiche per approssimarci a una realtà viva e completa.
Per il suo contenuto programmatico, per la sua pratica di cercare di mantenere il movimento di massa come una base d’appoggio sotto il controllo del governo, ma anche per i riferimenti retorici a una transizione al socialismo riservati ai “giorni di festa”, assomigliava ad altri governi nazionalisti borghesi dell’America Latina, tra cui quello di Goulart in Brasile. Per la composizione predominante dei partiti che lo componevano e per l’appoggio della principale organizzazione sindacale del Paese, la Cut cilena, somigliava ad altri regimi di collaborazione di classe, detti di fronte popolare per la denominazione datane dall’Internazionale comunista stalinizzata. La proposta era quella di organizzare un’alleanza antimonopolista, antioligarchica e antimperialista tra la classe lavoratrice, settori di classe media e una presunta borghesia nazionale, opposta ai monopoli e all’imperialismo, per completare una prima fase democratico‑borghese del processo rivoluzionario.
A partire dall’ottobre del 1972, il governo, oltre alle caratteristiche precedentemente elencate, cominciò ad assomigliare ai governi in auge nelle situazioni rivoluzionarie, sicché ci viene alla mente l’esempio di Kerensky nella Russia del 1917, in cui, pur continuando ad avere progetti e ad esistere, era totalmente impotente tra le due classi fondamentali che si scontravano, tra rivoluzione e controrivoluzione. In ogni modo, era un governo che, esplicitamente, non rompeva né voleva rompere i limiti del dominio statale capitalista.
Ma procediamo con ordine. Vediamo come si sviluppò il processo. Il Cile che Allende prese nelle sue mani viveva una profonda crisi economica, in recessione e con l’inflazione intorno al 35% e il maggior debito estero pro‑capite del mondo. L’Up applicò un’iniziale strategia di riattivazione dell’economia con misure keynesiane di stimolo, aumentando i salari, per lo meno a livello dell’inflazione, elevando i benefici sociali (tra cui la consegna gratuita di mezzo litro di latte per ogni bambino) specialmente per i pensionati, aumentando il credito per l’economia, diminuendo la disoccupazione, stimolando la costruzione di case popolari, accelerando la riforma agraria, cominciando a nazionalizzare i principali monopoli industriali e bancari attraverso il relativo acquisto e, in particolare, nazionalizzando le ricchezze naturali fondamentali, in primo luogo – è chiaro – il rame, il cosiddetto “salario del Cile”.
L’effetto fu enorme: nel 1971 ci fu un grande trasferimento di ricchezza verso il lavoro salariato, che alcuni stimano aver raggiunto il 10% del reddito nazionale (il che è davvero straordinario), la disoccupazione si ridusse quasi alla metà, al 3,9%. L’idea era, a partire dall’aumento della popolarità derivata da questi provvedimenti, di lanciare misure di democratizzazione dello Stato, in particolare della Asamblea Popular, una specie di camera legislativa unica, per potere proseguire con le riforme. Con ciò, cinque mesi dopo essere andata al governo, Up ottenne il 51% dei voti nelle elezioni municipali.
Ma le cose non andavano esattamente in direzione delle previsioni dei dirigenti di Up: la borghesia otteneva enormi profitti dalla riattivazione dell’economia ma non investiva quasi nulla, per il suo carattere parassitario e, soprattutto, per un calcolo politico: fino a che punto i dirigenti di Up avrebbero potuto controllare i lavoratori? La stessa sfiducia nutrivano i settori privilegiati delle classi medie urbane e rurali.
D’altro canto, le masse riponevano enormi aspettative nel governo e lo appoggiavano, sentendo che era giunto il momento di andare alla conquista dei propri diritti, da tanto tempo rinviata: le occupazioni delle terre si diffusero, persino superando i limiti della riforma borghese ereditata dalla Dc. Invece di rispettare il limite di 80 ettari di irrigazione di base, cosa che avrebbe lasciato circa il 40% delle terre migliori nelle mani dei grandi e medi proprietari, i contadini decisero di fare prima cominciando ad occuparle, organizzandosi in consigli contadini autonomi da quelli ufficiali e proponendo la radicalizzazione della riforma agraria. Un ruolo importante lo ebbero i Mapuches, popolo indigeno conquistato e spogliato dall’epoca degli spagnoli, che chiedevano la restituzione delle loro terre. La reazione del governo fu doppia: condannò, anche per bocca dello stesso Allende, la radicalizzazione, ma, per non perdere il controllo, accelerò l’iter della riforma agraria, tanto che in due anni si raggiunsero gli obiettivi di sei anni.
È interessante notare che la prima contestazione organizzata da sinistra alla politica del governo sia partita dalle campagne, dalla provincia di Linares: nel 1971, il congresso dei contadini di quella provincia rivendicò l’estensione della legge di riforma agraria ereditata dalla Dc, che lasciava le migliori terre nelle mani dei grandi proprietari, chiedendo la diminuzione del limite espropriabile a 40 ettari di irrigazione di base e la cessazione della possibilità che i latifondisti restassero proprietari delle migliori terre, nonché delle loro macchine e degli animali.
