La Lit, l’impeachment e la lotta contro il governo Temer
Una polemica con l’articolo di Alejandro Iturbe, “El impeachment de Dilma: «No llores por mí, Brasil»”
Luis Leiria (*)
6 settembre 2016
È evidente che potranno esserci settori
a favore di Dilma in queste manifestazioni, ma sono minoritari.
Però, quand’anche non lo fossero,
non dovrebbe essere dovere dei rivoluzionari
lottare affinché queste mobilitazioni diventino di massa
e disputarne la direzione perché diventino davvero
manifestazioni “Cacciamo Temer”?
La Lit che io conoscevo l’avrebbe indubbiamente fatto.
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Alejandro Iturbe ha pubblicato un interessante articolo dal titolo “El impeachment de Dilma: «No llores por mí, Brasil»” (“L’impeachment di Dilma: «Non piangere per me, Brasile»”. N.d.T.), col quale giustifica la politica della Lega Internazionale dei Lavoratori-Quarta Internazionale (Lit‑Ci) e del Pstu rispetto alla recente crisi politica in Brasile e al definitivo allontanamento di Dilma Rousseff dalla presidenza, a cui è succeduto Michel Temer, del Pmdb. In un momento in cui in Brasile le polemiche sono diventate febbrili e che esistono tra le correnti della sinistra differenze tali da rendere praticamente impossibile il dialogo, credo sia da apprezzare un articolo come quello di Iturbe che cerca di discutere sul terreno delle idee, delle analisi e delle caratterizzazioni delle politiche. Da militante portoghese, ho vissuto per diciassette anni in Brasile, durante i quali ho sempre militato nella Lit (da cui mi sono poi allontanato) e, pur essendo ritornato in Portogallo non ho mai smesso di seguire la politica brasiliana. Ho scritto alcune analisi sul tema, pubblicate in Esquerda.net e in Correio da Cidadania, osservando sempre una certa cautela e soprattutto evitando polemiche. Stavolta, tuttavia, ho avvertito la possibilità di confrontare fraternamente la mia visione con quella del dirigente della Lit (a cui sono legato da amicizia), cercando di chiarire le posizioni e sempre alla ricerca della verità. Cerco di approfittare del vantaggio di non essere attualmente schierato con nessuna delle correnti della sinistra brasiliana e di non aver preso parte agli appassionati dibattiti che di recente si sono sviluppati all’interno della Lit.
“Materialità” schivate
Il nucleo centrale dell’articolo di Iturbe è costituito dalla polemica con la sinistra non petista (cioè, non appartenente al Pt, il partito di Dilma: N.d.T.), che sarebbe caduta nella narrazione della vicenda fatta dal Pt, attraverso “un certo numero di metodi che hanno la funzione di schivare la pesante e terribile materialità” dei fatti, come scrive l’autore prendendo a prestito le parole di Michel Foucault. È opinione del dirigente della Lit che il principale problema di questa sinistra che non ha festeggiato la caduta di Dilma stia nell’aver utilizzato un metodo errato per definire la correlazione di forze tra le classi sociali, considerando solo i fattori sovrastrutturali e non la lotta di classe. Per Iturbe, “dalle grandi mobilitazioni del giugno 2013, il regime di dominazione della borghesia brasiliana mostra profondi elementi di crisi”; da quell’epoca, “esiste un processo di considerevole crescita del numero degli scioperi e dei conflitti”, e “questo fatto (la lotta delle masse) è accompagnato da uno degli elementi più progressivi e positivi della realtà: la rottura dei lavoratori e delle masse con il Pt e la sua politica di conciliazione di classe con la borghesia e l’imperialismo”. Di più: l’autore ritiene che il governo di Temer sia più debole di quello di Dilma, e perciò il “tono triste” della sinistra non petista che non ha festeggiato l’impeachment serve solo da “diga di contenimento e da freno nella costruzione di un’alternativa rivoluzionaria di cui i lavoratori hanno bisogno”.
