Cronaca di una vittoria referendaria tradita
La Grecia dopo il voto del 5 luglio e nell’imminenza delle elezioni del 20 settembre
Valerio Torre
Per analizzare l’attuale situazione in Grecia dopo le dimissioni di Tsipras e l’annuncio di nuove elezioni per il prossimo 20 settembre crediamo sia importante risalire allo scorso mese di luglio: alla celebrazione del referendum che, nell’infinita partita a poker tra i “creditori” (Commissione europea, Bce e Fmi) e il governo greco, è stata utilizzata da entrambe le parti come la carta vincente. Negli oltre cinque mesi di inutili negoziati che, se possibile, hanno acuito oltre misura la drammatica situazione dei lavoratori e delle masse popolari della Grecia, il premier ellenico non ha mai nascosto la volontà del suo esecutivo di assicurare il pagamento del debito pubblico ai creditori internazionali, volendone solo negoziare le condizioni. Anzi, ha fatto di più: ha continuato a saldarlo religiosamente pur non avendo le risorse necessarie, che è stato costretto a raccattare sequestrando le disponibilità di cassa degli enti locali[1], e non si è fatto scrupolo di confessarlo quando, per tranquillizzare il Fmi, ha dichiarato: «Non è il caso di preoccuparsi, dato che abbiamo già pagato 7 miliardi e mezzo e continueremo a farlo»[2].
Non solo! Dei 215,7 miliardi di euro erogati fra il 2010 e il maggio 2015 alla Grecia dalla Commissione europea nel quadro del piano di sostegno finanziario ai Paesi in difficoltà, lo scorso mese di febbraio, pochi giorni dopo l’insediamento, il governo Tsipras ha inspiegabilmente restituito al Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) ben 10,9 miliardi di fondi stanziati e non utilizzati[3]!
Le ragioni del referendum
Cosa ha indotto Tsipras – nel bel mezzo dei negoziati, quando sembrava che le distanze fra le parti fossero davvero minime[4] e sia il premier che l’allora ministro delle finanze Varoufakis dichiaravano un giorno sì e l’altro pure che l’accordo era dietro l’angolo – a convocare il referendum del 5 luglio innescando così un’inattesa drammatizzazione?
Indubbiamente ragioni di equilibri interni alla maggioranza. Tsipras si era spinto talmente in là nelle concessioni alla Troika che certamente non avrebbe avuto in parlamento i voti necessari per far approvare il pacchetto di nuove misure e avrebbe dovuto far ricorso a quelli delle opposizioni di Nea Dimokratia, Pasok e To Potàmi[5]. Ma quest’eventualità avrebbe prodotto un vero e proprio cambio di maggioranza, risolvendosi in un suicidio politico dello stesso Tsipras.
Le critiche provenienti dalla sinistra di Syriza puntavano direttamente in questa direzione[6], sottolineando in particolare che la lista delle concessioni fatte dal governo alle controparti era “impressionante” mentre “le quattro ‘linee rosse’ che lo stesso Alexis Tsipras aveva marcato il 16 aprile in una solenne dichiarazione all’agenzia Reuters (pensioni, Iva, privatizzazioni e contrattazione collettiva) sono state, tutte, superate”[7].
Ma la suicida prosecuzione delle trattative ad oltranza produceva anche un altro effetto: quanto più il governo Syriza capitolava, tanto più i creditori europei alzavano l’asticella. Il proposito era fin troppo scoperto: imporre al proletariato greco una sconfitta epocale e umiliare il Paese ellenico con la completa colonizzazione, oggi economico‑finanziaria, e, in prospettiva, politica; dare inoltre un esempio che valesse nel futuro per chiunque intendesse mettere in discussione la reversibilità dell’adesione all’eurozona e alla moneta unica.