Nelle città i lavoratori cominciarono a rivendicare salari e condizioni di lavoro migliori, gli scioperi continuarono ad aumentare esponenzialmente. Molte imprese furono occupate con la forza perché venissero nazionalizzate, comprese quelle che non soddisfacevano i criteri definiti da Up (non c’era una lista definita, né la possibilità di approvare una legge nel congresso, dominato dalla destra). Ad esempio, l’industria tessile Yarur, di proprietà di una delle famiglie più ricche del Paese, era una delle candidate, ma il governo non aveva annunciato la sua nazionalizzazione. I dirigenti sindacali della fabbrica, che erano di Up, e i lavoratori della base scatenarono un conflitto sindacale, occuparono l’impresa e chiesero il suo passaggio nell’area di proprietà sociale (Aps). Come racconta lo storico Peter Winn (in Tejedurías de la Revolución[2]), dopo molte pressioni sul governo e con l’opposizione personale di Allende, i lavoratori lo piegarono e l’esecutivo utilizzò una delle cosiddette “crepe legali”, facendo ricorso alla vecchia legislazione obsoleta per ingerirsi nell’amministrazione dell’impresa. Secondo l’autore, in aspri dialoghi Allende fu chiaro e disse: “Se cedo a voi, altri faranno lo stesso”. Ed effettivamente, diverse imprese seguirono la stessa strada.
I senzatetto che costituivano tra il 20 e il 25% circa della popolazione di Santiago continuarono a occupare aree edificabili rivendicando la costruzione di case e miglioramenti. Riuniti in un movimento chiamato genericamente dei Pobladores[3], raggiunsero un alto grado di organizzazione e coscienza, arrivando al punto di formare vere comuni popolari, come l’occupazione de “L’Avana Nuova”, che riunì 9000 persone sotto l’influenza di un organismo periferico del Movimiento de Izquierda Revolucionario (Mir)[4], denominato Mpr (Movimiento de pobladores revolucionarios).
Il Mir era un’organizzazione che non faceva formalmente parte di Unità Popolare ed era in origine stato formato da dissidenti del Partito socialista – trotskisti e indipendenti – e successivamente seguì una linea castrista sotto la direzione di Miguel Enríquez.
Tutti questi nuovi accadimenti sembravano ancora come se fossero appena poco più il prodotto del clima di ascesa e crisi che si viveva prima della salita al governo di Allende, con una maggiore fiducia da parte dei lavoratori, perché sentivano che il governo era suppostamente al loro fianco o, per lo meno, che non avrebbe usato la repressione così come solennemente promesso.
Nel luglio del 1971, il Congresso approvò all’unanimità la completa nazionalizzazione delle miniere di rame e Allende propose che imprese (americane) fossero ricompensate dal punto di vista finanziario, ma che i profitti straordinari realizzati negli ultimi quindici anni fossero scontati: ciò che, sotto la pressione popolare, finì per essere confermato dagli organi statali. In realtà, il calcolo che all’epoca si faceva era che le imprese minerarie avevano guadagnato tanto come tutto l’investimento in capitale fisso nel Paese durante la sua storia!
A seguito di ciò, l’imperialismo americano decise di imporre il cosiddetto “embargo invisibile” del Paese, tagliando i crediti per le importazioni, bloccando la rinegoziazione del debito estero, promuovendo azioni giudiziarie per confiscare le esportazioni cilene di rame e finanziando sempre più i movimenti di opposizione al governo. Il nervosismo dell’imperialismo si spiega con la situazione dell’America Latina in quel periodo, con la destabilizzazione di diversi paesi come Argentina, Uruguay e Bolivia, nel quadro dell’imminente sconfitta in Vietnam e i riflessi della crisi del 68 ancora molto presenti.
Inizia la polarizzazione estrema tra le classi fondamentali
La situazione andò lentamente cambiando verso la fine del 1971: l’opposizione borghese si riorganizzò, venne tenuta la prima manifestazione di massa contro il governo, con le signore della classe media ad orchestrare la “marcia delle pentole vuote” in occasione della visita di un mese da parte di Fidel Castro, che venne a dare il suo appoggio alla cosiddetta “via pacifica al socialismo”; la produzione cominciò a cadere per mancanza di investimenti, l’inflazione iniziò a salire, le riserve valutarie si esaurirono rendendo difficile l’importazione di beni di consumo e investimenti per la produzione, così che il governo fu indotto a sospendere il pagamento del debito estero per l’impossibilità di continuare a pagarlo.
A fronte di ciò, l’Up cominciò a ipotizzare un cambiamento di rotta. Ci furono varie riunioni nella prima metà del 1972, quando infine la linea economica del governo venne cambiata. Il ministro Pedro Vuskovic, indipendente, fu destituito e al suo posto venne insediato Orlando Millas, del PC, cui fu dato mandato di frenare le nazionalizzazioni e gli aumenti salariali, nonché di negoziare un accordo con la Dc sull’estensione dell’area di proprietà sociale.
E dunque, fu in quel 1972 che tutto realmente cominciò a cambiare direzione per quanto riguarda la disposizione alla lotta delle masse e la radicalizzazione dell’opposizione borghese.