Fatti ignorati
Il problema dell’analisi qui riassunta è che cade esattamente nello stesso errore che attribuisce ai suoi avversari. Iturbe fa una lettura che, per rimanere alla citazione di Foucault, “ha la funzione di schivare la pesante e terribile materialità” dei fatti. Quali sono questi fatti? Sono le manifestazioni contro Dilma dirette dalla destra e dall’estrema destra che hanno asfaltato la strada per questo epilogo. Non stiamo parlando di fatti insignificanti. Ricordiamo: il 13 marzo di quest’anno, si sono svolte 300 manifestazioni per l’impeachment di Dilma Rousseff e contro la corruzione che ha totalizzato 3,6 milioni di partecipanti. Quella di San Paolo, secondo DataFolha, ha visto la presenza di mezzo milione di persone, superando la più grande manifestazione degli anni ’80 per l’elezione diretta dal presidente della repubblica. Queste mobilitazioni sono culminate in una serie di proteste contro la corruzione e per “Cacciamo Dilma” verificatesi nel 2015: il 15 marzo il 12 aprile, il 16 agosto e il 13 dicembre, con la partecipazione in tutto il Paese, rispettivamente, di due milioni, 660.000, 790.000 e 60.000. A San Paolo, 210.000, 100.000, 135.000 e 40.000.
Nessuna continuità con giugno 2013
In base all’analisi di Iturbe, sembra esserci una continuità della rottura delle masse col governo del Pt a partire dalle mobilitazioni del giugno 2013 a quelle del 2015 e del 2016 (che non vengono mai citate nell’articolo). Nulla di più errato: né per i loro obiettivi, né per la loro composizione di classe, si possono considerare simili le grandi mobilitazioni contro l’aumento dei prezzi del trasporto pubblico del giugno 2013 e quelle per l’impeachment di Dilma. Queste ultime hanno avuto direzioni chiaramente di destra, come il cosiddetto Movimento Brasile Libero (Mbl), fondato “per promuovere le risposte del libero mercato per i problemi del Paese”, o i Ribelli On‑line; hanno avuto l’appoggio dei partiti della destra e hanno visto la partecipazione dell’estrema destra organizzata intorno al deputato Jair Bolsonaro. Benché sia stato il legittimo sentimento contro la corruzione ciò che ha portato molta gente alle manifestazioni, resta il fatto che queste persone avevano una visione poco equanime di tale fenomeno, dal momento che solo i casi di corruzione che vedevano coinvolto il Pt venivano denunciati, mentre erano tralasciati quelli in ci erano implicati i governatori del Psdb, così come lo scandalo del presidente della Camera, Eduardo Cunha. E questi stessi manifestanti non si facevano soverchi problemi a sfilare in mezzo a striscioni con slogan quali: “Il popolo è sovrano! L’intervento militare non è un crimine!”; oppure, “Perché non li hanno uccisi tutti nel 1964?”: e ancora, “Dilma, peccato che non ti abbiano impiccato nel DOI‑CODI” (il Distaccamento di Operazioni di Informazione — Centro di Operazioni di Difesa Interna fu un organo di intelligence e di repressione creato nel periodo del regime nato col golpe militare del 1964: N.d.T.), tanto per fare alcuni esempi. Quanto alla sua composizione sociale, è stato chiaro anche per i più distratti che le mobilitazioni per l’impeachment erano quasi totalmente partecipate da bianchi, soprattutto di classe media e alta, e con grande partecipazione di persone più anziane. Ciò è stato confermato da DataFolha, che ha svolto un sondaggio in occasione della manifestazione del 16 agosto 2015, da cui è emerso che il 50% dei manifestanti guadagnava all’incirca da 1000 a 4000 euro, mentre il 17% guadagnava ancor di più. Tutto l’opposto delle manifestazioni del giugno 2013, maggioritariamente di giovani, proletari e in rappresentanza della diversità razziale del Brasile.
Che “masse”?