L’effetto dell’annuncio del referendum
Con la convocazione del referendum, Tsipras ha sparigliato le carte. L’abbandono del tavolo delle trattative ha gettato nel panico la Troika, dinanzi ai cui occhi si profilava ora la possibile Grexit. Il pressing del gotha del capitalismo mondiale su Angela Merkel si è fatto incalzante, con gli Stati Uniti, ma anche Cina e Giappone, a spingere per la ripresa delle trattative a tutti i costi per il timore di ripercussioni sulle loro valute e sui fragilissimi indici di ripresa economica. Ma la mossa del premier ellenico ha avuto anche l’effetto di coagulare intorno a parole d’ordine di stampo nazionalistico (difesa della sovranità nazionale, delle radici culturali e dei valori del popolo greco), e intorno a sé, un’opinione pubblica sempre più stanca e perplessa, producendo pure il ridimensionamento delle critiche dell’opposizione interna di Syriza.
Ma che quella del referendum fosse una mossa disperata è dimostrato dal fatto che solo dopo poche ore averlo convocato, Tsipras ha scritto ai rappresentanti della Troika una lettera nella quale dichiarava a nome del proprio governo di accettare, con alcune inessenziali modifiche, tutte le condizioni appena rifiutate!
Quest’altalenante comportamento ha quindi ringalluzzito i creditori che hanno respinto la proposta[8]. A questo punto, Tsipras ha confermato il referendum, invitando gli elettori a votare NO. E mentre i creditori, spaventati dal doversi avventurare in quella “terra inesplorata” evocata da Mario Draghi e per scongiurarne il rischio, facevano sfacciatamente campagna per il SÌ, lo stesso premier greco – che era stato costretto a restringere l’accesso alle banche per bloccare (tardivamente) il deflusso di capitali – implorava, vedendoselo negare, un prestito‑ponte per far fronte alla mancanza di liquidità. Insomma, entrambe le parti, navigando a vista, facevano una mossa contemporaneamente temendone le conseguenze.
Il risultato del voto: όχι!
L’esito del referendum è noto e non vi ritorniamo. Certamente, la vittoria del NO è stata massiccia e dev’essere salutata con favore perché le masse popolari elleniche hanno sconfitto nelle urne l’odiosa campagna mediatica che le cancellerie europee e la Troika avevano orchestrato per indirizzare il voto verso un SÌ che significasse la disfatta dei lavoratori. Ma mentre nelle strade di Atene legittimamente si celebrava il risultato referendario, Tsipras è subito tornato a sedersi, facendosi forte dell’esito delle urne (cambiandone però il segno, come se si fosse trattato di un mandato a proseguire le trattative), al tavolo negoziale con gli avvoltoi imperialisti per edulcorare la capitolazione già annunciata, per poi tradire, a partire già dal discorso tenuto dopo il referendum[9], la volontà popolare.
Dopo avere di fatto liquidato Varoufakis, sgradito alle cancellerie europee, per dimostrare ai creditori di avere l’appoggio di tutto il Paese ha riunito i partiti dell’opposizione borghese ottenendo una fiducia preventiva al mandato negoziale per raggiungere «un accordo socialmente giusto e finanziariamente sostenibile»[10].
Il tradimento del NO
Il resto della vicenda è noto. Dopo essersi assunto la responsabilità storica di aver portato nelle secche di una consultazione elettorale (generalmente, il terreno preferito dal nemico di classe) la disponibilità alla lotta e la radicalità espresse in questi anni dal popolo greco, seminando la reazionaria illusione che sarebbe stato possibile un accordo con la Troika a vantaggio della maggioranza della popolazione, Tsipras ha distorto il risultato plebiscitario che aveva respinto i piani di austerità, ha ripreso la strada della trattativa con i creditori e ha rapidamente capitolato accettando un memorandum peggiore di quello respinto nelle urne dalla schiacciante maggioranza del popolo greco: un memorandum tanto duro che persino il quotidiano tedesco Der Spiegel non si è fatto scrupolo di definirlo “un catalogo di crudeltà”.