È necessario dire che le nazionalizzazioni previste dal governo di Up non riguardavano più del 20% dei lavoratori industriali del Paese, cioè la politica di alleanze proposta lasciava fuori il resto dei lavoratori industriali, senza contare quelli dell’edilizia, i disoccupati, gli artigiani e una larga percentuale di lavoratori agricoli non integrati dalla riforma agraria. Un autore cileno, Fernando Mires, calcola che restarono fuori 1,7 milioni di persone, in una forza lavoro che era prossima ai 3 milioni …
Inoltre, il metodo preferito dall’Up per nazionalizzare era quello di comprare le azioni delle imprese, e questo fu fatto specialmente con le banche. Ciò non somiglia minimamente a una nazionalizzazione di stampo socialista, con l’espropriazione di coloro che si erano impossessati per tanti anni della ricchezza prodotta dai loro lavoratori. Non essendo più possibile il metodo fino ad allora usato, sotto la pressione di questi ultimi e incontrando la resistenza del padronato il governo utilizzò i metodi del commissariamento e della requisizione delle imprese, che avevano l’inconveniente di perpetuare il conflitto con gli antichi proprietari nei meandri dell’apparato legale del Paese.
D’altro lato, secondo l’accordo Cut‑governo del 1971 sulla partecipazione nelle imprese dell’Aps, il modello di gestione avrebbe visto un ruolo dominante dello Stato: la direzione delle imprese restò in mano a un direttorio con maggioranza nominata dal governo, e la partecipazione dei lavoratori era generalmente limitata ai comitati di produzione che aiutavano a portare avanti la politica preferita dal governo, sostenuta in special modo dal Pc, la cosiddetta “battaglia della produzione”, che fece sì che la produzione delle imprese dell’Aps ottenesse risultati spettacolari prima che la crisi economica e il mercato nero non diventassero dominanti.
Nella stessa Aps cominciarono ad essere mosse molte critiche al modello, esigendosi un aumento della partecipazione reale dei lavoratori, nella direzione del controllo effettivo delle imprese, come emerse, ad esempio, nell’Incontro delle Imprese tessili dell’Aps – principale settore industriale nazionalizzato – che si tenne nella metà del 1972.
Iniziò a formarsi, nel vivo degli avvenimenti e della pressione delle masse, una polarizzazione nella stessa Up: contro la posizione di Allende e del Pc si allinearono l’ala sinistra, maggioritaria, del Ps, il Mapu, la Sinistra cristiana (una nuova divisione della Dc verificatasi dopo l’elezione di Allende) e, fuori dall’Up, il Mir. Gli slogan dell’epoca erano “consolidare per avanzare” e “avanzare senza conciliare”, che sembrano un gioco di parole, ma significavano invece che ampi settori di massa cominciavano a manifestare un approccio diverso sulla forma di scontrarsi con i padroni e la reazione, pur continuando ad appoggiare il governo.
In maggio, la destra si propose di occupare le strade di Concepción, la seconda città industriale del Paese. L’ala sinistra dell’Up e il Mir diressero una delle più grandi manifestazioni nella storia della città per bloccare l’intento della destra, ma vennero repressi dalla polizia agli ordini del prefetto espressione del Pc. Più tardi, in luglio, si realizzò la cosiddetta Assemblea popolare di Concepción, in realtà un forum pubblico in cui la sinistra discusse la rotta del processo cileno, con l’importante presenza indipendente, per la prima volta, di vari organismi sociali, e in cui si chiese essenzialmente la convocazione di un’Assemblea popolare per realizzare il programma di Up. Pur con questi limiti, Allende disapprovò l’iniziativa, protestando contro il tentativo di creare una nuova direzione per il movimento popolare.
In giugno si verificò un importante avvenimento: l’energia delle masse cominciò ad esprimersi in lotte più radicali, come già accadeva in tutto il Paese, con l’aumento ancor più marcato di scioperi illegali, occupazioni, barricate nelle strade. Come in tutti i grandi processi rivoluzionari, presero a nascere organismi più ampi per dirigere le lotte che si erano accresciute e non sarebbero potute essere portate avanti da strutture tradizionali come la Cut. E ciò si produsse, come accade in situazioni simili, nel modo meno atteso.
Il primo cordone industriale: Cerrillos-Maipú
La regione di Cerrillos, a sud della capitale, costituiva la principale concentrazione industriale di Santiago, con 46.000 lavoratori distribuiti in 250 fabbriche (nel Paese c’erano 550.000 operai industriali). Le fabbriche della regione erano in maggior parte moderne e non contemplate nei piani di nazionalizzazione del governo, ancor meno con la riduzione del loro numero d’accordo col nuovo orientamento economico di Up. Alcune decine di fabbriche si mobilitarono e i lavoratori occuparono le strade del distretto, arrivando ad occupare il Ministero del Lavoro, diretto da Mireya Baltra, comunista. Questo movimento si scontrava frontalmente con i nuovi piani di Unità popolare tesi a frenare le nazionalizzazioni e unificò la propria mobilitazione con quella dei contadini della regione. Il cordone Cerrillos venne formato come un coordinamento tra i sindacati di fabbrica della zona (i sindacati cileni si organizzavano per fabbrica), scavalcando i limiti divisori imposti dalla legge sindacale e dalla struttura della Cut, che non aveva organismi locali per coordinare le lotte, adottando una forma territoriale di organizzazione.