Queste manifestazioni del 2015 e del marzo 2016 sono fatti che non possono essere smentiti. Se non sono neppure menzionate nel ragionamento di Iturbe, è evidente che si tratta di “materialità” che lo infastidiscono e che cerca di evitare. Di più: per fare una buona analisi della correlazione di forza non basta dire che “le masse” hanno rotto col governo Dilma. È necessario vedere che tipo di masse sono queste e qual è il loro comportamento. Nelle masse c’è la classe media, o piccola borghesia, e classe operaia, o classe lavoratrice (esula da quest’articolo entrare nella discussione sulla definizione di questi concetti). Volgendo lo sguardo alle manifestazioni per l’impeachment è evidente che esse hanno mobilitato essenzialmente la classe media, polarizzata dalla destra e dall’estrema destra. E, se è vero che ci sarà stata una rottura della classe operaia, almeno parziale, col governo del Pt (parziale, perché Lula ancora mantiene circa il 20% delle intenzioni di voto), è certo che i battaglioni operai organizzati non si sono mobilitati né per l’impeachment, né in difesa di Dilma. Certo è che la base sociale del governo Dilma si è di molto ridotta e questo è stato il principale motivo della vittoria dell’impeachment, però è anche vero che la destra che lo ha approvato nella Camera e nel Senato non si limitava ad essere un fenomeno parlamentare‑sovrastrutturale, ma poggiava su una base sociale che l’ha rafforzata, una volta vinta inequivocabilmente la battaglia nelle strade. Così, la classe dominante ha deciso di portare a termine l’impeachment perché vuole applicare l’aggiustamento fiscale, la riforma de lavoro, la riforma della previdenza e le privatizzazioni a un ritmo più forte e rapido di quanto il governo Dilma fosse disposto a fare. Ma ha preso questa decisione anche perché il Pt al governo aveva cessato di esserle utile, avendo perso l’egemonia nelle piazze. Meglio un governo “purosangue”, hanno pensato. Tornando alla correlazione di forze: un’analisi delle classi che sono intervenute nel processo che ha portato alla fine il governo Dima ci mostra che la classe media e medio‑alta si è mobilitata per l’impeachment sotto la direzione della destra, mentre la classe operaia non ha difeso il governo del Pt ma è rimasta spettatrice passiva, non partecipando alle manifestazioni per l’impeachment e neppure a quelle convocate dal Pt per difendere Dilma. Ora, ciò non conforma una correlazione di forze favorevole al punto da indurre i militanti della sinistra non petista a festeggiare la caduta di Dilma. Un altro atteggiamento avrebbe tenuto se fosse stata la classe lavoratrice a rovesciare il governo del Pt. Per come l’impeachment si è prodotto, anche per me il 31 agosto 2016 è stato un giorno triste.
Dopo Temer, la presa del potere?
Ciò non vuol dire che la classe lavoratrice è sconfitta. Non lo credo. Ma la sinistra che vuole costruire un’alternativa politica che tragga le lezioni dalla disastrosa esperienza dei governi del Pt e si presenti alle masse con una bandiera senza macchia non può illudersi che ha di fronte un’autostrada per il socialismo. Posso sbagliarmi, ma il modo come Iturbe termina il suo articolo mi sembra andare in questa direzione. Il dirigente della Lit comincia con l’essere d’accordo che ora l’obiettivo è lottare contro i provvedimento del governo e per il “Cacciamo Temer” e che, in questo contesto, il Pstu promuove e dà impulso alla lotta, portando ad esempio la giornata di mobilitazione delle centrali sindacali dello scorso 16 agosto o il conflitto contro i licenziamenti nella Mercedes. Ritiene, tuttavia, di voler lottare sul serio e perciò propone lo sciopero generale. A partire di qui, presenta una strategia che non può essere letta in altro modo se non come la presa del potere a breve termine. Dice cioè: “la lotta contro il governo Temer e i suoi provvedimenti deve porsi nella prospettiva di una strategia molto più offensiva: la presa del potere da parte dei lavoratori e delle masse. Non solo, dunque, la sconfitta del governo Temer, ma quella dell’insieme di questo regime corrotto e putrefatto al servizio del capitalismo, per insediare un nuovo regime (sulla base di istituzioni completamente diverse) e iniziare la costruzione di un nuovo tipo di Stato, al servizio dei lavoratori e delle masse. Cioè, la prospettiva strategica della rivoluzione socialista”. Si badi che Iturbe non si riferisce qui a un’attività di propaganda del socialismo, della costruzione di un nuovo Stato basato su istituzioni della democrazia operaia, ecc.: propaganda, questa, che è sempre la benvenuta. Ciò che propone non è propaganda, è azione. Al contrario di quanto fa la sinistra “cupa e triste”, il dirigente della Lit pone la presa del potere e la rivoluzione socialista come una prospettiva di breve termine, basandosi sulla sua analisi di una correlazione di forze molto favorevole. Ho militato per più di 25 anni nella Lit, ma non ho mai visto porre in questa maniera la prospettiva della presa del potere (eccetto in Argentina, durante un breve periodo di poco antecedente proprio all’esplosione della Lit negli anni ’90), il che mi porta a ritenere che ci sia una nuova elaborazione teorica e programmatica che non conosco, ma molto diversa da quella dei tempi di Moreno.