Il successivo passaggio parlamentare[11] – un vero e proprio simulacro di discussione, con i tempi contingentati dalla Troika pena la mancata messa in atto del preteso “accordo” – ha visto venir meno la maggioranza che sostiene il governo a causa del voto contrario di una rilevante pattuglia di deputati appartenenti alla sinistra interna di Syriza. L’umiliante pacchetto di “riforme” è stato quindi approvato solo grazie al sostegno delle opposizioni parlamentari di Nea Dimokratia, Pasok e To Potàmi e cioè i partiti responsabili dell’austericidio di questi anni che, dopo essere stati ricacciati in minoranza dal voto del 25 gennaio, si sono improvvisamente ritrovati di nuovo proiettati al centro della politica nazionale come alfieri di un altro memorandum: in altri termini, ciò che si è realizzato è, di fatto, un vero e proprio rimpasto di governo.
Intanto, Tsipras si rendeva conto di non avere più il controllo del partito: la maggioranza del Comitato centrale, infatti, si pronunciava (così come molti comitati territoriali) contro l’accordo e chiedeva la convocazione di un congresso straordinario che, se fosse stato celebrato, avrebbe sicuramente registrato la sconfitta della linea della direzione di Syriza capitanata dal premier. Perciò, dava inizio a un’operazione di repulisti, allontanando dagli incarichi ministeriali coloro che avevano espresso voto contrario in parlamento.
È stato però necessario arrivare quasi alla fine di agosto per vedere gli esponenti della sinistra interna – ormai messi alle strette dall’azione di “bonifica” messa in atto da Tsipras – decidere di uscire dal partito, fondare un proprio autonomo gruppo parlamentare (che oggi è numericamente il terzo, dopo Syriza e Nea Dimokratia) e una nuova organizzazione politica: Unità popolare. Il ritardo nella rottura sicuramente non le ha giovato, avendo perso tempo prezioso nelle improduttive dinamiche interne al partito piuttosto che costruire da subito un’opposizione classista nella società organizzando una mobilitazione di massa per il NO al memorandum. La rottura, insomma, è stata più subita che cercata e la precipitazione si è avuta solo quando Tsipras si è dimesso convocando nuove elezioni politiche per il prossimo 20 settembre.
Le elezioni e le ragioni del prossimo voto
Le ragioni della scelta di Tsipras sono piuttosto evidenti: trasformare definitivamente il NO popolare espresso nel referendum, che costituisce pur sempre un pericoloso fantasma che aleggia sulla realtà politica greca e turba i sogni del premier, in un rotondo SÌ istituzionale al nuovo pacchetto di feroci misure austeritarie; ottenere un mandato popolare per portare avanti le misure imposte dall’Ue; liberarsi per sempre della fastidiosa opposizione interna.
E la fretta nel convocare le elezioni si spiega con il fatto che i crudeli provvedimenti del memorandum entreranno in vigore in ottobre. È chiaro che una campagna elettorale nel pieno vigore di nuove misure lacrime e sangue sarebbe tutt’altro che vincente!
D’altro canto, c’è un astuto calcolo da parte delle istituzioni europee: Tsipras e Syriza hanno influenza sulla classe lavoratrice e le masse popolari e sono quindi i più “legittimati” ad applicare il memorandum, mentre Nea Dimokratia e Pasok sono screditati. Dunque, che sia l’affidabile Tsipras a portare avanti questa partita: quando non servirà più, verrà messo da parte[12]!
E mentre il premier perde altri pezzi (l’eurodeputato, nonché eroe della resistenza antinazista Manolis Glezos; il segretario del partito e fra i suoi più stretti collaboratori, Tasos Koronakis)[13], prende il via una campagna elettorale che si preannuncia accesa.