La piattaforma di fondazione del cordone già annunciava una chiara pressione per radicalizzare il processo, con la rivendicazione, oltre al passaggio di molte fabbriche nell’Aps, del controllo operaio su tutte le altre imprese nelle città e nelle campagne, della nascita di un’assemblea popolare in sostituzione del parlamento borghese e, pur confermando la legittimità popolare del governo, esprimeva il proposito di appoggiarlo “nella misura in cui questo interpretasse le lotte e le mobilitazioni dei lavoratori”: il che dava una connotazione ben più critica al movimento sociale. Successivamente si organizzarono circa trenta cordoni industriali a Santiago e per tutto il Paese. Ebbero un grado diseguale di adesione e di massificazione, a seconda delle congiunture. Sicché, nelle grandi crisi che andremo ad analizzare ebbero un ruolo importantissimo, assumendo, a partire dalle loro origini sindacali, compiti chiaramente politici, regredendo successivamente a riunioni di dirigenti sindacali con militanti di partiti più di sinistra (sinistra del Ps, Mir) senza rendersi indipendenti dal governo, funzionando come una specie di pressione di massa per cercare di radicalizzarlo.
La serrata di ottobre e la nascita di una situazione apertamente rivoluzionaria
La borghesia e l’imperialismo, utilizzando metodi già sperimentati in altri paesi e congiunture, come nel Brasile di Jango, cominciarono a stimolare i settori di classe media e tutti gli scontenti verso il governo e si proposero di lanciare un’offensiva finale per rovesciare o far capitolare Up.
Tutto cominciò con uno sciopero di autotrasportatori nel sud del Paese, contrari alla creazione di un’impresa regionale di trasporti statali, che si estese in tutto il Cile. In una nazione così lunga e stretta, il calcolo era che ciò avrebbe obbligato il governo a capitolare rapidamente. Si aggiunsero le associazioni dei professionisti, soprattutto i medici, i negozianti del commercio, il trasporto urbano e il padronato industriale. Era la serrata padronale di massa …
Il governo e la Cut reagirono formalmente, senza molta energia né iniziativa, ma le masse diedero una risposta impressionante. I lavoratori decisero che la cospirazione borghese per paralizzare il Paese non avrebbe dovuto svilupparsi e si determinarono a prendere la produzione nelle proprie mani. Le fabbriche furono occupate, i mezzi di trasporto furono, in molti casi, requisiti, molti negozi vennero aperti con la forza, iniziarono ad essere organizzate massicciamente forme di controllo dei prezzi e di distribuzione diretta contro il sempre più florido mercato nero (si calcola che circa la metà della popolazione di Santiago era rifornita dagli organismi popolari nel 1973, nonostante il 70% della distribuzione dei grossisti fosse in mani private e riforniva il mercato nero). E ciò senza dimenticare i comitati di vigilanza per affrontare le bande fasciste e proteggere le industrie. Oltre ai cordoni, sorsero comitati di coordinamento con le lotte di quartiere, i comandi comunali. Nelle fabbriche e nei quartieri poco importava l’affiliazione politica, anche i lavoratori democristiani aderirono a questo fronte unico di classe che aveva un carattere molto più ampio dei settori organizzati dalla Cut e dai partiti della sinistra. La serrata padronale era fallita! E mai prima di allora la classe lavoratrice cilena aveva espresso una tale combattività, unità ed energia!
Ma i dirigenti di Up non erano all’altezza della base che dirigevano. Invece di poggiarsi sulla mobilitazione per emarginare e sconfiggere la borghesia e i suoi partiti, optarono per la strada della conciliazione. Un processo che era cominciato come una serie di riforme, tutte compatibili col sistema capitalista, era giunto un po’ alla volta a un’impasse per la forza dell’intensa polarizzazione di classe, per poi arrivare a un nuovo picco nel mese di ottobre. Senza giungere ancora a una situazione così esplosiva come in altre situazioni rivoluzionarie (Spagna nel 1936, Bolivia nel 1952), ma con un grado di mobilitazione da molto tempo inedito in America Latina, c’erano le condizioni per rompere i vincoli del legalismo e del programma autorestrittivo di Up. Ma non fu questa la conclusione della maggioranza dei suoi dirigenti. E anche coloro che, nella sinistra della stessa Up, chiedevano che si avanzasse non percepivano che era necessario forgiare un’alternativa indipendente da Up. In realtà, si costituirono in un ostacolo in più per la radicalizzazione necessaria, dato che insistevano che il potere popolare non avrebbe dovuto essere realmente indipendente, cercando invece di utilizzarlo come un elemento di pressione di sinistra nel quadro dell’appoggio al governo.
Allende concluse un accordo con la Dc per includere i comandanti delle forze armate nel governo, con la missione principale di garantire le elezioni parlamentari del marzo 1973 e restituire le fabbriche occupate durante la serrata di ottobre. Dal punto di vista economico, questo venne conosciuto come il piano Prats‑Millas (dai nomi del generale Carlos Prats, comandante dell’esercito, e di Orlando Millas, comunista e ministro dell’Economia, che lo avevano formulato): un piano che prevedeva la riduzione dell’Area di proprietà sociale dalle 120 imprese inizialmente previste a sole 49. Ricordiamo che circa 200 erano occupate in quel momento come prodotto della serrata di ottobre: numero che aumentò fino a 300 nel 1973, raggruppando circa il 40% dei lavoratori industriali del Paese.