Le manifestazioni “Cacciamo Temer” sono in difesa della ex presidente?
Dunque, è forse questa politica trionfalista a spiegare la più recente posizione del Pstu, assunta lo stesso giorno della pubblicazione dell’articolo al quale mi riferisco: quella di rifiutarsi d partecipare alle mobilitazioni contro il governo Temer, alcune spontanee e anche particolarmente giovani, che si succedono dal giorno dell’impeachment. In una nota ufficiale, il Pstu condanna la repressione abbattutasi su queste manifestazioni, ma ne approfitta per chiarire che le considera tutte “manifestazioni in difesa della ex presidente e contro un presunto golpe”. Chiarisce: “non appoggiamo queste manifestazioni, né crediamo che ci sia stato un golpe nel Paese”. E, perché non ci siano dubbi, sottolinea poco più avanti: “non siamo d’accordo e non parteciperemo a manifestazioni che difendono un ex governo che non è stato altro se non l’anticamera dell’attuale governo del Pmdb, che ha attaccato i lavoratori e che ha preparato tutti gli attacchi che l’attuale governo sta lanciando”. Ora, accade che queste manifestazioni siano state convocate contro l’attuale governo Temer; la polemica “golpe‑non golpe‑manovra di palazzo‑manovra parlamentare” può essere stata molto importante, ma già non ha più senso; né il Pt vuole il ritorno di Dilma, né ella ritiene vi siano le condizioni per proseguire. Il governo Dilma è un capitolo chiuso della storia. Da dove hanno dunque arguito che le manifestazioni sono per il ritorno di Dilma? È evidente che potranno esserci settori a favore di Dilma in queste manifestazioni, ma sono minoritari. Però, quand’anche non lo fossero, non dovrebbe essere dovere dei rivoluzionari lottare affinché queste mobilitazioni diventino di massa e disputarne la direzione perché diventino davvero manifestazioni “Cacciamo Temer”? La Lit che io conoscevo l’avrebbe indubbiamente fatto. Ma no: i militanti del Pstu sono rimasti a casa la scorsa domenica del 4 settembre, quando circa 100.000 persone hanno invaso l’Avenida Paulista per manifestare contro Temer che aveva attaccato le manifestazioni dicendo che “non superavano le 40 persone che distruggevano auto”. È stata la più grande manifestazione di sinistra degli ultimi anni e il Pstu non era presente. È questa la strada per la presa del potere e la rivoluzione socialista? È con questa politica che la Lit vuole superare la “diga di contenimento e di freno nella costruzione di un’alternativa rivoluzionaria di cui i lavoratori hanno bisogno”? È mia opinione che il risultato sarà un disastro. Chi vivrà, vedrà.
(*) Luis Leiria è giornalista d Esquerda.net.
Traduzione dall’originale portoghese di Valerio Torre