Per la costruzione di un fronte di opposizione
È chiaro, però, che, benché tardiva e limitata al piano parlamentare ed elettorale, la scelta della Piattaforma di sinistra di rompere con la direzione di Syriza è positiva e va sostenuta, anche internazionalmente, nella direzione della costruzione di un fronte con altre forze della sinistra anticapitalista greca, come Antarsya e il Kke (quest’ultimo, anzi, va sfidato perché rompa con la sua attitudine settaria): un fronte che si ponga come il catalizzatore del profondo, radicale e generalizzato rifiuto dell’austerità e del ricatto da parte dei Paesi imperialisti, oggi però soffocato da una cappa di disillusione e confusione di ampi settori popolari.
Questo fronte dovrà andare oltre le dinamiche elettorali, organizzando da subito la mobilitazione sociale per trasformare, con la protesta generalizzata contro il governo attuale e quello che uscirà dalle urne, il NO espresso nel referendum in un processo rivoluzionario che punti apertamente alla presa del potere e alla realizzazione in Grecia di un governo dei lavoratori e per i lavoratori, primo passo per la costruzione di un’autentica Europa dei lavoratori e dei popoli.
(27/8/2015)
Note
[1] “Grecia, Tsipras requisisce la cassa degli enti pubblici”, la Repubblica, 20/4/2015.
[2] “La Grecia fa slittare a fine giugno i pagamenti al Fmi”, Il Sole 24 Ore, 4/6/2015.
[3] Lo rivela la Banca d’Italia nella sua Relazione annuale 2014, presentata all’assemblea del 26/5/2015, p. 37.
[4] “Le parti ormai sono vicinissime”, Corriere della Sera, 22/6/2015.
[5] “Knives out for Tsipras as Syriza hardliners threaten mutiny”, The Financial Times, 23/6/2015.
[6] C. Lapavitsas, “Grecia: il pacchetto d’austerità incombente” (13/6/2015); ma soprattutto, dello stesso autore, “La Grecia è ricattata. La via d’uscita è l’abbandono dell’eurozona” (26/6/2015), in cui si parla esplicitamente di «ritirata del governo» e di una Syriza che dovrebbe «ripensare la propria strategia e offrire una nuova guida al popolo greco»: il riferimento alla direzione di Tsipras è fin troppo trasparente.
[7] S. Kouvelakis, “In risposta a Alexis Tsipras” (31/5/2015).
[8] Parlando al Bundestag, Angela Merkel ha detto: «Non ha senso trattare finché il referendum non sarà stato celebrato, i greci hanno il diritto di svolgerlo e noi di rispondere». Tradotto: “Avete voluto la bicicletta? Ora pedalate!”.
[9] «Io credo che oggi questo referendum non abbia né vincitori né vinti». Invece, i vincitori ci sono, eccome! E sono i lavoratori greci che hanno respinto con forza l’assedio imperialista. E gli sconfitti sono gli avvoltoi dell’Ue.
[10] “I partiti di opposizione danno il loro appoggio a Tsipras nel negoziato”, El País, 6/7/2015.
[11] Peraltro, una vera e propria forzatura dello stesso sistema parlamentare borghese, visto che i deputati sono stati chiamati ad approvare non già una legge, né un trattato internazionale, ma semplicemente un mandato al governo a continuare la “trattativa”.
[12] Non a caso, incontrando la presidente del Brasile Dilma Rousseff, la cancelliera tedesca Angel Merkel ha dichiarato: «Le dimissioni di Tsipras sono parte della soluzione, non della crisi». Il che sta a significare che la mossa del premier greco è stata concordata con le autorità europee, da cui è venuto il via libera.
[13] Mentre chiudiamo quest’articolo giunge notizia che due viceministri, Tasia Christodoulopoulou e Thodoris Dritsas, e altri due deputati, Iro Dioti e Kostas Dermitzakis, hanno abbandonato Syriza, mentre la presidente del parlamento, Zoe Constantopoulou, ha annunciato la fondazione di un altro partito. Ma anche i sondaggi non lasciano tranquillo Tsipras: le intenzioni di voto indicherebbero una perdita di una decina di punti percentuali rispetto al risultato che lo portò al governo lo scorso gennaio.