Quando il piano fu ufficialmente lanciato, venne duramente combattuto dai cordoni industriali, con nuove manifestazioni nel centro di Santiago e barricate nei distretti industriali. Il piano dovette essere opportunamente bloccato, dato che il governo non aveva le forze per imporlo.
Le elezioni del 1973, il “tancazo”[5] e la preparazione del golpe
Contrariamente a tutte le aspettative, l’opposizione borghese non ottenne i due terzi dei voti per dichiarare l’impeachment di Allende, benché avesse ricevuto milioni di dollari dall’imperialismo americano, dal galoppante mercato nero e dall’inflazione che chiuse il 1972 al 200%. Col 44% dei voti a Up la via istituzionale del processo cileno era conclusa, come riconobbe il principale consigliere politico di Allende, il catalano Joan Garcés. La voce ricorrente era che lo scontro tra il processo rivoluzionario e la controrivoluzione era inevitabile.
Lo schema, dopo la metà del 1972, si ripeté in forma accentuata: la borghesia all’opposizione utilizzò tutte le sue armi legali, il potere giudiziario, il Congresso, la Corte dei conti, il suo potere economico, finanziando il mercato nero, la penuria di merci, le serrate padronali, le associazioni della classe media, e i suoi mezzi extralegali, le bande armate fasciste.
Il 29 giugno andò in scena il penultimo atto del processo, che già preannunciava il disastro: un reggimento con carri armati e autoblindo si sollevò a Santiago, accerchiò il palazzo presidenziale uccidendo circa 22 persone, ma non ottiene l’adesione delle altre unità delle forze armate.
La reazione popolare fu nuovamente spettacolare e concentrata nel tempo: quel giorno, ancora una volta, la grande maggioranza delle imprese venne occupata. Una grande manifestazione guidata dai cordoni industriali organizzò un concentramento di fronte al Palazzo, rivendicando lo scioglimento del Congresso e la condanna dei golpisti. Ma Allende fu inflessibile e si strinse disperatamente alle istituzioni, evitando persino di applicare elementari provvedimenti di bonifica nei corpi militari, misura che tanti governanti nel mondo già avevano assunto senza essere rivoluzionari. Alla fine della manifestazione, Allende presentò i generali come gli eroi che, insieme a Prats, avevano impedito il trionfo del golpe (tra essi, incredibilmente, lo stesso Pinochet) e dichiarò lo stato d’emergenza: consegnava cioè ai militari il controllo del Paese.
I mesi successivi misero in evidenza come l’opposizione stesse preparando il golpe: la Corte suprema e il Congresso dichiararono l’illegalità del governo, aprendo la strada “legale” ai golpisti.
I militari iniziarono ad esercitarsi e a serrare le file. Il pretesto fu la legge sul controllo delle armi, approvata dopo la serrata di ottobre senza che Allende ponesse il veto e che permetteva ai militari di realizzare operazioni di ricerca e sequestro in ogni luogo. Con questa scusa, i soldati semplici vennero abituati a scontrarsi coi lavoratori e testarono la resistenza dei cordoni industriali.
Un ultimo e patetico negoziato fu patrocinato da Allende e dal Pc: un nuovo dialogo con la Dc, che era invece già chiaramente indirizzata al rovesciamento del governo. Il giornale del Pc, El Siglo, uscì col titolo “¿Después de un tancazo, por qué no un dialogazo?”[6]. E per trenta interminabili giorni si perse tempo con una campagna contro la guerra civile, quando invece c’era da prepararsi per affrontarla … La Dc pretese la capitolazione totale (un governo di soli militari, la restituzione di tutte le imprese occupate, la promulgazione di una riforma costituzionale che limitasse drasticamente l’Aps e permettesse la repressione dei cordoni industriali): ciò che Allende non poteva accettare.
I lavoratori erano confusi e demoralizzati per il rifiuto da parte del governo a contrattaccare la destra e per le concessioni fatte. Un’ultima, simbolica e inutile concessione fu la consegna del Canale 9 delle televisione, occupato dai suoi lavoratori che riuscivano così un poco a bucare l’embargo giornalistico dei monopoli televisivi. Prevedendo possibili attacchi, i lavoratori, attraverso i loro sindacati, designarono guardie permanenti per proteggere l’emittente.
Il resto è ormai noto. Il golpe dell’11 settembre incontrò poca, ma eroica resistenza, specialmente in alcune fabbriche dei cordoni.
E ora alcune considerazioni conclusive sul carattere del governo di Up, sul suo programma e sulle alternative che si stavano determinando verso la fine del processo, ma che non ebbero il tempo di maturare.
Il programma di Unidad Popular si rivelò errato, poiché non contemplava l’unione degli ampi settori di sfruttati e oppressi del paese e propugnava l’alleanza con una presunta borghesia nazionale antimonopolista che si dimostrò invece più legata agli interessi del grande capitale con cui manifestava un chiaro accordo ideologico, anche quando questo realizzava immensi profitti trascinando importanti settori della classe media.
C’è una corposa polemica sull’esperienza cilena: una corrente maggioritaria dentro e fuori la sinistra ritiene che il disastro fu dovuto alla mancanza di accordo con il centro politico (che si pensava erroneamente rappresentasse la classe media e la borghesia “nazionale”), cioè la Dc. Senza avere la possibilità di affrontare approfonditamente il tema, un’osservazione va fatta. La Dc era il più importante partito borghese in Cile, i suoi settori progressisti avevano rotto da sinistra e la sua base lavoratrice era disposta a scontrarsi col padronato come dimostrò la serrata di ottobre. D’altro lato, il limitato programma riformista di Up, in una società dipendente dall’imperialismo e tremendamente disuguale, spalancò le porte della lotta sociale facendola sfociare in un grandioso processo rivoluzionario che non prevedeva soluzioni parlamentari, né la conciliazione. Le classi sociali fondamentali erano in movimento e solo lo scontro avrebbe potuto saldare i conti. Rivoluzione e controrivoluzione si scontravano nelle piazze, nelle fabbriche, nelle campagne e nelle miniere del Paese. L’accordo con la Dc avrebbe significato chiaramente la capitolazione di tutto il movimento sociale e la repressione della sua avanguardia, e Up non ebbe il coraggio di farlo. Restò però a metà strada, cercando disperatamente di contenere il movimento che, in qualche modo, aveva creato, ma da cui fu scavalcato completamente.
La politica militare di Unidad Popular
L’insieme della posizione di Up già spiega perché ci sia stata così poca resistenza al golpe militare. Ma sul terreno della sua condotta rispetto alle forze armate le cose giunsero a un punto incredibile. Durante i tre anni di governo, mai ci fu una politica di fronte all’inevitabile opposizione degli ufficiali a qualsiasi riforma sociale più profonda. Si propagandò persino un mito che successivamente si rivelò essere senza fondamento: il presunto carattere professionale e legalitario delle forze armate cilene. In realtà, intervennero in maniera sanguinosa ogni volta che ad esse si fece ricorso, come negli scioperi e nelle mobilitazioni durante il governo Frei, con morti e feriti. Nel 1969 c’era stato un tentativo di golpe diretto dal generale Viaux, lo stesso che avrebbe preparato l’assassinio del generale René Schneider, ma ciò non cambiò di una virgola questa posizione suicida.
Up non costruì un programma di rivendicazioni minime e molto sentite tra i soldati semplici e i sottufficiali contro i privilegi degli ufficiali, la brutalità e la mancanza di diritti democratici, come il diritto di voto, e per miglioramenti nel livello di vita, dato che le truppe soffrivano, al pari dell’insieme dei loro fratelli di classe, il flagello del mercato nero e della mancanza di beni di consumo con la tremenda crisi economica esacerbata dalla lotta distributiva tra le classi fondamentali della società. Nessun controllo delle promozioni militari, nessuna depurazione di ufficiali golpisti e, soprattutto, nessuna propaganda antigolpista che superasse la rigida struttura militare facendo direttamente appello ai lavoratori uniti. Né è necessario dire che in nessun momento venne incoraggiata la difesa armata del governo, unica garanzia affinché i soldati, i marinai e i sottufficiali potessero permettersi di ribellarsi, senza che ciò significasse il suicidio …
La mentalità legalitaria fece sì che neppure si concepisse una strategia di resistenza, le radio della sinistra vennero silenziate e non c’erano emittenti alternative, l’invito a restare nei luoghi di lavoro non serviva ad altro che a una situazione estrema … ma era tutto conseguenza di tre anni persi, del non avere avuto la chiarezza e il coraggio di ammettere la realtà dello scontro, mentre invece la borghesia ne aveva in abbondanza.
Siamo in un terreno in cui ci sono poche informazioni, ma oggi conosciamo meglio un episodio simbolico: il caso dei marinai antigolpisti.
Dall’elezione di Allende, la forte divisione di classe che c’era nella Marina cilena fece sì che i marinai e i sottufficiali ne festeggiassero intensamente l’esito, mentre gli ufficiali consideravano il risultato delle urne come una grande sconfitta. Per più di due anni, centinaia di marinai organizzati sulle navi e a terra controllarono l’attività degli ufficiali e, quando videro che questi stavano apertamente organizzando il golpe, cercarono di avvisare il governo chiedendo l’aiuto dei partiti della sinistra affinché occupassero le navi come era accaduto con la rivolta del 1931. “Dopo il golpe sarà impossibile!”, dicevano profeticamente. Non ricevettero risposta e furono incarcerati e barbaramente torturati.
Il 5 agosto 1973, Allende formò un nuovo e ultimo governo civico‑militare, ironicamente chiamato “Governo di sicurezza nazionale” e, per tranquillizzare gli ufficiali della Marina, fedele alla sua strategia di non affrontare la gerarchia militare denunciò la sovversione dell’estrema sinistra. Solo quindici giorni dopo i fatti si ravvide. Cosa sarebbe potuto accadere se si fossero incoraggiati tutti i figli della classe lavoratrice in divisa a rifiutare gli ordini dei golpisti e se il movimento sindacale e popolare avesse fatto una campagna di massa in tal senso verso la base delle forze armate?
Per uno dei casi della vita, i marinai antigolpisti, specialmente il loro principale dirigente, il sergente Cárdenas, sopravvissero, dato che già erano stati arrestati e i meandri burocratici delle prigioni della dittatura fecero sì che non venissero assassinati ma che andassero in esilio. Ma trent’anni dopo, un ricercatore cileno, Jorge Magasich, pubblicò un bel libro, Quelli che dissero no, in cui racconta questa storia intervistando i marinai.
Nei giorni del golpe, insieme a sacche di resistenza, ci furono fucilazioni nelle caserme e resistenza attiva nella scuola di sottufficiali della polizia, ma furono pochi casi, molti meno di quanti sarebbero stati se la politica di Up fosse stata diversa. È chiaro che una sconfitta come questa appare sempre inevitabile e sarebbe impossibile provare con certezza il contrario, ma l’insieme delle condizioni dell’epoca, i vasi comunicanti che c’erano tra un esercito di coscritti e un movimento di massa che occupava come non mai il centro politico del Paese, avrebbero potuto influire sul sorgere delle divisioni. Ma per quest’obiettivo mancò una politica da parte del governo e dell’insieme della sinistra per un tempo sufficiente, mentre furono inutili gli ultimi disperati appelli della sinistra del Ps e del Mir affinché i soldati disobbedissero agli ordini golpisti.
Il potere popolare
Il potere popolare: questa fu l’espressione cilena per un fenomeno ricorrente nei grandi processi rivoluzionari, cioè il sorgere di organismi di doppio potere che si scontrano con le istituzioni borghesi. L’originalità cilena sta nel fatto che, nel programma di Up, il termine “potere popolare” ha una connotazione di appoggio al governo e, come tale, fu rivendicato da Allende e dalla destra di Up, dal Pc e da settori del Ps. Il proletariato e la sinistra cileni avevano un’enorme tradizione politica, frutto di quasi un secolo pressoché ininterrotto di attività socialista, pur con alti e bassi. Perciò, nell’avanguardia c’erano dibattiti interessanti nel vivo degli accadimenti. Solo per citarne uno, c’era un’interpretazione secondo cui c’era un doppio potere all’interno dell’apparato dello Stato, fra il governo e le altre istituzioni, in un grossolano travisamento del concetto tradizionale di doppio potere come un potere indipendente e opposto allo Stato e alle sue istituzioni, come si è visto in tanti processi rivoluzionari. Ma anche i più radicali all’interno di Up e del Mir consideravano il governo come un alleato vacillante, però un alleato.
Dal novembre del 1972 al golpe furono in vita diverse assemblee in cui si dibatté il potere popolare, con la presenza dei loro dirigenti e/o dei dirigenti dei partiti della sinistra. Fondamentalmente emergevano due posizioni.
La prima era quella di Allende e del Pc, che prima attaccarono fortemente i cordoni industriali, ma poi, di fronte al loro rafforzamento, finirono per riconoscere sia questi che i comandi popolari; ma solo formalmente, ché invece li consideravano subordinati al governo. I comunisti entrarono nei cordoni solo a partire dal mese di luglio del 1973, e comunque senza molta convinzione.
La seconda posizione era appoggiata da quasi tutti i dirigenti dei cordoni e sosteneva che essi avrebbero dovuto essere autonomi dal governo, pur non opponendosi ad esso. Nessuna corrente di un certo peso segnalava la prospettiva di organizzare una forza politica e/o sociale al di fuori di Up, anche per meglio lottare contro i golpisti.
Una polemica all’interno di questo campo si svolgeva tra coloro che difendevano la primazia dei cordoni industriali e coloro – come il Mir – che difendevano i comandi comunali, argomentando che questi ultimi raggruppavano l’insieme degli sfruttati e che i cordoni avrebbero potuto disimpegnare solo un ruolo sindacale. Molto dovrà essere scritto sui dettagli del movimento reale, di base, nella rivoluzione cilena, ma ci limitiamo qui ad osservare che, benché questa fosse in astratto una posizione corretta, non corrispondeva alla realtà di quel momento, in cui i cordoni industriali avevano un peso molto maggiore. In realtà, stranamente, questa posizione del Mir coincideva, nella pratica, con l’opinione dei comunisti, che propugnavano l’integrazione dei cordoni alla Cut, disconoscendo il ruolo chiaramente politico, molto più di quello meramente sindacale, che avevano acquisito e come unica reale alternativa di esercitare un ruolo di avanguardia sociale in quel momento. Una delle ragioni che probabilmente influì su questa posizione del Mir fu la sua maggiore inserzione nei settori di pobladores, mentre era ancora molto ridotta quella nel proletariato industriale.
La mancanza di indipendenza dei cordoni e degli organi di potere popolare fu drammatica quando si trattò di scontrarsi col golpe in preparazione, dato che si attendevano iniziative del governo … che non vennero. Ecco perché i cordoni possono essere classificati come i più avanzati organismi embrionali, potenziali, di doppio potere, che avrebbero potuto svilupparsi come tali se il tempo avesse consentito il maturare delle loro posizioni.
L’espressione più prossima a una posizione davvero indipendente fu la lettera del coordinamento dei cordoni industriali inviata ad Allende pochi giorni prima del golpe, in cui il tono già denotava una certa distanza. Dopo aver contestato il significato del programma e della scelta di Up circa le concessioni fatte alla destra, si enumeravano le misure minime per lottare concludendo con queste parole, che riteniamo il punto più avanzato a cui era giunta l’avanguardia rivoluzionaria cilena, ma che purtroppo non ebbe il tempo necessario per maturare e acquisire influenza di massa. Diversa sarebbe potuta essere la storia della classe lavoratrice e delle masse popolari del Cile e dell’America Latina se ciò fosse avvenuto!
Diceva la lettera:
«Noi ti avvertiamo, compagno, che, col rispetto e la fiducia che ancora nutriamo, se non metti in pratica il programma dell’Unità Popolare, se non ti fidi delle masse, perderai l’unico appoggio reale che hai come persona e come dirigente e sarai responsabile di portare il Paese, non nella guerra civile che è già in pieno sviluppo, ma al massacro a sangue freddo, pianificato, della classe operaia più cosciente e organizzata dell’America Latina. E [ti avvertiamo] che sarà responsabilità storica di questo governo – portato e mantenuto al potere con tanto sacrificio dai lavoratori, cittadini, contadini, studenti, intellettuali, professionisti – la distruzione e la decapitazione, forse a breve e a prezzo di tanto sangue, non solo del processo rivoluzionario cileno, ma anche di quello di tutti i popoli latinoamericani che stanno lottando per il socialismo».
Tuttavia, quest’evoluzione dei cordoni era lenta, ancora limitata a un’avanguardia ampia e ostacolata dalle ambivalenti posizioni della sinistra del Ps, che cercava di conciliare l’appoggio ai cordoni e la necessità di superare le istituzioni capitaliste con la partecipazione al governo, senza porre la necessità di forgiare un’alternativa a Up. Se, in un primo momento, tali posizioni servirono da stimolo alla mobilitazione, successivamente funsero da freno, una giustificazione elaborata da “sinistra”, impedendo ai lavoratori di avanzare politicamente. Esprimevano l’enorme tradizione di legalitarismo nel movimento di massa in Cile, la fiducia in ciò che i dirigenti dicevano sull’imparzialità dei militari e, fondamentalmente, la fiducia nei dirigenti stessi, ai quali attribuivano molte delle loro conquiste.
Sappiamo quanto costò cara questa fede …
Occorre aggiungere qualche parola sul Mir, visto come l’unica alternativa a sinistra in contrapposizione a Up. Nonostante fosse un’organizzazione estremamente giovane, ebbe una crescita importante negli anni del governo Allende (si calcola la sua militanza organica in circa 10.000 attivisti, benché sia difficile determinarne con precisione il numero). Tuttavia, aveva chiari limiti.
Dal punto di vista politico, non aveva una strategia chiara rispetto a Up, dal momento che le sue analisi miravano a pungolare il governo perché radicalizzasse le sue posizioni. Ciò spiega il suo accordo elettorale e programmatico con la sinistra del Ps per le elezioni parlamentari del 1973 e per l’azione nel movimento di massa.
Da un punto di vista organizzativo per l’azione nel movimento di massa, fece una transizione incompleta da un partito di quadri a un partito che aspirava a conquistare influenza di massa. Non riusciva a guadagnare organicamente una grande quantità di militanti che si sentissero attratti dalle sue posizioni, anche a causa dei suoi metodi interni abbastanza burocratici (il suo congresso del 1968 fu successivamente rinviato fino al golpe, nonostante il cumulo di nuovi problemi e dibattiti generati dalla nuovissima situazione del Paese). Ciò aumentò la sua incoerenza e le tensioni interne.
Il suo metodo di lanciare ultimatum rese difficile la sua strutturazione nel movimento operaio (ebbe solo l’1,5% dei voti nelle elezioni della Cut del 1972); mantenne la sua forza essenzialmente tra gli studenti e gli abitanti delle zone collinari delle città. Questo non mette in discussione, a differenza delle altre organizzazioni politiche della sinistra cilena, l’abnegazione e l’eroismo dei suoi militanti.
Nel momento più difficile apparve con forza la principale mancanza del processo cileno: l’inesistenza di una corrente rivoluzionaria che avesse accumulato l’esperienza e i quadri durante il processo rivoluzionario per poter proporre all’avanguardia e alle masse la costruzione di un’alternativa a Up, basandosi sulla propria esperienza della lotta di classe, e non in maniera dottrinaria o ultimativa. Un’alternativa, insomma, alla variante più riformista (Pc‑Allende) e alle varianti più alla sinistra (sinistra del Ps e Mir).
Note
[1] “Va a cadere, va a cadere, l’istruzione di Pinochet”.
[2] Imprese tessili della rivoluzione.
[3] Abitanti.
[4] Movimento di sinistra rivoluzionaria.
[5] Sollevazione militare con l’utilizzo di carri armati e blindati pesanti (in spagnolo, tanques).
[6] “Dopo una sollevazione di carri armati, perché non un dialogo?”.
(*) Waldo Mermelstein era, all’epoca del golpe Pinochet, un giovane militante della sinistra brasiliana esule in Cile per causa della dittatura nel suo Paese. La sua analisi è basata, dunque, sulla sua partecipazione diretta al processo rivoluzionario cileno.